Rick Veitch, un fumettista underground innamorato dei supereroi. Talmente estroso e in gamba da subentrare al timone di Swamp Thing subito dopo il celebrato ciclo del bardo Alan Moore, e di andare via (dalla testata e dalla casa editrice) quando si vede bocciare un progetto considerato troppo ardito per i tempi. Autore di opere iconoclaste, stravaganti, profonde, divertenti. E di The One, che si propone (a metà degli anni 80) come "l'ultima parola sui supereroi". Per lo stesso Alan Moore, che firma la prefazione all'edizione in volume, The One e Veitch hanno anticipato l'ondata di rinascimento supereroistico che vede il suo picco di maggiore visibilità in Watchmen. Ma The One, pur parlando di supereroi, va molto oltre. Quando il fumetto è figlio dei suoi tempi, ma è capace anche di crescere e camminare sulle sue gambe, senza data di scadenza. Ed è satira, fantasia, divertimento. E ci parla di noi, di quanto potremmo o dovremmo essere migliori.
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sabato 10 settembre 2016
sabato 13 agosto 2016
Reading Comics: The Killing Joke - Scena Finale [letta da Altroquando]
Mi
sono accorto che questi miei primi esperimenti di drammatizzazione
fumettistica (chiamo così le mie letture) sono rimasti un po'
in disparte,
sommersi dalla produzione video successiva. Inoltre fanno parte di
video più lunghi e articolati, e di conseguenza sono stati ancora
meno visibili. Dal momento che riciclandoli in "pillole"
sulla piattaforma Vimeo sembrano essere graditi, ho deciso di creare
una nuova playlist che poco per volta li raccoglierà. Il tag scelto
è "Reading
Comics".
Piccoli esempi di lettura, spunti per immaginare come potrebbe essere
ascoltare certi dialoghi topici nella nona arte. Anche se da un
lettore modesto e imperfetto come me. E anche dei piccoli (e medi)
trailer per il canale di Altroquando.
Non so, io ci provo. Tenendo conto che alcuni di questi lavori hanno
già un paio d'anni (ma altri sono seguiti e seguiranno). Comunque,
ecco ancora (stavolta strategicamente posizionata sul Tubo) la mia
versione della scena finale di "A
Killing Joke"
di Alan Moore e Brian Bolland.
mercoledì 27 gennaio 2016
mercoledì 4 novembre 2015
The Mindscape of Alan Moore, 5 Novembre al TMO di Palermo
5 Novembre 2015 presso il Teatro Mediterraneo Occupato via Martin Luther King 90142 Palermo
continua il ciclo di documentari "La Nona Scelta" con il film "The Mindscape of Alan Moore" dedicato al bado di Northampton.
ore 19,30 apericena con prodotti genuini e biologici
Ore 20,30 proiezione di una selezione di cortometraggi
ore 21,00 Presentazione documentario a cura di AltroQuando e proiezione
Ore 20,30 proiezione di una selezione di cortometraggi
ore 21,00 Presentazione documentario a cura di AltroQuando e proiezione
martedì 1 settembre 2015
Gli Dei di Rimpiazzo: Supereroi, Religioni e Macchine del Tempo...
“The Replacement Gods” (“Gli dei di rimpiazzo”) è un documentario americano del 2012 prodotto dalla Little Lights Studios, studio cinematografico senza scopo di lucro per la divulgazione religiosa presso i giovani, che tratta dei fumetti di supereroi e della loro ingombrante (e ovvia) parentela con le mitologie antiche, l'esoterismo, le simbologie bibliche. L'approccio è protestante e, benché il film non contenga alcun riferimento esplicito, si direbbe espressione della Chiesa Avventista del Settimo Giorno, cui è legato anche Light Channel Italia, che ne ha curato per l'appunto l'edizione italiana.
Un film di 95 minuti molto denso.
Discutibile e interessante nello stesso tempo. Affascinante per la
ricchezza dei contenuti e spiazzante per le improvvise cadute di
tono. E' curioso notare (da liberi pensatori) come l'argomento alla
base del documentario (che, ricordiamo, parla dei supereroi, della
loro genesi e soprattutto della loro funzione) non è prettamente
“protestante”, ma ha radici comuni al cattolicesimo più antico.
Peccato che questo non sia un apprezzamento positivo o ecumenico.
Quel che viene spontaneo commentare è che il mondo cattolico, con
tutte le sue resistenze e pregiudizi, si esprimeva con determinati
toni e messaggi nel Medioevo, agli inizi della sua storia
istituzionale. Qui ci troviamo, invece, in presenza di un titolo del
2012. E la cosa, per chi ha un approccio laico alla vita e ai
fumetti, è abbastanza disturbante.
E' il caso di premettere che le
critiche (che ci saranno) non sono rivolte alla fede Avventista in
sé, ma ai toni e ai contenuti di questo film (benché sia lecito
supporre che siano stati approvati e allineati con le linee generali
della confessione cui appartengono). Per capire subito di cosa stiamo
parlando, basta un riassunto del tema principale del documentario
prodotto dal Little Light Studios (e reperibile anche in italiano su
Youtube). Il senso di tutto è che i fumetti di supereroi sono
strumenti diabolici, volti a perpetuare (così come le antiche
mitologie) un inganno nei confronti del genere umano, e indurlo a
venerare falsi dei, in modo da confondere le acque e sviare
dall'accoglienza di Cristo (soprattutto nella sua seconda venuta).
E' inquietante scoprire come le parole
di Sant'Agostino in De Civitate Dei, agli albori della chiesa
cattolica, siano state riciclate in ambito protestante riportando di
fatto indietro il tempo (e il modo di intendere la spiritualità) di
secoli. Per Agostino, le divinità dei pantheon pagani (buone o
cattive che fossero) non erano semplicemente delle figure simboliche
di forze della natura e di emozioni umane. Erano entità reali, ma di
natura demoniaca, il cui ruolo era quello di farsi adorare al posto
dell'unico vero Dio e di screditarne l'esistenza. Non a caso, in
molte narrazioni di genere horror a tema demoniaco, le presenze
diaboliche portano nomi di antiche divinità. Persino nel celebre
romanzo e film “L'Esorcista”, il demone protagonista è
Pazuzu, un tempo divinità assiro-babilonese dei venti e delle
tempeste. La patristica e i padri della chiesa riscrissero
pazientemente le mitologie pagane per creare il nemico di cui la
propaganda della nascente istituzione ecclesiastica aveva bisogno.
Per questo, oggi, vedere un film come “Gli Dei di Rimpiazzo”
è un'esperienza bizzarra. Interessante e irritante nello stesso
tempo.
Il documentario si apre e si chiude nel modo peggiore possibile. Lo spezzone iniziale è un documento d'epoca che ci riporta alla nascita del comics code americano, alla crociata contro i fumetti dello psichiatra Fredric Wertham e al suo “La Seduzione dell'Innocente”. Al termine di quella sequenza, lo spettatore è indotto a pensare che il filo del discorso verrà ripreso. Invece no. Termina lì, quasi fosse un'epigrafe posta a memento per i posteri. In sostanza, per il film, quanto contestato ai fumetti da Fredric Wertham era vero e legittimo. E sembra suggerire che sarebbe una posizione da recuperare in questi anni bui. La tirata finale, invece, è tra le più scontate in ambito religioso (tanto da livellare praticamente qualsiasi confessione cristiana), e conclude la disamina affermando che uno solo è il supereroe che dovremmo tutti adorare e che ci salva, e cioè l'unico e solo Gesù Cristo.
Un documentario di propaganda
religiosa, dunque, ma non privo di spunti di interesse. I rapporti
tra la nascita dei supereroi e le antiche mitologie è curato e
supportato da fonti che destano la curiosità dello spettatore. Non
lesina neppure l'inserimento di interviste o citazioni di opere di
Alan Moore e Grant Morrison, e il loro rapporto con l'occulto.
Peccato che alla fine scopra i giochi con l'affermazione puerile e
dichiaratamente propagandista che niente di buono può venire da
storie a fumetti scritte da chi è abituato a flirtare con i demoni.
Il concetto di inversione (cioè mettere Lucifero al posto di Cristo
e rendere il primo un eroe e il secondo un malvagio protettore dello
status quo) avrebbe (qualora affrontato in modo più distaccato)
potuto prestarsi a un'affascinante lettura metaforica (e politica) di
rovesciamento dei ruoli precostituiti. Batman, esempio di eroe
moderno che fa della simbologia demoniaca un lampante ribaltamento
tra luce e tenebre, tra bene e male, dovrebbe essere uno dei punti
cardine di questa analisi religiosa. Succede, però, che “Gli
Dei di Rimpiazzo” finisce con il disinnescarsi da solo, quando
(esaminando le pellicole dedicate all'Uomo Pipistrello nel corso
degli anni) confonde con ingenuità disarmante il personaggio di
Joker con quello dell'Enigmista, come se fossero un unico villain. E
lo fa più volte, con uno scivolone che non sfugge ai lettori
abituali, rivelando una falla molto grossa nella conoscenza e
nell'attenzione degli autori nei confronti del media di cui stanno
discutendo. Né parliamo di un errore da poco, giacché se ho una
tesi da dimostrare, e sono in grado di citare la Bibbia, la Cabbala,
antiche leggende e testi esoterici, dovrei dimostrare di conoscere i
rapporti e le identità di banali personaggi dei fumetti. Ancora più allarmante è l'uso parziale e manipolatorio delle interviste tratte da più documentari preesistenti. La testimonianza farlocca (un semplice scherzo, in realtà) di Warren Ellis sulle presunte pratiche negromantiche di Grant Morrison, estratta dal film "Talking with Gods", è proposta fuori contesto, come un atto d'accusa talmente serio e inquisitorio da dare i brividi.
Questi elementi causano un clamoroso autogoal. Infatti, tutto
ciò che si è ascoltato nei minuti precedenti si appanna, diventa
dubbio. Posso e devo fidarmi delle notizie fornite da una fonte così dichiaratamente faziosa, apparentemente erudita, ma pronta a scivolare così platealmente su una buccia di banana?
“Gli Dei di Rimpiazzo” è un
documentario non mainstream, non contiene niente di politicamente
corretto. E' schierato, è quello che è: un veicolo di propaganda
religiosa. E va fruito con questa consapevolezza. Pertanto, guardate
il film, pensateci su, discutetene con i vostri amici. Una cosa è
sicura. Lo spunto di conversazione (o dibattito) è molto
consistente.
martedì 17 marzo 2015
Sorriso Amaro: la questione della cover di Bargirl 41
Cosa succede quando il politically correct porta degrado culturale e diventa triste caricatura di se stesso.
La cover disegnata da Rafael Albuquerque per Batgirl 41 (realizzata in occasione del 75nario del personaggio del Joker) che allude dichiaratamente allo storico "A Killing Joke" di Alan Moore, viene attaccata da movimenti femministi che richiedono la sua sostituzione. La motivazione è che l'immagine alluda al passato violento di Batgirl-Barbara Gordon, quando - in quello storico racconto - venne (temporaneamente) resa invalida dal Joker che le sparò per poi mostrare le sue foto (nuda e insanguinata) al padre, Jim Gordon, per tormentarlo e farlo impazzire.
Personalmente trovo bizzarro che ci si indigni davanti alla citazione, e non si chieda a questo punto il rogo (come al tempo fu per "Ultimo tango a Parigi" di Bernardo Bertolucci) per l'opera originale, dove lo sparo, la nudità e la (teorica, mai confermata esplicitamente) violenza sessuale vengono perpetrati. Trovo ipocrita che la caratterizzazione delle supereroine che combattono il crimine con le cosce nude e quasi in topless non susciti le medesime reazioni. Le eroine nudiste sono ampiamente sdoganate in quanto tributo all'imperante punta di vista del lettore di sesso maschile, ma l'allusione a un passato traumatico, resa in modo insinuante suscita prurigine. Trovo strano che dopo decenni di esistenza di Wonder Woman (quasi sempre mostrata in pose bondage nelle sue copertine storiche) ci si turbi per una cover che mostra l'eroina in balìa del cattivo (elemento che peraltro è frequentissimo in tutte le copertine dei fumetti supereroistici, dove il protagonista, sia uomo o donna, spesso è mostrato in difficoltà se non sconfitto e umiliato dal villain di turno). Lo trovo strano, quasi buffo... sociologicamente curioso.
Questo sì.
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domenica 15 febbraio 2015
A Killing Joke - un corto di Claudio Di Biagio
Dopo l'exploit di Dylan Dog: Vittima degli eventi, mediometraggio dedicato all'indagatore dell'incubo
di casa Bonelli grazie al supporto dei fans attraverso le dinamiche
del crowdfunding, e molto dopo l'esperimento (interrotto) della web
serie Freaks!, Claudio Di Biagio (Non aprite questo Tubo)
continua sulla strada che ormai è dichiaratamente la sua via
maestra. Affermare il suo talento di filmaker e l'abilità della crew
che collabora alle sue opere. Ecco quindi arrivare su Youtube A
Killing Joke, un corto (cortissimo) liberamente ispirato al
celebre fumetto firmato da Alan Moore e Brian Bolland. Il breve video
non pretende di adattare la trama dell'opera di Moore, ma si limita a
inscenare tramite un montaggio espressivo e un ritmo incalzante la
famosa “barzelletta” con cui il Joker, nel finale, suggerisce a
Batman che dopotutto tra loro due non c'è molta differenza. Sono
entrambi pazzi da legare. Ed così che il Joker ci viene mostrato. In
ceppi, contenuto in una camicia di forza. E, a sprazzi, con la sua
tenuta d'ordinanza, con tanto di papillon, per sottolineare
l'atmosfera onirica e allucinata in cui il breve monologo è calato.
Claudio Di Biagio stesso presta la sua mimica mefistofelica al
protagonista, mentre la voce recitante è di Mattia Giuseppe Tassar.
Il make up che trasforma Di Biagio nella nemesi dell'Uomo Pipistrello
è invece opera di Francesco Sanseverino.
Che dire? Che si tratta di un esercizio
di stile davvero egregio. Breve, com'è giusto che sia una prova
tecnica. Tagliente, come la voce di Tassar, veramente bravo, e che
buca il video con la presenza di Di Biagio che qui si mostra (a parer
nostro) in una delle sue migliori performance. La sua fisionomia già
di per sé giullaresca (e già abbondantemente sfruttata altrove,
dando vita a personaggi beffardi al limite dell'urtante, vedi
Freaks!) trova in questa prova fulminea la sua dimensione
ideale. La “maschera” di Di Biagio è probabilmente fatta per
sposare i make up che ne fanno risaltare i tratti sardonici, e non ci
dispiacerebbe vedere in futuro altre prove come questa.
Un bel, piccolo lavoro che, senza
particolari pretese, dà contezza dell'evoluzione tecnica della
ciurma guidata da Di Biagio. Una chicca imperdibile per tutti i fans
di Batman.
lunedì 7 gennaio 2013
Before Watchmen - Osservazioni - Parte 2
Ok, abbiamo buttato un'altra occhiata al prequel-apocrifo che ci accompagnerà anche per la prima metà del prossimo anno. Before Watchmen va avanti... e le sensazioni iniziali, finora almeno, sono confermate. Vediamo un po'.
NITE OWL #1 (DI 4): Un ritmo lento che non fa sperare in una veloce ripresa. Il senso di già visto impera, e soprattutto sono in agguato paragoni scomodi (ma necessari) con altre opere che per riffa o per raffa si sono rapportate, negli ultimi decenni, con il capolavoro di Alan Moore. Vedere il giovanissimo Daniel tampinare Hollis Mason, il primo Nite Owl, e cantargli le lodi dei suoi gadget, non può che far pensare all'inizio del film Gli Incredibili. Il gioco di riprendere scene madri dell'opera originale e mostrarla attraverso la soggettiva di eroi singoli non aggiunge un'atmosfera veramente fresca. Anzi, dà rilievo a quanto il soggetto sia derivativo. Insomma, questo Nite Owl non ci ha entusiasmato gran che. J.M. Straczynski ha brillato altrove di luce più intensa, e la sola vera ragione di sfogliare questa miniserie (a giudicare dal primo numero, almeno) sono i disegni del grande Joe Kubert (affiancato dal figlio Andy). Qui alla sua ultima prova prima della recente scomparsa.
OZYMANDIAS #1 (DI 6): L'origine di uno dei più enigmatici tra i protagonisti dell'originale Watchmen, e del quale - in effetti - abbiamo sempre saputo poco (se non per linee molto generali). Il sapore della pietanza non cambia in modo sostanziale. Ma per una volta, l'eroe è poco convenzionale, come le sue abilità e le sue motivazioni. Non è facile provare empatia per un protagonista cosiderato l'uomo più intelligente del mondo, che per scelta narcisistica segue le orme di Alessandro Magno e dei faraoni. Qualche curiosità da gossip sulla sua giovinezza e sulla sua singolare origine di vigilante. Ma Len Wein, alla sceneggiatura, non si sforza più di tanto per brillare di luce propria, e una delle principali ragioni per leggere questo albo - anche in questo caso - sono i disegni di un sempre suggestivo Jae Lee. Una curiosità. Da tempo immemore, gli esegeti del Watchmen di Moore hanno sempre suggerito l'omosessualità di Adrian, indicandolo come uno dei primi supereroi esplicitamente gay. Noi ci siamo sempre chiesti quali fossero gli indizi cruciali (forse lo spiccato senso estetico del personaggio?). Ad ogni modo, questo Before Wahtchmen, sin dal primo capitolo, ci rivela che si trattava solo di gossip.
MINUTEMEN #2 (di 6): Senza impegno, ok? Non significa che leggeremo le miniserie per intero. Ma giusto un'occhiata ai secondi numeri, per avere un quadro d'insieme più preciso, ci può stare. La marcia ingranata non cambia rispetto al primo capitolo (e ci sono ben altre quattro uscite, eh!). Si pretende di fornire qualche dettaglio in più sul passato di Hollis Mason e dei vigilanti che lo circondavano nella prima fase delle loro apparizioni. Episodi imbarazzanti, torbidi segreti. Nostalgico, d'accordo, ma anche noioso e fondamentalmente inutile.
C'è veramente poco da fare, e la prima osservazione che viene in mente è: Ok, vuoi produrre un prequel omaggio a Watchmen. Scrivi una miniserie. UNA. E fatti venire un'idea decente per celebrare queste icone, piuttosto che pretendere di approfondire qualcosa che ha già detto tutto. Mah! Vedremo che cosa hanno da offrire gli altri numeri uno in uscita, ma le aspettative - a questo punto - sono davvero basse.
Alla prossima.
lunedì 10 dicembre 2012
Supreme - the Story of the Year
Supreme è tornato. Dopo un
lungo esilio nello spazio, il gigante di alabastro si dirige verso la
terra. Ma qualcosa non va. Il pianeta, le persone, le cose, non sono
come Supreme le ricordava. In effetti, ricorda veramente poco della
sua vita passata. Come se qualcosa o qualcuno stesse riscrivendo la
sua esistenza, definendone ex novo tutti i dettagli, fino al più
piccolo, nascosto segreto...
Torna Supreme. Quello che
aspettavamo, quello più vero, insomma. E torna Alan Moore, in
uno dei suoi lavori revisionisti più riusciti e certosini, in
un bel volume delle edizioni Renoir che presenta in un'unica
soluzione l'intera saga The Story of the Year, che ridisegnò
interamente il cosmo del personaggio creato da Rob Liefeld giovando a
Moore il Premio Eisner nel 1997 per la migliore sceneggiatura. Più
che di revisione, però, potremmo parlare di vera e propria
rifondazione. Un nuovo inizio e una sostanza fumettistica affatto
diversa da quella degli esordi. Senza provare a nascondersi dietro un
dito, si può affermare che Supreme fosse nato per
essere la versione Image dell'unico e solo Superman. Una delle
tante controfigure che, nel corso della storia, svariati
marchi editoriali hanno affiancato ad altrettanti personaggi iconici,
nati e cresciuti agli albori della storia supereroistica. Superman e
Batman avanti a tutti. Dell'Uomo d'Acciao si erano già viste
una quantità di cloni più o meno dichiarati, ma tutti
abbastanza riconoscibili (Capitan Marvel, Miracleman,
Hyperion dello Squadrone Supremo) e molti altri ancora
sarebbero seguiti.
L'avventura editoriale della Image,
iniziata nel 1992, aveva attinto a piene mani da più universi
narrativi per popolare un cosmo appena nato che si preparava a
sbancare soprattutto in forza delle spettacolari illustrazioni. Erano
gli anni degli scontri senza una chiara causa, delle storie che
terminavano con un puff, e di antieroi dalle personalità
bidimensionali, violenti quanto appariscenti se non kitsch. Dopo aver
creato la squadra degli Youngblood, il disegnatore Rob Liefeld
(già destinato a diventare leggendario per le sue anatomie
impossibili e grottesche) lanciò Supreme: sorta di
Superman albino, glaciale e spietato. Per capire di che stoffa era
fatto questo Uomo d'Acciaio di fine millennio, vale la pena
ricordarne gli esordi. Supreme faceva la sua comparsa tornando sulla
terra dopo un volontario esilio (lo stesso espediente che Moore userà
per il suo reboot, ma anche – anni dopo – Bryan Singer nel
cinematografico Superman Returns), e dava subito prova del suo
ardore contro un gruppo di terroristi barricati in un aeroporto,
riducendone alcuni a brandelli sanguinolenti e altri in cenere con la
sua letale vista calorifica. Qualcosa di simile al Superman assassino
che molto tempo dopo avremmo visto nell'Irredeemable di Mark
Waid, ma con ben altri risultati. Un ulteriore sviluppo caratterizzò
Supreme come un invasato religioso, portando avanti la
versione di un Superman psicopatico e violento. Erano i primi anni
novanta e lo slogan per vendere le storie degli eroi in tuta sembrava
essere: feroce, perciò figo. In qualche modo, la serie
funzionò dal punto di vista delle vendite, resistendo fino al
numero 40. Frattanto, Liefeld lasciava la Image per fondare
l'etichetta Extreme, ed è in questo momento che Alan Moore
prende in mano il timone di Supreme e, semplicemente... todo
cambia.
Supreme
torna (di nuovo) dallo spazio,
ma non è più lui. Qualcosa è cambiato dal primo
stile Image. In meglio. E Supreme è destinato a diventare una
delle controfigure dell'unico Superman più riuscite e
dettagliate di tutti i tempi. Complice la magia e la passione che
caratterizza la scrittura di un Alan Moore particolarmente ispirato.
La sete di sangue è stata azzerata, così ogni velleità
da cattolico esaltato. Quello che adesso ci troviamo davanti, per
indole e attitudini, è semplicemente Superman, ma noi –
complici – lo chiameremo Supreme.
Non è un mistero che la fase fumettistica relativa agli eroi
in costume più amata dal Bardo di Northampton fosse la Silver
Age. Quel periodo editoriale che si colloca tra il 1961 e i primi
anni settanta, quando le avventure degli eroi con poteri erano più
ingenue, ma anche dense di avventura, senso del fantastico e di
invenzioni iconiche memorabili. Moore era rimasto deluso nel vedere
che il suo lavoro di svecchiamento dei supereroi svolto su Watchmen
aveva figliato soltanto rampolli degeneri, che dal suo capolavoro
prendevano soltanto gli aspetti cupi ed efferati, ignorandone
completamente la profondità e la riflessione esistenziale. E'
probabile, pertanto, che abbia affrontato il rilancio di Supreme
come una sfida personale. La fantasia e il piacere della meraviglia
rialzavano la testa contro quell'industria che stava uccidendo le
storie a favore dello spettacolo disegnato più superficiale,
violento e alla lunga stucchevole.
Supreme – The Story of
the Year è un monumentale
atto d'amore al Superman più classico, ai suoi comprimari
storici e a tutti i suoi feticci e tormentoni, anche i più
pazzi e desueti. L'invenzione metafumettistica di Moore pone il
protagonista di fronte a un fenomeno di palingenesi generale. Tornato
dal suo lungo viaggio nello spazio, Supreme scopre che l'intero
universo è soggetto a ciclici assestamenti che ridisegnano
tanto il passato quanto il presente (lavoro che nella realtà
stava venendo svolto dallo stesso Moore), sostituendo di fatto la
realtà conosciuta con una nuova e differente. Supreme, dunque,
non uccide nessuno. Anzi, non lo ha mai fatto, non ci pensa neanche.
I suoi vuoti di memoria sono riconducibili al ridisegnarsi della sua
realtà personale, e nella Supremazia,
limbo dove si rifugiano e prosperano come in un Valhalla tutte le sue
versioni passate, avrà modo di incontrare le varianti più
demodé e strampalate che siano state date dell'Uomo d'Acciaio
(comprese le sue versioni parodistiche e zoomorfiche).
Dopo la definizione
filosofica del concetto di riavvio come nuova genesi e della
Supremazia come memoria storica del personaggio, il Bardo si
scatena e consegna ai posteri il più divertente e ben scritto
compendio sulla mitologia di Superman che sia mai stato realizzato.
Nel mondo di Moore, Supreme ha un'identità umana, si chiama
Ethan Crane e disegna fumetti per la Dazzle Comics dove lavora come
sceneggiatrice la donna dei suoi sogni: Diana Dane. Ogni singola
icona è recuperata da Alan Moore e forgiata in un fuoco che la
rende diversa eppure identica al suo omologo DC Comics. Incontriamo
così Radar, il corrispettivo di Kripto il supercane,
Supergirl-Suprema (cugina per Superman, sorella per Supreme).
Esploriamo la sua Cittadella-Fortezza della Solitudine, un vero e
proprio museo del fantastico, pronto in alcune occasioni a
trasformarsi in un pericolosissimo Luna Park. Lo stesso vale per
luoghi (come Smalville che diventa Littlehaven) e concetti (la città
in bottiglia Kandor, qui invece trasformata in un cristallo). La
Justice League – immancabile – si trasforma negli Alleati,
e il contributo di molti disegnatori (ognuno con il suo stile
peculiare) consegna all'immortalità ogni dettaglio del mondo e
dei tempi storici di Supreme-Superman, con una sarabanda di storie
che spaziano dal nostalgico al parodistico, alternando anche gustose
riflessioni metafumettistiche e dichiarate frecciatine all'Image
style che dopo l'iniziale successo aveva già intrapreso la sua
fase calante.
Unico punto debole
(se così si può dire) di Supreme – The Story of
the Year, è forse che può essere goduto appieno da
veterani che conoscono bene il mito di Superman e le sue declinazioni
decennali. Il divertimento è tanto quanto più è
possibile riconoscere l'humus fumettistico con cui Alan Moore ha
realizzato le proprie alchimie, cogliendo variazioni, citazioni e
affascinanti trasfigurazioni concettuali. Un pubblico molto giovane
potrebbe magari apprezzare la coerenza fantasiosa del tutto, ma senza
coglierne gli aspetti ironici e critici. Rappresentativa la trilogia
di episodi realizzata nello stile dei Racconti della Cripta
della EC Comics, che negli anni 50 strappò lo scettro di
fumetto più seguito agli eroi in costume e segnò
l'inizio della loro crisi dopo i fasti del periodo bellico. Già
allora – rammenta Moore – le ansie sociali erano ben al di sopra
delle capacità di un supereroe, anche del più potente.
Neppure Supreme può nulla contro il mutare dei costumi, come
gli ricorda (allusione al magazine satirico Mad) l'improvvida
trasformazione in una versione distorta e ridicola di se stesso. Da questo punto di vista, la giostra del gioco fumettistico innescato da Moore con la sua ciurma di artisti al seguito è strepitosa, e riesce a presentare dei veri salti nel tempo, mutando stile a seconda delle epoche e dei contesti che va a toccare.
Questa recensione è stata pubblicata anche su FantasyMagazine.
[Articolo di Filippo Messina]
martedì 4 dicembre 2012
Before Watchmen: osservazioni - Parte 1
Before Watchmen è qui. E'
arrivato, o meglio... «E' incominciato!» come dice
il Numero 6, il gelido Cylone biondo all'inizio della miniserie che
fa da prologo a Battlestar Galactica. Calendario Maya e
meteroriti in cerca di compagnia permettendo, questa ulteriore
calamità commerciale sta attraversando anche il nostro paese,
e già lascia tracce di devastazione, suscitando caos più
che clamore. Del resto, come si poteva supporre, questo prequel
attira la curiosità anche di quanti hanno appena sbirciato il
capolavoro di Alan Moore attraverso la riduzione cinematografica
diretta da Zak Snyder. Pubblico che – spesso – non ha mai
maneggiato un fumetto (e si vede!). Così la confusione
seguente (credeteci) non è da sottovalutare. Le numerose
miniserie e i due speciali stanno mietendo vittime anche tra i nostri
già ammaccati neuroni. Curiosità? Malattia? Necessità
professionale? Nerdaggine acuta?
Ne vogliamo proprio parlare? Fare
paragoni con il Watchmen classico di Moore è ovviamente
la cosa più inutile del mondo. Possiamo spigolare tra i primi
numeri delle miniserie finora giunte in Italia e commentare quanto
l'operazione nostalgia stia dando i suoi frutti. Anche perché,
in un certo senso, l'attesa nei confronti di questo Before
Watchmen non era molto dissimile da quella creatasi quando la
scrittrice americana Alexandra Ripley annunciò che stava
scrivendo un seguito di Via col vento per regalare ulteriori
tribolazioni a Rossella O'Hara e ai lettori di Margaret Mitchell.
Ok, il paragone farà storcere il
naso a molti, ma torniamo a Watch... a Before Watchmen.
Vediamo un po'...
MINUTEMEN #1 (DI 6): Mason
Hollis, il primo Nite Owl, sta già scrivendo il libro di
memorie che strapperà la maschera agli uomini del mistero e
narrerà la nascita della supersquadra per antonomasia
nell'universo di Watchmen: i Minutemen. Darwyn Cooke ha
esperienza come pochi per evocare atmosfere retrò, e avergli
affidato sia i testi che le illustrazioni per questo segmento
celebrativo della saga si rivela un'idea azzeccata. Tuttavia, di
nuovo non c'è nulla. Solo la volontà di guardare
indietro, a un Hollis più giovane, ma non abbastanza, affinché
svolga il medesimo ruolo di memoria storica già rivestito
nell'opera di Moore. L'effetto nostalgia presente nel classico
Watchmen è qui riproposto con un tentativo di
imitazione parzialmente riuscito, ma anche privo di una propria
identità. L'effetto è quello di un'eco più che
di un'opera autonoma. Riuscito come la copia pittorica che un
talentoso imitatore può realizzare del pezzo di bravura di un
artista dal carisma immenso. Chissà cosa avranno da dirci le
uscite successive.
IL COMICO #1 (di 6): Il
personaggio di Edward Blake, il vigilante conosciuto come il Comico,
non è ancora stato in Vietnam. Le esperienze belliche sono di
là da venire, non porta dunque ancora lo sfregio che lo
deturperà fino alla fine della sua vita. Eppure la sua anima è
già nera e segnata in profondità. Il suo ruolo è
perlomeno ambiguo. Difensore della patria o semplice sicario? Le sue
relazioni amichevoli con la famiglia Kennedy ci suggeriranno qualcosa
in più sui suoi trascorsi di “eroe” governativo, sul suo
rapporto con Jacqueline Kennedy e... una celebre, misteriosa morte.
Sfiorando (a nostro parere) il ridicolo, Brian Azzarello tenta in
questo primo numero la carta della dietrologia, ma i disegni corposi
di J.G. Jones non lo aiutano a confezionare una partenza convincente.
Certo, siamo soltanto al primo numero... ma se il buon giorno si vede
dal mattino...
SILK SPECTRE #1 (DI 4): Il
passaggio di consegne tra una controversa ex supereroina, Sally
Jupiter, e la sua riluttante figlia, Laurie. Un conflitto familiare
che porterà alla genesi di una nuova eroina, sicuramente
diversa e forse migliore. Silk Spectre, almeno in questo primo
numero, sembrerebbe il tassello più riuscito dell'operazione
commerciale targata Before Watchmen. Forse perché le
dinamiche tra una madre prigioniera di un passato glorioso (e pieno
di segreti torbidi) e una giovane figlia che vorrebbe soltanto vivere
la propria vita, riesce ad affascinare per le sue atmosfere
crepuscolari, che potrebbero funzionare anche se svincolate
dall'ingombrante parentela con il capolavoro di Alan Moore. Due
caratteri forti a confronto, due differenti modi di intendere
l'eroismo. Due donne di epoche diverse... Insomma, non ce
l'aspettavamo. Ma aspettiamo di leggere il secondo capitolo di Silk
Spectre con più impazienza degli altri. Darwyn Cooke tesse
dialoghi leggeri e Amanda Conner è in ottima forma.
Il resto è da vedere. Non
parleremo de La Maledizione del Corsaro Cremisi, il racconto
in stile Vascello Nero che farcisce ulteriormente la frittata
commerciale con la sua programmazione (identica a quella
statunitense) spezzettata (e incasinata) tra le varie uscite.
Becchettare briciole di qua e di là, forse, un giorno ci farà
sentire sazi. Ma allo stato delle cose non sappiamo ancora che cosa
stiamo mangiando, e la pietanza non ha destato il nostro interesse
più di tanto. Il brodo è troppo, troppo allungato.
Alla prossima!
lunedì 24 settembre 2012
Grit! Devil secondo Alan Moore
Il nome di Alan Moore fa certamente suonare un campanello nella memoria di molti appassionati di fumetti. Il fondamentale Watchmen, certo. Il geniale V for Vendetta, ovvio. L'ambizioso e inquietante From Hell, il giocoso La Lega degli Straordinari Gentlemen. I lettori più onnivori e attenti ricorderanno anche piccole gemme firmate dal bardo di Northampton, come la storia immaginaria (non lo sono tutte?) dedicata a Superman, Che cosa è successo all'Uomo del Domani? Batman, The Killing Joke. La saga di Capitan Bretagna, le brevi run sullo Spawn di Todd McFarlane e altro ancora. Ma in quanti penserebbero a Devil? Ebbene, non sono molti a ricordarlo in Italia, ma l'avvocato cieco protettore di Hell's Kitchen è passato, in qualche modo, anche sotto il pennino fatato di Moore.
E' avvenuto negli anni ottanta, sulla rivista britannica intitolata proprio The Daredevils (Gli Spericolati), dove apparirono per la prima volta gli episodi di Capitan Bretagna firmati da Moore e disegnati da Alan Davis, e dove fu ristampata anche lo storico, fortunato ciclo di Devil scritto da Frank Miller che ridefinì del tutto il personaggio del vigilante cieco e del suo mondo.
Alan Moore pubblicò sulla rivista questa breve parodia tutta dedicata alla versione milleriana di Devil, al suo tono da romanzo hard boiled, alle sue ambientazioni cupe e ai suoi personaggi ruvidi. Non a caso il breve racconto si intitola GRIT (praticamente, Il Grinta), canzonatura sul tono da scuola dei duri che Frank Miller aveva impresso alla serie sul diavolo rosso. Atmosfere malsane, oscure ambientazioni metropolitane, villain mai così crudeli e morti improvvise. Un vero spartiacque stilistico che avrebbe influenzato, nel bene e nel male, molte celebri icone a fumetti, fino alla ridondanza e alle sue applicazioni più estreme e commerciali (come ha fatto notare l'autore Mark Waid, recentemente trionfante agli Eisner Awards proprio per la sua gestione di Daredevil). GRIT, la parodia di Moore gioca esattamente con le spigolosità del racconto che si propone come noir a ogni costo, e le mette alla berlina con humor britannico proprio nel loro periodo di maggiore popolarità. Le didascalie hanno un tono sarcastico, quasi provocatorio nei confronti del lettore, mentre il disegnatore Mike Collins offre a sua volta una gustosa citazione dello stile di Miller, delle sue ombre e dei suoi manierismi. Daredevil, l'Uomo senza Paura, diventa così Dour (Cupo, Tetro) Devil, l'Uomo senza il senso dell'Umorismo, e la sua crociata contro il crimine di New York è sbeffeggiata con il medesimo spirito di casa su riviste come Mad, magazine noto anche per le sue parodie supereroistiche. E' probabile che questo breve scherzo sarebbe caduto nel dimenticatoio se a firmarlo non fosse stato l'autore di così tanti classici moderni. Ma una delle arti più seducenti del mago Alan Moore è sempre stata anche la sua duttilità, la capacità di cambiare pelle e sorprendere. E' con piacere, dunque, che riscopriamo questo suo divertito, grintoso, esercizio di stile.
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