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sabato 10 settembre 2016

The ONE - L'ultima parola sui supereroi [di Rick Veitch]


Rick Veitch, un fumettista underground innamorato dei supereroi. Talmente estroso e in gamba da subentrare al timone di Swamp Thing subito dopo il celebrato ciclo del bardo Alan Moore, e di andare via (dalla testata e dalla casa editrice) quando si vede bocciare un progetto considerato troppo ardito per i tempi. Autore di opere iconoclaste, stravaganti, profonde, divertenti. E di The One, che si propone (a metà degli anni 80) come "l'ultima parola sui supereroi". Per lo stesso Alan Moore, che firma la prefazione all'edizione in volume, The One e Veitch hanno anticipato l'ondata di rinascimento supereroistico che vede il suo picco di maggiore visibilità in Watchmen. Ma The One, pur parlando di supereroi, va molto oltre. Quando il fumetto è figlio dei suoi tempi, ma è capace anche di crescere e camminare sulle sue gambe, senza data di scadenza. Ed è satira, fantasia, divertimento. E ci parla di noi, di quanto potremmo o dovremmo essere migliori. 

sabato 13 agosto 2016

Reading Comics: The Killing Joke - Scena Finale [letta da Altroquando]


Mi sono accorto che questi miei primi esperimenti di drammatizzazione fumettistica (chiamo così le mie letture) sono rimasti un po' in disparte, sommersi dalla produzione video successiva. Inoltre fanno parte di video più lunghi e articolati, e di conseguenza sono stati ancora meno visibili. Dal momento che riciclandoli in "pillole" sulla piattaforma Vimeo sembrano essere graditi, ho deciso di creare una nuova playlist che poco per volta li raccoglierà. Il tag scelto è "Reading Comics". Piccoli esempi di lettura, spunti per immaginare come potrebbe essere ascoltare certi dialoghi topici nella nona arte. Anche se da un lettore modesto e imperfetto come me. E anche dei piccoli (e medi) trailer per il canale di Altroquando. Non so, io ci provo. Tenendo conto che alcuni di questi lavori hanno già un paio d'anni (ma altri sono seguiti e seguiranno). Comunque, ecco ancora (stavolta strategicamente posizionata sul Tubo) la mia versione della scena finale di "A Killing Joke" di Alan Moore e Brian Bolland.

mercoledì 4 novembre 2015

The Mindscape of Alan Moore, 5 Novembre al TMO di Palermo


5 Novembre 2015 presso il Teatro Mediterraneo Occupato via Martin Luther King 90142 Palermo
continua il ciclo di documentari "La Nona Scelta" con il film "The Mindscape of Alan Moore" dedicato al bado di Northampton.
ore 19,30 apericena con prodotti genuini e biologici
Ore 20,30 proiezione di una selezione di cortometraggi
ore 21,00 Presentazione documentario a cura di AltroQuando e proiezione

martedì 1 settembre 2015

Gli Dei di Rimpiazzo: Supereroi, Religioni e Macchine del Tempo...


The Replacement Gods” (“Gli dei di rimpiazzo”) è un documentario americano del 2012 prodotto dalla Little Lights Studios, studio cinematografico senza scopo di lucro per la divulgazione religiosa presso i giovani, che tratta dei fumetti di supereroi e della loro ingombrante (e ovvia) parentela con le mitologie antiche, l'esoterismo, le simbologie bibliche. L'approccio è protestante e, benché il film non contenga alcun riferimento esplicito, si direbbe espressione della Chiesa Avventista del Settimo Giorno, cui è legato anche Light Channel Italia, che ne ha curato per l'appunto l'edizione italiana.

Un film di 95 minuti molto denso. Discutibile e interessante nello stesso tempo. Affascinante per la ricchezza dei contenuti e spiazzante per le improvvise cadute di tono. E' curioso notare (da liberi pensatori) come l'argomento alla base del documentario (che, ricordiamo, parla dei supereroi, della loro genesi e soprattutto della loro funzione) non è prettamente “protestante”, ma ha radici comuni al cattolicesimo più antico. Peccato che questo non sia un apprezzamento positivo o ecumenico. Quel che viene spontaneo commentare è che il mondo cattolico, con tutte le sue resistenze e pregiudizi, si esprimeva con determinati toni e messaggi nel Medioevo, agli inizi della sua storia istituzionale. Qui ci troviamo, invece, in presenza di un titolo del 2012. E la cosa, per chi ha un approccio laico alla vita e ai fumetti, è abbastanza disturbante.


E' il caso di premettere che le critiche (che ci saranno) non sono rivolte alla fede Avventista in sé, ma ai toni e ai contenuti di questo film (benché sia lecito supporre che siano stati approvati e allineati con le linee generali della confessione cui appartengono). Per capire subito di cosa stiamo parlando, basta un riassunto del tema principale del documentario prodotto dal Little Light Studios (e reperibile anche in italiano su Youtube). Il senso di tutto è che i fumetti di supereroi sono strumenti diabolici, volti a perpetuare (così come le antiche mitologie) un inganno nei confronti del genere umano, e indurlo a venerare falsi dei, in modo da confondere le acque e sviare dall'accoglienza di Cristo (soprattutto nella sua seconda venuta).

E' inquietante scoprire come le parole di Sant'Agostino in De Civitate Dei, agli albori della chiesa cattolica, siano state riciclate in ambito protestante riportando di fatto indietro il tempo (e il modo di intendere la spiritualità) di secoli. Per Agostino, le divinità dei pantheon pagani (buone o cattive che fossero) non erano semplicemente delle figure simboliche di forze della natura e di emozioni umane. Erano entità reali, ma di natura demoniaca, il cui ruolo era quello di farsi adorare al posto dell'unico vero Dio e di screditarne l'esistenza. Non a caso, in molte narrazioni di genere horror a tema demoniaco, le presenze diaboliche portano nomi di antiche divinità. Persino nel celebre romanzo e film “L'Esorcista”, il demone protagonista è Pazuzu, un tempo divinità assiro-babilonese dei venti e delle tempeste. La patristica e i padri della chiesa riscrissero pazientemente le mitologie pagane per creare il nemico di cui la propaganda della nascente istituzione ecclesiastica aveva bisogno. Per questo, oggi, vedere un film come “Gli Dei di Rimpiazzo” è un'esperienza bizzarra. Interessante e irritante nello stesso tempo.


Il documentario si apre e si chiude nel modo peggiore possibile. Lo spezzone iniziale è un documento d'epoca che ci riporta alla nascita del comics code americano, alla crociata contro i fumetti dello psichiatra Fredric Wertham e al suo “La Seduzione dell'Innocente”. Al termine di quella sequenza, lo spettatore è indotto a pensare che il filo del discorso verrà ripreso. Invece no. Termina lì, quasi fosse un'epigrafe posta a memento per i posteri. In sostanza, per il film, quanto contestato ai fumetti da Fredric Wertham era vero e legittimo. E sembra suggerire che sarebbe una posizione da recuperare in questi anni bui. La tirata finale, invece, è tra le più scontate in ambito religioso (tanto da livellare praticamente qualsiasi confessione cristiana), e conclude la disamina affermando che uno solo è il supereroe che dovremmo tutti adorare e che ci salva, e cioè l'unico e solo Gesù Cristo.

Un documentario di propaganda religiosa, dunque, ma non privo di spunti di interesse. I rapporti tra la nascita dei supereroi e le antiche mitologie è curato e supportato da fonti che destano la curiosità dello spettatore. Non lesina neppure l'inserimento di interviste o citazioni di opere di Alan Moore e Grant Morrison, e il loro rapporto con l'occulto. Peccato che alla fine scopra i giochi con l'affermazione puerile e dichiaratamente propagandista che niente di buono può venire da storie a fumetti scritte da chi è abituato a flirtare con i demoni. Il concetto di inversione (cioè mettere Lucifero al posto di Cristo e rendere il primo un eroe e il secondo un malvagio protettore dello status quo) avrebbe (qualora affrontato in modo più distaccato) potuto prestarsi a un'affascinante lettura metaforica (e politica) di rovesciamento dei ruoli precostituiti. Batman, esempio di eroe moderno che fa della simbologia demoniaca un lampante ribaltamento tra luce e tenebre, tra bene e male, dovrebbe essere uno dei punti cardine di questa analisi religiosa. Succede, però, che “Gli Dei di Rimpiazzo” finisce con il disinnescarsi da solo, quando (esaminando le pellicole dedicate all'Uomo Pipistrello nel corso degli anni) confonde con ingenuità disarmante il personaggio di Joker con quello dell'Enigmista, come se fossero un unico villain. E lo fa più volte, con uno scivolone che non sfugge ai lettori abituali, rivelando una falla molto grossa nella conoscenza e nell'attenzione degli autori nei confronti del media di cui stanno discutendo. Né parliamo di un errore da poco, giacché se ho una tesi da dimostrare, e sono in grado di citare la Bibbia, la Cabbala, antiche leggende e testi esoterici, dovrei dimostrare di conoscere i rapporti e le identità di banali personaggi dei fumetti. Ancora più allarmante è l'uso parziale e manipolatorio delle interviste tratte da più documentari preesistenti. La testimonianza farlocca (un semplice scherzo, in realtà) di Warren Ellis sulle presunte pratiche negromantiche di Grant Morrison, estratta dal film "Talking with Gods", è proposta fuori contesto, come un atto d'accusa talmente serio e inquisitorio da dare i brividi.
Questi elementi causano un clamoroso autogoal. Infatti, tutto ciò che si è ascoltato nei minuti precedenti si appanna, diventa dubbio. Posso e devo fidarmi delle notizie fornite da una fonte così dichiaratamente faziosa, apparentemente erudita, ma pronta a scivolare così platealmente su una buccia di banana?


Alla resa dei conti, “Gli Dei di Rimpiazzo” è un documentario pensato per denunciare un complotto mistico in cui i fumetti di supereroi giocherebbero un ruolo importantissimo. Far credere ai giovani che Cristo è malvagio, rendere la sua divinità irriconoscibile come lo fu per chi lo inchiodò alla croce, e alimentare l'attesa di un messia più terreno, più pragmatico, che salvi fisicamente e non spiritualmente. I temi trattati restano stimolanti dal punto di vista storico e antropologico, ma non può che far balzare il cuore in gola per la profonda arretratezza del messaggio di base, l'incapacità di accettare l'innocenza dei sogni, delle simbologie popolari più ingenue e la loro fondamentale inoffensività. Sembra, a tratti, di essere veramente tornati ai tempi del dottor Wertham, e si prova disagio per il fatto di non riuscire a smettere di guardare, di ascoltare. Sì, perché “Gli Dei di Rimpiazzo”, nonostante la consistente falla di credibilità, dimostra una forza affabulatoria non da poco, e i vari parallelismi possono essere seguiti e apprezzati da chi ama i supereroi senza leggervi nessun contenuto volto a influenzare la nostra personale visione religiosa.

Gli Dei di Rimpiazzo” è un documentario che va visto. Magari criticato. Ma non evitato per preconcetto. Anzi, va conosciuto proprio per scoprire quanti punti di vista differenti possano esistere sulla Nona Arte e sulla figura, oggi sfruttatissima, del supereroe. Il film commette anche l'errore di predicare ai convertiti (il tono dello speaker è sempre da sermone e dà molto, troppo per scontato di stare parlando a un pubblico credente) e di utilizzare in modo strumentale (e forse anche un poco scorretto) testimonianze più o meno dirette di due mostri sacri del mezzo: Moore e Morrison, qui presentati (sebbene tra le righe) quasi come profeti del Male e sabotatori dell'opera di rivelazione dell'unico vero Dio. Peccato, aggiungerei, che gli autori abbiano completamente dimenticato l'opera “Promethea” di Alan Moore e il suo particolare concetto di Apocalisse. Ne avremmo visto e sentite delle belle. Ma forse, Promethea e i suoi miracoli è troppo buona, troppo saggia, troppo donna per figurare come messia nero. Probabilmente è per lo stesso motivo che il personaggio di Wonder Woman, presente nel documentario, non è approfondito più di tanto. Eppure sarebbe stato uno spunto per parlare del nascente femminismo, delle streghe e del loro rapporto con i segreti della natura, osteggiate dal maschio detentore del potere tanto in famiglia quanto presso l'ordine costituito. Ma parliamo di un'opera di propaganda, e non possiamo aspettarci che sia quello che non è. Possiamo prendere ciò che offre di accattivante, e cioè le concatenazioni tra mito e fumetto contemporaneo, con la sacrosanta raccomandazione di controllare le fonti e approfondire per conto proprio. Non sia mai di confondere un personaggio con un altro, servendo su un piatto d'argento al nostro uditorio una ricca porzione di dubbi su quanto detto prima e dopo.

Gli Dei di Rimpiazzo” è un documentario non mainstream, non contiene niente di politicamente corretto. E' schierato, è quello che è: un veicolo di propaganda religiosa. E va fruito con questa consapevolezza. Pertanto, guardate il film, pensateci su, discutetene con i vostri amici. Una cosa è sicura. Lo spunto di conversazione (o dibattito) è molto consistente.







martedì 17 marzo 2015

Sorriso Amaro: la questione della cover di Bargirl 41


Cosa succede quando il politically correct porta degrado culturale e diventa triste caricatura di se stesso.
La cover disegnata da Rafael Albuquerque per Batgirl 41 (realizzata in occasione del 75nario del personaggio del Joker) che allude dichiaratamente allo storico "A Killing Joke" di Alan Moore, viene attaccata da movimenti femministi che richiedono la sua sostituzione. La motivazione è che l'immagine alluda al passato violento di Batgirl-Barbara Gordon, quando - in quello storico racconto - venne (temporaneamente) resa invalida dal Joker che le sparò per poi mostrare le sue foto (nuda e insanguinata) al padre, Jim Gordon, per tormentarlo e farlo impazzire.

Personalmente trovo bizzarro che ci si indigni davanti alla citazione, e non si chieda a questo punto il rogo (come al tempo fu per "Ultimo tango a Parigi" di Bernardo Bertolucci) per l'opera originale, dove lo sparo, la nudità e la (teorica, mai confermata esplicitamente) violenza sessuale vengono perpetrati. Trovo ipocrita che la caratterizzazione delle supereroine che combattono il crimine con le cosce nude e quasi in topless non susciti le medesime reazioni. Le eroine nudiste sono ampiamente sdoganate in quanto tributo all'imperante punta di vista del lettore di sesso maschile, ma l'allusione a un passato traumatico, resa in modo insinuante suscita prurigine. Trovo strano che dopo decenni di esistenza di Wonder Woman (quasi sempre mostrata in pose bondage nelle sue copertine storiche) ci si turbi per una cover che mostra l'eroina in balìa del cattivo (elemento che peraltro è frequentissimo in tutte le copertine dei fumetti supereroistici, dove il protagonista, sia uomo o donna, spesso è mostrato in difficoltà se non sconfitto e umiliato dal villain di turno). Lo trovo strano, quasi buffo... sociologicamente curioso.
Questo sì.

domenica 15 febbraio 2015

A Killing Joke - un corto di Claudio Di Biagio


Dopo l'exploit di Dylan Dog: Vittima degli eventi, mediometraggio dedicato all'indagatore dell'incubo di casa Bonelli grazie al supporto dei fans attraverso le dinamiche del crowdfunding, e molto dopo l'esperimento (interrotto) della web serie Freaks!, Claudio Di Biagio (Non aprite questo Tubo) continua sulla strada che ormai è dichiaratamente la sua via maestra. Affermare il suo talento di filmaker e l'abilità della crew che collabora alle sue opere. Ecco quindi arrivare su Youtube A Killing Joke, un corto (cortissimo) liberamente ispirato al celebre fumetto firmato da Alan Moore e Brian Bolland. Il breve video non pretende di adattare la trama dell'opera di Moore, ma si limita a inscenare tramite un montaggio espressivo e un ritmo incalzante la famosa “barzelletta” con cui il Joker, nel finale, suggerisce a Batman che dopotutto tra loro due non c'è molta differenza. Sono entrambi pazzi da legare. Ed così che il Joker ci viene mostrato. In ceppi, contenuto in una camicia di forza. E, a sprazzi, con la sua tenuta d'ordinanza, con tanto di papillon, per sottolineare l'atmosfera onirica e allucinata in cui il breve monologo è calato. Claudio Di Biagio stesso presta la sua mimica mefistofelica al protagonista, mentre la voce recitante è di Mattia Giuseppe Tassar. Il make up che trasforma Di Biagio nella nemesi dell'Uomo Pipistrello è invece opera di Francesco Sanseverino.



Che dire? Che si tratta di un esercizio di stile davvero egregio. Breve, com'è giusto che sia una prova tecnica. Tagliente, come la voce di Tassar, veramente bravo, e che buca il video con la presenza di Di Biagio che qui si mostra (a parer nostro) in una delle sue migliori performance. La sua fisionomia già di per sé giullaresca (e già abbondantemente sfruttata altrove, dando vita a personaggi beffardi al limite dell'urtante, vedi Freaks!) trova in questa prova fulminea la sua dimensione ideale. La “maschera” di Di Biagio è probabilmente fatta per sposare i make up che ne fanno risaltare i tratti sardonici, e non ci dispiacerebbe vedere in futuro altre prove come questa.

Un bel, piccolo lavoro che, senza particolari pretese, dà contezza dell'evoluzione tecnica della ciurma guidata da Di Biagio. Una chicca imperdibile per tutti i fans di Batman.

lunedì 7 gennaio 2013

Before Watchmen - Osservazioni - Parte 2


Ok, abbiamo buttato un'altra occhiata al prequel-apocrifo che ci accompagnerà anche per la prima metà del prossimo anno. Before Watchmen va avanti... e le sensazioni iniziali, finora almeno, sono confermate. Vediamo un po'.


NITE OWL #1 (DI 4): Un ritmo lento che non fa sperare in una veloce ripresa. Il senso di già visto impera, e soprattutto sono in agguato paragoni scomodi (ma necessari) con altre opere che per riffa o per raffa si sono rapportate, negli ultimi decenni, con il capolavoro di Alan Moore. Vedere il giovanissimo Daniel tampinare Hollis Mason, il primo Nite Owl, e cantargli le lodi dei suoi gadget, non può che far pensare all'inizio del film Gli Incredibili. Il gioco di riprendere scene madri dell'opera originale e mostrarla attraverso la soggettiva di eroi singoli non aggiunge un'atmosfera veramente fresca. Anzi, dà rilievo a quanto il soggetto sia derivativo. Insomma, questo Nite Owl non ci ha entusiasmato gran che. J.M. Straczynski ha brillato altrove di luce più intensa, e la sola vera ragione di sfogliare questa miniserie (a giudicare dal primo numero, almeno) sono i disegni del grande Joe Kubert (affiancato dal figlio Andy). Qui alla sua ultima prova prima della recente scomparsa.





OZYMANDIAS #1 (DI 6): L'origine di uno dei più enigmatici tra i protagonisti dell'originale Watchmen, e del quale - in effetti - abbiamo sempre saputo poco (se non per linee molto generali). Il sapore della pietanza non cambia in modo sostanziale. Ma per una volta, l'eroe è poco convenzionale, come le sue abilità e le sue motivazioni. Non è facile provare empatia per un protagonista cosiderato l'uomo più intelligente del mondo, che per scelta narcisistica segue le orme di Alessandro Magno e dei faraoni. Qualche curiosità da gossip sulla sua giovinezza e sulla sua singolare origine di vigilante. Ma Len Wein, alla sceneggiatura, non si sforza più di tanto per brillare di luce propria, e una delle principali ragioni per leggere questo albo - anche in questo caso - sono i disegni di un sempre suggestivo Jae Lee. Una curiosità. Da tempo immemore, gli esegeti del Watchmen di Moore hanno sempre suggerito l'omosessualità di Adrian, indicandolo come uno dei primi supereroi esplicitamente gay. Noi ci siamo sempre chiesti quali fossero gli indizi cruciali (forse lo spiccato senso estetico del personaggio?). Ad ogni modo, questo Before Wahtchmen, sin dal primo capitolo, ci rivela che si trattava solo di gossip.


MINUTEMEN #2 (di 6): Senza impegno, ok? Non significa che leggeremo le miniserie per intero. Ma giusto un'occhiata ai secondi numeri, per avere un quadro d'insieme più preciso, ci può stare. La marcia ingranata non cambia rispetto al primo capitolo (e ci sono ben altre quattro uscite, eh!). Si pretende di fornire qualche dettaglio in più sul passato di Hollis Mason e dei vigilanti che lo circondavano nella prima fase delle loro apparizioni. Episodi imbarazzanti, torbidi segreti. Nostalgico, d'accordo, ma anche noioso e fondamentalmente inutile.
C'è veramente poco da fare, e la prima osservazione che viene in mente è: Ok, vuoi produrre un prequel omaggio a Watchmen. Scrivi una miniserie. UNA. E fatti venire un'idea decente per celebrare queste icone, piuttosto che pretendere di approfondire qualcosa che ha già detto tutto. Mah! Vedremo che cosa hanno da offrire gli altri numeri uno in uscita, ma le aspettative - a questo punto - sono davvero basse.

Alla prossima.




lunedì 10 dicembre 2012

Supreme - the Story of the Year


Supreme è tornato. Dopo un lungo esilio nello spazio, il gigante di alabastro si dirige verso la terra. Ma qualcosa non va. Il pianeta, le persone, le cose, non sono come Supreme le ricordava. In effetti, ricorda veramente poco della sua vita passata. Come se qualcosa o qualcuno stesse riscrivendo la sua esistenza, definendone ex novo tutti i dettagli, fino al più piccolo, nascosto segreto...

 
Torna Supreme. Quello che aspettavamo, quello più vero, insomma. E torna Alan Moore, in uno dei suoi lavori revisionisti più riusciti e certosini, in un bel volume delle edizioni Renoir che presenta in un'unica soluzione l'intera saga The Story of the Year, che ridisegnò interamente il cosmo del personaggio creato da Rob Liefeld giovando a Moore il Premio Eisner nel 1997 per la migliore sceneggiatura. Più che di revisione, però, potremmo parlare di vera e propria rifondazione. Un nuovo inizio e una sostanza fumettistica affatto diversa da quella degli esordi. Senza provare a nascondersi dietro un dito, si può affermare che Supreme fosse nato per essere la versione Image dell'unico e solo Superman. Una delle tante controfigure che, nel corso della storia, svariati marchi editoriali hanno affiancato ad altrettanti personaggi iconici, nati e cresciuti agli albori della storia supereroistica. Superman e Batman avanti a tutti. Dell'Uomo d'Acciao si erano già viste una quantità di cloni più o meno dichiarati, ma tutti abbastanza riconoscibili (Capitan Marvel, Miracleman, Hyperion dello Squadrone Supremo) e molti altri ancora sarebbero seguiti. 


L'avventura editoriale della Image, iniziata nel 1992, aveva attinto a piene mani da più universi narrativi per popolare un cosmo appena nato che si preparava a sbancare soprattutto in forza delle spettacolari illustrazioni. Erano gli anni degli scontri senza una chiara causa, delle storie che terminavano con un puff, e di antieroi dalle personalità bidimensionali, violenti quanto appariscenti se non kitsch. Dopo aver creato la squadra degli Youngblood, il disegnatore Rob Liefeld (già destinato a diventare leggendario per le sue anatomie impossibili e grottesche) lanciò Supreme: sorta di Superman albino, glaciale e spietato. Per capire di che stoffa era fatto questo Uomo d'Acciaio di fine millennio, vale la pena ricordarne gli esordi. Supreme faceva la sua comparsa tornando sulla terra dopo un volontario esilio (lo stesso espediente che Moore userà per il suo reboot, ma anche – anni dopo – Bryan Singer nel cinematografico Superman Returns), e dava subito prova del suo ardore contro un gruppo di terroristi barricati in un aeroporto, riducendone alcuni a brandelli sanguinolenti e altri in cenere con la sua letale vista calorifica. Qualcosa di simile al Superman assassino che molto tempo dopo avremmo visto nell'Irredeemable di Mark Waid, ma con ben altri risultati. Un ulteriore sviluppo caratterizzò Supreme come un invasato religioso, portando avanti la versione di un Superman psicopatico e violento. Erano i primi anni novanta e lo slogan per vendere le storie degli eroi in tuta sembrava essere: feroce, perciò figo. In qualche modo, la serie funzionò dal punto di vista delle vendite, resistendo fino al numero 40. Frattanto, Liefeld lasciava la Image per fondare l'etichetta Extreme, ed è in questo momento che Alan Moore prende in mano il timone di Supreme e, semplicemente... todo cambia


Supreme torna (di nuovo) dallo spazio, ma non è più lui. Qualcosa è cambiato dal primo stile Image. In meglio. E Supreme è destinato a diventare una delle controfigure dell'unico Superman più riuscite e dettagliate di tutti i tempi. Complice la magia e la passione che caratterizza la scrittura di un Alan Moore particolarmente ispirato. La sete di sangue è stata azzerata, così ogni velleità da cattolico esaltato. Quello che adesso ci troviamo davanti, per indole e attitudini, è semplicemente Superman, ma noi – complici – lo chiameremo Supreme. Non è un mistero che la fase fumettistica relativa agli eroi in costume più amata dal Bardo di Northampton fosse la Silver Age. Quel periodo editoriale che si colloca tra il 1961 e i primi anni settanta, quando le avventure degli eroi con poteri erano più ingenue, ma anche dense di avventura, senso del fantastico e di invenzioni iconiche memorabili. Moore era rimasto deluso nel vedere che il suo lavoro di svecchiamento dei supereroi svolto su Watchmen aveva figliato soltanto rampolli degeneri, che dal suo capolavoro prendevano soltanto gli aspetti cupi ed efferati, ignorandone completamente la profondità e la riflessione esistenziale. E' probabile, pertanto, che abbia affrontato il rilancio di Supreme come una sfida personale. La fantasia e il piacere della meraviglia rialzavano la testa contro quell'industria che stava uccidendo le storie a favore dello spettacolo disegnato più superficiale, violento e alla lunga stucchevole. 
Supreme – The Story of the Year è un monumentale atto d'amore al Superman più classico, ai suoi comprimari storici e a tutti i suoi feticci e tormentoni, anche i più pazzi e desueti. L'invenzione metafumettistica di Moore pone il protagonista di fronte a un fenomeno di palingenesi generale. Tornato dal suo lungo viaggio nello spazio, Supreme scopre che l'intero universo è soggetto a ciclici assestamenti che ridisegnano tanto il passato quanto il presente (lavoro che nella realtà stava venendo svolto dallo stesso Moore), sostituendo di fatto la realtà conosciuta con una nuova e differente. Supreme, dunque, non uccide nessuno. Anzi, non lo ha mai fatto, non ci pensa neanche. I suoi vuoti di memoria sono riconducibili al ridisegnarsi della sua realtà personale, e nella Supremazia, limbo dove si rifugiano e prosperano come in un Valhalla tutte le sue versioni passate, avrà modo di incontrare le varianti più demodé e strampalate che siano state date dell'Uomo d'Acciaio (comprese le sue versioni parodistiche e zoomorfiche). 

 
Dopo la definizione filosofica del concetto di riavvio come nuova genesi e della Supremazia come memoria storica del personaggio, il Bardo si scatena e consegna ai posteri il più divertente e ben scritto compendio sulla mitologia di Superman che sia mai stato realizzato. Nel mondo di Moore, Supreme ha un'identità umana, si chiama Ethan Crane e disegna fumetti per la Dazzle Comics dove lavora come sceneggiatrice la donna dei suoi sogni: Diana Dane. Ogni singola icona è recuperata da Alan Moore e forgiata in un fuoco che la rende diversa eppure identica al suo omologo DC Comics. Incontriamo così Radar, il corrispettivo di Kripto il supercane, Supergirl-Suprema (cugina per Superman, sorella per Supreme). Esploriamo la sua Cittadella-Fortezza della Solitudine, un vero e proprio museo del fantastico, pronto in alcune occasioni a trasformarsi in un pericolosissimo Luna Park. Lo stesso vale per luoghi (come Smalville che diventa Littlehaven) e concetti (la città in bottiglia Kandor, qui invece trasformata in un cristallo). La Justice League – immancabile – si trasforma negli Alleati, e il contributo di molti disegnatori (ognuno con il suo stile peculiare) consegna all'immortalità ogni dettaglio del mondo e dei tempi storici di Supreme-Superman, con una sarabanda di storie che spaziano dal nostalgico al parodistico, alternando anche gustose riflessioni metafumettistiche e dichiarate frecciatine all'Image style che dopo l'iniziale successo aveva già intrapreso la sua fase calante. 


Unico punto debole (se così si può dire) di Supreme – The Story of the Year, è forse che può essere goduto appieno da veterani che conoscono bene il mito di Superman e le sue declinazioni decennali. Il divertimento è tanto quanto più è possibile riconoscere l'humus fumettistico con cui Alan Moore ha realizzato le proprie alchimie, cogliendo variazioni, citazioni e affascinanti trasfigurazioni concettuali. Un pubblico molto giovane potrebbe magari apprezzare la coerenza fantasiosa del tutto, ma senza coglierne gli aspetti ironici e critici. Rappresentativa la trilogia di episodi realizzata nello stile dei Racconti della Cripta della EC Comics, che negli anni 50 strappò lo scettro di fumetto più seguito agli eroi in costume e segnò l'inizio della loro crisi dopo i fasti del periodo bellico. Già allora – rammenta Moore – le ansie sociali erano ben al di sopra delle capacità di un supereroe, anche del più potente. Neppure Supreme può nulla contro il mutare dei costumi, come gli ricorda (allusione al magazine satirico Mad) l'improvvida trasformazione in una versione distorta e ridicola di se stesso. Da questo punto di vista, la giostra del gioco fumettistico innescato da Moore con la sua ciurma di artisti al seguito è strepitosa, e riesce a presentare dei veri salti nel tempo, mutando stile a seconda delle epoche e dei contesti che va a toccare.


Ma il Supreme di Alan Moore non è soltanto un delizioso e interessante mosaico che cuce insieme pezzi di storia del fumetto. C'è ampio spazio per l'avventura nel più incantevole stile del Bardo. Anzi, per un'avventura circolare che semina indizi e trappole di cui non ci renderemo conto se non alla fine, quando la grande festa deflagra ed è tempo, dopo i fuochi colorati, della mascoliata finale. Un'avventura che chiude il cerchio con grande stile, e che avrebbe dovuto preludere a una seconda, longeva vita del Supreme definitivo. Non fu così, purtroppo. Quando la collaborazione di Rob Liefeld con la Extreme si esaurì (causando la chiusura anticipata di Supreme: The Return, successivo ciclo firmato da Moore) il Bardo lo seguì presso la nuova etichetta Maximum, per la quale realizzò Judgment Day, un crossover che avrebbe dovuto estendere il suo lavoro di riscrittura all'intero cosmo fumettistico fondato da Liefeld. Ormai, però, le finanze scarseggiavano, e la Maximum (subito trasformatasi in Awsome Comics) naufragò trascinando con sé quel che restava dei progetti del Bardo, tra cui il rilancio degli Youngblood. Quel che seguì e segue tuttora è solo routine commerciale. Per quanto ci riguarda, Supreme ha fatto ritorno nella Supremazia, portando con sé tutta la folla di eroi felicemente riscritti da Moore (praticamente l'intero cosmo DC). Ma ormai abbiamo imparato che ci sarà sempre un Supreme che vola da qualche parte. Magari ammantato da colori differenti, forse sotto altri nomi. A volte ci ostiniamo a chiamarlo Superman, ogni tanto gli affibbiamo nuovi appellativi. In certi casi è l'eterno boy scout fisicamente sviluppato che conoscevano i nostri nonni, in altri un folle e inarrestabile mostro. Comunque sia, ci sarà sempre un Supreme nell'immaginario fumettistico di tutti noi. Per quanto trasformato, per quanto tradito, tornerà sempre a esigere il suo ruolo nei nostri sogni. E questo, Alan Moore lo aveva capito tanto tempo fa.


 Questa recensione è stata pubblicata anche su FantasyMagazine.

[Articolo di Filippo Messina]


martedì 4 dicembre 2012

Before Watchmen: osservazioni - Parte 1

    

Before Watchmen è qui. E' arrivato, o meglio... «E' incominciato!» come dice il Numero 6, il gelido Cylone biondo all'inizio della miniserie che fa da prologo a Battlestar Galactica. Calendario Maya e meteroriti in cerca di compagnia permettendo, questa ulteriore calamità commerciale sta attraversando anche il nostro paese, e già lascia tracce di devastazione, suscitando caos più che clamore. Del resto, come si poteva supporre, questo prequel attira la curiosità anche di quanti hanno appena sbirciato il capolavoro di Alan Moore attraverso la riduzione cinematografica diretta da Zak Snyder. Pubblico che – spesso – non ha mai maneggiato un fumetto (e si vede!). Così la confusione seguente (credeteci) non è da sottovalutare. Le numerose miniserie e i due speciali stanno mietendo vittime anche tra i nostri già ammaccati neuroni. Curiosità? Malattia? Necessità professionale? Nerdaggine acuta?


Ne vogliamo proprio parlare? Fare paragoni con il Watchmen classico di Moore è ovviamente la cosa più inutile del mondo. Possiamo spigolare tra i primi numeri delle miniserie finora giunte in Italia e commentare quanto l'operazione nostalgia stia dando i suoi frutti. Anche perché, in un certo senso, l'attesa nei confronti di questo Before Watchmen non era molto dissimile da quella creatasi quando la scrittrice americana Alexandra Ripley annunciò che stava scrivendo un seguito di Via col vento per regalare ulteriori tribolazioni a Rossella O'Hara e ai lettori di Margaret Mitchell.
Ok, il paragone farà storcere il naso a molti, ma torniamo a Watch... a Before Watchmen.

Vediamo un po'...

MINUTEMEN #1 (DI 6): Mason Hollis, il primo Nite Owl, sta già scrivendo il libro di memorie che strapperà la maschera agli uomini del mistero e narrerà la nascita della supersquadra per antonomasia nell'universo di Watchmen: i Minutemen. Darwyn Cooke ha esperienza come pochi per evocare atmosfere retrò, e avergli affidato sia i testi che le illustrazioni per questo segmento celebrativo della saga si rivela un'idea azzeccata. Tuttavia, di nuovo non c'è nulla. Solo la volontà di guardare indietro, a un Hollis più giovane, ma non abbastanza, affinché svolga il medesimo ruolo di memoria storica già rivestito nell'opera di Moore. L'effetto nostalgia presente nel classico Watchmen è qui riproposto con un tentativo di imitazione parzialmente riuscito, ma anche privo di una propria identità. L'effetto è quello di un'eco più che di un'opera autonoma. Riuscito come la copia pittorica che un talentoso imitatore può realizzare del pezzo di bravura di un artista dal carisma immenso. Chissà cosa avranno da dirci le uscite successive.

 

IL COMICO #1 (di 6): Il personaggio di Edward Blake, il vigilante conosciuto come il Comico, non è ancora stato in Vietnam. Le esperienze belliche sono di là da venire, non porta dunque ancora lo sfregio che lo deturperà fino alla fine della sua vita. Eppure la sua anima è già nera e segnata in profondità. Il suo ruolo è perlomeno ambiguo. Difensore della patria o semplice sicario? Le sue relazioni amichevoli con la famiglia Kennedy ci suggeriranno qualcosa in più sui suoi trascorsi di “eroe” governativo, sul suo rapporto con Jacqueline Kennedy e... una celebre, misteriosa morte. Sfiorando (a nostro parere) il ridicolo, Brian Azzarello tenta in questo primo numero la carta della dietrologia, ma i disegni corposi di J.G. Jones non lo aiutano a confezionare una partenza convincente. Certo, siamo soltanto al primo numero... ma se il buon giorno si vede dal mattino...


SILK SPECTRE #1 (DI 4): Il passaggio di consegne tra una controversa ex supereroina, Sally Jupiter, e la sua riluttante figlia, Laurie. Un conflitto familiare che porterà alla genesi di una nuova eroina, sicuramente diversa e forse migliore. Silk Spectre, almeno in questo primo numero, sembrerebbe il tassello più riuscito dell'operazione commerciale targata Before Watchmen. Forse perché le dinamiche tra una madre prigioniera di un passato glorioso (e pieno di segreti torbidi) e una giovane figlia che vorrebbe soltanto vivere la propria vita, riesce ad affascinare per le sue atmosfere crepuscolari, che potrebbero funzionare anche se svincolate dall'ingombrante parentela con il capolavoro di Alan Moore. Due caratteri forti a confronto, due differenti modi di intendere l'eroismo. Due donne di epoche diverse... Insomma, non ce l'aspettavamo. Ma aspettiamo di leggere il secondo capitolo di Silk Spectre con più impazienza degli altri. Darwyn Cooke tesse dialoghi leggeri e Amanda Conner è in ottima forma. 


Il resto è da vedere. Non parleremo de La Maledizione del Corsaro Cremisi, il racconto in stile Vascello Nero che farcisce ulteriormente la frittata commerciale con la sua programmazione (identica a quella statunitense) spezzettata (e incasinata) tra le varie uscite. Becchettare briciole di qua e di là, forse, un giorno ci farà sentire sazi. Ma allo stato delle cose non sappiamo ancora che cosa stiamo mangiando, e la pietanza non ha destato il nostro interesse più di tanto. Il brodo è troppo, troppo allungato.

Alla prossima!



lunedì 24 settembre 2012

Grit! Devil secondo Alan Moore


Il nome di Alan Moore fa certamente suonare un campanello nella memoria di molti appassionati di fumetti. Il fondamentale Watchmen, certo. Il geniale V for Vendetta, ovvio. L'ambizioso e inquietante From Hell, il giocoso La Lega degli Straordinari Gentlemen. I lettori più onnivori e attenti ricorderanno anche piccole gemme firmate dal bardo di Northampton, come la storia immaginaria (non lo sono tutte?) dedicata a Superman, Che cosa è successo all'Uomo del Domani? Batman, The Killing Joke. La saga di Capitan Bretagna, le brevi run sullo Spawn di Todd McFarlane e altro ancora. Ma in quanti penserebbero a Devil? Ebbene, non sono molti a ricordarlo in Italia, ma l'avvocato cieco protettore di Hell's Kitchen è passato, in qualche modo, anche sotto il pennino fatato di Moore. 

E' avvenuto negli anni ottanta, sulla rivista britannica intitolata proprio The Daredevils (Gli Spericolati), dove apparirono per la prima volta gli episodi di Capitan Bretagna firmati da Moore e disegnati da Alan Davis, e dove fu ristampata anche lo storico, fortunato ciclo di Devil scritto da Frank Miller che ridefinì del tutto il personaggio del vigilante cieco e del suo mondo.
Alan Moore pubblicò sulla rivista questa breve parodia tutta dedicata alla versione milleriana di Devil, al suo tono da romanzo hard boiled, alle sue ambientazioni cupe e ai suoi personaggi ruvidi. Non a caso il breve racconto si intitola GRIT (praticamente, Il Grinta), canzonatura sul tono da scuola dei duri che Frank Miller aveva impresso alla serie sul diavolo rosso. Atmosfere malsane, oscure ambientazioni metropolitane, villain mai così crudeli e morti improvvise. Un vero spartiacque stilistico che avrebbe influenzato, nel bene e nel male, molte celebri icone a fumetti, fino alla ridondanza e alle sue applicazioni più estreme e commerciali (come ha fatto notare l'autore Mark Waid, recentemente trionfante agli Eisner Awards proprio per la sua gestione di Daredevil). GRIT, la parodia di Moore gioca esattamente con le spigolosità del racconto che si propone come noir a ogni costo, e le mette alla berlina con humor britannico proprio nel loro periodo di maggiore popolarità. Le didascalie hanno un tono sarcastico, quasi provocatorio nei confronti del lettore, mentre il disegnatore Mike Collins offre a sua volta una gustosa citazione dello stile di Miller, delle sue ombre e dei suoi manierismi. Daredevil, l'Uomo senza Paura, diventa così Dour (Cupo, Tetro) Devil, l'Uomo senza il senso dell'Umorismo, e la sua crociata contro il crimine di New York è sbeffeggiata con il medesimo spirito di casa su riviste come Mad, magazine noto anche per le sue parodie supereroistiche. E' probabile che questo breve scherzo sarebbe caduto nel dimenticatoio se a firmarlo non fosse stato l'autore di così tanti classici moderni. Ma una delle arti più seducenti del mago Alan Moore è sempre stata anche la sua duttilità, la capacità di cambiare pelle e sorprendere. E' con piacere, dunque, che riscopriamo questo suo divertito, grintoso, esercizio di stile.