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martedì 1 settembre 2015

Gli Dei di Rimpiazzo: Supereroi, Religioni e Macchine del Tempo...


The Replacement Gods” (“Gli dei di rimpiazzo”) è un documentario americano del 2012 prodotto dalla Little Lights Studios, studio cinematografico senza scopo di lucro per la divulgazione religiosa presso i giovani, che tratta dei fumetti di supereroi e della loro ingombrante (e ovvia) parentela con le mitologie antiche, l'esoterismo, le simbologie bibliche. L'approccio è protestante e, benché il film non contenga alcun riferimento esplicito, si direbbe espressione della Chiesa Avventista del Settimo Giorno, cui è legato anche Light Channel Italia, che ne ha curato per l'appunto l'edizione italiana.

Un film di 95 minuti molto denso. Discutibile e interessante nello stesso tempo. Affascinante per la ricchezza dei contenuti e spiazzante per le improvvise cadute di tono. E' curioso notare (da liberi pensatori) come l'argomento alla base del documentario (che, ricordiamo, parla dei supereroi, della loro genesi e soprattutto della loro funzione) non è prettamente “protestante”, ma ha radici comuni al cattolicesimo più antico. Peccato che questo non sia un apprezzamento positivo o ecumenico. Quel che viene spontaneo commentare è che il mondo cattolico, con tutte le sue resistenze e pregiudizi, si esprimeva con determinati toni e messaggi nel Medioevo, agli inizi della sua storia istituzionale. Qui ci troviamo, invece, in presenza di un titolo del 2012. E la cosa, per chi ha un approccio laico alla vita e ai fumetti, è abbastanza disturbante.


E' il caso di premettere che le critiche (che ci saranno) non sono rivolte alla fede Avventista in sé, ma ai toni e ai contenuti di questo film (benché sia lecito supporre che siano stati approvati e allineati con le linee generali della confessione cui appartengono). Per capire subito di cosa stiamo parlando, basta un riassunto del tema principale del documentario prodotto dal Little Light Studios (e reperibile anche in italiano su Youtube). Il senso di tutto è che i fumetti di supereroi sono strumenti diabolici, volti a perpetuare (così come le antiche mitologie) un inganno nei confronti del genere umano, e indurlo a venerare falsi dei, in modo da confondere le acque e sviare dall'accoglienza di Cristo (soprattutto nella sua seconda venuta).

E' inquietante scoprire come le parole di Sant'Agostino in De Civitate Dei, agli albori della chiesa cattolica, siano state riciclate in ambito protestante riportando di fatto indietro il tempo (e il modo di intendere la spiritualità) di secoli. Per Agostino, le divinità dei pantheon pagani (buone o cattive che fossero) non erano semplicemente delle figure simboliche di forze della natura e di emozioni umane. Erano entità reali, ma di natura demoniaca, il cui ruolo era quello di farsi adorare al posto dell'unico vero Dio e di screditarne l'esistenza. Non a caso, in molte narrazioni di genere horror a tema demoniaco, le presenze diaboliche portano nomi di antiche divinità. Persino nel celebre romanzo e film “L'Esorcista”, il demone protagonista è Pazuzu, un tempo divinità assiro-babilonese dei venti e delle tempeste. La patristica e i padri della chiesa riscrissero pazientemente le mitologie pagane per creare il nemico di cui la propaganda della nascente istituzione ecclesiastica aveva bisogno. Per questo, oggi, vedere un film come “Gli Dei di Rimpiazzo” è un'esperienza bizzarra. Interessante e irritante nello stesso tempo.


Il documentario si apre e si chiude nel modo peggiore possibile. Lo spezzone iniziale è un documento d'epoca che ci riporta alla nascita del comics code americano, alla crociata contro i fumetti dello psichiatra Fredric Wertham e al suo “La Seduzione dell'Innocente”. Al termine di quella sequenza, lo spettatore è indotto a pensare che il filo del discorso verrà ripreso. Invece no. Termina lì, quasi fosse un'epigrafe posta a memento per i posteri. In sostanza, per il film, quanto contestato ai fumetti da Fredric Wertham era vero e legittimo. E sembra suggerire che sarebbe una posizione da recuperare in questi anni bui. La tirata finale, invece, è tra le più scontate in ambito religioso (tanto da livellare praticamente qualsiasi confessione cristiana), e conclude la disamina affermando che uno solo è il supereroe che dovremmo tutti adorare e che ci salva, e cioè l'unico e solo Gesù Cristo.

Un documentario di propaganda religiosa, dunque, ma non privo di spunti di interesse. I rapporti tra la nascita dei supereroi e le antiche mitologie è curato e supportato da fonti che destano la curiosità dello spettatore. Non lesina neppure l'inserimento di interviste o citazioni di opere di Alan Moore e Grant Morrison, e il loro rapporto con l'occulto. Peccato che alla fine scopra i giochi con l'affermazione puerile e dichiaratamente propagandista che niente di buono può venire da storie a fumetti scritte da chi è abituato a flirtare con i demoni. Il concetto di inversione (cioè mettere Lucifero al posto di Cristo e rendere il primo un eroe e il secondo un malvagio protettore dello status quo) avrebbe (qualora affrontato in modo più distaccato) potuto prestarsi a un'affascinante lettura metaforica (e politica) di rovesciamento dei ruoli precostituiti. Batman, esempio di eroe moderno che fa della simbologia demoniaca un lampante ribaltamento tra luce e tenebre, tra bene e male, dovrebbe essere uno dei punti cardine di questa analisi religiosa. Succede, però, che “Gli Dei di Rimpiazzo” finisce con il disinnescarsi da solo, quando (esaminando le pellicole dedicate all'Uomo Pipistrello nel corso degli anni) confonde con ingenuità disarmante il personaggio di Joker con quello dell'Enigmista, come se fossero un unico villain. E lo fa più volte, con uno scivolone che non sfugge ai lettori abituali, rivelando una falla molto grossa nella conoscenza e nell'attenzione degli autori nei confronti del media di cui stanno discutendo. Né parliamo di un errore da poco, giacché se ho una tesi da dimostrare, e sono in grado di citare la Bibbia, la Cabbala, antiche leggende e testi esoterici, dovrei dimostrare di conoscere i rapporti e le identità di banali personaggi dei fumetti. Ancora più allarmante è l'uso parziale e manipolatorio delle interviste tratte da più documentari preesistenti. La testimonianza farlocca (un semplice scherzo, in realtà) di Warren Ellis sulle presunte pratiche negromantiche di Grant Morrison, estratta dal film "Talking with Gods", è proposta fuori contesto, come un atto d'accusa talmente serio e inquisitorio da dare i brividi.
Questi elementi causano un clamoroso autogoal. Infatti, tutto ciò che si è ascoltato nei minuti precedenti si appanna, diventa dubbio. Posso e devo fidarmi delle notizie fornite da una fonte così dichiaratamente faziosa, apparentemente erudita, ma pronta a scivolare così platealmente su una buccia di banana?


Alla resa dei conti, “Gli Dei di Rimpiazzo” è un documentario pensato per denunciare un complotto mistico in cui i fumetti di supereroi giocherebbero un ruolo importantissimo. Far credere ai giovani che Cristo è malvagio, rendere la sua divinità irriconoscibile come lo fu per chi lo inchiodò alla croce, e alimentare l'attesa di un messia più terreno, più pragmatico, che salvi fisicamente e non spiritualmente. I temi trattati restano stimolanti dal punto di vista storico e antropologico, ma non può che far balzare il cuore in gola per la profonda arretratezza del messaggio di base, l'incapacità di accettare l'innocenza dei sogni, delle simbologie popolari più ingenue e la loro fondamentale inoffensività. Sembra, a tratti, di essere veramente tornati ai tempi del dottor Wertham, e si prova disagio per il fatto di non riuscire a smettere di guardare, di ascoltare. Sì, perché “Gli Dei di Rimpiazzo”, nonostante la consistente falla di credibilità, dimostra una forza affabulatoria non da poco, e i vari parallelismi possono essere seguiti e apprezzati da chi ama i supereroi senza leggervi nessun contenuto volto a influenzare la nostra personale visione religiosa.

Gli Dei di Rimpiazzo” è un documentario che va visto. Magari criticato. Ma non evitato per preconcetto. Anzi, va conosciuto proprio per scoprire quanti punti di vista differenti possano esistere sulla Nona Arte e sulla figura, oggi sfruttatissima, del supereroe. Il film commette anche l'errore di predicare ai convertiti (il tono dello speaker è sempre da sermone e dà molto, troppo per scontato di stare parlando a un pubblico credente) e di utilizzare in modo strumentale (e forse anche un poco scorretto) testimonianze più o meno dirette di due mostri sacri del mezzo: Moore e Morrison, qui presentati (sebbene tra le righe) quasi come profeti del Male e sabotatori dell'opera di rivelazione dell'unico vero Dio. Peccato, aggiungerei, che gli autori abbiano completamente dimenticato l'opera “Promethea” di Alan Moore e il suo particolare concetto di Apocalisse. Ne avremmo visto e sentite delle belle. Ma forse, Promethea e i suoi miracoli è troppo buona, troppo saggia, troppo donna per figurare come messia nero. Probabilmente è per lo stesso motivo che il personaggio di Wonder Woman, presente nel documentario, non è approfondito più di tanto. Eppure sarebbe stato uno spunto per parlare del nascente femminismo, delle streghe e del loro rapporto con i segreti della natura, osteggiate dal maschio detentore del potere tanto in famiglia quanto presso l'ordine costituito. Ma parliamo di un'opera di propaganda, e non possiamo aspettarci che sia quello che non è. Possiamo prendere ciò che offre di accattivante, e cioè le concatenazioni tra mito e fumetto contemporaneo, con la sacrosanta raccomandazione di controllare le fonti e approfondire per conto proprio. Non sia mai di confondere un personaggio con un altro, servendo su un piatto d'argento al nostro uditorio una ricca porzione di dubbi su quanto detto prima e dopo.

Gli Dei di Rimpiazzo” è un documentario non mainstream, non contiene niente di politicamente corretto. E' schierato, è quello che è: un veicolo di propaganda religiosa. E va fruito con questa consapevolezza. Pertanto, guardate il film, pensateci su, discutetene con i vostri amici. Una cosa è sicura. Lo spunto di conversazione (o dibattito) è molto consistente.







mercoledì 25 aprile 2012

Superman vs Hulk


Se la domanda tormentone più famosa (tra i supernerd divoratori di fumetti) degli anni settanta è stata «E' più forte Hulk o la Cosa?», una contrapposizione ancor più chiacchierata ha sempre riguardato i principali titani delle due targhe supereroistiche più famose del mondo: Hulk, il Golia Verde della Marvel e Superman, l'unico, vero Uomo d'Acciaio. Se pure il duello, raccontato nell'ormai storica saga Marvel contro DC,  sembra essersi concluso a favore dell'ultimo figlio di Krypton (ma sappiamo che l'Hulk intelligente è sempre stato più debole di quello bestiale), nell'immaginario dei fans la battaglia continua. L'incredibile Hulk, nella sua versione più selvaggia, è simbolo di una forza primordiale inarrestabile. Superman rappresenta il vertice massimo del superomismo controllato, e l'evoluzione perfetta di una creatura aliena simile a un dio.


L'artista Michael Habajan ha realizzato al riguardo uno splendido cortometraggio in computer grafica che sta giustamente spopolando su Youtube. Niente chiacchiere, solo Hulk, solo Superman, e uno scontro senza esclusione di colpi in una zona desertica. La qualità dell'animazione è molto buona, così gli effetti e la caratterizzazione dei personaggi (il volto di Superman è ovviamente quello del compianto Christopher Reeve). I fans possono così avere un assaggio del devastante combattimento tra le due potenti icone. Botte da orbi, raggi termici, salti e voli spettacolari. Un piccolo gioiello di perizia tecnica e un tributo alla passione di noi tutti.




martedì 20 dicembre 2011

Superman: Brainiac


Superman ha affrontato molte volte Brainiac, uno dei suoi più letali avversari. Eppure stavolta sembra esserci qualcosa di diverso. Brainiac è tornato, più spaventoso che mai. Alieno. Robotico. Diabolica creatura tecnologica, collezionista di mondi cui carpisce le conoscenze per evolversi a livelli sempre superiori di esistenza. Ma chi è veramente Brainiac? E che ruolo ha giocato nella distruzione del pianeta Krypton?


Geoff Johns, attuale talentuoso architetto del cosmo DC, dopo aver ridefinito Superman e il cast dei suoi comprimari, prende in mano uno dei villain più antichi e carismatici della mitologia sorta intorno all'Uomo di Acciaio, e lo reinventa con la consueta intelligenza, riuscendo a modernizzarne la figura in un modo imprevedibile.

Brainiac, essere alieno che miniaturizza intere civiltà per conservarle come reliquie in bottiglia, ha subito nel corso dei decenni numerosi restyling sia formali che concettuali. Nato per essere un alieno coluano geniale e spietato, Brainiac è ricordato sopratutto nella sua successiva versione di androide superevoluto, scienziato sintetico animato da un'umanissima sete di potere. La lettura pre-Crisis ci mostrava un Brainiac ancor più palesemente tecnologico, un computer umano interfacciato  con la propria astronave e descritto come una vera e propria intelligenza artificiale. Ulteriori versioni del personaggio lo presentarono, invece, come un'incorporea essenza aliena in grado di possedere corpi ospiti come funzionali droni di carne. Un villain longevo e popolare, quindi, appesantito però da un eccessivo numero di riscritture che avevano finito col generare una certa confusione circa l'identità e le motivazioni del personaggio.
L'intuizione di Geoff Johns per questo ciclo di storie, pubblicate in patria su Action Comics e intitolato proprio Brainiac, rappresenta l'uovo di Colombo per definire una volta per tutte uno dei nemici storici del primo supereroe. Per Johns, Superman ha interferito molte volte nei piani di Brainiac, ma non lo aveva mai incontrato veramente. Brainiac è tutto... e niente. Un'entità extraterrestre talmente aliena da sfuggire a una distinzione netta tra essere organico e tecnologico. Tutti i Brainiac affrontati dall'Uomo di Acciaio non erano che avatar mossi da un'intelligenza nascosta lontano, da qualche parte nello spazio. Un glaciale alieno affamato di conoscenza la cui fisicità si esprime attraverso organismi e meccanismi di ogni tipo. Dunque Superman non si era mai trovato faccia a faccia con il suo nemico. Mai, fino a oggi. Con un astuto espediente narrativo, Johns non rinnega le precedenti versioni del personaggio, ma le integra in una nuova invenzione fantascientifica che rende Brainiac una creatura misteriosa e sfuggente, ma sopratutto un villain mai così inquietante e minaccioso. Una rilettura dai toni quasi sconfinanti nell'horror, che il rinnovato universo DC del dopo Flashpoint faticherà a eguagliare in efficacia. Il disegnatore Gary Frank non delude, offrendo ancora una volta una caratterizzazione fisica di Superman basata sulle fattezze del compianto attore Christopher Reeve. Un Uomo di Acciaio umano ed espressivo che fa piacere rivedere in azione. Una lettura che mira a esaltare gli aspetti più terrestri del protagonista, mentre Brainiac, alieno totale, del tutto inattaccabile dalle logiche terrestri, incarna la nemesi perfetta per l'ultimo figlio di Krypton, divenuto oggi un campione dell'umanità.


 Johns e Frank riescono a realizzare un racconto epico, che possiamo annoverare tra i prodotti supereroistici di qualità più matura. Una saga pensata per collocarsi senza troppi problemi nella continuity ed essere al contempo una lettura indipendente che consegna alla storia quella che potrebbe essere la versione definitiva del rapporto dell'Uomo di Acciaio con la sua nemesi venuta dallo spazio. Il suo stesso retaggio alieno, ormai distante e freddo, simbolo di qualcosa che Superman avrebbe potuto essere, ma non è mai diventato per cultura.

 
  
«Superman... non capisco perché ti chiamino così,» afferma Brainiac. «Non sei esattamente un Uomo. E non c'è niente di  superiore in te.»
Brainiac dice la verità. Superman è ormai un terrestre, forgiato dall'educazione ricevuta dagli umili e altruisti coniugi Kent, e la sua superiorità consiste nell'essere il simbolo di quanto di migliore può evolversi in un essere umano buono e gentile. Questo è il mito di Superman, o almeno così ci appare oggi. E Brainiac, nella nuova lettura proposta da Geoff Johns è senz'altro il male assoluto, un vuoto oscuro dove accanto al potere e alla conoscenza non c'è posto per sentimenti come la comprensione o la pietà. Una superiorità autoreferenziale, gelida e indipendente che a differenza di molti avversari del passato riesce a fare davvero paura.



[Articolo di Filippo Messina]


Questa recensione è stata pubblicata anche su FantasyMagazine.


lunedì 19 settembre 2011

Superman - Action Comics 1


Si riparte. Ancora una volta, più veloci di un proiettile.

L'atteso (ulteriore) reboot (soltanto parziale, a detta di alcuni editor) delle 52 testate della DC Comics è finalmente iniziato. A inaugurare il nuovo corso del noto cosmo supereroistico sono stati due dei suoi titoli storici più popolari: Justice League e Action Comics, entrambi ripartiti da zero, anzi da uno, e pronti a conquistare il mercato grazie alle firme di autori di sicuro richiamo.
Particolare attesa suscitava proprio il nuovo Action Comics, testata che aveva debuttato nel lontano 1938 presentando per la prima volta l'Uomo d'Acciaio di Jerry Siegel e Joe Shuster, personaggio destinato a diventare il supereroe per antonomasia nell'immaginario collettivo delle generazioni successive. Questo Action Comics del nuovo millennio, la cui uscita precede di poco l'esordio della nuova serie dedicata a Superman, racconterà avventure che si collocano temporalmente qualche anno prima degli eventi narrati sulle altre testate, e si propone di ridefinire (ancora una volta) l'icona dell'ultimo figlio di Krypton e di tutti i suoi comprimari. 


Nei mesi trascorsi le voci e le immagini si erano avvicendate in rete, anticipando l'esordio di un Superman più giovane, ma sopratutto dal look drasticamente diverso da quello cui eravamo da sempre abituati. Un Superman in t-shirt (ma fregiata con il classico stemma a forma di scudo), a braccia nude, fornito di jeans, di comuni scarpe e di un corto mantello scarlatto. Qualche blogger, scherzosamente, lo aveva già definito un “Superman operaio”, Uomo d'Acciaio dal look proletario, probabilmente con una colazione a base di pane e frittata nascosta in qualche tasca. Altre indiscrezioni riguardavano i poteri dell'eroe, ridimensionati di parecchio rispetto i suoi classici standard. Molti dei dettagli annunciati sono veri, ma non devastanti o risibili quanto le prime indiscrezioni facevano paventare, e questo reboot, per quanto gravato dal sentore di ciclica, e ormai stantia, mossa commerciale, non manca di spunti interessanti che potrebbero in futuro evolversi in racconti di qualità.


Grant Morrison, al timone di questo ennesimo rinascimento, decide di glissare (almeno per adesso) sulla navetta aliena e gli anni di Smalville, per presentare un Superman già in azione, ma le cui abilità, per quanto spettacolari, non sono ancora giunte ai massimi livelli. Assomigliano, piuttosto, alla più antica versione del personaggio di Siegel e Shuster, quando l'Uomo d'Acciaio, velocissimo e agile come nessun altro, non era ancora in grado di volare, ma balzava con bello spregio della gravità da un palazzo all'altro atterrando comodamente in piedi. Una citazione delle origini editoriali dell'eroe (e della testata che per prima le presentò) che probabilmente evolverà, capitolo dopo capitolo, verso le caratteristiche ormai iconiche del personaggio e il suo look definitivo (?), che dovrebbe dire addio agli storici slip rossi indossati sopra la calzamaglia (dettaglio grafico dovuto ai pruriginosi canoni censori degli anni trenta e che tanta ironia avrebbe suscitato nei decenni successivi).


Ma la vera novità introdotta da Morrison, e che rappresenta il principale motivo di interesse di un reboot non proprio indispensabile, è il rapporto dell'eroe con la sua città. Metropolis, in poche pagine, sembra descritta come una moderna roccaforte del capitalismo e delle disparità sociali, riassunte in veloci scorci e brevi, didascaliche battute. Il misterioso essere dotato di superpoteri che una giornalista rampante ha già battezzato “Superman”, più che sventare rapine in banca sembra interessato a rompere le uova nel paniere agli squali corrotti dell'alta finanza, estorcendo confessioni e seminando il timore di una giustizia trascendente. Non a caso, la polizia di Metropolis da la caccia all'inafferrabile vigilante, e non esita a sparargli contro, mentre qualche elemento degli strati sociali più umili inizia a provare empatia nei suoi confronti. Lex Luthor, in un'apparizione breve ma incisiva come consulente dell'esercito e del generale Lane, riassume in modo efficace le linee guida di quello che sarà il suo eterno conflitto con l'Uomo d'Acciaio. C'è posto per un solo superuomo sulla terra: quello elaborato da Nietzsche. Un essere umano in grado di ergersi al di sopra della comune etica, e raggiungere le vette del proprio potenziale senza l'ingerenza di elementi alieni, visti da Luthor come germi o elementi inquinanti da eliminare, se non come l'avanscoperta di una colonizzazione culturale che priverebbe l'essere umano della propria, naturale grandezza.


Un Superman, quindi, visto non più come supremo boy scout, ma come una sorta di Robin Hood postmoderno, in fuga dalla legge e in cerca di un'identità eroica dalle caratteristiche meno scontate del solito. Pur nella brevità del comic book, i semi per un reale rinnovamento del personaggio sembrano essere presenti. Promesse più che fatti, per adesso, ma comunque appetibili. Varianti che sembrano concentrarsi sulla sostanza dei personaggi e delle loro motivazioni più che su banali evoluzioni grafiche. Il che, considerata sopratutto la presenza di un autore di razza come Grant Morrison, fa ben sperare.
Interessante anche il modo in cui si è scelto di definire le due identità del protagonista, complici i disegni dinamici ed espressivi di Rags Morales. Un Clark Kent trasandato e dalle lenti spesse. Simile a un brutto anatroccolo, ma risoluto nei suoi impegni di giornalista e molto simile, nell'incedere, al Peter Parker degli anni d’oro. Da un altro lato, vediamo un Superman affabile, ma avvolto da un'aura decisamente extraterrestre, i cui occhi sono quasi sempre illuminati da bagliori rossi o bluastri. Effetto che altera la percezione dei suoi lineamenti mentre è in azione e rende quasi accettabile il suo controverso cambio di identità senza l'uso di una maschera, tanto appare diverso una volta trasformato in Clark. 


Il nuovo Superman di Grant Morrison si presenta al suo pubblico come un cane sciolto, la cui destinazione finale non è facile da prevedere. Il look definito “proletario” non è dunque casuale, ma è espressione formale delle nuove caratteristiche da amico del popolo e avversario del potere costituito che l'autore scozzese sembra voler infondere all'eroe. Anche la fisicità del personaggio è mutata. Il Superman di Morrison corre spavaldo in mezzo a una tempesta di pallottole, ma può essere ferito da urti particolarmente violenti. Sanguina, esibisce lividi, grugnisce e forse bestemmia, persino. Almeno così ha ritenuto di capire il religioso titolare di una fumetteria statunitense, che all'uscita di questo primo numero di Action Comics ha annunciato una campagna di boicottaggio nei confronti della testata in cui un eroe così popolare pronunciava un blasfemo “Goddamn!”. In realtà, nella tavola incriminata, Superman sussurra solo un indecifrabile “GD”. Suono gutturale forse aperto a molte interpretazioni, ma assolutamente privo di intenti offensivi, come lo stesso Grant Morrison si è affrettato ad affermare pubblicamente.

Superman, insomma, nelle mani di Grant Morrison ha trovato ancora il modo di far parlare di sé, e di non passare inosservato nonostante le riletture delle sue linee guida ormai non si contino più. Certo, un albo è ancora poco per valutare l'intera operazione, ma l'antipasto si è rivelato intrigante, e solo il tempo potrà dirci se questo mito moderno sta davvero veleggiando verso un nuovo orizzonte o se il gusto più attraente era solo quello infilzato sul freddo ferro dell'amo.

Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.


[Articolo di Filippo Messina]

mercoledì 31 agosto 2011

All Star Superman


Non sono mai stato e non credo che sarò mai un fan di Superman, ma non c’è dubbio che rappresenta una pietra miliare della storia del fumetto e dei supereroi. Leggo alcune storie dell’uomo d’acciaio più che altro per avere un quadro completo dell’universo DC, dove sicuramente gioca un ruolo di protagonista e spesso compare in eventi legati ad altri personaggi. Vi chiederete allora perché io abbia deciso di comprare un volume che raccoglie una miniserie fuori collana e fuori continuty, senza nessun aggancio a particolari saghe o eventi attuali o passati. Beh, sarò onesto, l’unica ragione iniziale è rappresentata dal team creativo. Grant Morrison per me fa parte di una trinità inviolabile del mondo del fumetto, anche con i suoi alti e bassi narrativi (gli altri due sono Alan moore e Neil Gaiman). Senza nulla togliere ad altri autori di grande levatura, sia del passato che del presente panorama fumettistico americano, questi tre riescono sempre a trovare motivi narrativi che non posso fare a meno di ammirare e invidiare. Quando accade che Morrison si unisce a Frank Quitely, la cosa acquista ancora di più un carattere imperativo, perché, sebbene il mio gusto per il disegno sia più legato a un’impostazione classica del fumetto (uno stile fratelli Kubert, per capirci), e le tavole di Quitely possono dirsi tutto fuorché classiche, i due insieme formano un’accoppiata vincente sotto tutti i punti di vista. Sarà per una questione geografica (entrambi scozzesi, entrambi di Glasgow), non lo so, fatto sta che già sugli X-Men, e adesso in questa miniserie di Superman, così come in altre opere forse meno note, quali Flex Mentallo e We3, i due insieme acquistano uno storytelling armonioso e coinvolgente nonostante si discostino molto, narrativamente il primo, graficamente il secondo, dalla tradizione.


Tuttavia, mi è bastato arrivare in fondo all’introduzione per sospettare che ci doveva essere qualcosa di più. questo sospetto è sorto quando ho letto che un certo Mark Waid, firmatario di questa introduzione, affermava di aver letto ogni storia mai scritta di Superman e di non averne mai lette di migliori. Considerando che il buon Mark ha praticamente scandito la sua intera vita a colpi di storie dell’universo DC, credo che la sua frase sia ben più di un’opinione. Poi l’ho letto. E credo di poter dire che questo è un volume che non può mancare nella libreria di nessun appassionato dell’uomo d’acciaio. Come al solito, con Grant Morrison niente è facile, quindi non mi sentirei di consigliare questa storia agli amanti di letture lineari, o con ampi spazi per l’azione pura  e semplice. Qui abbiamo a che fare con una storia sottile e complessa, e a volte ci sembrerà di non capire certe frasi, certi scambi di battute, avremo la sensazione di aver saltato una pagina. È una storia che va letta, metabolizzata, e poi riletta con grandissima attenzione ai più piccoli dettagli, sia narrativi che grafici, che si intrecciano oltrepassando il limite fisico del capitolo in corso, tanto che una frase delle prime pagine può essere compresa solo dopo aver letto le ultime due. Tutta la storia è ricca di questi artifici, che la impreziosiscono anche dal punto di vista del messaggio generale. Mi sentirei di poter dire, da non appassionato dell’eroe in questione, che questa storia spiega a tutti chi è Superman, che cosa rappresenta per il mondo e che cosa il mondo rappresenta per lui. Leggetela. E non vi preoccupate se Superman sta morendo. Come dice Lois Lane nell’ultimo capitolo, quando avrà finito di fare quello che sta facendo, Superman tornerà.

[Articolo di Filippo Longo]

Questa recensione è stata pubblicata anche su Cose Preziose

giovedì 9 giugno 2011

Superman - Terra Uno


Il giovane Clark Kent è appena giunto a Metropolis, in cerca di uno scopo e di risposte che forse nessuno potrà mai dargli. Si lascia alle spalle la vita tranquilla del Kansas e per la prima volta si trova a usare i suoi prodigiosi poteri in un contesto urbano caotico e pericoloso. Qualcosa di sinistro, però, è già sulle sue tracce, e giocherà un ruolo fondamentale nel destino del pianeta terra come nella vita del giovane che diventerà Superman...

Superman – Terra Uno nasce programmaticamente come apripista di una nuova linea editoriale che dovrebbe essere la risposta DC all’etichetta Ultimate della Marvel.  Un universo indipendente dove eroi classici saranno ridisegnati secondo quelle che sono ritenute le sensibilità più attuali. Prevedibilmente, tocca all’Uomo d’Acciaio essere l’alfiere di questa nuova via, mentre già si lavora a Batman – Terra Uno. A occuparsi della nuova, ennesima origine di Clark Kent è il prolifico J.M. Straczynski, contemporaneamente all’opera sul restyling di Wonder Woman di cui ultimamente si è fatto un gran parlare. Dopo Man of Steel di John Byrne, Birthright, di Mark Waid e Leinil Yu, e il recente intervento di Geoff Johns (Secret Origins), ecco dunque un’ulteriore genesi del supereroe per antonomasia. Un appuntamento che si propone quasi a ogni decade, con risultati spesso differenti per qualità e necessità. In Superman – Terra Uno, Straczynski glissa decisamente sulla caduta della navicella con dentro il bambino alieno, e si concentra maggiormente sui turbamenti del giovane Clark, qui ritratto come una figura amletica, ancora incerta sui propri obiettivi. L’origine dell’eroe è qui osservata dal punto di vista morale, come crescita interiore, e la sostanza del racconto verte sulla catena di eventi che porterà Clark a indossare per la prima volta il manto di Superman, assumendo il ruolo di difensore della terra.


Il risultato è una lettura intimista, con lampi di misticismo new age scandita però da un ritmo troppo lento che impedisce alla storia di decollare come dovrebbe. Il vero pezzo forte di questa riscrittura dovrebbe essere il mistero della distruzione di Krypton, e le conseguenze di una verità molto più orribile della storia che ricordavamo. Quel che non persuade è la caratterizzazione tetra e un po’ depressa di questo giovane Clark Kent, elemento che influenza un po’ tutta l’avventura, suggerendo l’idea giovanilista di un Superman emo. L’alienità dell’eroe è resa, stavolta, in modo sottilmente satirico, ma poco in sintonia con il respiro generale della storia. Clark è molto più umano dei macchiettistici uomini e donne che lo circondano, e ai quali deciderà di conformarsi, nascondendosi dietro la caricatura di un’umanità stereotipata e superficiale. Come la nuova, irritante caratterizzazione di Lois Lane, qui protagonista di una particolare interpretazione dell’annosa questione di un’identità mantenuta segreta solo da un paio di occhiali. L’espediente usato da Straczynski è surreale e quasi pirandelliano. Lois, infatti, incontra Clark per la prima volta quando questi ancora non fa uso delle lenti, ma non lo degna di uno sguardo. Lo vede, ma non lo elabora in quanto il suo cervello iperattivo di giornalista lo ha già catalogato come elemento di scarso interesse. Superman colpirà la sua attenzione, ma la sua superficialità, come quella di tutto il Daily Planet, le impedirà di associarlo all’insignificante (e ormai occhialuto) Clark Kent. Una lettura amara, che avvolge il personaggio di Superman in un alone di malinconia e conferisce alla solitudine del supereroe un nuovo, grottesco significato.


Completano l’opera i serissimi disegni di Shane Davis, crepuscolari quanto basta per una storia che fatica a darsi una caratterizzazione precisa. Il mestiere non manca, ma Superman – Terra Uno non lascia nessuna emozione duratura, pervaso com’è da una tangibile freddezza commerciale e da una sensazione di già visto ormai inevitabile. Appuntamento irrinunciabile per tutti gli appassionati dell’Uomo d’Acciaio, Superman – Terra Uno potrà piacere più o meno a seconda dell’età e di quanto si è già letto sulle origini dell’ultimo figlio di Krypton. Una rinarrazione, quella di Straczynski, che - ne siamo certi – non sarà l’ultima, e che ormai funziona come una cover ambita da molti interpreti, in grado di eseguirla ciascuno secondo il proprio estro con maggiore o minore spettacolarità.


Questo è Superman – Terra Uno. L’esecuzione professionale di un brano classico con una libera variazione nella parte centrale. Un Superman in più, tra i tanti Uomini d’Acciaio partoriti in periodi differenti, che potrà affascinare soprattutto i più giovani. Ma non certo il Superman definitivo.



Questa recensione è stata pubblicata anche su FantasyMagazine.


[Articolo di Filippo Messina]

venerdì 18 febbraio 2011

Superman Classic, un corto di Robert Platt


Questo corto (breve e intenso) ha per titolo Superman Classic, ed è firmato da Robert Platt, un animatore in forza alla Walt Disney che ha contribuito al successo di titoli celebri come Pochaontas e Tarzan. Appassionato da sempre dell'Uomo d'Acciaio, Platt ha realizzato e pubblicato online questo filmato dagli semplici intenti amatoriali, ma confezionato con grande professionalità. Il brevissimo corto riassume gli elementi iconico del personaggio e sintetizza l'idea di Platt su come animarlo secondo tecniche tradizionali, guardando molto alla serie televisiva classica di Superman (da cui il titolo del corto Superman Classic). Un'animazione semplice e scattante, spigolosa ed espressiva, di grande dinamicità. Il corto è completato da un breve intervento dello stesso Platt con qualche notizia del backstage e da un interessante storyboard. Una curiosità, nel corto la voce di Clark Kent è dell'attore John Newton, che interpretò Superboy nel telefilm live-action degli anni ottanta.

venerdì 15 ottobre 2010

Superman: Mai più Kryptonite





Un esperimento finito male innesca una misteriosa reazione a catena su tutto il pianeta. Ogni singolo frammento di kryptonite, il minerale alieno che Superman teme più di ogni altra cosa, è trasformato all'istante in un inerte metallo. Il tallone d'Achille dell'Uomo d'Acciaio dovrebbe essere, ora, solo un ricordo e il suo potere non conoscere più limiti. Ma tra i fumi dell'incidente è sorto qualcosa di sinistro che potrebbe rivelarsi una nuova e peggiore nemesi per il primo dei supereroi...

Nel rileggere oggi la saga Superman: Mai più Kryptonite, è naturale porsi una domanda.
C'è ancora posto nel nuovo millenio per le storie della silver age? O meglio: il lettore odierno riuscirà a tributare interesse a un fumetto che - pur con i suoi evidenti pregi -  mostra tutti i segni del tempo trascorso? Mai più Kryptonite, saga ideata dallo sceneggiatore Dennis O'Neil, vide la luce nel 1971, anno in cui era l'editrice Williams a pubblicare le storie dell'Uomo d'Acciaio in Italia, e che propose la saga in tempi abbastanza ravvicinati all'edizione originale. Chi era bambino e amava gli eroi DC già allora, ricorda la copertina di un episodio centrale, la stessa scelta per questa edizione in volume edita dalla Planeta DeAgostini. Un Superman carponi nella neve, implorante ai piedi di un suo enigmatico doppio simile a un golem di sabbia. Importa poco che la cover fosse fuorviante e che nelle pagine interne, dove la scena in questione si svolgeva per intero, l'eroe conservasse molta più dignità. L'illustrazione di copertina, firmata dal celebre Carmine Infantino, aveva una valenza simbolica. Superman poteva essere sconfitto. Anche senza kryptonite. La lunga fase che aveva consegnato all'immaginario collettivo l'icona del superuomo invincibile si preparava a chiudere il sipario definitivamente. E il primo passo per questo sviluppo sarebbe stato un apparente, effimero trionfo: l'eliminazione totale della nefanda kryptonite.

La genesi di Mai più Kryptonite era legata a esigenze editoriali simili a quelle che,  in quegli stessi anni, restituirono il personaggio di Batman alle atmosfere tenebrose pensate originariamente dal suo autore Bob Kane. Un espediente imparentato per certi versi  con la saga evento dei successivi anni 80: Crisis on Infinite Earths, pianificata per giustificare narrativamente la sparizione dal cosmo DC degli ingombranti mondi paralleli. Dal canto suo, Mai più Kryptonite aveva svolto la funzione di ridefinire Superman secondo canoni per l'epoca più moderni, e privarlo di quell'onnipotenza che ormai risultava ingestibile per un linguaggio fumettistico che iniziava a farsi più sofisticato.

Possiamo ora provare a rispondere alla domanda che ci siamo posti all'inizio. E' vero: Superman: Mai più Kryptonite farà facilmente leva sulla nostalgia dei quarantenni, ma è anche un ottimo esempio per dimostrare che il germe di un approccio più maturo al fumetto supereroistico ha una genesi tutt'altro che recente, ed è maturato nel corso dei decenni con risultati che possono risultare ancora oggi gradevoli. I codici espressivi si sono evoluti poco per volta, attraversando mode e svecchiando archetipi. Sviluppando, insomma, un linguaggio proprio. Quel che c'è di affascinante per un lettore attento in Mai più Kryptonite, è la convivenza, a tratti sorprendente, di ingenuità e introspezione, banale sospensione dell'incredulità e dilemmi morali per l'epoca tutt'altro che scontati in un'opera di intrattenimento. Se il lettore del secondo millennio potrà sorridere nel vedere Superman mangiare la kryptonite, ormai innocua, per impressionare un criminale, sarà anche interessato nello scoprire i primi segni di modernità (relativa ai primi anni 70) introdotti nel mondo di Clark Kent. Il giornalismo della carta stampata lasciava il posto ai ritmi frenetici dell'informazione televisiva (con conseguenti problemi a gestire una doppia identità sotto l'occhio implacabile delle telecamere). Ma soprattutto svaniva l'insopportabile sicumera che aveva quasi sempre caratterizzato il protagonista, troppo abituato a contare su poteri illimitati e improbabili. Vediamo così un Superman provato e dalle risorse ridotte dover fare ricorso all'astuzia per nascondere la sua nuova debolezza, guardarsi dai nemici e affrontare situazioni che stavolta richiederanno più di uno sforzo. Un'avventura articolata in più capitoli che può essere letta come un cammino iniziatico per l'Uomo del Domani e il suo alter ego occhialuto. Un'ordalia che lo reinventa in una chiave meno ingenua (sebbene, nelle successive gestioni della serie precedenti a Crisis, le contraddizioni siano fioccate) e colloca l'eroe in una dimensione più umana. Il lavoro di Curt Swan, Murphy Anderson e Neil Adams, ben si almalga con la logica interna al racconto, portando in scena un Superman classico, ma tutt’altro che grezzo. Graficamente più prevedibile di quello a cui sono abituati i lettori più giovani, ma non per questo meno dinamico. Una storia che, sia pure scandita da un ritmo differente rispetto ai canoni odierni, riesce nell'intento di essere epica e resta piacevolmente nella memoria.

Altrettanto interessante è la lettura di Superman Special 1, racconto realizzato da Walt Simonson nel 1992 e qui pubblicato come complemento alla saga principale. Pensato come un remake condensato della saga che occupa la prima parte del volume, The Sand Man (questo il titolo) si presta a un'ulteriore riflessione sull'evoluzione dei supereroi e su quanto questi siano vulnerabili (più che alla kryptonite) al segno dei tempi che ne cantano le gesta. La trama (per quanto ridotta all'essenziale) di The Sand Man, ricalca i passi salienti di Mai più Kryptonite, ma ci mostra un approccio ulteriormente diverso all'eroe e al suo mondo. Il tratto caratteristico di Simonson, qui anche in veste di sceneggiatore, sfoggia un taglio ovviamente più moderno e meno realistico rispetto alla saga che si propone di omaggiare. Il ritmo della storia è serrato e le soluzioni narrative accelerate per ragioni di spazio. La riscrittura della storia datata 1971 è piacevole, ma risulta un po' soffocata dalla necessità di sintesi (un ciclo di vari capitoli riassunto in un unico episodio) mostrandoci un Superman dalla psicologia più enunciata che mostrata, e forse per questo meno simpatico. Un omaggio vivace e frizzante, ma comunque lontano dal tono epico (a dispetto dell'ingenuità) dei racconti letti in precedenza. Del resto, non è scontato che gli aggiornamenti sfornino un prodotto nettamente migliore del prototipo. Pertanto, Superman Special 1: The Sand Man resta una piccola e valida variazione sul tema, prescindibile ma curiosa.

Superman: Mai più Kryptonite è una lettura consigliabile a chi ama il genere supereroistico senza Se e senza Ma. E’ una lettura che ha il sapore di certi gelati industriali non più prodotti, ma che conservano un posto speciale nella memoria alimentare di chi ebbe l’occasione di assaggiarli. Ed è il documento affascinante di un primo esempio di revisione fumettistica, frutto di un periodo storico in cui gli eroi con poteri vivevano evoluzioni forse meno gridate, ma altrettanto appassionanti.


Questa recensione è stata pubblicata anche su Fumettidicarta.



[Articolo di Filippo Messina]





mercoledì 17 giugno 2009

Superman: Kryptonite


Un uomo senza la Storia, senza il passato, non è niente. Anche se è un Uomo d’Acciaio.
Un tempo ci baloccavamo con storie definite immaginarie. Racconti che si collocavano al di fuori della continuità seriale e che introducevano variazioni se non veri stravolgimenti nel background del personaggio di turno. Oggi, abbiamo imparato a usare una nuova etichetta: retrocontinuity. Operazione volta a rinarrare momenti importanti del passato dei protagonisti, con l’introduzione di nuovi spunti e toni più in sintonia con i tempi che corrono. La collana americana intitolata Superman Confidential, chiusa nel 2008 dopo appena 14 numeri, si proponeva per l’appunto di svecchiare elementi iconici legati al mondo dell’Uomo d’Acciaio, mostrandoci un Clark Kent che muoveva i primi incerti passi della sua carriera di supereroe. Dal primo ciclo di questa defunta serie è tratto Superman: Kryptonite, frutto della collaborazione di Darwyn Cooke, qui in veste soltanto di sceneggiatore, con un Tim Sale in ottima forma.
Ispirandosi solo in parte a una vecchia storia del 1949, Cooke spinge il processo di umanizzazione del primo supereroe a livelli forse mai visti prima. Superman è il paladino di Metropolis da poco tempo. Non è ancora inciampato nella sua rocciosa nemesi naturale e ignora i dettagli della propria origine aliena. Non conosce nemmeno l’esatta portata dei suoi poteri, soprattutto della sua presunta invulnerabilità. E questo gli permette di conoscere la paura, il panico, il fallimento. L’inizio che ripercorre la caduta della navetta con dentro il piccolo Kal-El è molto suggestivo, e introduce un io narrante ambiguo che fino alla fine del volume induce il lettore a chiedersi quale vera piega dovrà prendere la vicenda. La cronaca del primo incontro dell’Uomo d’Acciaio con la kryptonite segue un crescendo epico. Un cammino iniziatico in cui l’eroe, attraverso la scoperta dei suoi limiti, giungerà finalmente a maturazione. Il caso gioca un ruolo fondamentale per tutto il racconto. Le macchinazioni di Lex Luthor e del malvagio gangster detentore inconsapevole del minerale alieno, sembra dirci Darwyn Cooke, sono per il momento semplici pedine di un disegno più grande. Il vero protagonista di Superman: Kryptonite è il fato, e la catena di eventi che porterà l’ultimo figlio di Krypton a scoprire i propri natali extraterrestri grazie proprio all’unica sostanza che potrebbe annientarlo. L’espediente per legare gli argomenti nemesi-origine è agile e conduce la storia a compimento senza intoppi, abbandonando lungo il tragitto quegli ingredienti funzionali che avrebbero potuto risultare superflui ai fini generali del racconto. Ma Darwyn Cooke dimostra di conoscere il senso del ritmo così come conosce Superman, e sa bene che un’opera di riscrittura dovrà ridefinire non solo il protagonista ma l’intero cast dei comprimari. Luthor, nemico per eccellenza dell’Uomo d’Acciaio, è tratteggiato pertanto come un personaggio in fase di definizione. Lex, in fondo, è un inguaribile narcisista, che aspira a modo suo a essere un superuomo. Nell’accezione, almeno, in cui il denaro e la sua mente machiavellica lo rendono possibile. Divertente, quindi, vedere la stizza di Luthor davanti a un Superman che gli ruba la scena durante una manifestazione pubblica. E’ già Luthor, certo. Perverso e insinuante come sempre, ma ancora privo di una delle sue armi fondamentali. Arma che acquisirà nel corso della storia, rendendo protagonista l’Uomo d’Acciaio di una scena discretamente violenta nella sua essenzialità. Tim Sale, definitivamente sdoganato presso il grande pubblico grazie al suo apporto al serial televisivo Heroes, regala dopo Batman: Il lungo Halloween un’altra prova notevole. Il suo stile vicino alla pop art è in grado di portare in scena un Superman maestoso per poi trasformarlo con pochi segni in una creatura spezzata, fragile e precocemente invecchiata. Accattivante la sua interpretazione senza fronzoli di tutti i comprimari dell’eroe. Di rado si era vista una Lois Lane così vivace e seducente, riluttante protagonista di un rapporto sentimentale che non potrà mai essere come tutti gli altri. Un Lex Luthor granitico e luciferino, che per molti versi ci ricorda il Kingpin di casa Marvel. Jimmy Olsen giovanissimo e pimpante nei suoi primi burrascosi giorni da cronista. Le scaramucce matrimoniali dei coniugi Kent, così semplici e veri. E persino un Perry White che sfiora la perfezione con le sue sopracciglia stoppose. Con Superman: Kryptonite, Cooke e Sale sono riusciti nell’impresa non facile di estrarre il DNA dell’Uomo d’Acciaio dal suo ingombrante passato e di presentare ai lettori del nuovo millennio un clone fresco e giovanile, nello spirito come nell’aspetto.
Un uomo, anche se d’acciaio, senza una storia alle spalle non è nessuno. E questo vale anche per i miti. Vale per Superman, prototipo di ogni eroe in tuta. Sempre in volo, nonostante la kryptonite. Nonostante il peso degli anni.



Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.


[Articolo di Filippo Messina]