Ormai dovremmo conoscerle.
Le miniserie Marvel targate Disney+, intendo.
Una confezione in genere accattivante, molti mezzi, attori in gamba e un copione prevedibile, lineare, spesso mal scritto, che conduce a una conclusione modesta se non deludente.
Non è oro, ma neppure tutto cacca. Incazzarsi e fare le pulci a un prodotto scadente, o che non piace, oggi fa parte del grande gioco dei social. Si parla per parlare. Anche di quello che non interessa. O non interessa più. Solo per esserci, per esistere, per fare sentire la propria voce.
Personalmente, inizio a trovare eccessivo questo gioco al massacro. E' vero, “Moon Knight” l'ho trovato particolarmente brutto. Insulso, confuso. Una forzatura che sacrificava sull'altare del commercio uno spunto potenzialmente interessante e la performance di un attore del calibro di Oscar Isaac (sabotata da una sceneggiatura indecente, e quindi resa inutile).
C'è chi riesce ad apprezzare comunque questo circo colorato, fatto di computer grafica, di girotondi di citazioni fumettistiche, botti, luci e poco altro. E va bene così. Ognuno si svaghi come può, e goda di quello che gradisce. Non è accanirci contro questi prodotti che ci renderà persone migliori.
Quando, qualche mese fa, scrissi sul mio profilo che stavo rimanendo molto deluso da “Moon Knight” e che riconoscevo che i titoli Marvel avevano, forse definitivamente, smesso di considerarmi parte del loro target, qualcuno si affrettò a dirmi di evitare come la peste l'imminente “Ms. Marvel”, giacché un prodotto a misura di teenagers sarebbe stato di sicuro indigesto per un boomer come me.
Beh, tra i tanti fenomeni della rete e della sua gestione della cultura pop, c'è anche il ragionare a compartimenti stagni. Pare che un prodotto pensato per i giovani, che ha per protagonisti adolescenti e tratta tematiche relative al mondo giovanile, causi l'orticaria agli spettatori “vecchi” come il crocifisso ai vampiri secondo tradizione. Ok, millenial!
E' vero, “Ms. Marvel” è un prodotto che fa della gioventù e della leggerezza un tratto distintivo, ma non è solo questo. E' una miniserie che, con tutti i suoi limiti fisiologici, si presenta in qualche modo come nuova, aprendo a una fetta di protagonisti (la comunità dei pakistani statunitensi di religione musulmana) finora vista raramente su schermo in un racconto del genere (non in un prodotto occidentale, almeno). Propone, insomma, un punto di vista inedito per una storia di supereroi, e lo fa con un certa freschezza, puntando sulle differenze etniche e su un cast di attori simpatici, a partire da Iman Vellani, canadese di origine pakistana, nella parte di Kamala Khan.
Qualcosa di inusuale, che in prima battuta adatta bene il personaggio dei fumetti nato nel 2013 sugli albi Marvel, nel periodo in cui la stirpe degli Inumani aveva assunto un ruolo centrale rivelando che tra i comuni cittadini c'erano tanti soggetti dormienti appartenenti alla loro razza. Kamala, nei fumetti, è per l'appunto una di questi, cui circostanze fortuite attivano i poteri fino a quel momento nascosti. La serie Disney+, costretta a glissare sul concetto Inumano per varie ragioni, sposta il retaggio della protagonista in un'altra direzione, attingendo a un differente parterre di personaggi marvelliani: i Clandestine, famiglia evolutasi dall'unione di un essere umano con un djinn. Ma queste digressioni hanno poca importanza. Quel che conta, parlando di Kamala e della sua versione dal vivo, è soprattutto il contesto, la scoperta e la sua relazione con lo scenario di provenienza. Qualcosa che permette al lettore-spettatore di avvicinarsi a realtà percepite ancora da alcuni come distanti, e di farlo in termini giocosi.
Diciamo, dunque, che “Ms Marvel”, considerato come “oggetto” prima ancora che come miniserie, riesce con la sua particolare estetica a suscitare empatia e comunica un'emozione positiva. Almeno è così per me, che vedo nell'inclusione mediatica un passo importante per la crescita morale di tutti, che amo la varietà e non disdegno le cronache di coming of age. Il bambino dentro questo boomer si incanta a guardare la meravigliosa famiglia di Kamala, invidiandola a tratti, e sognando di averne una simile al di là delle differenze culturali (che volete, invecchiando si diventa sentimentali!).
Sì, “Ms Marvel” fa... tenerezza. Suscita simpatia il candore di Iman Vellani, bellezza pacioccona fuori dai consueti canoni, e affascina tutto il suo habitat, fatto di tradizioni esotiche, commistioni occidentali, uso delle nuove tecnologie e del linguaggio giovanile. Un ponte tra i mondi che diventa tematico (metafora semplicistica, ma proprio per questo immediatamente riconoscibile) con l'evolversi dell'avventura, la rivelazione degli antagonisti e delle loro reali motivazioni.
Questi sono gli elementi che collocano “Ms Marvel” parecchie spanne sopra l'Egitto liofilizzato di“Moon Knight”, prodotto sotto tanti aspetti arido, e gli permetteranno di mantenere la posizione conquistata a prescindere dal suo finale e dalle fisiologiche pecche che di episodio in episodio vanno venendo a galla in modo inesorabile. Perché parliamo pur sempre di una serie Marvel Disney+, un giocattolo prodotto in una catena di montaggio standardizzata, che difficilmente potrà differenziarsi in modo sostanziale dai suoi omologhi.
Dopo gli elogi potremmo elencare i difetti, e ne troveremmo una quantità industriale. Ma ne vale la pena? Sono esattamente gli stessi di ogni singola miniserie Marvel uscita sulla piattaforma streaming. Una ricetta che prevede la presentazione di un eroe, la sua prova di competenza e la sua consacrazione. Una frettolosa introduzione degli antagonisti, in genere ridotti a sagome di cartone da abbattere per poter arrivare da un punto A a un punto B, e tanta faciloneria che liquida in un istante la più benevola sospensione dell'incredulità. Difetti che – come di consueto – crescono a ogni puntata, privando le atmosfere iniziali di quella brezza piacevole che c'era parso di sentire sulla fronte per arrivare sudati, stanchi e un po' delusi a un traguardo scontato, goffo e quindi indigesto.
Tutto questo è vero. “Ms Marvel”,
pur distinguendosi nelle sue prime battute come un titolo fresco e
dal grande potenziale, non sfugge alle dinamiche cui siamo abituati.
La verità, però, è che non aveva mai avuto nessuna speranza di
riuscirci. E forse non ci ha provato neppure. Perché avrebbe dovuto,
dopotutto? Le caramelle industriali sono quello che sono. Possono
essere dure o morbide, alla frutta o impregnate di liquore, ma
restano caramelle e non diventeranno mai spiedini di tonno alla
griglia, per quanto noi si possa avere voglia di assaporarli.
Per
il Marvel Cinematic Universe, non è neppure un problema quanto una
connotazione naturale. Una rotta sulla quale stanno veleggiando tanto
i titoli cinematografici che quelli destinati alla piattaforma
streaming. Il giro di boa è avvenuto ed è stato consegnato alla
storia. L'universo condiviso si è compattato, la sorpresa esaurita,
la luna di miele conclusa, e adesso è giunto il momento di
affrontare il quotidiano, a volte tedioso, della vita matrimoniale.
La Marvel è riuscita a traghettare al cinema le stesse dinamiche dei
fumetti. Il ping pong narrativo da una serie all'altra, i crossover e
i grandi eventi affollati di personaggi. Le miniserie Disney+
arrivano dopo che la polvere della deflagrazione principale si è
posata e ci presentano uno scenario che dovremmo conoscere, o se non
altro che non dovrebbe coglierci impreparati.
L'amore che strappa i capelli è ormai perduto, cantava Fabrizio De Andrè. Non resta che qualche svogliata carezza. E un po' di tenerezza. Non è poi così male, dai. L'importante è andare avanti. Vedere Kamala Khan indossare una mascherina che non nasconde niente, proprio come Zorro nella storica serie TV (anche quella targata Disney) che ha accompagnato noi boomer per tanto tempo. Quella mascherina che oggi nessuno accetta più perché – che cavolo! – si vede benissimo che sei Diego o Kamala... ma mi prendi per il culo?! Eppure è tornata. E' là, è semplice, banale, simbolica. Significa che sei speciale, che sei un eroe e il protagonista di un'avventura. Sono archetipi, amabili a volte proprio per la loro essenzialità. Per un po' sono riusciti a mimetizzarsi, a fingersi grandi e tronfi grazie a montagne di soldi e a furbe campagne promozionali, ma alla fine hanno gettato la maschera. Indossandola di nuovo. Paradossale vero?
Basta così, allora. Divertiamoci come possiamo. Ognuno prenda dal vassoio il suo dolce preferito. Nessuno lo giudicherà. Cerchiamo solo di essere onnivori, e assaggiare di tutto. E' così che si cresce sani e forti. E se la storia dell'India, il dramma della Partizione, le grandi tribolazioni di un popolo, e - perché no? - anche i superpoteri, continuano a stuzzicare la vostra curiosità, c'è un notevole romanzo che vi racconta tutto questo. Uno di quelli che piacciono a noi boomer. Sì, ci sono anche i supereroi, e sono fichissimi, giuro. Lo ha scritto Salman Rushdie, si intitola “I figli della Mezzanotte”. E per qualche strana ragione sono sicuro che Kamala Khan lo ha letto e lo adora.