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venerdì 9 gennaio 2015
domenica 30 novembre 2014
giovedì 16 ottobre 2014
Colla e caucciù... per salutare Giorgio Rebuffi
Solo poche parole... giusto per
salutare Giorgio Rebuffi (1928-2014), scomparso a pochi giorni di distanza da
Lorenzo Bartoli, stimato autore di John Doe.
Non ho nessuna
particolare antipatia per i coccodrilli. Mi limito a non nuotare
nelle loro stesse acque. Ma odio doverli scrivere, quando il loro
nome acquista una valenza sarcastica, riferita al commento
giornalistico alla dipartita di un personaggio noto. Eppure ci sta,
si deve. Ci tocca. Se Bartoli (scomparso troppo presto)
aveva infuso una ventata d'ossigeno al fumetto popolare italiano
contribuendo a creare John Doe, Rebuffi è stato una figura
storica soprattutto per chi non è più giovanissimo, ma ricorda con
piacere i suoi primi anni di appassionato di fumetti.
A quanti lettori sui vent'anni di età
dice qualcosa il nome Tiramolla? E' possibile che i più
avvertiti lo conoscano, almeno per sentito dire, ma è altrettanto
probabile di no, e che siano costretti a una ricerca più
approfondita per scoprirlo.
Allora ricorderò Rebuffi così: da
decenni, ormai, quando vorremmo acchiappare un oggetto distante,
fuori dalla nostra portata, passare sotto una porta chiusa a chiave,
o semplicemente quando scopriamo che in bagno è finita la carta
igienica... a molti di noi capita di pensare «Se solo fossi Mr
Fantastic, Reed Richards dei Fantastici Quattro!» (ciao ciao,
Tim Story. Noi ci pensavamo già da piccoli).
Ebbene, giovani... ci fu un tempo
eroico in cui i ragazzi, nelle medesime circostanze sopra descritte,
dicevano «Se solo potessi allungarmi... Se solo fossi
Tiramolla!»
E sì, perché il misterioso,
buffissimo mutante, figlio della colla e del caucciù, aveva le
stesse medesime caratteristiche del supereroe marvelliano (comunque
già debitore a personaggi di altri marchi editoriali statunitensi).
Erano altri tempi, il fumetto d'importazione era meno pervasivo, e i
miti di casa nostra (anche quelli a fumetti) impregnavano anche il
nostro modo di parlare, i nostri paradossi e i nostri sogni.
Graficamente, Rebuffi ideò Tiramolla
(su testi di Roberto Renzi) nel 1952, e lo rese immediatamente
iconico. Un esserino filiforme, con un faccione da pupazzo fregiato
con tuba e papillon rossi. Questo supereroe per i più piccoli nasceva sulle
pagine di un'altra fatica di Renzi e Rebuffi: Cucciolo,
dichiarata controparte umanizzata del Topolino disneyano. Ed è
accanto a Cucciolo e Beppe (controparte umana di Pippo) che Tiramolla
mosse i primi passi, bucando letteralmente la pagina con i suoi
poteri elastici e conquistando uno spazio (e un giornalino) tutto
suo.
Ma Rebuffi è da ricordare per l'intera
mitologia per ragazzi legata al microcosmo di Cucciolo,
affollata di personaggi fortemente caratterizzati e in grado di
gareggiare in simpatia con le creature di Walt Disney che hanno
segnato l'infanzia di tutti noi. Il lupo Pugacioff, altro antieroe
indimenticabile, la cui strada si incrociava spesso con il cammino
degli altri, soprattutto con l'oggetto principale della sua fame
lupesca, il grassoccio Bombarda, clone del Gambadilegno avversario di
Topolino, che con il lupaccio della steppa aveva un
rapporto-tormentone molto simile a quello esistente tra Capitan
Uncino e il famelico Coccodrillo (sempre questi rettili piagnoni,
accidenti!).
Soprattutto per chi è nato e cresciuto
tra gli anni 60 e i primi 70, i fumetti di Giorgio Rebuffi sono stati
sicuramente i principali concorrenti del classico Topolino. Ma si
andava al di là della semplice imitazione. La verve delle storie era
brillante, le caratterizzazioni vincenti, i personaggi
indimenticabili.
Rebuffi non c'è più, e nello stesso
tempo c'è ancora, ci sarà sempre. Al di là di quanto possa suonare
retorico. Perché è questo quel che significa lasciare un'impronta
nell'immaginario. Entrare a far parte del linguaggio e del bagaglio
di memorie di così tanta gente. Impresa certo non da poco.
venerdì 12 settembre 2014
mercoledì 3 settembre 2014
lunedì 11 agosto 2014
lunedì 28 luglio 2014
giovedì 24 luglio 2014
CineSpider-Man: Trova le differenze
Qualcuno mi spiega perché si continua a dire che il reboot Amazing Spider-Man è "più fedele al fumetto" della trilogia di Sam Raimi?
A me sembra che (come minimo) siano pari e patta.
1 - Nel terzo (tremendo!) film di Raimi, Gwen Stacy è un'ochetta che ha un ruolo molto secondario, mentre dovrebbe essere la prima fiamma di Peter Parker. In Amazing 2, il primo Goblin sembra essere Harry Osborn (non Norman), tra l'altro stravolto.
2 - Nel primo film di Raimi, l'incidente che trasforma Peter in Uomo Ragno è molto fedele alle dinamiche del fumetto, mentre in Amazing è del tutto reiventato (in modo anche farraginoso e - se possibile - ancora meno plausibile).
3 - Il trauma della morte dello zio Ben, nel film di Raimi, è aderente alla fonte fumettistica, mentre in Amazing è rivisitato alla cazzodicane e risulta abbandonato per strada, tanto che sembra influire molto poco sulla psicologia del protagonista.
4 - Nel film di Raimi, Peter sviluppa una ragnatela biologica, mentre in Amazing costruisce i famosi lanciaragnatela. In compenso sono del tutto assenti la fase del wrestling (fondamentale), il personaggio di Jonah Jameson (fondamentale), e di fatto la sua trasformazione caratteriale (fondamentale anche questo... C'è chi lo ha trovato figo, ma sicuramente fedele al fumetto non è). E il senso di ragno? C'è? Non c'è? Eh?! Beh, nel primo C'ERA e si vedeva. Nel reboot è solo caos (o rallenty).
5 - La storia (pasticciatissima) dei genitori spie di Peter Parker, nel fumetto, emerge moooolto avanti. Niente per cui stracciarsi le vesti, ma perché rompete i coglioni con Gwen che veniva prima di Mary Jane, allora?
Questo elenco potrebbe
continuare in modo nerdosissimo. Eppure, in giro per la rete, si continua a parlare di aderenza al fumetto dello Spider-Man di Marc Webb. Magari criticandolo, ma salvandone sempre la presunta fedeltà alla matrice cartacea. Fedeltà che stento a trovare. Seriamente. Qui non parliamo di dar voti ai film, ma di guardare alle loro strutture con un minimo di criterio. Che il reboot abbia cercato di puntare su alcune "differenze" per prendere le distanze da un originale ancora troppo recente si può capire. Ma parlare di fedeltà, e ripeterlo come un mantra non lo farà diventare vero.
Si vede che i commenti di tutti questi giovincelli che definiscono "sopravvalutata" la trilogia (imperfetta quanto si vuole, d'accordo, ma comunque molte spanne al di sopra di queste produzioni confuse e sciatte dal punto di vista della sceneggiatura) mi irritano profondamente?
E per inciso... che spreco Andrew Garfield. Giovane attore bravo e duttile. Potenzialmente un buon Peter Parker sulla carta... ma affondato da una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti.
Si vede che i commenti di tutti questi giovincelli che definiscono "sopravvalutata" la trilogia (imperfetta quanto si vuole, d'accordo, ma comunque molte spanne al di sopra di queste produzioni confuse e sciatte dal punto di vista della sceneggiatura) mi irritano profondamente?
E per inciso... che spreco Andrew Garfield. Giovane attore bravo e duttile. Potenzialmente un buon Peter Parker sulla carta... ma affondato da una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti.
lunedì 30 giugno 2014
lunedì 28 aprile 2014
Amazing?
Questa non è una recensione. Anzi, non si parla neppure del film. Giusto due parole... sulle recensioni di altri.
Perché in quasi tutti i commenti su Amazing Spider-Man 2: Il potere di Electro ci si preoccupa di sottolineare che NON C'E' SCENA DOPO I TITOLI DI CODA? Qualcuno mi spiega l'importanza epocale dell'evento. Quale immane trasgressione? Il tono di chi riferisce la cosa tradisce sempre una qualche delusione. Cos'è, un gadget irrinunciabile? Comunque sentir dire che la trilogia di Sam Raimi è sopravvalutatissima mi fa sentire vecchio decrepito. Ho visto succedere la stessa cosa con la musica degli anni andati, ma la vicinanza tra i due prodotti (e la gratuità dell'affermazione) rende lo scivolone ancora più marchiano. Ragazzi, è un argomento di poco conto, d'accordo. Sono cinefumetti, i gusti sono gusti e blabla, ok. Ma un minimo sindacale di oggettività non costa niente. Pensate alla caratterizzazione dei villains dei film di Raimi, Octopus su tutti, e sull'equilibrio tra dialoghi e azione (parliamo dei primi due film, non del pastrocchio che fu il terzo). Quel che è nuovo non è sempre migliore. Pensateci.
Perché in quasi tutti i commenti su Amazing Spider-Man 2: Il potere di Electro ci si preoccupa di sottolineare che NON C'E' SCENA DOPO I TITOLI DI CODA? Qualcuno mi spiega l'importanza epocale dell'evento. Quale immane trasgressione? Il tono di chi riferisce la cosa tradisce sempre una qualche delusione. Cos'è, un gadget irrinunciabile? Comunque sentir dire che la trilogia di Sam Raimi è sopravvalutatissima mi fa sentire vecchio decrepito. Ho visto succedere la stessa cosa con la musica degli anni andati, ma la vicinanza tra i due prodotti (e la gratuità dell'affermazione) rende lo scivolone ancora più marchiano. Ragazzi, è un argomento di poco conto, d'accordo. Sono cinefumetti, i gusti sono gusti e blabla, ok. Ma un minimo sindacale di oggettività non costa niente. Pensate alla caratterizzazione dei villains dei film di Raimi, Octopus su tutti, e sull'equilibrio tra dialoghi e azione (parliamo dei primi due film, non del pastrocchio che fu il terzo). Quel che è nuovo non è sempre migliore. Pensateci.
lunedì 11 novembre 2013
giovedì 7 novembre 2013
martedì 19 marzo 2013
L'infernale Uomo-Cosa
Brian Lazarus non ha pace. Tempo fa
aveva pensato di poter scendere a patti con i propri demoni
interiori, ma la vita non ha smesso di perseguitarlo. Ossessionato da
un nuovo folletto, prodotto dalla sua mente malata, torna dunque là
dove anni prima ha conosciuto un breve momento di catarsi. Nei pressi
di una palude, in Florida, per rifugiarsi in un edificio fatiscente,
scrivere le sue verità e finalmente, forse, morire in pace. Ma altre
forze sono in agguato, e spettri del passato si preparano a
incrociare nuovamente la sua strada. Una compassionevole ex ballerina
e una mostruosa creatura emersa dall'acquitrinio...
Parlare dell'Uomo-Cosa a dei lettori
italiani di oggi non è impresa facile.
Per iniziare, è inevitabile affrontare
il concetto di clonazione fumettistica (il nome è di comodo) che ha
sempre caratterizzato il mondo della nona arte nelle sue espressioni
più commerciali, soprattutto nell'ambito del genere dedicato ai
supereroi. Se alcuni personaggi Marvel sono nati come palesi riflessi
di eroi DC (si pensi, per esempio, a Thor, imparentato tanto con
Capitan Marvel-Shazam che con l'altrettanto mitologica Wonder Woman)
è vero anche che la genesi di alcuni doppelgänger
di carta è confusa e avvolta nel mistero. A volte si parla di
nascite talmente vicine da diventare controverse sul concetto di
originale e di copia. Un caso strano è proprio quello di Man-Thing
(L'Uomo Cosa) e Swamp-Thing, creati entrambi nel 1971, e palesemente
usciti dal medesimo stampino. Entrambi nati per incarnare le creature
delle paludi che proliferano nei racconti popolari del Sud degli
Stati Uniti, condividono parecchie delle linee generali. Uno
scienziato che lavora a una formula rivoluzionaria. Un complotto per
impadronirsene. L'apparente morte del protagonista nella palude,
nella quale cade dopo essere stato esposto al suo composto chimico.
La metamorfosi in una creatura fangosa, di natura vegetale, che si
trova a diventare (per caso o per scelta) un difensore dell'ambiente
e un baluardo contro misteriose forze occulte.
Così riassunte, le origini appena
narrate si possono applicare indistintamente a entrambi i personaggi.
Tuttavia, l'evoluzione successiva dei due protagonisti prende strade
abbastanza differenti. Swamp Thing, sebbene con grandissimo ritardo,
ha preso a godere di una discreta notorietà sul suolo italico grazie
al magistrale ciclo di Alan Moore, più volte ristampato. Man-Thing,
in italiano l'Uomo-Cosa, conta solo una manciata di apparizioni nel
nostro paese, spesso come comparsa in storie di eroi più celebri (il
tarzanide Ka-Zar, Shang Chi Maestro del Kung Fu) e la
sua origine fu pubblicata nei lontani anni settanta sullo storico
Corriere della Paura dell'editoriale Corno, curato
dall'indimenticabile Maria Grazia Perini (MPG per i fans), che
sdoganò in Italia il lato oscuro (cioè il genere horror) della
Marvel Comics.
Nel caso dei due ominidi paludosi,
dunque, è difficile (oltre che inutile) tentare di stabilire chi sia
stato ispiratore per l'altro. Probabilmente trovano origine in un
meccanismo sociologico che gli antropologi chiamano poligenesi e
convergenza, sarebbero cioè sorti da idee radicate
nell'inconscio collettivo di tutti e portate a maturazione in modo
autonomo, secondo sensibilità e influenze culturali indipendenti.
Detto questo, possiamo contemplare le
differenze tra i due mostri in apparenza così simili. Abbiamo da un
lato Swamp Thing, un essere intelligente e potentissimo,
sostanzialmente l'avatar del mondo vegetale, memore dei suoi
trascorsi umani e in grado di esercitare il suo controllo su tutte le
piante del pianeta. Dall'altro, l'Uomo-Cosa, che pur essendo una
creatura di fango, pur vivendo nella palude ed essendone
sostanzialmente parte, è qualcosa di diverso. Muto, in apparenza
privo di intelletto, ma caratterizzato da una forte empatia che lo
attira in modo irresistibile verso le emozioni umane più forti,
l'Uomo-Cosa è più simile a un catalizzatore di eventi, una sorta di
deus ex machina involontario, la cui qualità principale suona simile
a un'ordalia: tutto ciò
che prova paura brucia al tocco dell'Uomo-Cosa.
Creato da Gerry
Conway, Roy Thomas e Gray Morrow in un breve racconto sulle pagine di
Savage Tales nr. 1, il Cosone continuò ad apparire in
ruoli secondari per approdare poi sulla rivista Adventure into
Fear e conquistare una propria personalità più definita grazie
allo sceneggiatore Steve Gerber. Gerber, in quegli anni, era un po'
il demiurgo del sottogenere orrorifico marvelliano (Tales of
Zombie, pubblicata per intero in Italia sempre sul Corriere
della Paura) e accompagnò il personaggio fino alla fine degli
anni ottanta, affermando che la sua vena riguardo al mostro della
palude s'era ormai esaurita.
L'infernale
Uomo-Cosa, presentato dalla Panini Comics in edizione cartonata,
rappresenta il saluto definitivo al personaggio da parte dello
sceneggiatore scomparso nel 2008. Un progetto rimasto congelato per
oltre tre decadi, disegnato in modo splendido e non scontato da Kevin
Nowlan, e un'inattesa sorpresa nostalgica per quanti, in Italia,
ricordano le poche, saltuarie apparizioni del mostro fangoso
marvelliano. Per salutare l'Uomo-Cosa, Gerber aveva deciso di dare un
seguito a una sua vecchia storia degli anni settanta intitolata Il
Canto-Pianto del Morto Vivente. Protagonista del racconto era il
tormentato Brian Lazarus, aspirante scrittore psicotico le cui
allucinazioni (timori, depressione e senso di inadeguatezza) avevano
la tendenza a materializzarsi in spettri tangibili e pericolosi (che
si tratti di un potere o di mera rappresentazione surreale non
importa). Una mente così travagliata non può che attirare come un
magnete una creatura fatta di pura empatia, ma anche suscitare la
solidarietà di qualcuno troppo umano per tirarsi indietro. Il
Canto-Pianto firmato da Gerber e John Buscema nel 1974 si
concludeva in modo tutto sommato consolatorio, ma per Steve Gerber il
personaggio di Lazarus sembrava avere ancora qualcosa di irrisolto.
Eccolo dunque tornare, dopo decenni, dove tutto è successo, ancora
vittima dei suoi incubi, forse ancora più ossessionato. Ed ecco
riemergere il mostro della palude, irrimediabilmente coinvolto nello
psicodramma che ha luogo a pochi passi dal suo habitat naturale.
Il racconto
recupera lo stile d'annata di Gerber, quello introspettivo e macabro
che aveva reso affascinanti le storie dello zombie Simon Garth, e
sorprende il lettore moderno con la sua forza emotiva, resa in modo
magnifico dalle matite di Nowlan, capace di alternare toni realistici
a vere esplosioni di incantevole follia visiva. La caratterizzazione
grafica del Man-Thing attinge ai tratti essenziali del personaggio
per reinventarlo quasi del tutto, facendone un grottesco pinocchio
vegetale, triste, confuso e furioso al punto giusto, coinvolto in
un'odissea psicanalitica dagli esiti incerti. Il volume Panini è
completato dalla pubblicazione del primo racconto (finora inedito in
Italia) dedicato da Steve Gerber alla vicenda di Brian Lazarus e
dalla riproposta delle origini del mostro nella storia in bianco e
nero del 1971. Una confezione in apparenza discutibile, in quanto il
sommario è ordinato a ritroso per presentare come primo titolo la
storia del 2012. Rispettando però l'ordine di lettura scelto
dall'editore, la sensazione che se ne ricava è tutt'altro che
spiacevole. Leggere di Lazarus e dei suoi incubi, lasciando nel
mistero i riferimenti generici all'esperienza vissuta nella palude
anni prima, risulta molto suggestivo. La stessa cosa succede
leggendo, a seguire, il Canto Pianto del 1974, riscoprendo le
matite di Buscema, il linguaggio già maturo del giovane Gerber, per
concludere con il breve racconto che illustra (in un efficace bianco
e nero) la genesi del personaggio principale. Una bizzarra macchina
del tempo a fumetti, ovviamente ispirata da ragionamenti commerciali,
ma che finisce con il regalare al lettore non più giovanissimo
un'agrodolce sensazione di appagante nostalgia.
Si può fare pace
con l'Uomo-Cosa di Steve Gerber (da queste parti, in fondo, non è
che si fosse visto molto) e seppellire definitivamente nella palude
ogni possibile paragone con lo Swamp Thing della DC Comics e le sue
implicazioni forse più intellettuali.
Una sola
perplessità riguarda il titolo del racconto pubblicato in America
nel 2012 e tradotto alla lettera nel nostro paese: Infernal
Man-Thing. L'Uomo-Cosa, in definitiva, è una figura malinconica,
silenziosa, emotiva. Anche il suo tocco ustionante si attiva solo
quando qualcuno ha ragione di temerlo, e generalmente lo fa perché
la sua coscienza urla assetata di espiazione. Pertanto, perché
Infernale Uomo-Cosa? L'inferno quieto della palude non è in
fondo tra i peggiori immaginabili, né il suo abitante si può
annoverare tra i demoni più terribili.
Ma in fondo va bene
anche così. Tutto ciò che appare orrido agli occhi è sempre stato
accostato al diavolo e agli inferi. Gli inferi dell'animo umano, in
questo caso, in cui il mostro si avventura come negli anfratti della
grande macchia verde di cui è parte. Perché la palude
dell'Uomo-Cosa è pura allegoria del cuore umano. E la sua mostruosa
sentinella è emblema dell'eterna ricerca di equilibrio tra uomo e
natura, tra animale e vegetale. E di un irriducibile senso di
giustizia siglato con il fuoco purificatore.
Questa recensione è stata pubblicata anche su FantasyMagazine.
venerdì 8 marzo 2013
X-Treme X-Men: una sfumatura di... Bear
C' è qualcosa nell'aria, di questi
tempi... Anzi, nei fumetti...
Northstar degli X-Men è appena
convolato a giuste nozze con Kyle, il suo compagno storico (ma
ricordiamo che Apollo e Midnighter di Authority lo avevano già
fatto molto tempo prima, adottando subito una bambina), e Alan Scott,
il Lanterna Verde-Sentinel della JSA è diventato
dichiaratamente gay dopo il reboot messo in atto dalla DC Comics nei
mesi scorsi (alla faccia di immaturi blogger dalla lingua lunga, del
tutto inconsapevoli della loro stessa ignoranza). Sempre in casa DC,
la nuova, fascinosissima e omosessuale Batwoman ha appena chiesto
alla sua amata di sposarla.
Il fumetto, soprattutto quello
supereroistico, giacché stiamo parlando di comics popolari e non di
produzioni militanti, si sta aprendo alle tematiche LGBT più che in
passato. Che sia un segno dei tempi? Sarebbe molto bello. Già tanti
anni fa, sempre su X-Men, Chris Claremont, senza una parola,
suggeriva l'appassionata relazione lesbo tra Mystica e Destiny e il
rapporto con due madri della loro figlioletta adottiva, la futura
x-girl Rogue. Ma si trattava di sfumature, e il non detto, per quanto
gestito con mestiere, continuava a far percepire l'esistenza di un
muro invisibile oltre il quale, in un fumetto rivolto a un pubblico
generalista, non si poteva andare.
Le cose stanno forse lentamente
cambiando, e oggi qualche segnale arriva dalla serie X-treme
X-Men, ancora inedita nel nostro paese, e prossima alla chiusura
negli Stati Uniti. Al di là delle vendite scarse, sembrà però che
la serie abbia guadagnato in poco tempo un discreto numero di
estimatori. E anche qui, tra le innovazioni, troviamo una storia
d'amore omosessuale, ma con una declinazione ancora differente, che
punta oltre gli stereotipi più diffusi. La componente Gay Bear.
Per i puristi e non addetti ai lavori,
è opportuna una precisazione tutta nerd. L'attuale X-treme X-Men
non ha niente a che vedere con la serie omonima uscita qualche
anno fa come spin off della serie madre (Uncanny X-Men)
e che raccontava le vicende di un drappello di mutanti alla ricerca
dei diari della defunta veggente Destiny. Il perché del riciclaggio
di un titolo già utilizzato è da cercare nei consueti meccanismi
commerciali della Marvel. Fatto sta che ci troviamo davanti a uno
scenario completamente diverso, e soprattutto in un universo
parallelo a quello classico, dove incontriamo versioni alternative di
eroi che conosciamo da tempo.
Lo scoop LGBT (e molto Bear) consiste
nella passione che all'interno di questa serie lega i personaggi di
Wolverine (qui chiamato semplicemente Howlett) e il semidio Ercole.
Un bacio appassionato tra i due nerboruti e villosi eroi sta facendo
il giro della rete, e fioccano gli esperimenti di Fan Art, alcuni
discretamente spinti (e non per questo meno divertenti).
Se ancora oggi, vedere sposarsi due
flessuosi giovanotti può sembrare sovversivo a qualche mente
ristretta, vedere due omacci pelosissimi e massici scambiarsi
effusioni affettuose, forse, lo è ancora di più. Sappiamo già che
il dibattito sulle implicazioni commerciali di questi elementi
inseriti nei fumetti è lontano dal terminare. Resta il fatto che una
pubblicazione popolare (e un fumetto di supereroi lo è) può
trasformarsi in un megafono per realtà sommerse a prescindere dalle
sue intenzioni iniziali, e se il matrimonio di Northstar ha regalato
grande visibilità alla comunità LGBT americana, iscrivendosi nel
solco degli attuali progetti politici di Barack Obama, il bacio tra
l'Ercole e il Wolverine alternativi potrebbe contribuire ad abbattere
un'altra barriera. Quella che spinge molti a vedere il mondo
omosessuale come se fosse un salottino dai colori pastello, popolato
solo da fatine e da elfi. La relazione tra i due titani Marvel
presenta una verità diversa. La realtà LGBT ha radici nel mondo
reale, nei corpi reali e in tutte le età, e può esprimersi anche
attraverso i feticci più virili, in apparente contraddizione con la
volgata ancora così diffusa.
Tutto questo lo riassumiamo spesso con
la parola Bear, etichetta che a sua volta è stata
cannibalizzata dal commercio (in particolar modo in America)
producendo talvolta insofferenza e scetticismo presso la sua stessa
comunità. Ma quello che importa davvero è lo sdoganamento delle
differenze come valore positivo, la rottura dei cliché e
l'allargamento degli orizzonti. Sia pure in una dimensione
alternativa a quella ufficiale, con il sapore dell'esperimento, del
potrebbe essere... Affidato a una di quelle che nei fumetti sono
definite “storie immaginarie”, cioè slegate dalla
continuità delle serie regolari, dove ci si può permettere di fare
accadere qualunque cosa a personaggi altrove considerati intoccabili.
Eppure, come ha scritto una volta il
grande Alan Moore a proposito di storie immaginarie: «Non lo sono
tutte?»
Se i sogni (e le
storie) influenzano e modellano la realtà, diamo il benvenuto a
questa nuova coppia omosessuale a fumetti, non ci importa in quale
universo vivano. Noi, dal canto nostro, viviamo ancora in una
dimensione (e in un paese) dove uscire allo scoperto e chiedere a
volto scoperto di aver riconosciuti dei diritti sacrosanti è
definito “datato” e “controproducente” da chi ancora si
rifiuta di capire le ragioni e le origini profonde del frastagliato
popolo LGBT. Se i fumetti potranno giocare un piccolo ruolo in un
auspicabile cambiamento sociale, non lo sappiamo. Ovviamente ci
auguriamo di sì, che le cose stiano pian piano cambiando. E anche
questa è una storia immaginaria.
Ma in fondo... non
lo sono tutte?
mercoledì 27 febbraio 2013
Amazing Spider-Man 2: un nuovo look
Lo ha da poco reso pubblico il sito Superherohype. Il costume di Spider-Man, quello che nel film di Marc Webb ha fatto storcere il naso a molti fans («Sembra fatto con i supersantos!») cambierà design nel secondo episodio, intitolato Amazing Spider-Man 2, e ancora una volta interpretato da Andrew Garfield.
L'immagine pubblicata nelle ultime ore è nitida e ci riporta decisamente a un look più simile a quello che il personaggio sfoggiava nella trilogia di Sam Raimi.
mercoledì 20 febbraio 2013
Marvel Season One - Ant-Man
La collana 100% Marvel della
Panini Comics continua a proporre l'etichetta Marvel
Season One. Dopo la linea Ultimate, la rilettura
“che più moderna non si può” delle prime esperienze dei
supereroi. O meglio, la rielaborazione sfrondata da decenni di
ingombrante continuity, degli elementi iconici del personaggio
in esame. Dopo i Fantastici Quattro, L'Uomo Ragno, Devil, Hulk e
gli X-Men, è il turno di Ant-Man,
eroe “minore” nato negli anni della Guerra Fredda e passato
attraverso numerose trasformazioni (nel look e nella sostanza).
Personaggio, abbiamo detto, secondario rispetto agli eroi più
blasonati e oggi noti al
vasto pubblico.
Bizzarro,
perché il personaggio di Ant-Man,
lo scienziato Henry Pym, scopritore di una formula che modifica le
dimensioni degli individui (piccoli
come una formica o
giganteschi
come un Golia)
ha un ruolo cardine nell'universo Marvel, ed è legato soprattutto al
gruppo dei Vendicatori,
dei
quali è stato persino uno dei membri fondatori inseme alla compagna
Wasp. Non è tutto. Hank Pym è anche il creatore del malvagio automa
Ultron, una delle principali nemesi degli “eroi più potenti della
terra”, e ha svolto un
ruolo
determinante
in
molte saghe storiche. A dispetto di questo,
non ha mai goduto della stessa
fama dei suoi comprimari,
tanto è vero che nel film di Joss Whedon (che ha donato popolarità
trasversale a tutti i personaggi del cast) è del tutto assente,
fatto salvo (almeno così
pare) un progetto
cinematografico ancora
in attesa di essere concretizzato. Sarà
stato a causa della
schizofrenia intrinseca al personaggio, sempre in
trasformazione, con
cambiamenti frequenti nel look , nel nome di
battaglia e nelle abilità.
Cosa
che ha prodotto un'incostanza editoriale e un difetto
di riconoscibilità
dell'eroe protagonista (in continua
mutazione) con esiti commerciali deludenti. Evoluzioni formali che
hanno finito con il riflettersi sulla caratterizzazione stessa
dell'eroe e portarlo a compiere azioni infauste, qualificandolo
definitivamente come un individuo psicologicamente irrequieto
e instabile. In realtà, un
pozzo di spunti per un cosmo supereroistico che aveva fatto dei
problemi personali dei suoi eroi
la principale spezia
narrativa. Ma con Ant-Man (in seguito Giant-Man, quindi Golia, dunque
Calabrone, per poi tornare a essere Ant-Man e infine persino Wasp)
qualcosa non funzionò, e il professor Pym rimase una presenza
costante nel mondo dei Vendicatori senza mai scalare la vetta di un
successo personale.
Marvel
Season One è dunque
un'occasione per i lettori più giovani di scoprire questo
personaggio sommerso eppure molto presente nella mitologia Marvel. O
almeno per conoscerne
le origini, più qualche sottile riferimento a eventi di là da
venire che il lettore smaliziato (e più maturo) riconoscerà
senz'altro. Il navigato Tom DeFalco, con la collaborazione del
disegnatore Horacio Domingues, si occupa di questo svecchiamento
introducendo alcune
varianti al tema originale.
Henry , al
suo debutto come eroe in tuta (come semplice scienziato era già
apparso in una storia su
Tales of Astonish
27 nel 1962),
dopo aver scoperto le famigerate “particelle Pym”, si trasformava
in Ant-Man per combattere agenti sovietici interessati a rubare la
sua fantastica scoperta. Come
altri eroi Marvel, il personaggio attingeva molto al suo omologo
della DC Comics, Atom,
ma con l'aggiunta della relazione con il mondo degli insetti -
nello specifico delle formiche -
e del loro controllo. In questa versione, il famoso casco di Ant-Man,
pensato proprio per comunicare con le formiche, è un progetto di
Maria, moglie di Henry e scienziata altrettanto brillante, deceduta
in quello che sembra essere stato un atto terroristico in Ungheria.
La tragedia, consumata nel prologo del racconto, porta Henry a un
crollo nervoso che lo terrà a lungo sul divanetto dello
psicanalista, e serve a introdurre sin da subito gli elementi di
paranoia e incertezza che in seguito renderanno il personaggio
ambiguo e imprevedibile. La
sottotrama che segue è ormai da manuale e si dipana su binari magari
fin troppo prevedibili, o
comunque inefficaci a scrollarsi di dosso una patina di ingenuità.
Il
lavoro svolto da DeFalco su Ant-Man potrebbe essere definito come una
sorta di sintesi cinematografica, approccio oggi molto in voga nelle
riscritture delle origini di supereroi. Si tratta di riassumere gli
ingredienti che danno forma
al
personaggio e mixarli con gli sviluppi che lo hanno fatto
evolvere con il trascorrere
del tempo. Ecco spiegata l'apparizione precoce
di Bill Foster,
collaboratore di Henry che nella
continuity ufficiale compare
molto più avanti, e in un secondo tempo finisce con l'usare egli
stesso le particelle Pym trasformandosi in Black
Goliath, personaggio che
negli anni settanta andò a impinguare brevemente
il settore black
exploitation delle
testate Marvel.
La
sintesi richiede anche la presentazione di una delle principali
nemesi dell'eroe, ed è così che Elihas Starr, il mad
doctor Testa d'Uovo,
diventa il facoltoso fondatore di una multinazionale per cui lo
stesso Pym e famiglia inizialmente lavorano. Piazzati così i pezzi
sulla scacchiera, il racconto si evolve in modo lineare, senza
intoppi ma anche senza veri guizzi creativi, e il risultato – sia
pure non sgradevole – non lascia particolarmente colpiti. Eppure il
gioco dell'invisibilità (in questo caso dovuta alle piccolissime
dimensioni) dovrebbe essere uno spunto collaudato, così come
l'avventura nel mondo degli insetti si presta potenzialmente a
situazioni emozionanti. Tom DeFalco se la cava, invece, con il suo
vecchio, rodato mestiere, senza
tentare nessuna vera innovazione,
e le matite di Domingues, molto classiche, completano il compito in
modo diligente. Molto del
potenziale rimane però inespresso, forse perché le peculiarità
dell'eroe non sono spettacolari quanto in un fumetto ci si attende da
un eroe in tuta. O sarà la
maledizione di Ant-Man, chissà! Resta
il fatto che il personaggio
continua a fare fatica ad abbandonare le dimensioni minuscole (e
il suo complesso di inadeguatezza) per
diventare un gigante degno di nota. Forse dovremo attendere che
l'eroe riceva il crisma del
cinema... e solo allora la
Marvel deciderà quanto spazio e attenzione vorrà effettivamente
prestargli.
[Articolo di Filippo Messina]
lunedì 11 febbraio 2013
Niente è per sempre - Memocomics #2
Niente è per sempre. Troppo spesso ci sentiamo dire «Non mi avevate avvisato... Non me l'avete detto...»
Può anche darsi che sia vero. Nel caos lavorativo, a volte, l'enunciazione di semplici regole può sfuggire. Ma lasciateci commentare che anche supporre che qualcosa sia eterno è perlomeno ingenuo. Come potremmo sopravvivere (e non chiudere bottega) senza vendere i fumetti, ma tenendoli tutti congelati in attesa che più clienti escano dal loro letargo? Ecco dunque nascere questi Memocomics, che d'ora in avanti vi ossessioneranno, nella speranza che nessuno ci dica più «Cavolo, non lo sapevo!»
E date una lettura alla nostra pratica Guida all’uso della fumetteria. E' davvero d'aiuto.
lunedì 14 gennaio 2013
Canto di Natale Zombi
Lo sappiamo. Già ci sembra di
sentirlo: «Natale è passato, non ve ne siete
accorti?»
E' vero, è un fumetto di cui
sarebbe stato meglio parlare durante le feste. Detto questo,
premettiamo che esistono comunque tre buone ragioni per parlare di
questo Canto di Natale Zombi, targato
Marvel.
1 – Natale sarà pure passato,
ma gli zombi, di questi tempi, sono di gran moda.
2 – L'opera in questione è
tratta da un classico intramontabile della letteratura inglese,
rivisitato in mille modi e da mille media, e per la potenza dei suoi
contenuti è un racconto che trascende le festività
durante le quali è ambientato.
3 – Per quanto sia lecito guardarlo
con sospetto, è davvero molto, molto carino.
Tutti conoscono (o almeno dovrebbero)
la storia di Ebenezer Scrooge, il granitico taccagno uscito dalla
penna di Charles Dickens e divenuto icona universale della redenzione
di un'umanità indurita dalle amarezze della vita. Come
dicevamo, Canto di Natale, di
Dickens, conta un numero sterminato di versioni,
riletture e adattamenti. Film, parodie, un celebre lungometraggio
della serie animata Mr Magoo, e più recentemente un
bellissimo speciale natalizio di Doctor Who, dove il signore
del tempo deve riuscire ad ammorbidire in fretta l'animo cagliato di
una versione avveniristica dell'irriducibile misantropo, assumendo il
ruolo degli spiriti del Natale passato, presente e futuro.
Domanda: che cosa c'entrano... anzi,
come possono entrarci gli zombi in un racconto che fa della
riscoperta dei valori semplici e della gioia di vivere i propri
cardini fondamentali?
C'entrano, c'entrano... Ed è
tutto merito di George A. Romero, padre di tutti i morti ambulanti
dell'età moderna, quelli cannibali, che già nello
storico La Notte dei Morti Viventi, simboleggiavano un popolo
di diseredati che si ridestava per divorare fino all'osso la società
corrotta che li aveva resi reietti. In Canto di Natale Zombi,
i fantasmi protagonisti del racconto originale lasciano posto a
creature molto vicine all'attuale mitologia zombesca, ma tornando ad
attingere ai sottotesti politici sdoganati da Romero nella sua
fortunata serie cinematografica. Londra è allo stremo,
assediata da un'orda di creature affette da una pestilenza che è
stata definita morte famelica. Gli esseri umani contagiati
mutano in cadaveri animati da un appetito insaziabile che una volta
consumato tutto il cibo disponibile sbranano i propri simili,
seminando morte e diffondendo il contagio. Natale è alle porte
e l'unico cittadino che ancora possiede risorse in grado di tenere a
bada la mostruosa fame della popolazione mutata è proprio il
ricchissimo e inavvicinabile Scrooge. Ma che cos'è veramente
la morte famelica? Da dove è arrivata fin nel cuore di
Londra, come ha iniziato a diffondersi? La risposta non è
scontata, e s'incastra in modo sorprendente con i temi dell'opera di
Charles Dickens grazie alla sceneggiatura divertita e ispirata di Jim
McCann, capace di riscrivere con una grazie inattesa una delle più
grandi storie natalizie di sempre infondendole la componente horror
di maggiore successo mediatico del momento.
Per un'operazione del genere, il kitsch
e l'inutile profanazione letteraria erano rischi ovvi, eppure il
lavoro di McCann funziona benissimo, accompagnato alle matite da
David Baldeon, cartoonesco e malizioso quanto basta per evocare tanto
Scrooge e gli spiriti del Natale che ben conosciamo quanto
un'apocalisse zombi del tutto funzionale alla trama. L'avventura
notturna di Scrooge e le tappe morali della sua redenzione rimane
deliziosamente intatta, e la presenza (anche concettuale) dei morti
viventi contribuisce all'ulteriore divulgazione di questo classico
della letteratura. Commozione e divertimento non mancano, in una
confezione che sprizza simpatia e sarebbe un bel regalo (non soltanto
natalizio) per i più giovani che ancora non conoscono questo
classico della narrativa inglese, ma anche per chi lo ama e può
godere appieno questa nuova, riuscita variante.
Una sorpresa che magari non resterà
negli annali del fumetto d'autore, ma che in mezzo a tante uscite
trascurabili (e a tanti, troppi zombi) merita la lettura più
di altro. E se fosse la sua origine letteraria a farvi arricciare il
naso... Beh, sapete una cosa?
«I morti ti prenderanno,
Barbara... I morti ti prenderanno...»
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