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sabato 26 agosto 2017

Fumetti in soffitta: Il Maestro, di Mino Milani e Aldo Di Gennaro


Ecco una grossa lacuna nel mio lavoro (video) di riassumere la storia dei personaggi magici dei fumetti. Beh, andavo per linee di massima e il materiale era già tanto. Eppure oggi mi chiedo perché ho mancato di includere "Il Maestro", fumetto di Mino Milani e Aldo Di Gennaro che esordì sullo storico "Corriere dei Ragazzi" nel 1974 (anno in cui lo lessi anch'io... ebbene sì, ero già in circolazione anche se piccolino). "Il Maestro" come fumetto aveva tutte le caratteristiche delle serie del suo tempo che venivano raccolte nel popolare contenitore. E cioè poche pagine, trame concentrate ricche di didascalie, e una storyline semplice che si dipanava come filo conduttore, generando tensione e attesa da un episodio (più o meno conclusivo) all'altro. Il Maestro era un occultista di cui niente era dato sapere. La sua origine non fu mai rivelata, e probabilmente neppure l'effettiva portata dei suoi poteri, che spaziavano in tutto lo scibile della tradizione magica. Una magia potente, ma rappresentata con taglio minimalista, silenzioso, senza bagliori spettacolari o fenomeni appariscenti. Cosa che rendeva il Maestro e i suoi sortilegi forse ancora più inquietante. La trama principale era il duello con Jaga, ex assistente di un egittologo che aveva scoperto un misterioso manufatto chiamato con il nome esotico e un po' buffo di Scarabeo di Ara Tutna. 

Lo "scarabeo", era in realtà un dispositivo di origine aliena, trovato nell'antichità sul corpo di un visitatore extraterrestre morente, e capace di materializzare i pensieri e desideri di chi lo possedeva. Ricordo con emozione l'episodio in cui Jaga ricattava il mondo facendo cadere una pioggia torrenziale sul deserto egiziano, minacciando di sommergerlo. Le vignette d'apertura di quella storia in cui improvvisamente sulla sabbia rovente cadeva una goccia d'acqua. Poi un'altra, un'altra ancora e quindi iniziava il diluvio.
Difficile confrontarsi con qualcuno che può rendere reali le proprie fantasie (spunto che Milani e Di Gennaro suggerivano in modo abbastanza pauroso). Ma il Maestro era l'eroe giusto per questa serie di avventure brevi, in cui la risoluzione di ogni minaccia portava sempre più vicini all'incontro effettivo (e quindi allo scontro finale) tra il protagonista e la malefica Jaga, che per la maggior parte del tempo si sfidavano da lontano, per mezzo di telepatia, psicometria e anche l'aiuto (per Jaga) di ordinari sicari e (per il Maestro) della sua gatta mistica Nardy e della poliziotta Velda Morris. Per il tempo, l'atmosfera era tutto. Levitare a pochi centimetri da terra per superare una trappola elettrica era un'impresa sufficiente a suggestionare noi lettori dell'epoca. Così come l'ipnosi (di quelle che basta che incroci lo sguardo e sei inguaiato) e la capacità di rintracciare cose e persone grazie a percezioni paranormali. Insomma, "Il Maestro" è una lacuna nel mio lavoro sui maghi dei fumetti. Soprattutto considerando quanto lo amai da ragazzo. 

Oggi, magari, verrebbe considerato troppo poco spettacolare. Ma a suo tempo, fu proprio quella magia semplice e minimale (quasi credibile se confrontata agli incantesimi del Doctor Strange) che mi conquistò. Va da sé che oggi sente tutto il peso dei suoi anni. Ma il lavoro di Milani e Di Gennaro (cui nel tempo lasciarono un'impronta anche altri disegnatori, tra cui un giovane Giancarlo Alessandrini) è semplicemente... storia. E conserva il fascino di un immaginario che fu, un modo di raccontare, prendere per mano i giovanissimi lettori e portarli in un mondo fantastico che riusciva a sembrare quotidiano.
Insomma, il Maestro continua a essere ancora oggi una ficata.
In anni recenti, Re Noir - Nona Arte ne ha ristampato il ciclo integrale in volume. Varrebbe la pena recuperarlo, sebbene i dialoghi possano apparire oggi alquanto polverosi. Un esempio? Una frase mormorata dal Maestro a Velda che mi rimase stampata nella memoria:
«Siete adorabile, mia cara. E forse un giorno vi chiederò di amarmi.»
Nella vignetta successiva, lei abbassava gli occhi sorridendo e "pensava": «GULP!»
Il mondo cambia. Ma senza la storia alle nostre spalle non andiamo da nessuna parte. E' questa la magia.






giovedì 24 agosto 2017

Dylan – Dream of the Living Dead


C'è poco da fare. Sembra che Dylan Dog sia destinato a vivere più nei sogni e negli sforzi dei fans, con tutti i limiti del caso, che in una grossa produzione televisiva e cinematografica. Inutile continuare ad accanirsi contro il pessimo film statunitense con Brandon Routh. Quello semplicemente... non era Dylan Dog. Ancora meno di quanto Ben Affleck fosse Daredevil nel film del 2003 e in seguito Batman nel controverso “Batman v. Superman”, diventato ormai un vero e proprio simbolo dello snaturamento possibile nel passaggio dalla carta allo schermo.

Ricordiamo anche che una trasposizione “ufficiale” risente di una serie di paletti legali. Le norme sul diritto d'autore variano da paese a paese, e in America la “maschera” di Groucho Marx non può essere riprodotta senza sborsare una cifra astronomica. Ragione per cui, il personaggio è stato rimosso dal film in cui Routh interpretava un “omonimo” del personaggio creato da Tiziano Sclavi.

Uno scoglio simile hanno dovuto affrontarlo (anzi, circumnavigarlo) la crew austriaca che ha prodotto “Dylan - Dream of the Living Dead”, un mediometraggio – anche questo senza scopo di lucro – che si propone come un possibile Pilot di una serie. E' stato infatti necessario modificare i nomi e alcune caratteristiche dei personaggi principali per non incorrere in spiacevoli incidenti legali. Ma le varianti non pesano (anzi, alcune sono pure divertenti e riescono a farsi accettare con simpatia), e l'atmosfera generale riesce a rendere con grande rispetto la “mitologia” dell'indagatore dell'incubo, anglosassone per scelta narrativa, ma di anima italianissima.



Dopo “La morte puttana” di Denis Frison, “Il trillo del diavolo” di Roberto D'Antona e “Vittima degli eventi” di Claudio Di Biagio e Luca Vecchi (cui si aggiungono tanti altri esempi amatoriali meno noti), ecco dunque questo ulteriore omaggio a un'icona fumettistica che, sebbene la sua vita editoriale stia patendo il fisiologico invecchiamento e gli immancabili lifting, resta e resterà stampato nell'immaginario di molti lettori di più generazioni. Dylan Dog, come recitava uno strillo pubblicitario della stessa casa Bonelli tempo fa, è ormai un mito moderno.

Il regista Kevin Kopacka e la sua squadra dimostrano una profonda conoscenza della materia che affrontano (Kopacka firma anche i divertenti dialoghi insieme con Alex Bakashev) e la scelta non si discosta (giustamente) da quella fatta dai fimaker italiani che si sono già immersi nel mondo di Dylan. E cioè dall'intento di creare una sintesi del suo universo, condensando in un tempo limitato personaggi, citazioni, scene iconiche, e il surrealismo che permette di rompere ogni logica e avventurarsi nel territorio della fantasia più sbrigliata. Insomma, il Dylan Dog più classico. Anche se qui è chiamato Dylan Dawn. Anche se Groucho (che non è Groucho) è un attore asiatico (ma in qualche modo riesce a essere Groucho lo stesso), Bloch è tutto sommato Bloch, e la Trelkovsky...

No, questo è meglio che lo scopriate da soli. Noi abbiamo trovato questa lettura fottutamente divertente e azzeccatissima.

I precedenti fanmovies avevano i loro pregi e difetti. Chi più chi meno. “La morte puttana” era un grosso sforzo produttivo per un'opera amatoriale, che riusciva a inanellare una quantità di citazioni, e sostanzialmente vedeva il suo neo più grande in una durata forse eccessiva. “Il Trillo del Diavolo” era un'opera più breve e diversa. Riuscita, ma che forse sacrificava troppo la componente ironica al gusto estetico. Un discorso a parte meriterebbe “Vittima degli eventi”, progetto che si proponeva (anche in quel caso) come pilota di una serie di cui, allo stato delle cose, non si ha notizia. Anche in quel caso il lavoro svolto puntava alla sintesi di icone e atmosfere, sebbene la trasferta romana di Dylan non riusciva a convincere del tutto.


“Dylan – Dream of the Living Dead” accentua la componente onirica e “meta” presente negli esperimenti precedenti. Potremmo anche dire che la esaspera (in senso positivo) e produce un piccolo incubo fumettistico di trenta minuti dove non conta quello che viene narrato, ma il modo in cui lo si narra. E' probabile che il trend contemporaneo dei cinecomics miliardari induca molti lettori di fumetti a storcere il naso davanti al budget contenuto e a certe soluzioni artigianali. Ma torniamo al punto di partenza. Il cinema, i professionisti, non hanno certo mostrato di saper fare di meglio. E per un vecchio lettore italiano calarsi, sia pure per poco, nelle classiche suggestioni ideate da Tiziano Sclavi, in un racconto composto da un intreccio di incubi, morti viventi e continue citazioni può essere molto piacevole. Gli attori se la cavano in modo più che diligente, i dialoghi sono ben confezionati. E... quel prologo? Pochi minuti che già contengono buona parte del mondo dylaniato. Dylan e Groucho, quelli “veri”, che non vediamo in faccia mentre si preparano a guardare questo inusuale prodotto austriaco che li riguarda, i loro commenti, le loro allusioni... colgono già tutto quel citare e la volontà di ibridare i codici che è stato alla base del successo del fumetto di Sclavi nell'ormai lontano 1986.

Forse qualche omaggio alla cultura italiana può risultare ingenua (ma neppure tanto, dopotutto). E non è affatto male sentirsi rappresentati dal ricorso a uno dei nostri massimi cantautori (ed evitiamo spoiler). Insomma, “Dylan – Dream of the Living Dead” è un mediometraggio amatoriale godibilissimo, visibile su Youtube con sottotitoli in italiano, che merita di vedere premiati i suoi sforzi. Se non altro con un sonoro applauso di incoraggiamento e l'augurio di fare sempre meglio. Non è detto che il destino di Dylan Dog sia in una serialità live action. Possibilmente è meglio accontentarsi di one shot che ne riassumono la poetica e le suggestioni. Parere personale, ovviamente. Poi è tutto da vedere.

Complimento, intanto, a Kevin Kopacka e ai suoi collaboratori per il gradevole lavoro svolto. Vedere appassionati così creativi con i loro poveri mezzi, scalda il cuore.
Vi pare poco, Giuda ballerino?!

martedì 22 agosto 2017

DC Comics - L'orologio dell'apocalisse rintocca (ancora l'ombra di Watchmen)

 


E alla fine ci stiamo arrivando. Doomsday Clock, il cui primo numero uscirà in America il prossimo Novembre, segnerà l'apice del Rinascimento (o Restaurazione?) in casa DC Comics. Evento che sarà segnato dall'interazione, annunciata da tempo, tra gli eroi della Distinta Concorrenza con l'universo di Watchmen. Per usare le parole dello sceneggiatore Geoff Johns, non si tratterà di un crossover, ma di una storia a sé stante che ridefinirà il cosmo DC. Il nocciolo della questione dovrebbe essere il confronto (anche simbolico) tra Superman e Dottor Manhattan. In sostanza, l'alieno che ha imparato a essere più umano degli umani e l'umano nativo che ha progressivamente perso la propria umanità diventando sempre più alieno e distante. Siamo in presenza di uno di quegli eventi fumettistici destinati a fare discutere. I semi piantati da Johns sembrano interessanti. E neppure scontati come può sembrare. C'è un tempo per ogni cosa. Watchmen rappresentò non tanto l'ingresso dei supereroi nell'età adulta, quanto un punto di arrivo. Il brusco risveglio da un sogno nell'incubo di una realtà dove non esistevano veri eroi e dove poteva non esserci un lieto fine. Da quel momento, i punti cardine del mercato sono andati cambiando. E l'opera di Alan Moore ha suscitato una lunga serie di varianti, omaggi, e presunte evoluzioni di un discorso che l'autore inglese considerava già concluso quando aveva messo la parola fine al suo lavoro.
Ormai da anni, il genere supereroistico soffre il peso di una pietanza mal digerita. Un trend scaturito da un'opera (Watchmen) che non aveva mai voluto essere una ricetta per sfornare altri piatti, ma solo un punto di vista, storico e culturale. Per quanto i prodotti derivati interessanti non siano mancati, l'elemento del dark coatto ha finito col diventare a sua volta macchietta, spesso affossando le tematiche che si proponeva di elevare. Quel che Geoff Johns sembra prepararsi a fare è portare in scena una sorta di cortocircuito estetico dal quale ripartire con le successive narrazioni. Non sappiamo ancora in che misura funzionerà, ma il progetto di sicuro incuriosisce. La maturità, del resto, non s'identifica necessariamente con la truculenza, con l'amarezza e una visione pessimista del futuro (per quanto i tempi che corrono non ci incoraggino esattamente nel senso opposto). Se Geoff Johns riuscirà nella sua opera di livellamento, operando scelte narrative intelligenti, potremmo trovarci davanti a un'opera metafumettistica particolare come non la vedevamo dai tempi della prima Crisis. Una lettura antropologica dei corsi e ricorsi storici applicati a un genere fumettistico. Ne sentiremo tante, nei prossimi mesi. Prima, durante e dopo l'uscita di questa ennesima miniserie. 
Chissà!






sabato 22 luglio 2017

Pinocchio di Winshluss


Pinocchio di Winshluss: una riscrittura del capolavoro di Collodi che riverbera l'amore dell'essere umano per la guerra, la prevaricazione, il profitto... e la possibilità remota di fermarsi, di trovare una casa, una famiglia. Protagonista: un'arma di distruzione di massa con le sembianze di un bambino. Vincitore al Festival di Angouleme, il fumetto di Winshluss è un capolavoro di arte visiva e concettuale, che ammanta di ansie moderne un classico immortale.
Un volume che grazie a un gentilissimo donatore, potrete trovare (e consultare gratuitamente) il prossimo autunno sugli scaffali della biblioteca Salvatore Rizzuto Adelfio, a Palermo.

lunedì 17 luglio 2017

Djinn Tonic: un corto di Domenico Guidetti


Nell'immaginario umano, da sempre, l'idea di poter realizzare i desideri nasconde un inquietante rovescio. Attento a ciò che desideri, perché ogni desiderio, ogni sogno, ogni aspirazione realizzata, sposta le tessere del grande mosaico della realtà, e le conseguenze possono essere imprevedibili. O un vero e proprio incubo. "Djinn Tonic" è una commedia surreale, diretta da Domenico Guidetti​, interpretata da Guglielmo Favilla​ al fianco del grande Francesco Pannofino. Una variazione divertita su un tema classico, in un cortometraggio che gioca bene tutte le carte che ha a disposizione.

Odio i coccodrilli (in morte di George Romero e Martin Landau)

Odio i coccodrilli.
Non i poveri rettili che finché non tentano di mordermi possono restare a sguazzare quanto vogliono. I cosiddetti articoli "in mortem", pubblicati (prima solo sui giornali, oggi in abbondanza sui social) delle celebrità. Li odio perché presuppongono la fine di una vita. A volte di qualcuno che ha lasciato cose belle da ricordare, e il saluto è sempre amaro. Li odio, ma a volte non ci si può semplicemente esimere. Come dico sempre, piangiamo per noi stessi, non per i grossi nomi. Come nella poesia di John Donne, è un pezzo della nostra vita che se ne va, la campana suona per noi. Ignorarla non serve a niente. Tacere è spesso opportuno. Ma oggi non ci riesco. Odio i coccodrilli. E ancora di più odio quando mi sento costretto a scriverno uno. E oggi anche di più. Perché nel giro di poche ore se ne sono andati due personaggi importanti della mia giovinezza, a livelli diversi, ma presenti con altrettanta forza nella mia memoria e nel mio immaginario. Oltre all'immenso George Romero, cineasta che ha trasformato il mito etnico degli zombi in metafora politica, generando un'icona cinematografica allegorica potentissima (non a caso, oggi li definiamo "zombi romeriani"), se ne è andato anche l'attore Martin Landau. Una presenza costante nel cinema (lavorò con Hitchcock in "Intrigo internazionale" e vinse l'oscar per il bel "Ed Wood" di Tim Burton) e icona televisiva della fantascienza. Ero un bambino quando esordì "Spazio 1999". Una cooproduzione anglo-italo-americana che per il tempo innovava parecchio la nostra concezione del serial fantascientifico. Collocandosi accanto (parallelo) al mondo più solare di "Star Trek", anticipando le tematiche del futuro "Voyager" e introducendo quegli elementi gotici e horror che Ridley Scott avrebbe portato a maturazione sul grande schermo con il suo "Alien".E' il corso naturale delle cose. Ma ogni volta dobbiamo scendere a patti, e parlare, ricordare, scrivere un coccodrillo per andare avanti. Perché con ricordi così intensi, crolla anche un pezzo del nostro passato, e avvicina anche noi al traguardo. Un saluto, a entrambi. Ognuno grande a suo modo e nel suo ambito. Entrambi amatissimi. Da me, almeno.

domenica 16 luglio 2017

Benvenuta, Dottoressa.


Da quando la serie è stata rilanciata, ogni nuova incarnazione del Dottore suscita noiose polemiche. Oggi tutti fingono di essersene dimenticati. Oppure l'hanno effettivamente rimosso, chissà. Ma io ricordo benissimo che una pioggia di critiche iniziali se le beccò pure David Tennant, ancora troppo poco noto per essere subito accettato quando subentrò a Christopher Eccleston. Il tempo di un paio di stagioni e il successo personale lo rese una delle incarnazioni del Dottore più amate di tutti i tempi. Ma le cattive abitudini sono difficili da smaltire. Mai la pazienza di attendere e vedere come funziona la performance. Lo stesso successe con Matt Smith, ritenuto troppo giovane (ma il cui carisma azzerava l'età anagrafica e lo calava perfettamente nel ruolo). Dopo Peter Capaldi, è arrivato il giro di boa che da tanto tempo si attendeva e/o temeva. Il tredicesimo Dottore è una donna, l'attrice Jodie Whittaker (Broadchurch). Ed ecco partire la consueta litania. La palla sul politicamente corretto, sul fatto che la Whittaker è una pessima attrice (ma dove? Forse non capisco niente io) e amenità varie. Per quanto mi riguarda, sapevo che prima o poi sarebbe successo. Solo non me lo aspettavo questa volta. Chissà perché poi. Comunque sono molto curioso di vedere come sarà caratterizzato il personaggio in questa veste inedita. L'unica cosa che mi lascia perplesso è come sarà gestito il doppiaggio (anche se probabilmente vedrò la prossima stagione in lingua originale come negli ultimi anni). Infatti, in inglese Dottore è un termine asessuato. In italiano no. Chissà come suonerà.

venerdì 14 luglio 2017

Rocket Balloon 09: Sogno di una Notte di Mezza Estate


Finale di stagione di Rocket Balloon prima della pausa estiva. Si parla di Wonder Woman (storia fumettistica fino al recente film diretto da Patsy Jenkins). Spider-Man: Homecoming, l'Animal Man di Grant Morrison e i suoi esperimenti metafumettistici. E per concludere: quattro chiacchiere su Shin Godzilla di Hideaki Anno.
Per commenti, suggerimenti, domande: rocketballoonruntime@gmail.com

sabato 17 giugno 2017

Amarcord: Wrightson, King e il Lupo Mannaro...


Per puro caso, oggi ho scoperto di possedere una rarità. Un libro, da tempo non ristampato, che sembra essere diventato negli anni il più introvabile dell'intera bibliografia di Stephen King, anche in lingua originale. In rete, si vedono prezzi stratosferici. Roba da non crederci. Roba da farti... ululare alla luna. Davvero.


Bernie Wrightson, scomparso quest'anno, tra tante meraviglie ci ha regalato anche le illustrazioni del "Ciclo del Lupo Mannaro" di Stephen King. Operazione bizzarra, in quanto non si tratta di un romanzo o di un racconto... ma di un calendario. Un'opera commissionata a King e a Wrightson la cui trama è scandita dal ciclo mensile del plenilunio, con le conseguenti apparizioni del licantropo. Vagamente ispirato alle atmosfere di classici come "Il buio oltre la siepe", in cui il
 mondo tragico degli adulti è visto e narrato attraverso gli occhi sognanti dei bambini, è un racconto di crescita e di suspence essenziale, al servizio del gioco di rimandi lungo tutto un anno. Bernie Wrightson fece faville. Dal calendario fu tratto il film del 1985 "Silver Bullett" (in italiano, "Unico indizio: la luna piena"). Un caso bizzarro di narrazione crossmediale, lo definiremmo oggi.








giovedì 8 giugno 2017

American Gods... dalle pagine allo schermo


Mi sono accostato alla versione televisiva di "American Gods" con qualche perplessità. La prima era che difficilmente vengo coinvolto da un adattamento audiovisivo basato su un romanzo che ho letto, di cui conosco personaggi, interazioni e trama. Il fatto di essere uno spettatore quasi onniscente (sapendo cosa dovrà avvenire prima dei protagonisti) di norma non mi rende lo spettatore ideale di questi adattamenti. Li guardo sempre come se per me avessero le polveri bagnate. La seconda erano i consueti cambiamenti estetici nel passaggio dalla pagina al live action. La prosa di Neil Gaiman non è visiva come quella di Stephen King. Gaiman opera molto più con le suggestioni, lavora in sottrazione, lasciando parecchi eventi dietro le quinte, suggerendo al lettore di immaginare le cose, a volte riferite in modo didascalico. Ovviamente, in una serie TV, dove la narrazione avviene soprattutto per mezzo delle immagini, questo cambia drasticamente. E certe soluzioni, che per forza di cose anticipano anche la natura (nel romanzo più sfuggente) di alcuni personaggi, non mi aveva proprio entusiasmato. Procedendo, però, la serie carbura. E paradossalmente, lo fa proprio nel momento in cui inizia a distaccarsi dalla narrazione letteraria. Anticipando eventi successivi, dando un maggiore spazio a personaggi che nel romanzo compaiono per poche pagine, e inserendo sottotrame inedite e funzionali ai ritmi di una serie televisiva. Giusta la scelta di amplificare il personaggio di Laura, che nel romanzo svolge un ruolo fondamentale, ma è narrata come una presenza fantasmatica, molto meno materiale e presente di quella che ci viene mostrata nella serie. Insomma, uno di quei casi in cui le distanze dalla fonte fanno bene all'adattamento. Bryan Fuller alla sceneggiatura sta facendo un discreto lavoro. Certo, le parti storiche, di maggior respiro nel libro, risultano un po' sacrificate, ma si compensa con una buona resa visiva e l'inserimento di variazioni interessanti. Gillian Anderson, ormai lo sappiamo, non è soltanto l'agente Skully della nostra giovinezza. E dopo "American Gods" la sua popolarità è destinata ad aumentare ancora. Nel complesso, episodio dopo episodio, la serie si sta assestando su livelli abbastanza alti. Speriamo prosegua su questa strada, continuando a trasgredire e sorprendere.
E se vi state chiedendo chi è il mio preferito... Ma è ovvio.
E' Chernobog. Lo era anche nel romanzo.



venerdì 2 giugno 2017

Wonder Woman: niente estremismi, please...


La visione di "Wonder Woman" di Patty Jenkins forse dovrebbe ricordarci che tutti i cinecomics hanno almeno un filamento di DNA in comune. Tutto sta a vedere con che cosa si intreccia. Se non sei troppo piccolo da meravigliarti davanti a tutto, se per te tutto non è nuovo e quindi sorprendente, è normale ridimensionarlo parecchio. A scanso di equivoci, il film della Jenkins risulta piacevolissimo se visto o con occhi di bambino o con occhi di maturo appassionato di miti, leggende, fiabe, fumetti, cinema. Con lo spirito di chi ama sentirsi raccontare mille volte una storia che già conosce, purché il narratore abbia una voce abbastanza musicale e un modo sufficientemente accattivante di raccontare. Senza sperticature, con qualche goffaggine (l'estetica del rallenty ha ormai stuccato gli zebedei), e cadute di ritmo di un film forse troppo lungo, "Wonder Woman" funziona quanto basta. Funziona nella sua profonda, fisiologica imperfezione. Funziona perché ti scopri in grado di anticipare persino le battute che i protagonisti pronunceranno alla fine, la sequenza finale stessa, già vista decine e decine di volte. Eppure il film ha un cuore, sebbene non diverso da molti altri. In qualche momento batte, persino.

Le origini mitologiche sono un mix dell'epoca post Crisis e del rilancio dei New 52 (con una rivelazione comunque prescindibile). Un film d'avventura fantastica a suo modo gradevole, e che può essere apprezzato da chi ha amato la principessa amazzone nella versione di George Perez. Gal Gadot, statuaria e neppure troppo inespressiva, a mio avviso, si è meritata di essere identificata con Diana. Insomma... non si danno voti a un film del genere. Probabilmente, alcuni dei bambini presenti in sala lo ricorderanno come uno dei film più intensi della loro infanzia. Gli adulti meno. Ma come scriveva Antoine de Saint-Exupery: non tutti i grandi ricordano di essere stati piccoli. Il trucco è tutto lì.

giovedì 16 marzo 2017

Rocket Balloon - Episodio 6: Questione d'Image...


Dopo un'assenza dovuta a fattori di forza maggiore, ecco tornare Rocket Balloon con la sua sesta puntata della prima stagione. Già andata in onda su Runtimeradio.it  e ora disponibile in formato podcast su Spreaker. Gli argomenti sono densi: l'avventura della Image, dall'esodo di alcuni artisti Marvel e delle anatomie impossibili di Rob Liefeld, all'invasione dei Morti che Camminano passando per Invincible. Si bighellona un po' tra fumetto, cinema e TV, parlando anche di Lego Batman, Legion e naturalmente... Logan. Finalmente dialoghiamo con chi ci ha scritto, e si discute anche de L'attacco dei giganti e delle opere controverse di Miguel Angel Martin. Insomma, una puntata di ritorno abbastanza cicciosa.
Ricordo a tutti che potete scriverci, porci domande e fornire spunti scrivendo una mail all'indirizzo: rocketballoonruntime@gmail.com. 
Difendete sempre i vostri sogni e restate con noi. Perché c'è sempre un Altroquando.


giovedì 26 gennaio 2017

Rocket Balloon - Episodio 5


Stavolta Peppe Saso e io ci siamo proprio lasciati andare. Si salta di palo in frasca e si parla di tutto. Di Preacher (fumetto e serie TV), di Batman: The Telltale Series e del finale di Sherlock. Ma anche di erotismo, conversando della stagione del fumetto erotico tascabile italiano e del crowfunding dell'associazione Annexia per il progetto VintageErotika. A proposito, è ancora valido fino al 31 Gennaio. Potete supportarlo a questo link: Vintage Etortika - Evilsex.

venerdì 20 gennaio 2017

Vedute: Luciano Bottaro

 

«Picche e Ripicche!» 
Luciano Bottaro, oltre al suo ottimo lavoro sui personaggi Disney è stato un autore di caratura elevatissima. Creatore di personaggi dai tratti immediatamente identificabili, spesso surreali e a volte portatori di un'acidità che precorreva i tempi. Ne è un esempio il suo cattivissimo (ma in definitiva incapace) Re di Picche. Una sorta di versione aristocratica e ciarliera del Coyote della Warner, sempre all'inseguimento dello struzzo come il re della carte era ossessionato dal proposito di nuocere alla sua controparte benevola e felice, il Re di Cuori. Un mondo fantastico che traeva palese ispirazione da Lewis Carroll, e regalava sogni a occhi aperti a quanti a suo tempo lo incontrarono sulle pagine del Corriere dei Ragazzi. Una simpatica (ottimistica) sintesi sulla banalità del male e sulle sue declinazioni quotidiane: Invidia, superbia, collera. Condannate con una risata liberatoria.






giovedì 19 gennaio 2017

The Savage Sword of Jesus Christ [di Grant Morrison e Molen Bros]


«Non sono venuto a portare la pace... ma la spada!»

La frase del Vangelo diventa il simbolo di una nuova opera provocatoria dell'autore scozzese Grant Morrison, il cui primo capitolo è appena stato pubblicato sul numero 284 della rivista statunitense Heavy Metal. Un Gesù feroce e invincibile, che scende dalla croce per andare alla conquista di un mondo che reclama come suo regno. Questo secondo la fantasia malata di Adolf Hitler, in un'ipotetica applicazione di quello che fu il Cristianesimo Positivo, progetto nazista di epurazione della matrice ebraica dalla religione cristiana per forgiare un vessillo funzionale al Terzo Reich. L'irriverenza di Morrison si serve di quella folle reminiscenza storica per produrre una metafora sulla contraffazione strumentale delle culture e dei linguaggi. Un fumetto violento, ironico e grottesco che sicuramente farà discutere.

Cover of Conan Theme (Anvil of Crom by Basil Poledouris) di Camilo Melgaço Canale Youtube di Camilo Melgaço: https://www.youtube.com/channel/UCe91...

Aquista Heavy Metal 284 (formato Kindle in inglese) su Amazon: http://amzn.to/2jyaeJX

mercoledì 18 gennaio 2017

Vedute: Jim Steranko



Marvel, anni sessanta... una galassia lontana, lontana, verrebbe da dire guardando, oggi, le tavole psichedeliche di Jim Steranko, e il suo lavoro su Nick Fury – Agent of S.H.I.E.L.D. (pubblicato sulla rivista contenitore Strange Tales). Nel contemplare l'opera di Steranko non si può fare a meno di pensare a quanto alcuni artisti siano talmente in anticipo sui tempi da arrivare praticamente in ritardo. La tecnica surreale con influenze di optical art, una tecnica astratta in seguito divenuta rara sulle pagine dedicate ai supereroi. Anzi, a una spia che si muoveva, strisciava, si nascondeva, saltava tra le pieghe dell'universo supereroistico. Un contesto fantascientifico ipnotico e destabilizzante come pochi. Se Steve Ditko, con le sue storie del Doctor Strange aveva saputo creare un mondo mistico composto da geometrie sfuggenti, le tavole di Steranko erano pura arte pop ipercinetica. Qualcosa di troppo potente, troppo anarchico, forse, per diventare canone in un genere conservatore come quello degli eroi in tuta. E non è forse un caso se la sua carriera di artista è proseguita svicolandosi dalla nona arte.







sabato 7 gennaio 2017

Cat Eyed Boy di Kazuo (Umezz) Umezu



Se ci sono autori che fanno scuola, Kazuo (UMEZZ) Umezu è sicuramente tra questi. Patriarca dell'orrore nipponico e pioniere del perturbante a fumetti nelle sue successive declinazioni, è rimasto a lungo inedito nel nostro paese. Quel vuoto oggi è colmato dalle edizioni Latitudine 42 con Cat Eyed Boy (Nekome Kozo) con quattro volumi che raccolgono la saga del ragazzo per metà demone felino. Ma all'orizzonte c'è dell'altro. Il 2017, per l'Italia, potrebbe essere l'anno della rivincita di Umezu, visto che la Hikari ha già annunciato un'altra sua importante opera: Aula alla deriva. Yokai maligni, body horror, ansia e perturbante. Un manga che conserva ancora oggi più di un motivo di interesse.

giovedì 5 gennaio 2017

Vedute: Jason Pearson


Quello di Jason Pearson, tra i disegnatori “non canonici” (ammesso che dire così oggi abbia ancora senso) attivi nell'ambito supereroistico, è uno degli stili che amo di più. Per chi è cresciuto conoscendo e adorando le anatomie spettrali di Steve Ditko su l'Uomo Ragno delle origini, in seguito canonizzato dal più regolare e realistico John Romita Sr., il disegno di Pearson ha un sapore che mixa la nostalgia con la voglia di trasgredire. Un tratto quasi umoristico, ma virato di oscurità ed epicità. In grado di presentare nella medesima tavola personaggi dai lineamenti essenziali e pose di grande impatto visivo. Un piglio grottesco e nello stesso tempo eroico. A volte ai limiti del parodistico, ma senza mai sconfinare nella vera e propria caricatura. Personalmente, adoro il suo Wolverine tracagnotto, quasi goffo ma inquietante e bestiale come non mai. Basta osservarlo per avere la sensazione di ascoltarne il ringhio. Così come ho adorato la sua Tempesta, algida e minimalista (ma proprio per questo efficacissima) del suo primo Annual degli X-Men. I volti spesso deformati in smorfie esagerate che rievocano quasi antiche pose da cinema espressionista. 

Una Emma Frost altezzosa e ironica come una diva del muto. Un Wolverine posseduto dalla Covata (anche se è solo una simulazione) che sostanzialmente mostra il volto estremo della ferocia che già porta in sé. Un Ciclope quadrato, leader tutto d'un pezzo. E' un po' come se la matita di Pearson grattasse via dagli eroi in tuta la patinatura eroica, e mostrasse anche il senso del buffo, del sardonico, che può trasparire dalle loro imprese sopra le righe. Un rompere la buccia supereroistica per affondare i denti nella polpa. Un gusto forse non per tutti, ma sicuramente forte.