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giovedì 19 gennaio 2017

The Savage Sword of Jesus Christ [di Grant Morrison e Molen Bros]


«Non sono venuto a portare la pace... ma la spada!»

La frase del Vangelo diventa il simbolo di una nuova opera provocatoria dell'autore scozzese Grant Morrison, il cui primo capitolo è appena stato pubblicato sul numero 284 della rivista statunitense Heavy Metal. Un Gesù feroce e invincibile, che scende dalla croce per andare alla conquista di un mondo che reclama come suo regno. Questo secondo la fantasia malata di Adolf Hitler, in un'ipotetica applicazione di quello che fu il Cristianesimo Positivo, progetto nazista di epurazione della matrice ebraica dalla religione cristiana per forgiare un vessillo funzionale al Terzo Reich. L'irriverenza di Morrison si serve di quella folle reminiscenza storica per produrre una metafora sulla contraffazione strumentale delle culture e dei linguaggi. Un fumetto violento, ironico e grottesco che sicuramente farà discutere.

Cover of Conan Theme (Anvil of Crom by Basil Poledouris) di Camilo Melgaço Canale Youtube di Camilo Melgaço: https://www.youtube.com/channel/UCe91...

Aquista Heavy Metal 284 (formato Kindle in inglese) su Amazon: http://amzn.to/2jyaeJX

martedì 1 settembre 2015

Gli Dei di Rimpiazzo: Supereroi, Religioni e Macchine del Tempo...


The Replacement Gods” (“Gli dei di rimpiazzo”) è un documentario americano del 2012 prodotto dalla Little Lights Studios, studio cinematografico senza scopo di lucro per la divulgazione religiosa presso i giovani, che tratta dei fumetti di supereroi e della loro ingombrante (e ovvia) parentela con le mitologie antiche, l'esoterismo, le simbologie bibliche. L'approccio è protestante e, benché il film non contenga alcun riferimento esplicito, si direbbe espressione della Chiesa Avventista del Settimo Giorno, cui è legato anche Light Channel Italia, che ne ha curato per l'appunto l'edizione italiana.

Un film di 95 minuti molto denso. Discutibile e interessante nello stesso tempo. Affascinante per la ricchezza dei contenuti e spiazzante per le improvvise cadute di tono. E' curioso notare (da liberi pensatori) come l'argomento alla base del documentario (che, ricordiamo, parla dei supereroi, della loro genesi e soprattutto della loro funzione) non è prettamente “protestante”, ma ha radici comuni al cattolicesimo più antico. Peccato che questo non sia un apprezzamento positivo o ecumenico. Quel che viene spontaneo commentare è che il mondo cattolico, con tutte le sue resistenze e pregiudizi, si esprimeva con determinati toni e messaggi nel Medioevo, agli inizi della sua storia istituzionale. Qui ci troviamo, invece, in presenza di un titolo del 2012. E la cosa, per chi ha un approccio laico alla vita e ai fumetti, è abbastanza disturbante.


E' il caso di premettere che le critiche (che ci saranno) non sono rivolte alla fede Avventista in sé, ma ai toni e ai contenuti di questo film (benché sia lecito supporre che siano stati approvati e allineati con le linee generali della confessione cui appartengono). Per capire subito di cosa stiamo parlando, basta un riassunto del tema principale del documentario prodotto dal Little Light Studios (e reperibile anche in italiano su Youtube). Il senso di tutto è che i fumetti di supereroi sono strumenti diabolici, volti a perpetuare (così come le antiche mitologie) un inganno nei confronti del genere umano, e indurlo a venerare falsi dei, in modo da confondere le acque e sviare dall'accoglienza di Cristo (soprattutto nella sua seconda venuta).

E' inquietante scoprire come le parole di Sant'Agostino in De Civitate Dei, agli albori della chiesa cattolica, siano state riciclate in ambito protestante riportando di fatto indietro il tempo (e il modo di intendere la spiritualità) di secoli. Per Agostino, le divinità dei pantheon pagani (buone o cattive che fossero) non erano semplicemente delle figure simboliche di forze della natura e di emozioni umane. Erano entità reali, ma di natura demoniaca, il cui ruolo era quello di farsi adorare al posto dell'unico vero Dio e di screditarne l'esistenza. Non a caso, in molte narrazioni di genere horror a tema demoniaco, le presenze diaboliche portano nomi di antiche divinità. Persino nel celebre romanzo e film “L'Esorcista”, il demone protagonista è Pazuzu, un tempo divinità assiro-babilonese dei venti e delle tempeste. La patristica e i padri della chiesa riscrissero pazientemente le mitologie pagane per creare il nemico di cui la propaganda della nascente istituzione ecclesiastica aveva bisogno. Per questo, oggi, vedere un film come “Gli Dei di Rimpiazzo” è un'esperienza bizzarra. Interessante e irritante nello stesso tempo.


Il documentario si apre e si chiude nel modo peggiore possibile. Lo spezzone iniziale è un documento d'epoca che ci riporta alla nascita del comics code americano, alla crociata contro i fumetti dello psichiatra Fredric Wertham e al suo “La Seduzione dell'Innocente”. Al termine di quella sequenza, lo spettatore è indotto a pensare che il filo del discorso verrà ripreso. Invece no. Termina lì, quasi fosse un'epigrafe posta a memento per i posteri. In sostanza, per il film, quanto contestato ai fumetti da Fredric Wertham era vero e legittimo. E sembra suggerire che sarebbe una posizione da recuperare in questi anni bui. La tirata finale, invece, è tra le più scontate in ambito religioso (tanto da livellare praticamente qualsiasi confessione cristiana), e conclude la disamina affermando che uno solo è il supereroe che dovremmo tutti adorare e che ci salva, e cioè l'unico e solo Gesù Cristo.

Un documentario di propaganda religiosa, dunque, ma non privo di spunti di interesse. I rapporti tra la nascita dei supereroi e le antiche mitologie è curato e supportato da fonti che destano la curiosità dello spettatore. Non lesina neppure l'inserimento di interviste o citazioni di opere di Alan Moore e Grant Morrison, e il loro rapporto con l'occulto. Peccato che alla fine scopra i giochi con l'affermazione puerile e dichiaratamente propagandista che niente di buono può venire da storie a fumetti scritte da chi è abituato a flirtare con i demoni. Il concetto di inversione (cioè mettere Lucifero al posto di Cristo e rendere il primo un eroe e il secondo un malvagio protettore dello status quo) avrebbe (qualora affrontato in modo più distaccato) potuto prestarsi a un'affascinante lettura metaforica (e politica) di rovesciamento dei ruoli precostituiti. Batman, esempio di eroe moderno che fa della simbologia demoniaca un lampante ribaltamento tra luce e tenebre, tra bene e male, dovrebbe essere uno dei punti cardine di questa analisi religiosa. Succede, però, che “Gli Dei di Rimpiazzo” finisce con il disinnescarsi da solo, quando (esaminando le pellicole dedicate all'Uomo Pipistrello nel corso degli anni) confonde con ingenuità disarmante il personaggio di Joker con quello dell'Enigmista, come se fossero un unico villain. E lo fa più volte, con uno scivolone che non sfugge ai lettori abituali, rivelando una falla molto grossa nella conoscenza e nell'attenzione degli autori nei confronti del media di cui stanno discutendo. Né parliamo di un errore da poco, giacché se ho una tesi da dimostrare, e sono in grado di citare la Bibbia, la Cabbala, antiche leggende e testi esoterici, dovrei dimostrare di conoscere i rapporti e le identità di banali personaggi dei fumetti. Ancora più allarmante è l'uso parziale e manipolatorio delle interviste tratte da più documentari preesistenti. La testimonianza farlocca (un semplice scherzo, in realtà) di Warren Ellis sulle presunte pratiche negromantiche di Grant Morrison, estratta dal film "Talking with Gods", è proposta fuori contesto, come un atto d'accusa talmente serio e inquisitorio da dare i brividi.
Questi elementi causano un clamoroso autogoal. Infatti, tutto ciò che si è ascoltato nei minuti precedenti si appanna, diventa dubbio. Posso e devo fidarmi delle notizie fornite da una fonte così dichiaratamente faziosa, apparentemente erudita, ma pronta a scivolare così platealmente su una buccia di banana?


Alla resa dei conti, “Gli Dei di Rimpiazzo” è un documentario pensato per denunciare un complotto mistico in cui i fumetti di supereroi giocherebbero un ruolo importantissimo. Far credere ai giovani che Cristo è malvagio, rendere la sua divinità irriconoscibile come lo fu per chi lo inchiodò alla croce, e alimentare l'attesa di un messia più terreno, più pragmatico, che salvi fisicamente e non spiritualmente. I temi trattati restano stimolanti dal punto di vista storico e antropologico, ma non può che far balzare il cuore in gola per la profonda arretratezza del messaggio di base, l'incapacità di accettare l'innocenza dei sogni, delle simbologie popolari più ingenue e la loro fondamentale inoffensività. Sembra, a tratti, di essere veramente tornati ai tempi del dottor Wertham, e si prova disagio per il fatto di non riuscire a smettere di guardare, di ascoltare. Sì, perché “Gli Dei di Rimpiazzo”, nonostante la consistente falla di credibilità, dimostra una forza affabulatoria non da poco, e i vari parallelismi possono essere seguiti e apprezzati da chi ama i supereroi senza leggervi nessun contenuto volto a influenzare la nostra personale visione religiosa.

Gli Dei di Rimpiazzo” è un documentario che va visto. Magari criticato. Ma non evitato per preconcetto. Anzi, va conosciuto proprio per scoprire quanti punti di vista differenti possano esistere sulla Nona Arte e sulla figura, oggi sfruttatissima, del supereroe. Il film commette anche l'errore di predicare ai convertiti (il tono dello speaker è sempre da sermone e dà molto, troppo per scontato di stare parlando a un pubblico credente) e di utilizzare in modo strumentale (e forse anche un poco scorretto) testimonianze più o meno dirette di due mostri sacri del mezzo: Moore e Morrison, qui presentati (sebbene tra le righe) quasi come profeti del Male e sabotatori dell'opera di rivelazione dell'unico vero Dio. Peccato, aggiungerei, che gli autori abbiano completamente dimenticato l'opera “Promethea” di Alan Moore e il suo particolare concetto di Apocalisse. Ne avremmo visto e sentite delle belle. Ma forse, Promethea e i suoi miracoli è troppo buona, troppo saggia, troppo donna per figurare come messia nero. Probabilmente è per lo stesso motivo che il personaggio di Wonder Woman, presente nel documentario, non è approfondito più di tanto. Eppure sarebbe stato uno spunto per parlare del nascente femminismo, delle streghe e del loro rapporto con i segreti della natura, osteggiate dal maschio detentore del potere tanto in famiglia quanto presso l'ordine costituito. Ma parliamo di un'opera di propaganda, e non possiamo aspettarci che sia quello che non è. Possiamo prendere ciò che offre di accattivante, e cioè le concatenazioni tra mito e fumetto contemporaneo, con la sacrosanta raccomandazione di controllare le fonti e approfondire per conto proprio. Non sia mai di confondere un personaggio con un altro, servendo su un piatto d'argento al nostro uditorio una ricca porzione di dubbi su quanto detto prima e dopo.

Gli Dei di Rimpiazzo” è un documentario non mainstream, non contiene niente di politicamente corretto. E' schierato, è quello che è: un veicolo di propaganda religiosa. E va fruito con questa consapevolezza. Pertanto, guardate il film, pensateci su, discutetene con i vostri amici. Una cosa è sicura. Lo spunto di conversazione (o dibattito) è molto consistente.







martedì 26 maggio 2015

Gesù: l'affare Chiesa - Islam



Giuseppe Polliceli su Libero, 18 maggio 2015:

"Oggi sbeffeggiare Gesù non è da temerari, ma da pavidi e da conformisti: ci si dedichi piuttosto all’islam o all’ebraismo. Poi quest’immotivata acredine nei confronti della religione che è uno dei cardini della nostra civiltà - e quindi della nostra identità di italiani e di europei - è una spia inquietante del vuoto morale e culturale di cui l’Occidente è preda, e dietro a cui si cela un inesplicabile e ingiusto odio verso di sé"

Stavolta non ci preme parlare di fumetti, ma piuttosto dei toni di una polemica innescata da un fumetto. La pubblicazione di “Gesù”, miniserie di Stefano Antonucci e Daniele Fabbri edita da Made in Kina, ha suscitato un commento sul quotidiano “Libero” che torna ciclicamente in rete quando si parla di satira e religione cattolica. Le parole “...ci si dedichi all'Islam o all'ebraismo” ispirano una risposta circostanziata. Il nostro intento, dunque, in questa sede, non è recensire l'opera di Antonucci e Fabbri, né prendere posizione sulla qualità del prodotto e neppure sviscerare il controverso concetto di satira. Proviamo soltanto a riflettere sui toni e parole usate da “Libero” e ampiamente diffuse sui social network, e a spiegare perché – a nostro parere gli argomenti usati non siano accettabili al pari (per qualcuno) di una presunta offesa alla religione.

Le parole usate dal giornalista Giuseppe Polliceli, in realtà, sono già sentite. L'eco di una formula che si affaccia in rete ogni qual volta nel nostro paese è pubblicata un'opera (a fumetti o altro) ritenuta blasfema o comunque irridente alle figure cardine del cattolicesimo (un esempio su tutti, la prima edizione italiana del fumetto “Dicks” di Garth Ennis, oggetto sul forum del sito ComicUS di aspre polemiche). Formula che potremmo riassumere in poche parole che sintetizzano il pensiero espresso su Libero e che afferma: “Oggi in Italia è “figo” scherzare in modo volgare sulla religione cattolica... mentre non vi azzardate a toccare l'Islam perché vi farebbero la pelle.” (sic!)

Tenteremo, qui, di esprimerci nel modo più urbano possibile. Troviamo questa formula molto discutibile se non del tutto fuori luogo. L'affermazione “è facile ridicolizzare Cristo piuttosto che l'Islam!” non solo semplifica in modo eccessivo la questione, ma risulta addirittura controproducente per chi si propone di muovere una critica al contenuto satirico-blasfemo in esame. E questo perché appare come l'intreccio di due atteggiamenti non brillanti: vittimismo e una velata minaccia mafiosa.

Affrontare l'annosa questione che anche la satira può essere valutata in base a qualità e livello, ci porterebbe in questa sede a parlare d'altro. Esaminiamo, invece, gli argomenti usati per muovere la critica. Tanto per cominciare, l'Islam non è mai stato al riparo da intenti satirici. C'è stato e c'è chi si dedica a quella fetta di realtà, come purtroppo c'è anche chi è stato ucciso per averlo fatto. Se in Italia prevale la satira sul cattolicesimo non è un fatto casuale o di comodo. In Italia, il cattolicesimo continua di fatto a essere la religione di stato, e in quanto tale è un cardine del quotidiano con il quale ogni cittadino deve fare i conti, che sia di fede cattolica o meno. L'Italia è un paese dove troviamo il crocifisso appeso nella maggior parte dei luoghi pubblici, dal momento che si tende a dare per scontato che la maggioranza sia cattolica o semplicemente non dia troppa importanza a questa consuetudine. Però, se qualcuno manifesta la proposta di toglierlo per dare voce a un'istanza di maggiore pluralità delle idee, scattano immediatamente dei meccanismi di difesa. La satira ha sempre riguardato le dinamiche di potere e i messaggi forti volti a veicolare la cultura dominante presso un dato popolo in un determinato momento storico. In Italia c'è il Vaticano, non la Mecca. La fede professata dalla maggioranza è quella cattolica, non quella musulmana. Dire prova a prendertela con l'Islam” è come dire: «Ti permetti di bullizzarmi perché non è mia abitudine reagire in modo violento. Ma se vai dal uno più grande, più grosso e abituato a menare le mani, quello di farà nero. Vai a punzecchiare lui se ti senti così forte... così poi mi sai dire.»

C'è palesemente del vittimismo, ma emerge (per quanto tra le righe) anche qualcosa di minaccioso (e sottilmente portatore di pregiudizio, dal momento che non tutti gli islamici vivono la loro religioni in termini integralisti e sono dediti alla violenza). Ma se proprio vogliamo stabilire chi è David e chi è Golia sul ring della satira e della lettura goliardica della figure religiose, il ruolo del gigante, del più potente, spetta alla Chiesa Cattolica. E' innegabile che siano realtà di matrice cattolica a condurre campagne contro determinati diritti e a schierarsi a fianco di determinate logiche di potere. Solo per citare un'immagine mediatica rimasta nella storia: a suo tempo, l'arcivescovo di Santiago del Cile non ha mai negato la pubblica comunione al dittatore criminale Pinochet, il quale non aveva remore ad affermare che “lo Spirito Santo era anticomunista”. Tornando a bomba nel nostro paese e nel nostro tempo, quello dei social. Oggi ci si imbatte anche in una forma di negazionismo che afferma l'assoluta ininfluenza dell'istituzione ecclesiastica nei confronti delle scelte terribilmente conservatrici dei nostri politici. Eppure viviamo in un paese dove il Papa fa notizia anche solo affacciandosi alla finestra. Un paese dove destra, sinistra e centro sono state frullate, shakerate e mescolate in un cocktail dagli ingredienti ormai indistinguibili, ma nel quale non è difficile riconoscere il sapore della cultura cattolica e i fantasmi irriducibili delle logiche democristiane.

Nel 1869, poco prima della breccia di Porta Pia, Papa Pio IX si affrettò a rafforzare il potere temporale del pontificato promulgando, nell'ambito del Concilio Vaticano I, il dogma di infallibilità del pontefice in materia di fede. Non era una questione peregrina, giacché la maggior parte delle famiglie regnanti nell'Italia del Risorgimento erano cattolicissime. Di conseguenza, essere considerato infallibile, per il pontefice, significava dettare l'agenda morale a una larga fetta del quadro geopolitico del suo tempo. Inoltre, i raporti tra Chiesa e Stato non sono mai stati indipendenti, ma regolati da complessi e discussi rapporti diplomatici. La relazione regolata dalla Legge delle Guarentigie continuò la sua corsa con i Patti Lateranensi sottoscritti nel 1929 da Benito Mussolini, riconosciuti in seguito, con la nascita della Repubblica, anche nell'articolo 7 della Costituzione Italiana. E' del 1984 la revisione dello stesso firmata dall'allora presidente del consiglio Bettino Craxi con l'istituzione del famoso Otto per Mille alla Chiesa Cattolica. Il cammino della chiesa, insomma, è sempre stato intrecciato con quello della politica italiana, e questo per oggettivi motivi storici. Negare l'influenza più o meno diretta sulle dinamiche politiche odierne sarebbe pertanto una grossa ingenuità.

Ma torniamo a parlare di satira, e di simboli.


Una celebre vignetta del cartoonist americano Don Addis porta in scena un personaggio (simbolo dell'estremismo cattolico) che brandisce una grande croce con la quale, come fosse una mazza, picchia selvaggiamente sulla testa un altro personaggio (simbolo dell'ateismo) e lo insulta, dandogli dell'idiota, del pervertito, bastardo... immorale... spazzatura... comunista! Il secondo quadro della vignetta ci mostra l'ateo che, persa la pazienza, ha strappato di mano la croce usata come dall'altro per picchiarlo e fa per spezzarla. Il cattolico grida subito: «Porta un po' di rispetto



Qualcuno ha detto anche che è ipocrita dire che usare la figura di Gesù non è necessariamente un'offesa alla sua persona o ai suoi insegnamenti, ma il vero obiettivo è l'istituzione cattolica e l'uso che fa delle sue icone. Che incidentalmente sono Gesù e la sua croce, questo è un dato di fatto.

Se vogliamo parlare di ipocrisia ci addentriamo in un territorio delicato. Proviamo a consideriamo una cosa.
A volte s'incontra e chi dice che i Vangeli sarebbero portatori di istanze “maschiliste”. In realtà è vero il contrario. Al tempo di Gesù, la donna aveva uno status giuridico molto simile a quello di un bestia. Poteva persino essere ceduta, regalata, venduta. Se una donna commetteva adulterio veniva lapidata. L'uomo era lapidato soltanto se commetteva adulterio con la moglie di qualcun altro. Ma se la donna con cui andava era nubile, nessuno ci faceva troppo caso. Nei Vangeli si riscontra una grossa rivalutazione della figura femminile. E non solo per la presenza della Madonna, madre del messia, ma per numerosi personaggi significativi. La Samaritana, cui Gesù rivolge la rivelazione sull'acqua di vita. La vedova che dona l'obolo ed è elogiata da Gesù perché a differenza degli uomini si è privata di qualcosa, mentre gli altri hanno donato il superfluo. L'episodio di Marta e Maria. Marta si occupa delle faccende domestiche, mentre Maria, ai piedi di Gesù, ascolta i suoi insegnamenti. Marta si rivolge a Gesù chiedendogli di esortare sua sorella ad aiutarla nei lavori di casa. La risposta di Gesù è: Maria ha scelto la parte migliore. Cioè, Maria non vuole limitarsi alle faccende di casa, ma desidera capire, ascoltare, studiare e progredire.

Quindi, nei Vangeli, la figura della donna è trattata in un modo per il suo tempo addirittura rivoluzionaria. Fa riflettere che nella struttura della chiesa cattolica, alla donna sia precluso lo stesso cammino ministeriale dell'uomo. Alla donna suora è riservato un ruolo di ausiliaria e non può amministrare i sacramenti, non potrà mai diventare un sacerdote a prescindere dalle sue qualità e attitudini... in quanto donna. La chiesa cattolica è rimasta ancorata a dei limiti culturali che gli stessi Vangeli cercavano di superare. Quindi stiamo attenti quando parliamo di simboli e di ipocrisie, e impariamo a distinguere Cristianesimo da Cattolicesimo istituzionale, evolutosi dall'opera di San Paolo e sviluppato successivamente dai padri della chiesa. Ciascuno è libero di accettare le norme morali che ritiene più giuste e la fede è un fatto privato degno di rispetto. Ma nel momento in cui un'istituzione religiosa pretende di sconfinare e mettere becco nei diritti di chi ha scelto una fede diversa o di non averne nessuna, pur pagando onestamente le tasse come qualunque cittadino italiano osservante... è allora che scatta il diritto di satira. Non puoi darmi dell'idiota, del pervertito, dell'immorale e pretendere che non ci sia una risposta. A volte risposta che a volte può suonare esasperata, volgare, ma che va comunque contestualizzata. La formula: “non te la prendi con l'Islam perché quelli ti ammazzerebbero”... non rende migliori di chi ti critica. E questo a prescindere dalla qualità della critica. Anzi, tradisce una povertà di argomenti.

Per questo, a nostro umile avviso, eviteremmo questa formula, a sua volta e a suo modo volgare e violenta, e cercheremmo argomenti più profondi. Il diritto di replica è sacrosanto, ma per funzionare necessita di argomenti ragionevoli, e farlo suonare come una puerile e minacciosa recriminazione non è mai d'aiuto quando si vuole avere un dialogo. Se... si vuole avere un dialogo.

E per concludere: forse (solo forse) la satira, anche la più grassa, la più goliardica e scomposta, svolge pure questa funzione. Causare l'emergere di contraddizioni, di riflessioni e possibilmente di confronti più costruttivi.


[Articolo di Filippo Messina]




sabato 23 aprile 2011

Se la risposta è NO


Ieri, Venerdì santo.
Prima della via crucis serale, tocca alle processioni delle confraternite, alla "vara" e alla richiesta di offerte porta a porta. Nel sentirsi rispondere di NO, la reazione sorpresa, quasi scandalizzata è stata «Come NO?!!!», per ben tre volte di seguito.
Ma che è una richiesta di pizzo, che è obbligatorio? E’ così fuori dalla realtà che qualcuno possa essere agnostico, che possa non sentirsi rappresentato e non voler aderire? Che dica NO, non do offerte o signuruzzu?
Dicano quello che vogliono gli ultrà cattolici, ma a me sembra la stessa cosa che se durante la manifestazione del Gay Pride, tutti gli omosessuali che sfilano entrassero in ogni negozio aperto sulla strada e pretendessero di scambiare un bacio alla francese con chiunque si trovano davanti. Omo o etero, simpatizzante o detrattore, interessato o meno.
Insomma, è una pazzia. Se dico NO è NO. Che cavolo vuoi dalla mia vita?

lunedì 25 maggio 2009

Prima Tamarrata

Domenica di Maggio: Villa Garibaldi a Palermo. La tradizione è inossidabile. Mentre la primavera diventa estate, in chiesa si accendono i ceri e inizia la kermesse delle prime comunioni. La carovana dei piccoli palermitani accolti trionfalmente in seno alla comunità cattolica andrà avanti per tutto il mese. Piccole spose e piccoli manager, accompagnati da clan familiari tirati a lucido, spalancano le minuscole bocche per ricevere il corpo di Cristo, incalzati da ciurme di fotografi sudati. Per loro è un grande giorno. Almeno si direbbe così, a osservarli da lontano. Ma il momento più importante, una volta spenti gli incensi, è quello della villa. O della passeggiata a mare, poco più avanti, al Foro Italico. Set d’elezione per i book fotografici che dovranno fare invidia ai cuginetti e passerella irrinunciabile per genitori plastificati. Dopo il catechismo, la confessione, l’eucaristia, giunge infine l’ora. La consacrazione, quella vera, può finalmente incominciare. E allora venghino, signore e signori. Suoni l’orchestra e si accendano la luci. Perché questo è il più grande spettacolo del mondo. Domenica di Maggio: si apre il sipario e va in scena la volgarità. Non è chiara la relazione tra la natura spirituale della cerimonia e i mille feticci profani che le lunghe sessioni fotografiche celebrano di settimana in settimana. Non c’è più traccia della tunica apostolica che veniva fatta indossare ai piccoli comunicandi. Oggi si mira al “cool”, con veri e propri abiti nuziali in miniatura, forniti di velo e merletti. Il simbolo dell’innocenza infantile che incontrava il Cristo si è evoluto nell’abito di una piccola sposa, offerta in soave odore sull’altare dell’opulenza che il mondo potrebbe offrirle già dall’indomani. I piccoli corpi acerbi, sotto la guida di fotografi professionisti, si snodano in mezzo alle trine. Le bimbe si avvinghiano al fusto dei fanali come sinuose dive del cinema muto. Sorrisi sbarazzini, sederino in fuori, sguardo alla Lolita. E giù con un diluvio di compiaciutissimi scatti. Perché di questa importante giornata, in cui la famiglia ha investito tanto, niente dovrà essere dimenticato. Non sono di meno i maschietti, infilati in calzoni traslucidi dal colore indefinibile, vestiti con larghe giacche alla moda. Li fotografano con le mani in tasca, gli occhiali da sole sul viso e un sorrisetto sprezzante. Poi sull’erba dell’aiuola, a gambe divaricate, da vero, futuro tronista alla corte di Maria De Filippi. E dunque in piedi, di profilo, con aria da duro, la giacca lasciata penzolare dal braccio proteso, come nemmeno in certe pubblicità dei dopobarba. Certi uomini, ormai si sa, non devono chiedere MAI. E quel marmocchio incipriato diventerà uno di quegli uomini, sia chiaro sin da subito. Le foto sono fatte per attestarlo.
Sembra la prova generale per i book fotografici di un futuro programma tv. Un reality dedicato alle prime comunioni nel Sud, perché no. Tutti vorremmo sapere cosa pensano i piccoli comunicandi, che cosa sognano per loro le ferventi, cattolicissime famiglie.
«E toglile quel nastro dalla gonna! Non siamo più in chiesa, cavolo. Le sta una cacata!»
«Ridi meglio! Meglio! Di più! Fai vedere i dentini.»
«La manina al fianco... Piegati in avanti. Così!»
«Adesso corri. Solleva un po’ la gonna e corri. Corri!»
E’ uno spettacolo sconvolgente ai limiti dell’eros pedofilo, vedere queste bimbette biancovestite indotte da fotografi e familiari ad assumere pose innaturali. Da serpente. A mostrare forme che ancora non ci sono, e a sostituire l’ispirazione cristiana con forzati palpiti di acerba seduzione. Sembra quasi di vederli, maschietti e femminucce. Sdoganati da questo debutto in società che li vuole tamarri, arroganti, consapevoli sostenitori della dittatura delle apparenze. I piccoli bulli in tiro, pronti a marciare su tutto per conquistare il loro posto al sole in una vita sontuosamente omologata. Le piccole sacerdotesse dell’immagine, al primo capitolo di quello che potrebbe essere l’inizio di una vita davanti all’obbiettivo, in attesa che il “papi” di turno le noti e regali loro quell’istante di popolarità che illuminerà la loro esistenza. I genitori si difendono bene. Il babbo si scambia gli occhiali a specchio col figlioletto. Il fotografo li immortala entrambi. Si deve conservare memoria da quale stampino sia uscito cotanto pargolo. La madre, una giovane donna corvina dai capelli palesemente tinti, cammina a stento. Rischia di farsi male cadendo da quei tacchi così aguzzi. Non sembra preoccuparsene il simpatico fotografo, che la invita a esprimere il suo umore festoso volteggiando lungo il viale. E allora: «Giri, signora! Giri!» E la signora, rassegnata e sorridente... “gira”. Gira visibilmente preoccupata per i tacchi vertiginosi, forse anche per l’abito stretto. Non può certo negarsi all’obbiettivo, né rifiutarsi di volteggiare. Per che altro, se no, avrebbe acquistato quello strascico nero pece che quasi tocca terra? Perché scomodarsi a scegliere un corpetto trapunto di lustrini variopinti, uno di quelli che oggi è difficile scorgere anche nei peggiori avanspettacoli? E allora gira, gira, gira... Qualcuno guarderà. Qualcuno ricorderà... O almeno dovrebbero.
Di Domenica di Maggio non sono le prime comunioni a essere festeggiate nelle ville di Palermo. Ma il debutto sul palcoscenico della vita dei piccoli soldati del consumismo e dell’Italia Berlusconiana. Quella che ti insegna che conterai qualcosa solo se saprai mostrarti, se diventerai una velina o se entrerai nella casa del Grande Fratello. La Casa del Padre, ammesso che a lui importi qualcosa, ha già esaurito la sua funzione di set fotografico. Il vero palcoscenico ha aperto le porte. Chiaro, bambini? E lì non regnano la pace, la carità e l’uguaglianza...
Ma questo ve l’hanno già insegnato benissimo.

giovedì 17 gennaio 2008

Nel silenzio... un NO. Ed è tempesta!


In questi giorni stiamo ascoltando una martellante campagna di "snaturamento" dei fatti, che parte (cosa gravissima) dai principali notiziari delle televisioni generaliste. Usare nel sommario l'aggettivo "assurdo" davanti al "No" dato al pontefice dal movimento studentesco dell’Università La Sapienza, fornisce una direzione personale alla notizia di cui non si sentiva alcun bisogno e che contribuisce a sobillare gli animi meno consapevoli e più inclini a digerire bieca propaganda. Viviamo in un paese dove i politici di destra e sinistra manifestano un servilismo vergognoso nei confronti della chiesa, con il principale risultato di produrre un cortocircuito nella crescita morale e sociale del paese. Una realtà dove l'unica identità confessionale (quella cattolica, per l'appunto rappresentata dal papa) gode di una tribuna quotidiana in televisione, sottraendo sempre più spazio alle categorie meno tutelate e remando contro un reale progresso civile e pluralista. Si vedano le questioni della fecondazione assistita e delle coppie di fatto, affossate da ingerenze che in paesi più evoluti non sarebbero nemmeno concepibili.
Il vittimismo del Vaticano (e dello sterminato coro di prefiche che in questi giorni si chinano a baciare la parte offesa) è quanto di più irritante si possa ascoltare in questi giorni bui. Ma ancora più costernante è la solerzia di tanti personaggi pubblici (appartenenti alle più diverse fazioni) a farsi ripetitori di segnali menzogneri. Insopportabile anche l’intervento del cantante Jovanotti, al notiziario di Rai 1, che snocciola banalità buoniste dando ragione di credere che nessuno lo abbia informato su quanto è veramente accaduto. Ci tocca sentire menzogne vergognose, come l’ottusa (ma non per questo meno applaudita) affermazione di Tremonti a “Ballarò”, che vomita uno slogan già vecchio e notoriamente falso: “In Italia può parlare un musulmano. Al papa viene chiusa la bocca”.
Ogni sviluppo del nostro costume, delle nostre leggi, del nostro quotidiano, è ostaggio del cattolicesimo da tempo immemorabile. Non c’è traccia nei nostri mezzi di informazione di voci provenienti da confessioni che non siano riconducibili alla santa sede. Non esiste contraddittorio né rispetto per chi attende da secoli che si ripari a disparità sociali perpetrate da secoli. Tutto è immutabile e sigillato in nome di un misticismo più pertinace nei divieti che nella misericordia. Eppure c’è chi grida che “nel nostro paese la democrazia è a rischio” solo quando viene toccato personalmente. Non prima, né dopo. Con buona pace delle minoranze non tutelate e dei vuoti legislativi che rendono l’Italia il paese meno affidabile nell’ambito della comunità europea.
Se il dialogo e il confronto sono concetti sacri tanto per i credenti quanto per i laici, è necessario guardare al quadro generale e ai passi che sono stati fatti per stabilire il giusto peso degli eventi. Invitare il pontefice è stato un errore. E ricordiamo che l’invito non prevedeva una semplice visita o un confronto con gli studenti, cosa che sembra emergere dalla maggior parte dei dibattiti in onda in queste ore. Ma una vera e propria cerimonia che avrebbe dovuto aprire l’anno accademico. Un insegnamento ex catedra che avrebbe dovuto infondere il crisma ideologico (e il segnale mediatico sarebbe stato molto potente) su tutti i successivi lavori dell’ateneo. Formulare l’invito è stata una scelta diplomaticamente infelice, e alla luce dei fatti contingenti, delle lotte sociali in corso e del dispotismo ideologico dimostrato negli ultimi anni, il segnale di un risoluto “No” da parte del movimento studentesco era non solo necessario, ma è anche un sintomo di buona salute intellettuale da parte delle nuove generazioni.
Non c’è insulto, non c’è offesa. Non c’è neppure ostilità. E’ un atto politico che merita rispetto, là dove una figura istituzionale del mondo cattolico, onnipresente e intoccabile per definizione, viene fatta avanzare in un territorio che non desidera (legittimamente) raccogliere le sue direttive morali. Nel servile silenzio cui siamo abituati è risuonato un rifiuto, e questa, amici miei, è una cosa dell’altro mondo.
Stracciarsi le vesti, con tanto di tam tam mediatico martellante, è solo un altro segno della sudditanza trasversale della nostra classe politica all’influenza vaticana. Ed è inevitabile, a maggior ragione, schierarsi con il movimento degli studenti della Sapienza.

sabato 23 dicembre 2006

IL CASO WELBY: VIVA LA CARITA' CRISTIANA!



Il calvario di Piergiorgio Welby si è misericordiosamente concluso.
Sottolineo la scelta della parola misericordia, senza volere in questa sede speculare sui vari “perché”, i vari “chi” o “come" delle modalità con cui la sua tragedia (identificata ormai con un’insopportabile non vita più che con la sua terribile malattia) ha avuto termine. Una misericordia che tra gli uomini è sempre più rara, soprattutto da parte di quanti se ne riempiono quotidianamente la bocca, in un’eterno balletto di ipocrisia e mediocrità morale.

Dunque, la Chiesa ha negato a Welby i funerali religiosi. Non credo, viste le circostanze, che la cosa importasse più di tanto all’interessato o ai suoi familiari. Non interessa neanche all’istituzione cattolica, più motivata con questa scelta a ribadire il suo rifiuto nei confronti dell’etuanasia (ma anche di una ragionevole compassione) che a dialogare effettivamente con qualcuno. No, nessun dialogo. Solo una fede granitica e – ahimé – sempre meno fondata sull’umanità e la volontà di comprendere.

Nessun rito religioso per Welby, dunque. No, mi correggo. Nessun orpello cattolico. E’ molto diverso, dal momento che credere nell’esistenza di un dio, o nei valori fondamentali di pietà e carità, non è prerogativa dei soli cattolici come un tempo non lo era dei soli scribi e farisei. E chiunque abbia letto, anche solo una volta nella vita, il Vangelo, è chiamato a ricordare le parole infuocate di Cristo e a considerare che quegli accenti, ancora oggi, possono avere l’effetto di una colpo di cannone. Anche contro quanti, oggi, fanno un uso irresponsabile e spesso offensivo del concetto di misericordia.

Mi rammento di una lettera indirizzata al quotidiano La Repubblica, a proposito della visita di Giovanni Paolo II in Cile nel 1987. Quando il pontefice si affacciò sorridendo dal balcone del palazzo presidenziale in compagnia del generale golpista e assassino Pinochet, dichiarando poco dopo che “In Polonia (essendoci un governo comunista) si stava peggio”. Purtroppo non ho avuto la lucidità di conservare quel ritaglio di giornale, ma ricordo molto bene il tono della lettera. Il suo autore, diceva pressappoco così: «Il mio matrimonio è finito, e mi sto preparando a divorziare da mia moglie. Un sacerdote mi ha detto che è un peccato gravissimo. Che il matrimonio è un sacramento indissolubile, che andrò all’inferno, eccetera. Bene. Dopo aver visto il Papa insieme a Pinochet ho finalmente capito che cosa devo fare. Non divorzierò da mia moglie. La ucciderò, risparmiando un sacco di tempo e denaro. E forse non sarà nemmeno necessario nascondere la cosa. Magari il pontefice verrà a trovarmi nella mia casa, e insieme ci affacceremo dal balcone per salutare le masse in onore della misericordia e della libertà.»

Piergiorgio Weby non c’è più. Non avrà funerali cattolici. E forse è meglio. Perché a questo punto sarebbe stato un insulto alla sua memoria. Chi crede, conserva comunque il diritto di ringraziare in cuor suo il dio misericordioso, quello vero, quello caritatevole, per aver messo fine al suo strazio al di là della montagna di burocrazia morale che è sempre stata e sarà sempre tra i principali nemici dell’umanità.