Quello di Jason Pearson, tra i
disegnatori “non canonici” (ammesso che dire così oggi abbia
ancora senso) attivi nell'ambito supereroistico, è uno degli stili
che amo di più. Per chi è cresciuto conoscendo e adorando le
anatomie spettrali di Steve Ditko su l'Uomo Ragno delle origini, in
seguito canonizzato dal più regolare e realistico John Romita Sr.,
il disegno di Pearson ha un sapore che mixa la nostalgia con la
voglia di trasgredire. Un tratto quasi umoristico, ma virato di
oscurità ed epicità. In grado di presentare nella medesima tavola
personaggi dai lineamenti essenziali e pose di grande impatto visivo.
Un piglio grottesco e nello stesso tempo eroico. A volte ai limiti
del parodistico, ma senza mai sconfinare nella vera e propria
caricatura. Personalmente, adoro il suo Wolverine tracagnotto, quasi
goffo ma inquietante e bestiale come non mai. Basta osservarlo per
avere la sensazione di ascoltarne il ringhio. Così come ho adorato
la sua Tempesta, algida e minimalista (ma proprio per questo
efficacissima) del suo primo Annual degli X-Men. I volti spesso
deformati in smorfie esagerate che rievocano quasi antiche pose da
cinema espressionista.
Una Emma Frost altezzosa e ironica come una
diva del muto. Un Wolverine posseduto dalla Covata (anche se è solo
una simulazione) che sostanzialmente mostra il volto estremo della
ferocia che già porta in sé. Un Ciclope quadrato, leader tutto d'un
pezzo. E' un po' come se la matita di Pearson grattasse via dagli
eroi in tuta la patinatura eroica, e mostrasse anche il senso del
buffo, del sardonico, che può trasparire dalle loro imprese sopra le
righe. Un rompere la buccia supereroistica per affondare i denti
nella polpa. Un gusto forse non per tutti, ma sicuramente forte.
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