venerdì 2 giugno 2017

Wonder Woman: niente estremismi, please...


La visione di "Wonder Woman" di Patty Jenkins forse dovrebbe ricordarci che tutti i cinecomics hanno almeno un filamento di DNA in comune. Tutto sta a vedere con che cosa si intreccia. Se non sei troppo piccolo da meravigliarti davanti a tutto, se per te tutto non è nuovo e quindi sorprendente, è normale ridimensionarlo parecchio. A scanso di equivoci, il film della Jenkins risulta piacevolissimo se visto o con occhi di bambino o con occhi di maturo appassionato di miti, leggende, fiabe, fumetti, cinema. Con lo spirito di chi ama sentirsi raccontare mille volte una storia che già conosce, purché il narratore abbia una voce abbastanza musicale e un modo sufficientemente accattivante di raccontare. Senza sperticature, con qualche goffaggine (l'estetica del rallenty ha ormai stuccato gli zebedei), e cadute di ritmo di un film forse troppo lungo, "Wonder Woman" funziona quanto basta. Funziona nella sua profonda, fisiologica imperfezione. Funziona perché ti scopri in grado di anticipare persino le battute che i protagonisti pronunceranno alla fine, la sequenza finale stessa, già vista decine e decine di volte. Eppure il film ha un cuore, sebbene non diverso da molti altri. In qualche momento batte, persino.

Le origini mitologiche sono un mix dell'epoca post Crisis e del rilancio dei New 52 (con una rivelazione comunque prescindibile). Un film d'avventura fantastica a suo modo gradevole, e che può essere apprezzato da chi ha amato la principessa amazzone nella versione di George Perez. Gal Gadot, statuaria e neppure troppo inespressiva, a mio avviso, si è meritata di essere identificata con Diana. Insomma... non si danno voti a un film del genere. Probabilmente, alcuni dei bambini presenti in sala lo ricorderanno come uno dei film più intensi della loro infanzia. Gli adulti meno. Ma come scriveva Antoine de Saint-Exupery: non tutti i grandi ricordano di essere stati piccoli. Il trucco è tutto lì.

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