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lunedì 30 novembre 2020

Mi ricordo carri, maschere... e pazienza!






"Il Carro e la Maschera" è stata una brillante compagnia teatrale bolognese fondata da Luigi Monfredini che, sotto questo nome, allestiva magnifici spettacoli per ragazzi. Ebbi il piacere di conoscerli e conversare a lungo con Luigi ed Elisabetta Muner quando portarono a Palermo "Il compleanno dell'infanta" dal racconto di Oscar Wilde, al Teatro Europa, dove in quel periodo lavoravo. Uno spettacolo coloratissimo basato sull'animazione di marionette e pupazzi di vario genere, musiche originali e una ciurma di attori-animatori davvero in gamba. Le locandine non erano da meno. E mi mangio le mani ricordando che ne conservai una, tenendola appesa per molto tempo nella mia stanza, ma che negli anni è andata, aimé, perduta. Il tocco finale di questo ricordo è che le locandine di molti spettacoli prodotti da "Il Carro e la Maschera" erano firmate da Andrea Pazienza. Quando ripenso ai miei trascorsi, al teatro e ai fumetti che hanno sempre caratterizzato la mia vita, scorgo un fatale filo rouge.


Per inciso: oggi quelle stesse locandine sono in vendita in rete a prezzi discretamente importanti.

mercoledì 11 novembre 2020

Dalla parte di Sadakiyo...



Quando avevo quattordici anni e iniziavo il liceo ero un ragazzino molto schivo. Mi facevo lunghe passeggiate da solo, e posso capire che apparissi strano. Qualche anno dopo venni a sapere che si era diffusa una leggenda metropolitana che mi riguardava. I compagni di scuola affermavano che salissi sui terrazzi dei palazzi cittadini per cercare di mettermi in contatto con gli extraterrestri, sperando che mi rispondessero. Non c'era niente di vero, ovviamente. E' probabile che la cosa fosse nata come uno scherzo, ma nel tempo aveva finito col mettere radici nei ricordi dei miei coetanei e - ebbi modo di appurare - adesso veniva raccontato come un aneddoto reale. Quando, a diciotto anni, scoprii che si raccontava questo, rimasi sconcertato. Mi sorprende ancora di più, però, realizzare che questa "leggenda scolastica" sia praticamente identica alla storia di Sadakiyo, personaggio di "20th Century Boys", magnifico manga di Naoki Urasawa. E mi chiedo se certe storie non nascano nell'immaginario infantile spontaneamente, forse ispirate dai caratteri delle persone, dalle domande che ci poniamo su di loro quando, per una ragione o per l'altra, non riusciamo a conoscerle davvero. In antropologia si parla di poligenesi e convergenza, cioè di un'idea, una tradizione, una suggestione dell'immaginario, che nasce in molte zone geografiche distanti tra loro, ma tende a convergere assumendo aspetti simili in paesi diversi. Magari è un concetto applicabile anche a certe dinamiche dell'adolescenza, e alle fantasie che la accompagnano. Con la differenza che queste cose, nel manga di Urasawa, Sadakiyo le faceva veramente. Io, invece, non le avevo mai fatte. Come che sia, mi convinco sempre di più che i fumetti abbiano influenzato tutta la mia vita, e che stiano continuando a farlo.

sabato 24 ottobre 2020

Super... Trump... Moore...


Fa riflettere il proliferare di immagini in rete che raffigurano supereroi che picchiano il presidente USA Donald Trump. Soprattutto in un momento in cui lo scrittore di fumetti (dovrei dire ex?) Alan Moore (che da sempre si distingue per dichiarazioni e atteggiamenti radicali) afferma che l'attuale successo del filone cinematografico dedicato agli eroi con superpoteri è riconducibile alle medesime dinamiche culturali che hanno prodotto l'elezione di Trump in America e la Brexit in Inghilterra.


A mio parere non c'è né contraddizione né conferma. La cultura popolare è per sua natura espressione di visioni del mondo variegate, ma anche mutevoli. Spesso semplificate, è vero. Ma questo non deve portarci a sottovalutarle. Del resto, sulla prima copertina che lo vedeva protagonista, nel 1941, Capitan America tirava un pugno in faccia ad Adolf Hitler. Si trattava di propaganda, l'espressione mediatica di una paese che aveva appena deciso di entrare nel conflitto mondiale. E che in seguito avrebbe acquisito il discutibile titolo di "gendarme dell'umanità".
Il punto nevralgico è che gli Eroi (con poteri o meno) possono essere adottati da qualunque schieramento politico, qualunque ideologia. Dichiarata, consapevole, o meno, non fa differenza. Quelli della mia generazione ricorderanno (forse) che per lungo tempo la trilogia de "Il Signore degli Anelli" (parlo dei romanzi di J.R.R. Tolkien) era stata adottata come feticcio dalla gioventù di destra. Non per ragioni specifiche, ma perché le imprese eroiche, cavalleresche e votate al sacrificio parlano alla pancia, e molti possono leggerci quello che vogliono. Qualcun altro, prendendo in mano quei libri in tempi più recenti, legge una storia di resistenza contro un male che tutto conquista e corrompe gli animi. Praticamente un totale rovescio della medaglia, considerato anche che per ognuno il male si identifica con il proprio antagonista. I supereroi, soprattutto quelli più moderni, sono spesso indicati come emblema di ansie sociali.


L'Uomo Ragno, un tempo, prima che il giovanilismo del nuovo millennio lo fagocitasse, era metafora di diversità, solitudine e desiderio di redenzione. I mutanti, gli X-Men, nel tempo sono stati consacrati come emblema delle minoranze bistrattate. Eppure parliamo sempre di prodotti commerciali. Prigionieri di una narrazione eterna, compulsiva, che li sfrutta fino ad annichilirne il senso. E per loro natura, pertanto, terribilmente ambigui. Alan Moore, probabilmente, esprime un assoluto riconducibile alle sue abituali posizioni estreme. Questo, però, non significa che la questione sia da liquidare con un'alzata di spalle davanti all'uscita di un eccentrico. Qualcosa di vero, in fondo, c'è. Le storie, i simboli, compresi fumetti e film commerciali, sono totem in cui un popolo si rispecchia. E come in ogni specchio l'immagine appare rovesciata. Quello che dovremmo, potremmo fare, è prendere atto di quanto questo argomento sia sfuggente e ambiguo. Quanto possa cambiare anche a seconda del contesto, storico e culturale, con il quale ci rapportiamo. Non si tratta, dunque, di dare ragione o meno a Moore. Ma semplicemente di non smettere di pensare. E interrogarci su quello che leggiamo, vediamo, fruiamo. Soprattutto se sentiamo di apprezzarlo. Chiediamoci sempre perché. E non pretendiamo di avere una salomonica risposta definitiva. Dubito che esista. Su certi argomenti, le risposte definitive (o presunte tali) sono nemiche del pensiero critico.



A proposito! In questo periodo si possono trovare anche molte immagini di Donald Trump vestito da supereroe, compreso Capitan America.



venerdì 9 ottobre 2020

Altroquando: Archivio e Biblioteca... si lavora!


Problemi (economici), ostacoli (emergenza sanitaria, e piccoli acciacchi personali), ci hanno rallentato, ma non fermato. 


Stiamo lavorando affinché presto si possa ripartire per il nostro bel viaggio. Quella nelle foto è solo una parte del patrimonio della Biblioteca. Dovremo trovare altri scaffali e razionalizzare lo spazio per tutto l'ulteriore materiale (che è tutt'altro che poco). Ma non ci fermiamo. Il progetto, anzi, si fa più complesso. L'intento è quello di dare vita a un "Archivio Altroquando". Una raccolta del materiale che testimonia la storia di Altroquando a Palermo, la fumetteria-libreria, ma anche spazio mostre e punto di riferimento per la controcultura e la realtà LGBTQ. 


Quindi ritagli di giornale che documentano le iniziative prese dal fondatore Salvatore Rizzuto Adelfio in quei vent'anni e più di storia palermitana. Disegni e quadri donati, le cartoline e le tracce delle mostre, e ovviamente gli scritti e le foto di Salvatore. Tutto questo sommato alla biblioteca del fumetto che porta il suo nome. C'è ancora un bel po' di lavoro da fare, ma ne vale la pena. Grazie a tutti quelli che ci sostengono, donando volumi a fumetti o offrendoci caffè virtuali. Ma anche seguendo i nostri approfondimenti sul media fumetto sul canale Youtube che porta sempre il nome di Altroquando. A presto, per aprire le porte di un Altroquando rinnovato, fatto di storie, memorie, creazioni vecchie e nuove e una meravigliosa biblioteca del fumetto.

Per sostenerci:

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giovedì 1 ottobre 2020

Il naso dell'avanguardia (e l'uso della mascherina)

 


Quando ero ragazzo circolava una battuta riguardo il cosiddetto teatro d'avanguardia. In termini molto semplificati, una forma di spettacolo che si proponeva, nelle scelte e nella forma, come alternativa e di rottura rispetto alla tradizione classica, fatta invece di testi storici e approcci convenzionali alla recitazione. La battuta era superficiale e sarcastica, ma non del tutto infondata, e consisteva nel dire che per realizzare uno spettacolo di "avanguardia" si poteva portare in scena qualunque cosa, anche il dramma più canonico del mondo, da Shakespeare a Pirandello. L'importante era recitarlo stando "con la ciolla di fuori". 

Il riferimento era ovviamente alle nudità frequenti e spesso anche gratuite di alcuni spettacoli definiti sperimentali. Al di là di facili moralismi, sembrava, infatti, che mostrare le parti intime fosse un ingrediente irrinunciabile a prescindere dal contesto. O almeno era così nelle rappresentazioni più frequenti e ingenue cui capitava di assistere.  Il tempo avrebbe sdoganato il nudo anche nel teatro più classico e la battuta avrebbe perso di senso. Ma all'epoca circolava tantissimo, ed era diventata un tormentone ironico su ciò che pretendeva di essere (a torto o a ragione) una forma di arte avanguardista. 

Oggi, forse, qualcuno potrebbe definire avanguardisti quanti indossano la mascherina sanitaria tenendo allegramente il naso fuori. Sono tanti. Troppi. E se rappresentano l'avanguardia di qualcosa, mi suscitano malessere. Ben più di semplici pudenda esposte all'aria del palcoscenico.
Un tempo, camminando per strada e guardando in faccia la gente che incontravi, potevi provare sensazioni istintive. Simpatia o antipatia. Emozioni superficiali e destinate a rimanere senza certezze, a meno che le circostanze non ti portassero a conoscere da vicino quegli sconosciuti fugando o convalidando i dubbi.

Oggi no. Quel naso fuori della mascherina ti obbliga a dare un'occhiata, per quanto veloce, dentro la testa del passante che ti sta sfiorando sul marciapiede, e lo spettacolo non è confortante.

La battuta che circola adesso, in tempo di pandemia, è un'altra. Quella sulle mutande, e sul fatto che gli attributi maschili vanno tenuti dentro e non fuori dell'indumento intimo. Ma è appunto una battuta e lascia il tempo che trova.

E' davvero così complicato spiegare (ma anche comprendere) che il naso fa parte dell'apparato respiratorio, e che tutto quello che esce o entra dalle narici espone se stessi e gli altri ai medesimi rischi di quanto entra o esce dalla bocca? Così difficile capire, spiegare, che tenere il naso fuori equivale a non indossare nessuna protezione? Che è come calzare un profilattico sullo scroto invece che sull'uccello, santiddio (e qui abbiamo prodotto un'altra, inutile battuta)!

Dovrebbe essere un ragionamento elementare per tutti. Ma evidentemente non lo è.

L'orrore massimo è dato dal vedere individui con mascherine aderentissime, strette sul viso così forte da lasciare intravedere la forma delle labbra e del mento. Come la calzamaglia di Diabolik, sissignori. Ma con il naso di fuori, mi raccomando. Perché qui non parliamo di mascherine lasche, che scivolano giù, ma di veri e propri bavagli. Legati con diligenza. Come se l'intento fosse zittire un ostaggio più che proteggere dalla trasmissione di un virus.

Il disagio. Come vedere scritto sulla fronte delle persone la frase "Sono un coglione!". Ma anche la consapevolezza che tutta l'informazione di questo mondo se ne va giù per lo scarico del cesso davanti a un uditorio sordo e cieco, ma purtroppo non muto. Lo strazio di vedere coppie che passeggiano conversando amabilmente, che fanno la spesa, che entrano e escono dai negozi. Uno con il naso dentro. L'altro con la ciolla di fuori, libera e fiera. E questo a prescindere dal sesso, perché se tieni il naso fuori della mascherina sei una faccia di minchia senza troppe discussioni.
Un fenomeno sociale che ti spinge anche a chiederti quale dialogo ci sia tra le persone che si spostano insieme.  E' evidente che quel naso aperto, pronto a spruzzare goccioline e a inspirare senza nessuna difesa, non è oggetto di alcuna discussione, di nessuna attenzione, di nessun confronto. Nessuna domanda. Nessun dubbio. 

Soltanto la ciolla di fuori. Oggi come allora. Anzi, peggio.

Gli avanguardisti sono tornati. E non devo neppure pagare un biglietto perché mi consentano l'accesso allo spettacolo delle loro teste vuote.


mercoledì 1 gennaio 2020

Sulle tracce di... Harvey



Ho trascorso la sera di fine anno guardando "Harvey", la classica commedia fantastica del 1950 con James Stewart. E mi sono trovato a riflettere sul concetto di "arte datata", o meglio di opere "invecchiate male" come capita oggi di sentire dire spesso, anche riferito a titoli non poi tanto antichi. Ripenso a quanti oggi definiscono "invecchiata male" l'originale trilogia di Guerre Stellari (pardon, Star Wars). E mi intristisce pensare che se questo capita alla saga originale di George Lucas, lo stesso tipo di pubblico oggi troverebbe un film come "Harvey" assolutamente inguardabile. Parliamo di un prodotto dei suoi tempi, i primi anni 50, dove trovavamo un modo di recitare differente, legato a un'idea di cinema d'altri tempi, e dei dialoghi che oggi potrebbero apparire artificiosi (ma sempre deliziosi). Per non parlare di una poetica cinematografica molto distante da quella del nuovo millennio. Penso, però, che lo stesso marchio di "vecchio" e "superato" (invecchiato male, in fondo è un eufemismo) lo si potrebbe applicare anche a film come "Casablanca", come "Ninotchka", "Psycho" e persino "Roma: città aperta". Più tanti altri tesori di un cinema che fu.
Vogliamo dire la verità? E' un modo immaturo di approcciarsi al cinema e alle arti in generale. E' vero che esistono film e altri prodotti mediatici che soffrono del passare del tempo. Ma questo avviene solo quando la loro forza artistica è debole, e viene schiacciata da un cambiamento generazionale che appanna molto la loro capacità di comunicare. Capacità di comunicare emozioni, non l'inevitabile invecchiamento dei mezzi tecnici che li hanno prodotti. Ci sono opere che sono e resteranno valide per sempre, in quanto arte, in quanto lavori riusciti e in quanto pietre miliari. A pensarci bene, si potrebbe dire che sono invecchiate male anche opere come la Gioconda, o la Venere di Milo, o la Nike di Samotracia... per non parlare delle tragedie di Euripide e Sofocle, dal momento che non si dipinge, non si scolpisce e non si scrive più in quel modo. Chi avrebbe il coraggio di dire che non parliamo di arte che ha fatto la storia e in quanto tale è da ritenere immortale e resistente al passare del tempo? Temo che nel formulare certi giudizi giochi una certa superficialità. La tendenza (comune a tante persone negli anni della giovinezza) a far prevalere le estetiche a noi più vicine, i mezzi e gli stili nei quali ci riconosciamo di più, perché nostri contemporanei. Per non parlare di alcune reazioni di ottuso rifiuto del passato, trascurando che senza questo non può esserci né presente né futuro, e di sicuro non esisterebbe più il concetto di cultura. La capacità a collocare l'arte nel tempo in cui è stata forgiata e ad apprezzarla per quanto è ancora in grado di dire dovrebbe essere spontanea. Dovrebbe essere oggetto di insegnamento. Vedere, riconoscere la bellezza avulsa dal tempo, che rimane sempre bellezza e continua a far parte di noi. E' un peccato non esserne capaci. Interroghiamoci su questo, e sia chiara una cosa:
se mi chiamate boomer (lo sono, ma è diventata una moda odiosa), dovrete accollarvi che io vi definisca piscialetto. E questa è una parola piena di significato che di moda non passerà mai. ;)

giovedì 17 ottobre 2019

E Titans continua...


Titans...
Ok, voglio Krypto. Lo so, probabilmente mi friggerebbe il gatto. Ma posso sempre provare a farli andare d'accordo.
A parte questo: Wow! Wow! Wow! Il modo di presentare Conner mi è piaciuto molto. Ed è interessante come i poteri di Superman (o di qualcuno simile a Superman) possano risultare inquietanti a seconda di come vengono raccontati. La serie Titans sta proponendo una buona caratterizzazione di eroi non sovraesposti quanto altri, e finora questo è il suo pregio maggiore. Insomma, per come la vedo io, continua a funzionare. E non vedo l'ora di sapere cosa succederà adesso.


venerdì 11 ottobre 2019

Coming Out Day 2019

Oggi è il coming out day. Personalmente, non ho avuto questo problema né in famiglia né sul lavoro. Semmai l'ho avuto con me stesso, con cui ho giocato a nascondino per lunghi anni prima di comprendermi e accettarmi. E scoprire che era tutto molto più facile di quanto pensassi. Lo celebro con questa (per me fantastica) foto di un attore e personaggio che amo molto (sì, anche in quel senso). Sembra che David Harbour sia del tutto consapevole di essere diventato un'icona sexy per gli orsi gay, e che abbia preso a giocare in rete ammiccando anche a questi ammiratori. A giudicare dalla terza stagione di "Stranger Things", direi che ne sono consapevoli anche sceneggiatori e registi (a buon intenditore...). Un augurio di vita migliore a chi continua a porsi problemi. Che magari a volte esistono, ma che hanno bisogno di essere affrontati per poter scomparire.




sabato 5 ottobre 2019

Martin Scorsese contro i cinecomics



A proposito della questione Scorsese vs cinecomics...

L'espressione "Non è vero cinema" andrebbe riportata con i piedi per terra. Non presa alla lettera, insomma. E soprattutto bisognerebbe imparare a non offendersi per questo genere di cose. Io non ne ho memoria, ma è stato mai detto che i cinepanettoni non sono vero cinema? In ogni caso qualcuno potrebbe dirlo. E anche in quel caso sarebbero solo parole. Perché persino i cinepanettoni sono cinema. Un brutto cinema. Un'espressione deteriore del cinema, che a lungo il botteghino ha premiato. Dire che qualcosa "non è cinema", ma anche "non è musica" o altro, è da intendere semplicemente come "non lo condivido. Non lo apprezzo. Non lo capisco. Non lo pratico. Per me la vera arte si esprime in modi diversi". E' tutto qui, e penso proprio fosse quello che Martin Scorsese intendesse dire, che lo si condivida o meno. Anche il paragone con i luna park è scontato. Quanti film kolossal, nel corso della storia, sono stati paragonati a baracconi? E' solo un modo di dire, per affermare che il proprio interesse e il proprio rispetto si focalizza su altri aspetti di quella forma d'arte. Ed è soprattutto legittimo, anche se può non piacere.
Prendete "Avengers: Endgame", film che ha emozionato molti spettatori e irritato altri. Io stesso sono un fruitore del Marvel Cinematic Universe, e per primo a mio modo apprezzo alcuni (non tutti) di questi film, compreso l'ultimo Avengers.
Eppure, se qualcuno, metodicamente, mi spiega che la sceneggiatura è piena di buchi logici e tante cose non funzionano, non posso fare a meno di dire a me stesso: «Minchia! E' vero!»
Ciò non toglie che il film possa essere apprezzato. Anche da me che ne vedo i limiti. Perché gli stessi limiti logici, le stesse pecche e contraddizioni, sono il pane quotidiano dei fumetti seriali (per loro natura caotici e pasticciati) che questi film traspongono al cinema. Richiedono la disponibilità ad accettare l'inaccettabile (parliamo di supereroi e di universo condiviso). Un tipo di sospensione dell'incredulità che non va bene per tutti. Un tipo di suggestione che ignora la logica narrativa a beneficio di altri tipi di suggestione, legati al carisma di personaggi e dinamiche che non tutti possono, e soprattutto sono tenuti, a gradire. Sentir dire pertanto che i cinecomics "non sono cinema" non è una bestemmia, non è un'offesa alle nostre madri. Ma solo una formula di chi cerca la suggestione cinematografica prevalentemente altrove. Prendiamo la frase come un classico “nun me piace 'o presepe". E ricordiamo che c'è gente, ancora oggi, che dice che certi tipi d'amore non sono vero amore. E certi tipi di famiglia non sono una vera famiglia. E questo, se permettete, è veramente grave e richiede la nostra attenzione. Cerchiamo di dare il giusto peso alle cose e a prendere i diversi modi di fruire il cinema con più leggerezza.

giovedì 3 ottobre 2019

La Biblioteca SRA si rinnova e si rilancia




La Biblioteca Salvatore Rizzuto Adelfio si riorganizza e riparte con nuovi progetti inerenti sia il TMO - Teatro Mediterraneo Occupato che l'associazione Altroquando di Palermo. L'obiettivo è adesso quello di moltiplicare le iniziative e rendere il progetto biblioteca più variegato e interessante. A questo scopo, lo spazio presso il Teatro Mediterraneo Occupato andrà verso una fase di miglioramento strutturale, volto a ottimizzare i locali per ospitare sempre meglio libri e iniziative che possano integrarsi con le attività del teatro stesso. Contestualmente, il patrimonio fumettistico viene spostato presso la sede dell'associazione culturale Altroquando (in zona Notarbartolo), dove (dopo opportuni lavori di predisposizione) sarà di nuovo possibile visitare e fruire la Biblioteca del Fumetto.
L'iniziativa pertanto continua a crescere e la biblioteca, in un futuro prossimo, declinerà il suo nome al plurale “biblioteche”, con più specifiche culturali sempre intitolate alla memoria di Salvatore Rizzuto Adelfio, fondatore di Altroquando a Palermo e indimenticato operatore culturale.
Vi terremo puntualmente informati delle tempistiche. Grazie per la pazienza e per tutto il sostegno che state dimostrando, aiutando a crescere il nostro sogno di condivisione culturale.

Grazie a tutti per il costante sostegno e le frequenti donazioni lbrarie. Presto documenteremo i nuovi arrivi e vi terremo informati degli sviluppi. E a fine settimana, sul canale Youtube arriva il secondo capitolo della Storia dei Cinecomics. A presto.

Per sostenere la biblioteca autogestita potete donare libri e fumetti (contattateci alla mail altroquandopalermo@gmail.com) o fare una piccola donazione monetaria sul nostro conto Paypal: http://paypal.me/altroquandopalermo
Ma potete anche scegliere di acquistare un titolo ancora assente dallo scaffale e farlo pervenire alla nostra associazione. Grazie a tutti per l'affetto e la solidarietà che dimostrate. Ci sarà sempre un Altroquando.
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sabato 28 settembre 2019

Un fumetto... un mese... un anno



Per il giorno del mio compleanno ho voluto fare un gioco.

Cercare quale fumetto era uscito lo stesso mese e anno della mia nascita, nel mio caso, quindi Settembre del 1963. Il risultato è stato il numero #4 di Spider-Man (per me l'Uomo Ragno per tutta la vita): "Nothing can stop... the Sandman". Anche se da noi in Italia sarebbe arrivato solo nel 1970, questo è il fumetto della mia nascita. Per festeggiare a modo mio, ho voluto rileggerlo. E' curioso notare che uno dei personaggi che più mi hanno influenzato uscisse nelle edicole proprio il mese in cui nascevo presentando uno dei suoi villain più iconici. L'Uomo Sabbia. L'episodio presenta un Uomo Ragno in cui sono presenti tutti i tratti fondamentali che hanno reso il protagonista un eroe fuori dagli schemi fino a quel momento canonici. Un ragazzino che commette errori (interviene per fermare dei ladri prima che commettano l'effrazione, e questi lo denunciano), che non sa che pesci pigliare davanti a un nemico potente (che lo apostrofa "E tu saresti un supereroe?"). E che alla fine vince non grazie ai suoi poteri speciali, ma all'ingegno. Insomma, una storia in cui ancora oggi posso ritrovare tutto l'Uomo Ragno che ho conosciuto e amato da giovanissimo. Come ci trovo l'amore per il fumetto che avrebbe influenzato tutta la mia vita anche da adulto, tracciando la rotto in più occasioni.
Grazie per tutti gli auguri che mi state inviando. Grazie a tutti quelli che hanno donato e che donano per sostenere la Biblioteca del Fumetto dedicata alla memoria di Salvatore. Grazie per essere presenti. Ci sarà sempre un Altroquando.

sabato 31 agosto 2019

A Field in England [di Ben Wheatley]




«Mentre viviamo temendo l'inferno... ci siamo dentro.»

Mi vado innamorando sempre più del regista britannico Ben Wheatley a mano a mano che scopro la sua filmografia. Tutti film indipendenti e di difficile classificazione, per quanto spesso li si ascriva al genere del perturbante se non dell'horror. Meccanismi narrativi spiazzanti, e una visione cinematografica abbastanza anarchica, che qualcuno definisce velleitaria, bollando i suoi film come meri esercizi di stile senza capo né coda. Se il noir “Killer List” era un crescendo spietato di violenza ed esoterismo, fino a un finale criptico quanto sconvolgente, “A Field in England” (in italiano “I disertori”) uscito nel 2013, va possibilmente anche oltre, e ci regala un film a suo modo piacevolmente destabilizzante. In parte sogno, in parte incubo, che flirta con la cultura della psichedelia (in modo anche dichiarato), scatenando negli occhi e nella percezione di chi guarda una creatura cinematografica tra le più bizzarre. Non è un caso che in tanti gli stiano alla larga, dal momento che di sicuro esiste poco di altrettanto disorientante.



Lo scenario è quello della Guerra Civile inglese, fotografato in un pulitissimo bianco e nero, recitato in originale in inglese arcaico e interamente ambientato in un apparentemente interminabile campagna inglese («Il nulla e cardi...»). Quattro uomini fuggono dalla guerra. Quattro personaggi molto diversi tra loro, le cui peculiarità emergono da dialoghi tra il surreale e il picaresco, con una cadenza volutamente teatrale. Se il precedente “Kill List” poteva rammentare sotto alcuni aspetti il teatro di Harold Pinter, “A Field in England” echeggia le atmosfere del drammaturgo belga Michel de Ghelderode, la cui opera era influenzato dagli spettacoli di burattini e dal concetto di “teatro della crudeltà” di Antonin Artaud. Sintomo che Wheatley si sente molto legato all'aria che si respira sulle tavole del palcoscenico, e continua a sperimentare curiose ibridazioni con il linguaggio cinematografico attingendo alle poetiche meno omologate della prosa. Attraverso una narrazione scandita in quadri, i quattro disertori incontreranno in mezzo al nulla un alchimista stregone (l'attore Michael Smiley, visto in “Black Mirror” e attore ricorrente di Wheatley) che li coinvolgerà nelle sue trame, e nella ricerca di un misterioso tesoro.

In “A Field in England” ritroviamo temi classici quali il viaggio sciamanico e la scoperta della propria natura. Ma filtrati da un umorismo nerissimo e da una trama spiazzante, che se nella prima parte sembra seguire una dinamica tradizionale, nella seconda deraglia, violando ogni aspettativa logica e presentando scenari sempre più surreali, fino a una totale astrazione cui (non è una novità per Ben Wheatley) toccherà allo spettatore dare un significato. Sarebbe relativamente semplice riconoscere in “A Field in England” l'ennesima declinazione di un meccanismo narrativo già ampiamente sfruttato al cinema, E chissà, forse la risposta è davvero la più ovvia. Ma stiamo parlando di un film di Ben Wheatley, e certezze non ce ne possono essere. “A Field in England” è davvero una strana, stranissima creatura cinematografica. Facile da odiare per la sua particolarità e da ignorare per la sua scarsissima distribuzione. Eppure nella sua natura, magari un po' snob, di opera indipendente, che se infischia delle aspettative del vasto pubblico, risiede il suo fascino. Una potenza visiva notevole nel suo impeccabile bianco e nero, una caratterizzazione estrema dei personaggi, presi quasi di peso dalla commedia dell'arte e catapultati in un contesto allucinato, e un sottotesto magico, un viaggio psichedelico tutto da vivere, se non interpretare.
Questo è “A Field in England”. Un'esperienza cinematografica che non può in nessun caso lasciare indifferenti. E in ogni caso, difficilmente, una volta visto, si riuscirà a dimenticarlo presto.

mercoledì 12 giugno 2019

Fushito: Il mio amore per procura



In Giappone, una giovanissima influencer chiamata Fushito è diventata popolarissima non con un canale di cucina, o parlando di musica. Non realizzando scenette comiche, e neppure commentando fatti del giorno o proponendo tutorial di trucco. La sua ascesa nell'olimpo delle celebrità del web è legata a filo doppio alla vicenda umana di un giovane di diciannove anni, Neruo, già assurto agli onori della cronaca dopo aver tentato il suicidio due volte senza successo. Neruo è perdutamente innamorato di una ragazza (il cui nome non è stato reso pubblico) di una famiglia in vista di Tokyo. Il problema è che la giovane (la chiameremo Rosalina, come il primo amore che causava lo struggimento di Romeo prima di incrociare la strada di Giulietta) di Neruo non vuole proprio saperne. Neruo l'avrebbe incontrata occasionalmente a un concerto e da allora non riesce più a non pensare a lei. Lettere, doni, richieste di appuntamento non hanno sortito nulla, e il giovane, palesemente fragile da tempo, ha intrapreso un lento cammino di autodistruzione, trascurandosi nel nutrirsi, lavarsi, e tentando di uccidersi per due volte consecutive. La prima con dei barbiturici, la seconda cercando di tagliarsi i polsi in diretta su Internet. Oggi, Neruo è irriconoscibile. Magro come un chiodo, coperto di sporcizia come il bambino Pig-Pen delle strisce dei Peanuts, non fa che piangere e pregare la famiglia di Rosalina che gli lascino incontrare l'amata.

Qui entra in scena Fushito.

Fushito è una studentessa di diciotto anni, amante dei manga e dei videogiochi, che fino a poco tempo prima viveva una beata invisibilità planetaria. La vicenda di Neruo l'ha però colpita molto, e per questo ha pensato bene di aprire un canale Youtube in cui ha preso a pubblicare accorati appelli, poesie, canzoni, tentativi di persuasione nei confronti di Rosalina (che finora si è categoricamente rifiutata di incontrarla) e della sua famiglia, affinché Neruo possa ricevere la chance d'amore cui tanto aspira. In poco tempo, Fushito ha scalato le vette di Youtube ed è approdata in televisione.
«Tanta dedizione e senso di sacrificio» dice, «non possono lasciare indifferenti. E' chiaro che Neruo ha molto amore da dare. E se non può riceverlo, tanta sofferenza meriterebbe almeno il premio di poter manifestare il proprio affetto alla persona amata. Soltanto una conversazione, in presenza dei genitori, non mi sembra una pretesa esagerata. E' un ragazzo talmente intelligente e sensibile che sarebbe uno spreco non dargli almeno un'opportunità. Sono entrambi così giovani. Provino a conoscersi. Poi si vedrà.»

Oggi Fushito ha pubblicato un libro intitolato “Il mio amore per procura” e presenzia a raduni di giovanissimi fans in compagnia dello stesso Neruo, che le sta incollato come un vero e proprio simbionte, spesso nascondendo il viso ridotto a una maschera di sporcizia contro il vestito di lei. Fushito sorride al suo pubblico, lo accarezza e porta avanti con pertinacia il suo ruolo di ambasciatrice d'amore. I consigli e gli appelli di migliaia di fans per provare ad approcciare l'inarrivabile principessa sono accuratamente vagliati e quelli ritenuti più persuasivi sono letti pubblicamente. Né mancano i commenti riguardo il fatto che Fushito sia ritenuta più carina della stessa principessa senza nome. E va da sé che le orde di ragazzini sperino in un lieto fine magari alternativo a quello desiderato inizialmente da Neruo.

Non è allucinante?
No, questa non è la realtà. Non è un manga. Non è un racconto. E non è neppure un episodio di “Black Mirror”.

E' un sogno che ho fatto stanotte. 
In qualche modo mi ritrovavo a fare il mio vecchio lavoro (il giornalista) ed ero inviato a questo folle raduno (non era chiaro se in Giappone o durante una trasferta italiana della web-celebrity). Per chi se lo sta chiedendo, Fushito (ma esiste questo nome?) era pienotta, caruccia, capelli raccolti in due code fluenti, e indossava una salopette azzurra. Neruo non si vedeva in faccia, sempre in ginocchio a nasconderle il viso in grembo, e lo si sentiva piagnucolare che la famiglia di Rosalina era “molto tradizionalista”.
A un certo punto succedeva qualcosa di poco chiaro e tutti si spostavano in massa verso l'uscita di questo edifico dove avveniva il raduno. Cercavo di seguire la folla (sì, c'erano un casino di ragazzini, ma anche adulti) e mi bloccavo davanti a un gradino che era in realtà un cornicione sul vuoto. Come avessero fatto gli altri a passare, rimane un mistero. Magari saltavano. Ma io dicevo a me stesso che col cazzo avrei rischiato l'osso del collo per correre dietro a loro. Anzi, mi venivano le vertigini e mormoravo un «Help...» Segno che forse non eravamo in Italia, dopotutto.
E fine. La storia dell'influencer Fushito, dell'innamorato autolesionista Neruo e della principessa senza nome si interrompeva qui.

Per chi se lo stesse chiedendo, avevo mangiato una minestrina e un'orata al forno.


domenica 14 ottobre 2018

Titans: Un inizio sconcertante, ma...


Visto "Titans". Giusto l'episodio pilota del già controverso adattamento televisivo dei "Teen Titans" fruibile sul servizio streaming on demand DC Universe e presto anche su Netflix. "Controverso" già per primi trailer e rumors, "Titans" va a collocarsi in una dimensione DC Live Action quanto mai tumultuosa e divisa. Tra discutibili adattamenti cinematografici giunti troppo tardi a inseguire i fasti del rodato Marvel Cinematic Universe, e serie televisive (quelle targate CW) che raccolgono tanto consensi quanto critiche, contribuendo a confondere sempre più un immaginario distante dalla coerenza costruita dalla Marvel. Ancor di più confonderà e farà discutere questo "Titans", pare già confermato per una seconda stagione all'indomani della pubblicazione del pilota. Una cosa è sicura. Vedendolo, i puristi si incazzeranno come iene. La fanbase dei fumetti si straccerà le vesti, ululerà al sacrilegio, si rotolerà in preda alle convulsioni graffiandosi la faccia, urinerà e defecherà in pubblico salmodiando in aramaico, scalerà le pareti lisce e Cthulhu sa cos'altro. Inutile illudersi. Succederà, e Internet sanguinerà, assieme all'anima nerd delle schiere.

Nondimeno... al sottoscritto questo episodio iniziale... è piaciuto.



O forse sarebbe più corretto dire che non gli è dispiaciuto. Parliamo pur sempre di un episodio pilota, e sospendere il giudizio definitivo sarebbe cosa buona e giusta. Tanto più che la serie si presenta da subito con una trama decisamente orizzontale. Sono consapevole che la cosa mi porterà critiche e pernacchie. Mi rassegnerò. Non sono anticonformista per partito preso, ma sono possibilista quando si tratta di narrazioni.  Vediamo di capire perché.

Partiamo dai tasti dolenti.
Si è detto, esaminando il trailer: "E' troppo dark. E il dark ha rotto il cazzo!"
Ok. Precisiamo che questo commento si basa sull'esito non proprio felice del Superman di Zack Snyder e (ancora peggio) sul Batman v. Superman dello stesso regista, che tanto hanno fatto soffrire gli appassionati. Due pellicole nelle quali, probabilmente per una malintesa digestione della trilogia di Christopher Nolan sul Cavaliere Oscuro, si è optato per un tono cupo delle atmosfere.
Bene. "Dark", in fondo, è soltanto una parola. Come lo è "Comedy". Presa da sola non è né buona né cattiva. Tutto sta a vedere la resa del prodotto cui si applica. Nel caso di "Titans", poi, il dark non c'è. Esatto. "Titans" non si può definire una serie supereroistica dai toni dark. "Titans" è nero. Anzi, nerissimo (anche questa è un'etichetta). Nero come la pece, che non lesina una discreta componente splatter nelle sue frequenti esplosioni di violenza. Il concetto di base che si coglie dalla visione è che il progetto stia tentando di giocare un'altra carta, parzialmente inedita rispetto all'ormai familiare "dark" che ha stufato tanti. "Titans" si propone di avere un approccio ai supereroi che mescola toni da horror soprannaturale a elementi crime. Un mondo in cui i superpoteri fanno paura, se non hanno un'origine diabolica, sono di provenienza aliena e del tutto amorale, e sono usati in modo spietato. Il bene e il male si confondono e l'idea stessa di eroe in costume si sfoca.


Detto questo, possiamo mettere una pietra tombale su una questione. Chi cerca in questa serie i Teen Titans dei fumetti... beh, se li può scordare.
Prendiamo Robin, il Dick Grayson oggetto di polemiche già dalla sua prima apparizione nei trailer, da quel famigerato «Vaffanculo, Batman!» che segnalava di per sé una distanza dalla fonte cartacea. Anche qui c'è da rassegnarsi. Il Dick Grayson che vedrete non è quello cui siete abituati dalle pagine dei fumetti. Forse è un Punisher con pose da ninja e gadget raffinati. Non si può negare che la violenza di questo Robin lasci scossi, e se il trailer vi ha dato fastidio, la scena di combattimento nella prima parte dell'episodio pilota si farà venire un attacco di itterizia. Il perché e il per come di questo suo comportamento è ancora tutto da scoprire (ci è stato suggerito da alcuni rumors). Diciamo che Dick è alla ricerca di una sua identità e di un affrancamento da chi lo ha addestrato in un certo modo. Vorrebbe non essere più Robin, lo vediamo esitare a infilarsi nel costume da vigilante. Eppure non riesce a evitarlo. Un po' come Rachel-Raven, che sente emergere la sua natura demoniaca e a tratti è costretta a scatenarla.
Quindi siamo distanti dalle controparti cartacee. E' un fatto. Piaccia o non piaccia. Personalmente, la cosa non mi ha turbato più di tanto. Arrivando addirittura a pensare di dare una chance a questa serie, e scoprire come evolverà.

Perché? Perché, a mio modesto avviso, la fedeltà alla fonte fumettistica non è una virtù inviolabile. Tutto è subordinato all'interesse della narrazione, alla capacità di intrattenimento del prodotto. E se questo riesce in qualche modo ad agganciare la mia attenzione, riesco a infischiarmene se un personaggio non è identico alla sua controparte di carta. "Titans" sembra proporre in modo dichiarato quello che nei fumetti è definito un "elseworld", una realtà alternativa, dove i personaggi hanno fatto percorsi differenti da quelli canonici. La accettiamo nei fumetti, perché non farlo nelle trasposizioni live action, sempre che la narrazione funzioni. Il tradimento del personaggio di Robin (cosa che la maggioranza non perdonerà, ne sono sicuro) è da rapportare a un quadro generale. Tutti i protagonisti sono versioni totalmente rivisitate degli eroi che conosciamo. I loro caratteri, il loro look, la loro storia personale. Starfire, criticata e sbeffeggiata sin dall'apparire delle prime foto, è forse la più spiazzante. Non per il fatto che sia nera (questa resistenza ha rotto le palle ed è diventata stucchevole quanto e più della tendenza del cambio di etnia in uso a Hollywood). Ma per il suo look appariscente, kitsh, da battona. Quel che spiazza è l'introduzione del personaggio, ancora misterioso, in cui - senza fare spoiler - il look da prostituta potrebbe rivelarsi tematico e addirittura contestuale al racconto. Tutto sta ad accettare la riscrittura dell'origine e della natura di questa creatura aliena (quale cazzo è il suo vero aspetto non si sa), e soprattutto a comprendere che non si è tentato minimamente di renderla visivamente simile al suo omologo a fumetti. La Starfire vera è dentro un involucro, una maschera, e la giustificazione (o meno) dipenderà dal prosieguo della storia.



Il clima da racconto horror è inoltre l'altro elemento che (a dispetto di molti) rende per me curiosa questa lettura. Era prevedibile che la storia diabolica di Raven facesse da filo conduttore. La scena iniziale (un mix tra cronaca di origini e citazioni da L'Esorcista) in qualche modo è un biglietto da visita che dice tutto. La cattiveria da vigilante di Dick, la visione lontana di un Batman violento, si incastrano abbastanza bene in un'atmosfera del terrore, dove più che il bene si dovrà scegliere il minore dei mali, e dove essere supereroi è qualcosa di fottutamente inquietante.

Insomma, "Titans" sembra partire come un esperimento. Un esperimento ancora lontano dall'essere concluso e riuscito. Diciamo che questo inizio ha centrato l'obiettivo di interessarmi, proprio per la sua capacità di disattendere le aspettative. Cosa che potrebbe anche essere un pregio, perché vedere riprodurre pari pari i propri eroi sullo schermo solletica un tipo di piacere nerd. Vederli diventare materia per costruire una forma diversa, con tutti i rischi del caso, titilla altre forme di perversione ludica. Se "Cloack and Dagger" falliva, trasmettendo soprattutto noia, questo "Titans" se non altro, spiazza e incuriosisce. Incuriosisce me, proprio perché trasgredisce.

Vedremo che cosa ci riserveranno i prossimi episodi. Adesso, attendiamo i flame e facciamo: OMMMMMMMM....

lunedì 1 ottobre 2018

DEVILMAN - OMNIBUS alla Biblioteca SRA


"DEVILMAN - Omnibus". L'infernale classico di GO Nagai è appena stato donato alla Biblioteca Salvatore Rizzuto Adelfio. I demoni, gli uomini, il creatore e tutta l'ambiguità dei concetti di bene e male. Un gioiello nichilista che ha fatto la storia (non solo) dei manga. Lo spazio e l'iniziativa cresce sempre di più. Tutte le vostre donazioni sono mattoni che contribuiscono a concretizzare giorno dopo giorno un grande sogno culturale. Grazie di cuore a quanti donano, dai loro scaffali, dalla nostra lista Amazon o versando sul nostro conto Paypal. Siete diabolicamente meravigliosi. A Palermo ci sarà sempre un Altroquando e un sogno da difendere, per la condivisione della nona arte.

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