C'è poco da fare. Sembra che Dylan Dog sia destinato a vivere più nei sogni e negli sforzi dei fans, con tutti i limiti del caso, che in una grossa produzione televisiva e cinematografica. Inutile continuare ad accanirsi contro il pessimo film statunitense con Brandon Routh. Quello semplicemente... non era Dylan Dog. Ancora meno di quanto Ben Affleck fosse Daredevil nel film del 2003 e in seguito Batman nel controverso “Batman v. Superman”, diventato ormai un vero e proprio simbolo dello snaturamento possibile nel passaggio dalla carta allo schermo.
Ricordiamo anche che una trasposizione
“ufficiale” risente di una serie di paletti legali. Le norme sul
diritto d'autore variano da paese a paese, e in America la “maschera”
di Groucho Marx non può essere riprodotta senza sborsare una cifra
astronomica. Ragione per cui, il personaggio è stato rimosso dal
film in cui Routh interpretava un “omonimo” del personaggio creato da Tiziano Sclavi.
Uno scoglio simile hanno dovuto affrontarlo (anzi, circumnavigarlo) la crew austriaca che ha prodotto “Dylan - Dream of the Living Dead”, un mediometraggio – anche questo senza scopo di lucro – che si propone come un possibile Pilot di una serie. E' stato infatti necessario modificare i nomi e alcune caratteristiche dei personaggi principali per non incorrere in spiacevoli incidenti legali. Ma le varianti non pesano (anzi, alcune sono pure divertenti e riescono a farsi accettare con simpatia), e l'atmosfera generale riesce a rendere con grande rispetto la “mitologia” dell'indagatore dell'incubo, anglosassone per scelta narrativa, ma di anima italianissima.
Uno scoglio simile hanno dovuto affrontarlo (anzi, circumnavigarlo) la crew austriaca che ha prodotto “Dylan - Dream of the Living Dead”, un mediometraggio – anche questo senza scopo di lucro – che si propone come un possibile Pilot di una serie. E' stato infatti necessario modificare i nomi e alcune caratteristiche dei personaggi principali per non incorrere in spiacevoli incidenti legali. Ma le varianti non pesano (anzi, alcune sono pure divertenti e riescono a farsi accettare con simpatia), e l'atmosfera generale riesce a rendere con grande rispetto la “mitologia” dell'indagatore dell'incubo, anglosassone per scelta narrativa, ma di anima italianissima.
Dopo “La morte puttana” di Denis
Frison, “Il trillo del diavolo” di Roberto D'Antona e “Vittima degli eventi” di Claudio Di Biagio e Luca Vecchi (cui si aggiungono tanti altri esempi amatoriali meno noti), ecco dunque questo ulteriore
omaggio a un'icona fumettistica che, sebbene la sua vita editoriale
stia patendo il fisiologico invecchiamento e gli immancabili lifting,
resta e resterà stampato nell'immaginario di molti lettori di più
generazioni. Dylan Dog, come recitava uno strillo pubblicitario della
stessa casa Bonelli tempo fa, è ormai un mito moderno.
Il regista Kevin Kopacka e la sua squadra dimostrano una profonda conoscenza della materia che affrontano
(Kopacka firma anche i divertenti dialoghi insieme con Alex Bakashev)
e la scelta non si discosta (giustamente) da quella fatta dai fimaker
italiani che si sono già immersi nel mondo di Dylan. E cioè dall'intento di creare
una sintesi del suo universo, condensando in un tempo limitato
personaggi, citazioni, scene iconiche, e il surrealismo che permette
di rompere ogni logica e avventurarsi nel territorio della fantasia
più sbrigliata. Insomma, il Dylan Dog più classico. Anche se qui è chiamato Dylan Dawn.
Anche se Groucho (che non è Groucho) è un attore asiatico (ma in
qualche modo riesce a essere Groucho lo stesso), Bloch è tutto
sommato Bloch, e la Trelkovsky...
No, questo è meglio che lo scopriate
da soli. Noi abbiamo trovato questa lettura fottutamente divertente e azzeccatissima.
I precedenti fanmovies avevano i loro
pregi e difetti. Chi più chi meno. “La morte puttana” era un
grosso sforzo produttivo per un'opera amatoriale, che riusciva a
inanellare una quantità di citazioni, e sostanzialmente vedeva
il suo neo più grande in una durata forse eccessiva. “Il Trillo del
Diavolo” era un'opera più breve e diversa. Riuscita, ma che forse
sacrificava troppo la componente ironica al gusto estetico. Un
discorso a parte meriterebbe “Vittima degli eventi”, progetto che
si proponeva (anche in quel caso) come pilota di una serie di cui,
allo stato delle cose, non si ha notizia. Anche in quel caso il
lavoro svolto puntava alla sintesi di icone e atmosfere, sebbene la
trasferta romana di Dylan non riusciva a convincere del tutto.
“Dylan – Dream of the Living Dead”
accentua la componente onirica e “meta” presente negli
esperimenti precedenti. Potremmo anche dire che la esaspera (in senso
positivo) e produce un piccolo incubo fumettistico di trenta minuti
dove non conta quello che viene narrato, ma il modo in cui lo si
narra. E' probabile che il trend contemporaneo dei cinecomics miliardari induca molti lettori di fumetti a storcere il naso davanti
al budget contenuto e a certe soluzioni artigianali. Ma torniamo al
punto di partenza. Il cinema, i professionisti, non hanno certo
mostrato di saper fare di meglio. E per un vecchio lettore italiano
calarsi, sia pure per poco, nelle classiche suggestioni ideate da
Tiziano Sclavi, in un racconto composto da un intreccio di incubi,
morti viventi e continue citazioni può essere molto piacevole. Gli
attori se la cavano in modo più che diligente, i dialoghi sono ben
confezionati. E... quel prologo? Pochi minuti che già contengono
buona parte del mondo dylaniato. Dylan e Groucho, quelli “veri”,
che non vediamo in faccia mentre si preparano a guardare questo
inusuale prodotto austriaco che li riguarda, i loro commenti, le loro
allusioni... colgono già tutto quel citare e la
volontà di ibridare i codici che è stato alla base del successo del
fumetto di Sclavi nell'ormai lontano 1986.
Complimento, intanto, a Kevin Kopacka e ai suoi collaboratori per il gradevole lavoro svolto. Vedere appassionati così creativi con i loro poveri mezzi, scalda il cuore.
Vi pare poco, Giuda ballerino?!