La storia, i cambiamenti culturali,
sono tanti e possono essere strani. E certi episodi di oggi
richiamano alla memoria episodi di ieri. A volte simili, a volte
diametralmente opposti. Può capitare, nell'ambito del fumetto
americano, pensando al personaggio di Batgirl. Protagonista, qualche
tempo fa, di una polemica sorta in rete a causa della cover (ritirata
in seguito alle accuse di sessismo) disegnata da Rafael Albuquerque
che raffigurava Barbara (Batgirl) in balìa del Joker, intento a
disegnarle il suo iconico ghigno sulla faccia. La copertina intendeva
essere un rimando al classico racconto “A killing Joke” di Alan
Moore, in cui il Joker storpiava l'eroina condannandola a una sedia a
rotelle sulla quale sarebbe rimasta per molti anni. Dopo la sua
guarigione e il rilancio della sua serie, Batgirl si sarebbe di nuovo
confrontata con il terribile criminale, e tutti i suoi traumi
sarebbero (come è normale che sia) riemersi.
La cover di Albuquerque
non faceva che sintetizzare questo, oltre a collocarsi in una
tradizione classica di copertine supereroistiche che vedono l'eroe (o
l'eroina) in difficoltà, spesso alla mercé di un avversario che
appare vincente per ragioni di climax.
Nello stesso periodo, analoghe
polemiche sorsero per uno dei poster pubblicitari del film “X-Men:
Apocalypse” che vedeva il personaggio di Mystica (interpretato da
Jennifer Lawrence) strozzato dal villain del film. I significati
erano i medesimi di sopra. Le copertine degli albi di supereroi
tendono a mostrare il protagonista (o alcuni tra essi) in seria
difficoltà, per sottolineare la drammaticità dello scontro e la
loro possibilità di perdere. Anche nel caso del poster promozionale
scoppiò la polemica, e si sentì dire che istigava alla violenza
sulle donne. Ma torniamo a Batgirl.
E' buffo ricordare come
nel 1968, su “Detective Comics 371 (episodio pubblicato anche in
Italia nei primi anni 70), Batgirl sia stata protagonista di una
scena davvero ferocemente sessista. Passata inosservata tanto
nell'America degli anni sessanta che da noi, dove gag del genere
(aimé) tendono pericolosamente a riemergere. La situazione era
classica. Batman e Robin stanno lottando contro un gruppo di
criminali. I malfattori sono tanti e i due giustizieri rischiano di
avere la peggio. Sopraggiunge Batgirl, ma... la sua tuta attillata si
scuce e la donzella sconvolta si sente persa. Sulla copertina
originale, Batman chiede esplicitamente l'aiuto della ragazza dicendo
«Qui abbiamo un problema!». La risposta di lei lascia di stucco:
«Ne ho uno più grande. Mi si è scucita la tuta!»
Pertanto, anziché correre i aiuto dei
colleghi, la ragazza pipistrello si china a contemplare preoccupata
la lunga smagliatura sulla sua gamba, flettendola come solo una star
del Crazy Horse saprebbe fare. Il risultato (altrettanto grottesco) è
la reazione dei maschi criminali, subito distratti dalle grazie della
femmina (e infatti gridano: «Che gambe!»), e per questo sopraffatti
dal dinamico duo.
L'episodio, realizzato da Carmine
Infantino e Gil Kane, è davvero imbarazzante. E dimostra il suo
contenuto sessista con una circolarità a suo modo esemplare. La
storia si apre con un flashforward fuorviante (all'epoca era una
pratica diffusa), cioè un anticipazione della trama in cui però le
cose non andranno esattamente così (un po' come in certe copertine).
Nella prima, emblematica, vignetta vediamo già Batman e Robin
combattere contro i criminali, e Batgirl, in disparte, passarsi
serenamente il rossetto sulle labbra mentre si guarda civettuola in
uno specchietto. La didascalia di apertura recita così: “Quando
una donna è una donna? In ogni momento del giorno e della notte.
Persino Batgirl. Anche quando combatte il crimine, si preoccupa del
suo aspetto.”
Quando l'incidente del costume
strappato (e della rissa con i criminali) si sarà concluso, la
pietra tombale sulla parità dei sessi sarà messa dai commenti di
Batman.
«Stavolta la tua femminilità si è
risolta a nostro vantaggio e a discapito dei delinquenti. E' stata
una fortuna che il tuo costume si sia strappato proprio in quel
momento.»
La storia si conclude con Barbara in
borghese che ripensa all'accaduto, e ci rivela di avere strappato
deliberatamente la sua tuta per distrarre i criminali e dare ai suoi
alleati la possibilità di sopraffarli. Non è che la sostanza cambi
molto. Anzi, conferisce epicità e ragion d'essere a fumetti
successivi, esplicitamente grotteschi e provocatori come la Kekko
Kamen di Go Nagai, la guerriera che nasconde il volto, ma mostra il
corpo, combattendo nuda. Il sessismo di base si taglia con il
coltello. Ma erano altri tempi. O forse no?
Da un lato oggi potremmo scandalizzarci
nel vedere la donna guerriera troppo presa dalla cura del suo
aspetto, o usare le sue forme femminili per confondere dei criminali
evidentemente guidati solo dagli ormoni (che succedeva se tra questi
c'era un gay, magari armato di pistola?). Da un altro, assistiamo a
un'alzata di scudi causata da una copertina come quella di
Albuquerque, in cui l'eroina subisce un trattamento paritario
(peraltro già visto) con quello suoi omologhi maschili. E' paradossale considerare come alla
fine degli anni sessanta, una descrizione decisamente inopportuna del
personaggio sia passata inosservata (del resto erano quegli anni lì)
mentre oggi, una lettura contestualizzata e codificata dell'eroe in
tuta (sia uomo che donna) sia stata vista da alcuni come qualcosa da
condannare.
Questa specifica polemica risale già a
qualche tempo fa, ma è rappresentativa di un sentire che ultimamente
riguarda sempre più spesso i comics americani, e soprattutto quelli
supereroistici. Recentemente, in una storia di Superman su Action
Comics, lo sceneggiatore Brian Michael Bendis, dopo un'onda polemica,
è stato costretto a modificare il termine “autistico” usato da
un villain per insultare un sottoposto. Ripulire il linguaggio dei
personaggi negativi lascia perplessi, in quanto condurrebbe a un
impoverimento delle caratterizzazioni. Ma evidentemente sta
succedendo qualcosa. L'industria che produce certo fumetto sta
cambiando e si adatta a un sentimento popolare indifferenziato che
ormai, nell'era di Internet, trova ovunque bersagli cui mirare. Non
si parla di politicamente corretto, espressione abusata e spesso
confusa con scelte di marketing volte a catturare nuove fette di
lettori (e spettatori) presso etnie un tempo poco rappresentate. Non
c'entra neppure la cura del linguaggio, ma una trasformazione
dell'intrattenimento influenzata dal megafono (democratico?) della
rete. C'è da chiedersi se la rete non abbia dato forma (anche) a
forme isteriche, che insieme ad altre logiche di mercato stanno
plasmando l'industria del comics popolare come un prodotto per
famiglie, anestetizzato e purgato da tutto ciò che può suscitare
discussione.
E' solo un interrogativo, non un elogio
del politicamente scorretto. Altra questione e altra etichetta,
spesso a sua volta mitizzata.