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sabato 17 giugno 2017
Amarcord: Wrightson, King e il Lupo Mannaro...
Per puro caso, oggi ho scoperto di possedere una rarità. Un libro, da tempo non ristampato, che sembra essere diventato negli anni il più introvabile dell'intera bibliografia di Stephen King, anche in lingua originale. In rete, si vedono prezzi stratosferici. Roba da non crederci. Roba da farti... ululare alla luna. Davvero.
Bernie Wrightson, scomparso quest'anno, tra tante meraviglie ci ha regalato anche le illustrazioni del "Ciclo del Lupo Mannaro" di Stephen King. Operazione bizzarra, in quanto non si tratta di un romanzo o di un racconto... ma di un calendario. Un'opera commissionata a King e a Wrightson la cui trama è scandita dal ciclo mensile del plenilunio, con le conseguenti apparizioni del licantropo. Vagamente ispirato alle atmosfere di classici come "Il buio oltre la siepe", in cui il mondo tragico degli adulti è visto e narrato attraverso gli occhi sognanti dei bambini, è un racconto di crescita e di suspence essenziale, al servizio del gioco di rimandi lungo tutto un anno. Bernie Wrightson fece faville. Dal calendario fu tratto il film del 1985 "Silver Bullett" (in italiano, "Unico indizio: la luna piena"). Un caso bizzarro di narrazione crossmediale, lo definiremmo oggi.
domenica 19 marzo 2017
Bernie Wrightson 1948 - 2017
Peccato.
Spesso è la prima parola che mi viene in mente quando un artista che ha detto tanto e che ancora avrebbe molto da dire, scompare. Peccato. Una via di mezzo tra la delusione e il dolore che esprime la sensazione di una perdita intellettuale oltre che fisica. La perdita per qualcosa che rappresentava una ricchezza.
Be', per Bernie Wrightson è davvero il caso di spenderlo quel "peccato".
Wrightson è stato, insieme a Lein Wein, uno dei genitori di Swamp Thing, la Cosa della Palude che, dopo la serie originale di 22 numeri e un intervallo, sarebbe passata nelle mani di Alan Moore, piantando uno dei semi da cui sarebbe sbocciata la divisione Vertigo della DC Comics. Ma Bernie Wrightson è andato oltre Swampy, sia pure legando il suo nome e le sue matite all'oscurità, al mondo del gotico, dell'orrore e delle atmosfere spaventose. Un artista capace di prendere l'orrore, il brutto, il minaccioso, e renderlo esteticamente piacevole agli occhi, bello e plastico, senza perdere l'aura di malsana tenebra che era chiamato a rappresentare.
Non a caso, nell'operazione di beneficenza messa in atto dalla Marvel nel 1985, X-Men: Heroes for Hope, fumetto one shot i cui proventi furono devoluti in aiuto delle popolazioni affamate dell'Africa, e che vide il contributo grafico e testuale di molti diversi disegnatori e scrittori, Wrightson intrecciò la sua matita con la penna di Stephen King (entrambi al lavoro sul segmento dedicato a Kitty Pryde), evocando atmosfere da cinema horror. Wrightson, per il mondo del fumetto, ERA l'horror. Quello più classico e romantico, fatto di magioni buie e animali striscianti. Il suo lavoro di illustratore sul Frankenstein di Mary Shelley resterà nella a lungo nella memoria dei lettori, vivido e iconografico come in poche occasioni.
Suo ultimo lavoro rimane Frankenstein Alive, Alive!, seguito ideale, su testi di Steve Niles, delle vicende della creatura, partendo da dove l'abbiamo lasciata alla fine del romanzo di Mary Shelley. Un lavoro lento, certosino, meraviglioso.
Ripeto: un peccato.
E un altro maestro che entra nella storia del fumetto per non uscirne mai più.
giovedì 7 marzo 2013
Frankenstein vive, vive! #1
Il mostro è vivo.
Non un mostro qualunque, ma il mostro
per antonomasia, quello creato da un uomo di scienza ossessionato
assemblando pezzi di gente morta. La creatura alta, spettrale come un
cadavere ma possente quanto un orso scatenato. Contro ogni logica,
a dispetto di quanto si credeva, questo essere, ora chiamato Frank,
vive ancora, e ha trovato persino una casa presso gli artisti e i
fenomeni umani di un circo itinerante. La leggenda lo precede, la
popolazione sa chi... cosa è... ma lo rammentano diverso, ingannati
dai tanti racconti su di lui. Eppure il mostro esiste, cammina ancora
tra noi. E' qui, ed è più vivo che mai...
Bernie Wrightson deve sicuramente parte
della sua notorietà alla creazione, insieme allo sceneggiatore Len
Wein, di un altro celebre mostro dell'età contemporanea: lo Swamp
Thing della DC Comics. La popolare Cosa della Palude che visse
nei fumetti per soli ventiquattro numeri prima della temporanea
chiusura e del definitivo rilancio a opera di Alan Moore. Lo stile di
Wrightson, così particolare, dettagliato e capace di evocare scenari
e profili umani inquietanti, è sempre andato a braccetto con
l'orrore e con il gotico, e non poteva che consumare delle felici
nozze con il Frankenstein di Mary Shelley, del quale firmò
una famosa edizione illustrata nel 1983. Tuttavia, quella di Frankestein vive, vive! è un'altra storia.
La creatura del dottor Frankenstein,
destinata da sempre a essere identificata con il nome del suo
creatore, ha avuto una quantità di versioni a fumetti. Da quelle più
fedeli alle radici letterarie alle rivisitazioni sconfinanti nel
superomismo più kitsch. I più maturi ricorderanno la versione
Marvel degli anni settanta, anzi le versioni, giacché la
creatura cambiò assetto e sostanza più volte venendo disegnata da
illustratori del calibro di Don Heck, Mike Ploog, John Buscema, e
altri ancora, incrociando spesso la strada con personaggi eterogenei,
uno su tutti l'amichevole Uomo Ragno di quartiere.
Recentemente,
l'essere del folle dottore è stato riesumato anche in casa DC e
trasformato in una sorta di clone di Hellboy, a capo di una squadra
di mostri addestrati per scongiurare minacce soprannaturali. Per
caratterizzazione grafica, il mostro della Marvel attingeva senza
troppe remore all'iconografia cinematografica, e le versioni DC non
se ne sono mai distaccate di molto. Per quanto il make up di Boris
Karloff godesse di una tutela giuridica a prova di bomba e non
potesse essere usata in pellicole prive del marchio Universal,
rappresentarlo su tavole a fumetti era cosa diversa. Ed è per questo
che la creatura che ricordiamo di più sui fumetti ricalca pari pari
la maschera che diede fama imperitura (e una scomoda identificazione)
al celebre attore inglese. Con l'arrivo di Bernie Wrightson la musica
cambia, e non di poco.
Già illustrando il libro di Mary
Shelley, Wrightson aveva scelto di glissare sugli aspetti più
rozzamente “artificiali” del mostro. Scomparsa la tradizionale
sutura intorno alla testa, e anche le sporgenze (Chiodi? Elettrodi?)
ai lati del collo. La forma del cranio risulta più umana e dai
capelli fluenti, mentre tutto l'aspetto della creatura diviene, se
possibile, ancora più cadaverico e malinconico. Quasi una sorta
di imponente e spettrale Pierrot.
Si
potrebbe definire, dunque, Frankenstein vive, vive!“ come un ritorno di fiamma da parte di Wrightson per uno dei
personaggi (e le atmosfere) cui deve di più, per il quale il suo
stile inconfondibile e deliziosamente sinistro ha cantato le migliori
canzoni disegnate. Alla sceneggiatura troviamo Steve Niles, autore
tutt'altro che nuovo alle tematiche horror (30 giorni di notte)
che prova a immaginare un ideale seguito di Frankestein o il
Prometeo moderno, partendo proprio là dove il romanzo della
Shelley ha termine. Prodotta dalla IDW e pensata per coprire un arco
di tredici albi, la serie è presentata nel nostro paese dalla Italy
Comics e presenta in appendice un corposo apparato redazionale (una
lunga conversazione-intervista tra Niles e Wrightson) e la
pubblicazione a puntate del romanzo originale.
Il primo numero ci rivela che cos'è
stato del mostro alla fine del libro. Anzi, un flashforward ci rivela
che vive (e in apparenza prospera) in un circo, sopravvivendo come un
normale essere umano che ha dolorosamente appreso l'arte di
arrangiarsi. Un opportuno flashback fa da raccordo con l'opera di
Mary Shelley e chiarisce poco per volta le tappe che hanno portato la
creatura a unirsi allo spettacolo itinerante e ad adottare il nome di
Frank.
Narrato in prima persona dal mostro, il racconto è struggente
e non manca di spunti molto interessanti, come la presenza spiritica
(o un fantasma psicologico) del dottor Frankenstein stesso, qui nel
ruolo di coscienza della sua creatura ripudiata.
Le uscite successive ci sveleranno
altri dettagli e lo sviluppo che la trama intende seguire, ma a fare
la parte del leone sono sicuramente gli splendidi disegni di Bernie
Wrightson, più in forma che mai, qui alle prese con un bianco e nero
parziale (qualcuno lo ha definito “finto”), dal quale emergono
sfondi illuminati da colori pallidi e tetri, dettagli che squarciano
la magistrale rete di matite con lampi cromatici che completano e
fanno letteralmente vivere le illustrazioni, conferendogli in qualche
caso un'illusione di tridimensionalità. Una serie di tavole dai
contenuti gotici che per gli occhi sono una vera festa, e una
padronanza del realismo, pur nelle anatomie più grottesche, che
lascia incantati.
In attesa di poter leggere altri
capitoli di questa nuovissima opera di Niles e Wrightson, ci
scopriamo a convenire con la tautologia bizzarra del titolo:
Frankestein Alive, Alive!
E' così, il mostro di Frankestein è
ancora vivo. Nonostante il tempo trascorso, il progredire dei nostri
incubi e il proliferare di babau popolari in apparenza più attuali.
C'è poco da discutere: il mostro, quel mostro, torna sempre. Scosta
bruscamente la cortina intorno al nostro letto e ci fa svegliare di
soprassalto, fissandoci con occhi acquosi e pieni di domande. E' lì,
non va via. Ci osserva... continua a interrogarci con lo sguardo sul
mistero della vita e della morte. E sulle ragioni profonde di
entrambe.
Ah, sapere cosa rispondergli.
Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.
[Articolo di Filippo Messina]
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