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martedì 22 marzo 2016
giovedì 3 ottobre 2013
martedì 12 marzo 2013
Dio in terra
Due fratelli affiatati, un amico per
la pelle. La deliziosa moglie di uno dei tre, un mondo vasto, pieno
di promesse e incognite. Un'esplosione misteriosa, poteri immensi. Un
eroe... forse un atto divino, e la vita dei quattro diventa
imprevedibile, strana, meravigliosa. Qualcosa però non quadra...
In realtà è molto a non quadrare in
questa miniserie firmata da John Arcudi e Peter Snejbjerg sul tema,
abusatissimo, del superuomo. Infatti, dietro un titolo originale
molto più suggestivo di quello italiano (A God Somewhere ,“Un
dio da qualche parte”) e una bella cover che riassume in modo
efficace il tema principale del racconto, non resta gran che dopo una
lettura piena di attese. Già anni fa qualcuno aveva scritto che il
giocattolo Vertigo, così
splendido agli esordi, si era usurato. Il meccanismo
ormai noto ai giocatori non procurava più le sorprese degli inizi, e
si andava arenando su una ricetta prevedibile, a tratti piacevole
come i biscotti della nonna, ma con guizzi sempre più rari di vera
originalità. Bene, questo Dio in terra sembra dirci,
mestamente, che tra gli ingranaggi si è ormai accumulata troppa
ruggine e il meccanismo ha preso a produrre un rumore stridente.
Pur condotto da John Arcudi in modo non
spregevole e con un senso del ritmo da manuale, Dio in terra
soffre (e tanto) per i molti (troppi) debiti a opere sul medesimo
argomento, spesso di qualità superiore, sia pure non di moltissimo.
Fa sorridere lo strillo firmato da Dennis O'Neil che accompagna il
volume in quarta di copertina: «E' la nostra prima vera tragedia
supereroistica...»
Peccato che prima ancora di arrivare a
metà racconto, Dio in terra inizi a zoppicare, e a
cannibalizzare un canovaccio ormai stantio, dando la sensazione di
trovarsi davanti a un dozzinale Chronicle cinematografico (a
sua volta debitore ad Akira di Otomo) e alle efferatezze
superomistiche già viste (e meglio) sulla serie Powers di
Brian M. Bendis e soprattutto Irredeemable di Mark Waid.
Tutti gli spunti più intriganti sono
abbandonati a se stessi ed evaporano nel giro di poche pagine. Sfiora
il concetto ambiguo di eroismo (Eric è presentato come un eroe già
prima di acquistare i suoi poteri) e l'elemento mistico, appena
accennato, è subito liquidato dal progredire di un delirio gratuito
e del tutto privo di crescendo drammatico. Non basta conferire al
protagonista, inizialmente guascone e bonario, il look di un Gesù
massiccio e via via sempre più inselvatichito. Le poche riflessioni
religiose risultano posticce e l'unico momento che fa battere per un
attimo il cuore del lettore è l'espediente cui ricorrono i normali
esseri umani per combattere il semidio fuori controllo. La kryptonite
di turno, però, non è sufficiente a riempire i buchi di una
narrazione già ascoltata troppe volte, pretenziosa nel sottotesto
sussurrato (quello misticheggiante) e abbastanza goffa nella
realizzazione avventurosa, visto che non accade sostanzialmente nulla
che non sia prevedibile per il lettore smaliziato. Se Mark Waid su
Irredeemable (serie ormai conclusa) illustrava la graduale
frustrazione, l'isolamento e la collera psicotica del suo
potentissimo protagonista, nella storia firmata da John Arcudi si
procede a scatti, senza vere giustificazioni né maturazione
psicologica. In sostanza, quel che viene chiesto al lettore è un
puro atto di fede. Fede non nello spiritato Eric, ma nel dio Fumetto,
che fa e dispone (secondo alcuni), infischiandosene beatamente di
tutto e tutti pur di consumare la sua mera valenza commerciale.
Warren Ellis con Supergod aveva
parlato diffusamente delle implicazioni teologiche nel mito del
supereroe e dei suoi rapporti con un'umanità sempre più piccola e
meschina. Alan Moore con la caratterizzazione, all'interno di
Watchmen, del personaggio di Dr. Manatthan, aveva scolpito la
figura memorabile di un nume pensoso, distante della sua precedente
condizione umana e pressoché indifferente ai mali di un pianeta che
ormai non considera più casa propria. Dopo
tutto questo, le imprese e la successiva furia distruttrice
descritta da Dio in terra non esalta e non commuove. Conserva
piuttosto un sapore sintetico, come di un cibo disidratato per essere
conservato e reso fruibile più a lungo. Le tante domande senza
risposta risultano semplicemente irritanti, e suggellano
definitivamente l'esito di un racconto di supereroi che vorrebbe
essere sovversivo ma che si limita a sfondare con grande strepito una
lunga sequenza di porte già spalancate da altri.
Una lettura che potrà magari esaltare
i giovanissimi, e introdurli alla scoperta di classici del fumetto di
caratura più consistente. Rivoluzioni fumettistiche, sperimentazioni
e innovazioni non sono da cercare tra queste pagine.
Questa recensione è stata pubblicata anche su FantasyMagazine.
lunedì 28 gennaio 2013
Animal Man di Peter Milligan
Buddy
Baker è in coma, già da un po', non si sa come. L'incontro con qualcosa di
innominabile ha semplicemente spento la sua mente, e la famiglia Baker è quasi
rassegnata a non vederlo più tornare nel regno dei vivi. Eppure a un tratto si
sveglia, vigile e in discreta forma. O almeno così pare. Il mondo di Buddy, il
supereroe conosciuto come Animal Man, è cambiato rispetto a come lo ricordava.
Tanti piccoli dettagli, come il carattere e l'incedere dell'amata moglie Ellen,
ma anche alcuni particolari storici sembrano suggerire che la realtà in cui ha
aperto gli occhi non è quella da cui proviene. Inoltre sente emergere impulsi
bestiali, imbarazzanti e difficili da controllare, mentre vivide allucinazioni
inerenti a un passato preistorico iniziano a perseguitarlo...
Per
la prima volta arriva in Italia il ciclo di Animal Man scritto da Peter
Milligan (Enigma, Shade the Changing Man). Si tratta della run
che cronologicamente segue quella storica firmata da Grant Morrison e che
contribuì a far conoscere l'estro visionario e surreale dello sceneggiatore
scozzese. Una sequenza di storie ancora oggi indimenticabile per la forza
innovativa e i contenuti metafumettistici che mettevano l'eroe di fronte al suo
stesso autore, vero deus ex machina e responsabile di ogni evento, di ogni
singola tragedia nella vita della sua creatura di carta. Animal Man,
personaggio minore del cosmo supereroistico DC, ne uscì profondamente
rinnovato, dimostrando una duttilità e un'attitudine al surreale che non
l'avrebbe più abbandonato del tutto, fino all'odierna versione dark, prodotta
per l'evento New 52 sotto la blasonata etichetta Vertigo.
L'eredità
di Morrison non era certo facile. Lo stesso Grant, negli ultimi capitoli del
suo ciclo, aveva ironizzato sul possibile seguito che le avventure di Buddy
avrebbero potuto avere dopo il suo abbandono della serie. A tanti anni di
distanza, anche nel nostro paese, abbiamo finalmente modo di fare la conoscenza
del tessuto connettivo che ha contribuito a condurre il personaggio (erano gli
anni novanta) fino alla sua incarnazione attuale, e a un ruolo che lo vede
contendersi la scena con un altro eroe Vertigo di punta, il popolarissimo Swamp
Thing. Se Grant Morrison aveva fatto
del surreale e dell'elemento pop una sua cifra stilistica inconfondibile, Peter
Milligan non era certo l'ultimo arrivato. A suo agio con i deliri psichedelici
dell'Uomo Cangiante Shade, architetto dei labirinti psicanalitici di Enigma,
Milligan raccoglie la sfida del collega e parte per una nuova avventura dai
toni onirici, bizzarri e grotteschi. Animal Man, eroe che attinge le proprie
abilità dal mondo animale mimando le attitudini bestiali più convenienti, si
prestava a diventare definitivamente un personaggio esistenzialista, legato al
quotidiano e ai valori semplici (la sua grande dedizione per la moglie e i
figli) come a tutto ciò che c'è di arcano e primordiale sulla nostra vecchia
terra. Per certi versi, Milligan insegue Morrison sul suo territorio, ed è
inevitabile riconoscere caratterizzazioni e trovate che sarebbero potute uscire
dalla penna dello stesso Grant, comprese certe similitudini (la demenzialità di
alcuni comprimari, ad esempio) con il suo successivo lavoro sulla serie
dedicata alla Doom Patrol.
Tuttavia,
Peter Milligan non manca di una personalità propria, ed è in grado di infondere
a Buddy Baker e soci il suo personale estro visionario. Ecco dunque apparire
personaggi deliranti come l'Uomo Ipotetico, spaventoso villain armato di forcipe
nato da una gravidanza isterica, o Nowhere Man, agente governativo che di fatto
è la personificazione delle tecniche di composizione cut up, tanto
nell'inafferrabile fisionomia quanto nel linguaggio ispirato alle opere di
William Burroughs, e così via con una lunga serie di scoppiettanti incubi figli
della Beat Generation, divertenti quanto farraginosi nella loro caleidoscopica
assurdità.
Nel
complesso, sia pure in tono minore, Peter Milligan riesce a non sfigurare nei
confronti del suo predecessore. Sono assenti gli spunti metafumettistici e
pirandelliani del ciclo precedente, ma al loro posto troviamo paradossi
temporali, fisica quantistica e viaggi mentali scanditi da un ritmo sostenuto
che una volta di più salva Buddy Baker dalla banalità intrinseca degli eroi in
tuta. Meno mistica, forse, per una maggiore concessione a una fantascienza
intellettuale, ma non per questo meno fumettistica, e una corsa a perdifiato
tra stranezze assortite. Insomma, Animal Man, capace di insinuarsi nel
terreno come un verme, di volare come un'aquila e manifestare la forza e la
ferocia di un grande felino... Eppure eroe in quanto umano, in grado di
riflettere sui propri limiti per cogliere i segreti più bizzarri dell'universo.
I
disegni di Charles Truog e di uno Steve Dillon (Preacher) ancora in fase di maturazione potranno apparire datati a
qualcuno, ma sono perfettamente funzionali al racconto che fila spedito verso
un finale – per quanto prevedibile – che si riaggancia in modo idealmente
sottile con quello del ciclo precedente.
Un
Peter Milligan d'annata in ottima forma, dunque, per un Animal Man che
continua a piacerci, forse anche più di tanti suoi omologhi in costume dalle
imprese decisamente più convenzionali.
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lunedì 22 ottobre 2012
Animal Man vol. 1
Buddy Baker, l'uomo conosciuto come
Animal Man, in grado di mimare le capacità di qualunque
animale del pianeta, ha abbandonato già da un po' l'attività
di supereroe. I suoi poteri hanno fatto di lui il portavoce ideale
per la causa animalista, attivo in battaglie per la protezione
dell'ambiente e persino attore in una pellicola underground dove
veste ancora una volta, ma per pura finzione scenica, una tuta
sgargiante. Buddy è anche un marito e padre devoto, la cui
famiglia è più importante di qualsiasi successo
personale. Ma l'occasionale ritorno di Animal Man nel ruolo di
vigilante coincide con eventi inquietanti e incontrollabili. Una
spirale di mistero e morte che travolgerà l'intera famiglia
Baker senza escludere nessuno. Sarà l'inizio di un viaggio
alle radici stesse dell'esistenza, dove tutto è possibile e
niente è scontato...
In principio era Alan Moore.
Alan Moore riplasmò Swamp
Thing, la Cosa della Palude creata anni prima da Len Wein e Berni
Wrightson, costruendo intorno al protagonista un complesso labirinto
magico e mitologico che gettò le basi, insieme al Sandman
di Neil Gaiman, per la neonata etichetta Vertigo della DC
Comics.
Quindi venne Grant Morrison, e anche
Animal Man, eroe minore nato nel 1965 e mai veramente
decollato, visse la sua sospirata palingenesi. L'autore scozzese
introdusse temi sociali come l'animalismo, affine per definizione al
personaggio, nonché elementi surreali per l'epoca provocatori,
e il suo ciclo dedicato a Buddy Baker è tuttora ricordato per
le numerose innovazioni e i suggestivi spunti metafumettistici. Di
autori e di eventi, da allora, nell'esistenza di Animal Man se
ne sono avvicendati parecchi, ma è oggi che assistiamo a un
nuovo sviluppo degno di nota. Il generale reboot dell'universo DC,
con l'evento editoriale chiamato New 52, riassesta
ulteriormente il personaggio ideato da Dave Wood e Carmine Infantino
negli anni sessanta dello scorso secolo, e nel farlo attinge
parecchio agli esperimenti più riusciti della fase intermedia.
Felicemente, integrando più che citando, ed espandendo
ulteriormente il cosmo esoterico-ecologico ideato da Moore.
Lo sceneggiatore canadese Jeff Lemire
(Sweet Tooth) allontana Buddy Baker dal contesto più
dichiaratamente supereroistico nel quale il personaggio era finora
rimasto a stagnare, e ambienta il suo racconto nel medesimo contesto
dello Swamp Thing ridefinito dal bardo di Northampton.
L'atmosfera non è più quella canonica delle storie
degli eroi in tuta, ma vira decisamente sull'horror, nella
declinazione panica e mistica che attraversa già da anni tante
serie targate Vertigo. Se nelle avventure della Cosa della
Palude avevamo imparato a conoscere il parlamento degli alberi
e sopratutto il Verde (una dimensione metafisica da dove ha
origine e da cui trae forza ogni entità vegetale del pianeta),
il nuovo Animal Man ci condurrà a conoscere il Rosso.
Una dimensione sovrannaturale speculare al Verde, ma
interfacciata con la vita animale, con tutto ciò che è
organico, pulsante e in movimento. In altre parole, la carne viva,
che si relazione con la parte verde della terra sul filo di un
delicato equilibrio.
Se lo scenario, come concetto, sa
inevitabilmente di già visto, la conduzione e le suggestioni
sono ottimamente gestite, presentando un Buddy Baker che pur non
negando le proprie evoluzioni passate, è ormai maturo per
cambiare ruolo e trasformarsi una volta per tutte in un personaggio
magico, pronto a essere traghettato in un territorio narrativo
imprevedibile. Ponte emblematico tra il suo ruolo umano (quello di
padre) e di paladino di una causa ben più cruciale di quanto
possa sembrare. Non a caso la famiglia di Buddy, già rilevante
nella memorabile gestione di Morrison, svolge un ruolo di primo
piano nella saga appena iniziata. Maxine, l'innocente figlioletta di
quattro anni, i cui poteri sul mondo materiale si manifestano nel
peggiore dei modi possibili. L'amore incondizionato e l'energia di
Ellen, madre e moglie fuori dal comune. L'irruenza giovanile di
Cliff, testimone entusiasta di eventi la cui gravità sembra
non percepire del tutto. Si direbbe che Animal Man, l'Uomo Animale,
capace di assorbire la forza di un orso, la capacità
rigenerante di un verme, le qualità anfibie dei pesci, sia un
personaggio corale, risultato della somma di più elementi tra
i quali ci sono i suoi stessi familiari. Lungi dall'essere dei meri
comprimari, Ellen, Cliff e Maxine sono descritti come parte
integrante di ciò che rende Buddy Baker un essere speciale e
non un banale vigilante in costume. Era già così per
Grant Morrison, e in Jeff Lemire la simbiosi metaforica della
famiglia Baker si accentua ancora di più. Buddy è
chiamato a svolgere un ruolo fatale nel destino del mondo, in quanto
padre, in quanto eroe, in quanta sintesi del mondo animale (essere
umano compreso, con tutte le sue sfaccettature e contraddizioni).
I
disegni di Travel Foreman, a suo agio nel descrivere scenari onirici
e grottesche metamorfosi, si sposano perfettamente con il ritmo
insinuante di Lemire, dove l'inizio da classica storia di supereroi
cede presto il passo a un vortice di invenzioni metafisiche e lampi
splatter. Un viaggio psichedelico che con criminali dai bizzarri
poteri e minacce dallo spazio non ha niente a che spartire. Tutto
nasce dalla terra, anzi dalla carne, e prospetta un conflitto dalle
sorti incerte in cui il personaggio di Alec Holland non potrà
che fare, presto o tardi, la sua apparizione trionfale.
Il nuovo Animal Man, nel
panorama caotico delle testate legate a New 52, si dimostra
dunque uno dei titoli più interessanti e particolari. Uno dei
pochi che realmente rifonda in larga parte la materia di partenza, e
merita una lettura attenta.
Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.
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mercoledì 27 giugno 2012
Doom Patrol di Grant Morrison
In principio c'era una sedia a rotelle, e un gruppo di insoliti, stravaganti personaggi...
A differenza di quel che può sembrare, non stiamo parlando dei popolarissimi X-Men, ma della Pattuglia del Fato, la Doom Patrol, gruppo di supereroi minori di casa DC che effettivamente, nell'ormai lontano 1963, servirono da ispirazione a Stan Lee e Jack Kirby per quello che in casa Marvel sarebbe diventato “il gruppo più insolito di tutti i tempi”.
I protagonisti di Doom Patrol, creati da Bob Haney e Arnold Drake nello stesso anno dei mutanti Marvel, erano freaks trasformati dal destino in creature grottesche dai poteri strampalati, e per questo sfuggiti e temuti dalla gente comune. Più o meno la stessa sorte che sarebbe toccata ai loro cugini marvelliani, vittime della fobia antimutante. Molti personaggi oggi iconici della Marvel affondano le radici nelle avventure di antesignani a volte meno noti di loro se non misconosciuti. Questa prassi di clonazione era routinaria nell'ancora giovane mondo dei supereroi, e spesso in passato causò anche serie controversie legali quando i personaggi coinvolti potevano vantare un brand di sicuro appeal (vedere su tutti la questione Superman – Capitan Marvel, risolta anni dopo con l'assorbimento del secondo dallo stesso marchio DC). Sebbene gli X-Men siano rimasti a lungo in panchina rispetto a colleghi dal maggiore carisma commerciale, prima ancora del rinascimento posto in atto dallo sceneggiatore Chris Claremont (vero artefice del mito moderno relativo agli Uomini X), i mutanti Marvel hanno goduto di un'attenzione decisamente più alta rispetto al loro prototipo ispiratore, rubando loro la ribalta per molto tempo. Ed è bizzarro pensare che anche per la Doom Patrol, sia pure molto più tardi e con esiti totalmente differenti, sarebbe stato necessario il tocco di un geniale, giovane autore affinché l'idea di base finalmente dispiegasse le ali. Guarda caso, fatalmente, il medesimo scozzese fuori di testa che molti anni dopo avrebbe lasciato un'impronta lisergica anche sugli stessi X-Men: Grant Morrison.
Il professor Caudler, scienziato paraplegico, mentore e leader della Doom Patrol, aveva in verità parecchi punti di contatto con Charles Xavier (non i poteri telepatici, ma di sicuro il ruolo e molte altre caratteristiche, comprese le cicliche morti apparenti). Le problematiche esistenziali erano le medesime, e gli eroi tormentati quanto incompresi avevano già iniziato a definire il proprio mito. Come Robotman, un essere umano di cui si è salvata la sola materia cerebrale, posta da Caudler in un possente corpo cibernetico. Elastigirl e Negative Man completavano il primo e sfortunato nucleo dell'originale Pattuglia del Fato, destinato a perire in una devastante esplosione al termine di un'apocalittica battaglia. Dopo la catastrofe, la serie si trascinò stancamente per pochi numeri finché non giunse il momento del rilancio nella divisione Vertigo. Grant Morrison si era già segnalato come autore emergente e dalla forte personalità reinventando il personaggio di Animal Man, ancora oggi uno degli esempi di fumetto sperimentale e metalinguistico più importanti di sempre. Su Doom Patrol, Morrison per cominciare operò diverse trasgressioni riguardo cast e codice narrativo, adottando un linguaggio beffardo e surrealista. Ai redivivi Robotman e Caudler, Morrison accosta una serie di stravaganti new entry. Trasforma Negative Man, personaggio presente in varie incarnazioni sin dal principio della serie, in Rebis, creatura ibrida tra uomo e donna. Introduce la piccola Dorothy, ragazzina dal volto scimmiesco in grado di materializzare nella realtà tutto ciò che concepisce la sua immaginazione. Ma a bucare la pagina è l'esordio di Crazy Jane (Giovanna la Pazza), giovane schizofrenica dotata di innumerevoli personalità differenti, ciascuna delle quali è fornita di un peculiare superpotere.
Così riformata, la nuova Doom Patrol affronterà presto una serie di sfide surreali, dove la sostanza stessa della realtà verrà messa in discussione. Un viaggio psichedelico che non ha niente da invidiare alle follie di Lewis Carroll, denso di metafore esoteriche e di invenzioni esilaranti nella loro feroce, esplosiva demenza. Non a caso il team di avversari storici della Patrol, cioè la Confraternita del Male, nelle mani di Grant Morrison diviene la Confraternita del Dada, e i loro piani mutano in un delirante manifesto nichilista volto alla sovversione di tutto ciò che esiste. Creature censorie con forbici al posto delle mani, esseri che si esprimono per anagrammi, criminali dotati di poteri solo mentre dormono ed eroi depositari del mistero muscolare, allegorici viaggi nella psiche frammentata di Crazy Jane, versioni pop di Jack lo squartatore, una controfigura del mago cinico per antonomasia dell'universo DC e molto altro, rendono allegramente caotico e appassionante il viaggio che Morrison fa intraprendere alla sua personale Patrol, in direzione di un destino fuori dagli schemi seriali cui i lettori di ieri e oggi, cresciuti a continuity e crossover, sono assuefatti. Un vero deragliamento narrativo che segna la maturità artistica di Morrison, consegnando definitivamente la Doom Patrol alla storia del fumetto moderno.
La nuova edizione italiana, curata dalla RW – Lion, presenterà l'intero ciclo firmato dall'autore scozzese colmando un vuoto editoriale durato molti anni. Un'occasione da non perdere per scoprire o recuperare un ciclo di storie geniali, e un fumetto che ha veramente poco a che spartire con l'omologazione supereroistica più commerciale e prevedibile. Un peccato vedere come oggi lo stile di artisti del calibro di Richard Case e Scott Hanna, perfettamente a loro agio nel dare corpo ai deliri di Morrison, sia snobbato dai lettori più giovani, abituati a format grafici più manierati e stucchevoli. Per chi è in grado di apprezzare il meglio del fumetto prodotto alla fine del secolo scorso, capace di raggiungere vette di eccellenza tuttora latitanti nei titoli contemporanei, questa nuova edizione della Doom Patrol di Grant Morrison è sicuramente un gioiello da non lasciarsi sfuggire.
Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.
[Articolo di Filippo Messina]
mercoledì 11 aprile 2012
iZombie: Morta per il mondo
Gwen è morta. Già da tempo, non sappiamo come. Eppure, Gwen cammina ancora tra noi. Parla, ride, le piacciono i bei ragazzi, e lavora come inumatrice nel cimitero della cittadina di Eugene.
Gwen è affabile, piacevole, corteggiata. Le differenze con una normale ragazza viva e vegeta non sembrano essere molte. Quello che rende Gwen davvero particolare è che una volta al mese è costretta a cibarsi del cervello di un cadavere. Abitudine spiacevole, ma necessaria se vuole evitare di smarrire la sua personalità e trasformarsi in un ottuso cadavere ambulante. Inoltre, ogni volta che si nutre di materia cerebrale, Gwen è alla mercé delle memorie del defunto. Un’ondata di emozioni, di ricordi, vivida e incontrollabile. Stasera Gwen ha cenato, e una voce nella sua testa ha iniziato a chiedere insistentemente vendetta...
La RW-Lion porta in Italia iZombie (Io, lo Zombie), serie DC-Vertigo firmata da Chris Roberson (Jack of Fables) e Mike Allred (Madman). Una saga horror-comedy virata di quel pop style in cui Allred è maestro indiscusso. Un mondo popolato da tutte le creature dell’immaginario soprannaturale, cacciatori di mostri compresi, osservato attraverso gli occhi di una di loro. Una morta vivente in grado di dissimularsi tra gli umani. Vicini alle visioni gotiche del cinema di Tim Burton, Roberson e Allred inventano un caleidoscopio coloratissimo, grottesco e vivace, che per alcuni aspetti potrebbe ricordare le atmosfere di The Goon di Eric Powell, ma che utilizza toni molto più dark e si affida a una narrazione progressiva, dove i molti interrogativi troveranno risposta poco per volta.
Gwen è dunque una non morta, condannata per tirare avanti a vivere stralci delle vite altrui, attraverso il rito cannibalesco che deve svolgere per non perdere quel che resta della sua umanità. La accompagnano Ellie, il fantasma di una sventata ragazzina del secolo scorso, e Spot, giovane licantropo innamorato di Gwen. Il tono del racconto è leggero, ma lascia intravedere dietro ogni dialogo, dietro ogni pittoresco personaggio, qualcosa di nerissimo, pronto a ingoiare trama e lettore non appena si abbassa la guardia. Il linguaggio è fresco e venato di ironia, ma introduce scenari e accadimenti cupissimi, riuscendo a sorprenderci con repentine fughe dai cliché e una dose, non eccessiva, ma disturbante, di crudeltà. L’ingrediente supereroistico, che consiste proprio nella possibilità di Gwen di intervenire per saldare i conti lasciati aperti dai trapassati, s’infrange e muta a favore di un’alchimia fumettistica più complessa. iZombie non è esattamente un fumetto di spavento, perché non si propone di fare paura. E’ tuttavia un fumetto horror, giacché presenta situazioni e quesiti realmente inquietanti. Tanto più disturbanti quanto ammantati di umorismo e colori accesi.
Mike Allred è un artista dalla personalità molto forte, abbastanza da influenzare e fondersi con la cifra stilistica della sceneggiatura che è chiamato a illustrare. Per questo opere come X-Statix, Madman e lo stesso iZombie, presentano un’impronta coerente, dove lo stile di Allred, acceso e fracassone, riesce a rendere non scontati spunti apparentemente frusti. Ed è per questo che iZombie risulta una divertente sorpresa, come una festa di Halloween (se vogliamo, come una di quelle che Gwen detesta) particolarmente frizzante e pazza. Dove i morti parlano in uno Spoon River impazzito, psichedelico e pop come soltanto il pennello estroso di Mike Allred poteva riuscire a proporcelo.
Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.
[Articolo di Filippo Messina]
lunedì 4 luglio 2011
Young Liars
Danny Noonan è un perdente. Uno dei tanti, con il suo bagaglio di frustrazioni e sogni di successo, affidati a una scalcinata band musicale. Danny però ha anche una ragazza, bella e sexy. Ma Sadie non è una ragazza qualunque. Non solo è la figlia ribelle di un perverso e potente imprenditore locale. Un proiettile conficcato nel suo cranio - che potrebbe farla cadere in coma da un momento all’altro - ha cancellato ogni suo freno inibitore e l’ha resa dipendente dalle emozioni forti, persa in un’orgia di adrenalina che la rende sempre più selvaggia e inarrestabile. Un manipolo di amici, altrettanto problematici e sbandati, li accompagna lungo un quotidiano cui si fatica a dare un senso. L’ennesima avventura, iniziata per inseguire un sogno di ricchezza, li condannerà all’inferno. E mentre il misterioso passato di Sadie collassa travolgendo tutto e tutti, la parola “bugiardo” acquisterà nuovi, terrificanti significati.
David Lapham deve la sua fama soprattutto a Stray Bullets, opera indipendente che ha riscosso, negli anni novanta, un cospicuo successo di critica e pubblico, valendo al suo autore il premio Eisner. Già in Stray Bullets, Lapham aveva dimostrato la sua predilezione per i racconti corali, dove la vicenda di ogni singolo personaggio era la tessera di un complesso mosaico noir, ritratto di un disperato mondo di lupi. Young Liars, miniserie in diciotto capitoli scritta per la divisione Vertigo della DC Comics, conserva la collaudata struttura a più voci, ma adotta uno stile ancora più provocatorio, pop e psichedelico, puntando su un ritmo frenetico e un costante rovesciamento dei piani temporali. Non è possibile anticipare l’intreccio di Young Liars senza svelarne anzitempo i segreti più scottanti. La trama labirintica ordita da Lapham è deliziosamente grottesca, serrata come in un racconto thriller, surreale e impudente come solo un fumetto underground può permettersi di essere.
L’incontrollabile Sadie, l’ambigua anoressica Jakie, l’intrallazzone Runco, il transessuale tossico Donnie, la bella e nevrotica CeeCee, ma soprattutto l’infame e sfigato Danny Noonan, sono icone di una gioventù squarciata dalla vita e dall’ignoranza. Una generazione che ha fatto dell’impostura una vera regola per sopravvivere, fino alle conseguenze più estreme. Pur nel loro disperato dibattersi, prede di bugie vorticose e miserie senza fine, Lapham sembra però osservare i suoi perdenti con simpatia. Quasi con affetto. Una punta di ammirazione colpevole per la loro follia giovane, la capacità di non arrendersi mai, mentendo spudoratamente anche a se stessi, anche davanti all’abisso più profondo. I giovani bugiardi di David Lapham, così sporchi e cattivi, sono a dispetto di tutto gli eroi di un’epica surreale, che in realtà rende omaggio allo spirito e alla fantasia umana come a una formidabile arma di resistenza.
Superbo esercizio di stile, Young Liars di David Lapham è un piccolo capolavoro del fumetto indipendente, ricco di spunti e sperimentazioni narrative. Qualcosa di sufficientemente moderno e contro tendenza da aiutarci a riscoprire echi di un passato glorioso, come la poetica allucinata di William S. Burroughs e i primi ispirati passi della beat generation. David Lapham ha ormai una personalità inconfondibile, così come la sua caratura di autore fuori del coro, con Young Liars, è definitivamente consacrata.
E questa, certamente, non è una bugia, ma semplicemente una piacevole verità.
Questa recensione è stata pubblicata anche su Fumettidicarta.
[Articolo di Filippo Messina]
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