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lunedì 20 aprile 2015

FANT4STIC: il nuovo trailer

Ok, potrebbe essere (e forse sarà) un film del tutto inutile. Magari proprio brutto. Stupido. Infedele al massimo alla controparte cartacea. E io tutta sta voglia di difendere qualcosa che non si è ancora visto, che conosciamo solo da annunci e trailer, non ce l'ho. So però che comincio a scazzarmi nel sentirlo vituperare a mitraglia. Mi sembra più infantile  di quanto un film (forse, probabilmente, inutile e mediocre) potrà riuscire a essere. E c'è anche qualcosa di talebano. Anzi, talebanerd. Io la vedo così. I Fantastici Quattro sono un fumetto le cui fondamenta iconiche sono profondamente avvinghiate agli anni sessanta. L'uomo non era ancora arrivato sulla luna e l'ingenuità regnava sovrana. Presumere di farli tali e quali non può fisiologicamente portare troppo lontano dagli esiti di Tim Stoy. L'idea di provare a trarne ispirazione per dire altro (forse come Ang Lee con il suo controverso Hulk) mi suscita un minimo sindacale di curiosità. Il film non s'intitola nemmeno Fantastic Four, ma gioca con la parola "Fantastic" integrando il 4 in modo che il riferimento ci sia e non ci sia. Sentire parlare della Torcia di colore mi ha stancato (ma è davvero una trasgressione così terribile?! Veramente non vi siete ancora dati pace?!). Sentire che la Cosa non ha gli occhioni blu come Lisa nella canzone di Mario Tessuto mi fa ridere fino alle lacrime. Ma non possiamo attendere di vedere che hanno combinato e discuterne con cognizione di causa? Nerd sì, ma... con juicio, perdinci!

sabato 28 febbraio 2015

Grazie al popolo di FanZinema 3


GRAZIE a tutti quelli che sono intervenuti ad Altroquando FanZinema 3, al Porco Rosso. E' stata una bella serata. Tanta bella gente interessata, in tanti a scoprire argomenti e forme di creatività per loro sono sommerse, i ricordi del vecchio Altroquando, i progetti del nuovo, i vecchi amici che sono rimasti amici, i nuovi compagni di strada che sono straordinari... e il popcorn altroquandiano. Rifacciamolo presto. E grazie ancora.

giovedì 5 febbraio 2015

Le Quattro Fantastiche Mosche... di Josh Trank


Può avere senso discutere di un film non ancora uscito?

Ma sì, dai, che non si fa male a nessuno. Al limite si spreca un po' di tempo... si punzecchia qualcuno sui social network, oppure ci si esalta con aspettative alte o basse. E' Internet, bellezza! Ma non è stato sempre così, è storia recente. E con i cinefumetti sta andando anche peggio. Certo, il cinema attinge a letteratura e teatro sin dalle sue origini, ma vuoi mettere la nona arte? La storia del cinema è zeppa di adattamenti, ma i lettori di fumetti sanno sempre quello che vogliono. Ti aspettano al varco e non perdonano. Ogni film è preceduto da una lunga novena, e – confessiamolo – il rituale dell'attesa fa parte del piacere. Sono come gli esercizi spirituali che precedono la Pasqua cattolica. A quanti piace spulciare quelle notiziole, spesso imprecise se non del tutto false, che abbiamo imparato a chiamare rumors? Vuoi mettere il delizioso, quasi mistico, piacere che danno al nerd che è in noi quando annunciano che il film in lavorazione conterrà questo o quell'elemento? E sbirciare quelle prime immagini... i concept, i bozzetti, e i casting... Wow! Applaudire o restare senza saliva a forza di sputi contro l'attore/attrice di turno è uno sport tutto nuovo e decisamente in fase di espansione. Importa poco se tutto è pura teoria, tutto rimandato all'uscita effettiva della pellicola. Dopotutto che possiamo saperne, si chiacchiera di aria fritta. E alla resa dei conti, i giudizi sbagliati non sono neppure mancati. Ricordate il dissenso per la statura di Hug Jackman, troppo alto per incarnare Wolverine, quando vedemmo le prime immagini del casting relativo al primo X-Men di Bryan Singer? E della valanga di pomodori lanciati alla foto di Quicksilver interpretato da Ewan Peters, ne vogliamo parlare?



Stavolta però il discorso è diverso. Parliamo del nuovo film dedicato ai Fantastici Quattro per la regia di Josh Trank, regista che si è fatto notare per l'esperimento Chronicle, pellicola girata in POV che esplorava il mondo dei superpoteri senza attingere a nessuna fonte fumettistica cartacea. I Fantastici Quattro, al cinema, hanno avuto finora poca fortuna. Non impelaghiamoci sui titoli precedenti, e non per cieco disprezzo, ma perché ci porterebbero fuori strada. Parliamo di Trank e del suo film, del quale è da poco uscito il trailer, e delle aspettative che, contro ogni previsione, è riuscito a conquistare. Sì, perché fino a poche settimane fa, il film sulla prima famiglia Marvel diretto da Trank era tra le produzioni più ignorate, dileggiate, sottovalutate dal fandom. Il concetto di reboot (nel senso di nuovo punto di partenza senza legami con le pellicole precedenti) è sempre spinoso. Sicuramente l'annuncio che il personaggio chiave di Johnny Storm, la scoppiettante Torcia Umana, il membro più spettacolare del gruppo, non sarebbe stato un giovane guascone biondo, ma l'attore Michael B. Jordan, che essendo di colore si colloca molto distante dalla figura conservata per decenni nell'immaginario dei lettori di mezzo mondo, aveva gettato parecchia acqua sul fuoco. La ribattezzata Torcia Nera è stata la pietra dello scandalo che ha suscitato prima un'ondata di indignazione generale (e giù a premettere di non essere razzisti, ma...), poi la rimozione del film di Trank dall'agenda dei progetti più attesi, quasi non esistesse neppure più.


Le acque sono tornate a bollire quando è stato annunciato l'intero cast e sono state pubblicate le foto. Un vero tornado nelle menti dei marvel fans, funestate da un casting a base di attori giovanissimi e tutti clamorosamente fuori ruolo. Non hanno aiutato neppure il rumor riguardo una Sue Storm che probabilmente non amerà Reed Richards ma (forse) Ben Grimm (interpretato stranamente da Jamie Bell, l'ex bambino danzante di Billy Elliot) e l'origine totalmente riscritta del Dottor Destino, qui un giovane e arrogante blogger. Meno scalpore ha suscitato il riferimento alla Zona Negativa e al suo ruolo nell'acquisto dei poteri da parte del quartetto. Niente raggi cosmici, sorry. Del resto, “raggi cosmici” significa poco, visto che quando Fantastici Quattro iniziò le pubblicazioni i viaggi nello spazio erano appena iniziati e di cosa c'era effettivamente là fuori non si sapeva praticamente nulla. E poi c'è la versione Ultimate a fare da capro espiatorio. La serie era brutta, ma l'espediente della Zona come fonte delle origini non era proprio da scartare. Mettiamoci i volti giovani e poco empatici degli altri interpreti e la frittata è stata fatta. Fantastici Quattro di Josh Trank era il male, e nessuno lo aspettava proprio più, se non per vituperarlo ancora e pure svogliatamente.

Che cosa è cambiato, allora, nelle ultime settimane? Due cose, fondamentalmente.


Intanto, Josh Trank ha rotto il silenzio e ha parlato diffusamente della sua idea del film e di come intende rivisitare il quartetto. In un'intervista succosa ha affermato che per approcciare a questi quattro supereroi e alla loro nemesi si è ispirato al cinema “del corpo” di David Cronenberg. Il racconto avrà un tono cupo e molto spazio sarà dato alle mutazioni mostruose e shockanti che i protagonisti dovranno subire. «Alcune scene» ha affermato Trank, «vi ricorderanno film come Scanners e La Mosca

Il secondo evento è stata l'uscita del primo trailer. Un video di pochi minuti che per atmosfere ricorda recenti colossi della fantascienza d'autore (Interstellar, Gravity), una colonna sonora cui ha contribuito nientemeno che Philip Glass, ma soprattutto alcune scene, velocissime e seminali, che sembrerebbero confermare la lettura fantascientifica e cronenberghiana annunciata da Josh Trank.

I Fantastici Quattro come Scanners e La Mosca, quindi.

Sarà vero?


Certo, se a Trank riesce di mandare la palla in buca sarebbe uno sballo.
Resta il fatto che i Fantastici Quattro marvelliani ne uscirebbero snaturati. Ma sarebbe così grave?
L'idea base, il tono della serie (soprattutto all'inizio della gestione di Lee e Kirby) erano tra le più leggere, ingenue, e quindi tra le più difficili da traghettare nel linguaggio cinematografico senza scadere in un prodotto infantile, oppure senza tradirne gli aspetti iconici.

La sensazione che suscita questa campagna mediatica è strana. Come se ogni mossa pubblicitaria avesse giocato con gli umori del fandom a bella posta, quasi ci si stesse divertendo a provocarli.
Adesso è abbastanza chiaro che il film di Trank (a prescindere sia bello o brutto) si propone come un esperimento fuori dal coro. In una fase commerciale in cui l'aderenza alla fonte fumettistica si dimostra vincente, questo titolo sembra imboccare deliberatamente la strada opposta, e presentarsi come una rivisitazione che prenderà spunto dall'essenza dei personaggi, ma che si riserva di sviluppare atmosfere e contenuti tutti suoi.


Qualche parentela (ideale) con l'Hulk di Ang Lee? Anche quel film fu disprezzato da molti, né mancarono spettatori infuriati che affermarono che con Hulk la pellicola di Lee non aveva niente a che vedere.

Sorge il sospetto che persino la scelta di un attore afro per il ruolo tradizionalmente biondoocchioceruleoragazzobiancoammerigano di Johnny Storm abbia poco a che fare con il politically correct imperante. Si è scritto tanto, si è detto tanto, della scelta mediatica di un attore nero solo per ragioni politicamente inclusive. Si è parlato del rapporto fratello-sorella con Sue, del fatto che saranno fratelli adottivi (ed è Sue, la ragazza bianca, a essere stata adottata). Ci si è pure chiesti (legittimamente) perché non fare di loro due fratelli dalle madri diverse... e tutto potrebbe starci. Quello che irrita è la difesa fuori luogo (miope, e probabilmente involontaria) del concetto di famiglia naturale (ebbene sì). C'è persino chi ha detto che Johnny e Sue non possono essere fratelli adottivi, giacché una delle caratteristiche fondanti dei Fantastici Quattro è il loro essere famiglia, e che sarebbe un peccato rinunciare a questo legame fondamentale tra i personaggi.

Perdonate. Sorvolando sul fatto che essere stati adottati non rende meno famiglia... ricordiamoci di Ben Grimm. Nel quartetto ha sempre svolto il ruolo dello zio, un po' come se fosse il fratello di Reed. Ma non lo è. E' solo un vecchio, carissimo amico. Eppure nessuno si è mai sognato di dire che la Cosa non facesse parte della Prima Famiglia Marvel. E non credo si comincerà adesso.
E sì, i fumetti non saranno più una cosa per bambini, ma a volte certe cose vanno ricordate ugualmente.


Tornando alla Torcia Nera, esiste una minuscola possibilità che il politically correct sia solo un pretesto, e che in realtà si tratti di un gancio mediatico che si sta rivelando anche piuttosto efficace. Oltre a far tanto parlare, il Johnny Storm afro era solo l'apripista di un intero cast che a un lettore accanito non può che apparire disastroso. Sì, disastroso, se quello che ci si aspetta, che si desidera, è una trasposizione su schermo pedissequa e rassicurante del fumetto che abbiamo sempre letto.

Il trailer ci mostra (per pochissimi secondi) una Cosa esplodere da una massa rocciosa apparentemente informe. Una torcia infiammarsi da lontano per un istante e un braccio protendersi fuori scena (forse allungandosi) con grande fatica. Niente di tutto questo garantisce che alla fine della fiera vedremo un film riuscito, o realmente in linea con l'estetica fantascientifica e “corporale” di David Cronenberg. Ma se si voleva giocare sul contrasto, sulla variante di icone amatissime, penso che il progetto sia ormai scoperto.
E il titolo? La grafica del logo originale si presenta così: FANT4STIC. Come se il vero titolo fosse, insomma "Fantastico" e il numero "4" fosse in qualche modo suggerito, implicito, ammiccante.
I Fantastici Quattro di Josh Trank, comunque vada, non sembra proporsi come un cinefumetto convenzionale, ma come una fantasia arbitraria su un modello di cui resteranno soltanto alcune tracce essenziali. Questo ci induce ad attenderlo con curiosità, se non altro per scoprire cosa diavolo hanno combinato, e se magari tante deroghe al fumetto non possano produrre alla fine uno spettacolo cinematografico perlomeno interessante.


Giusto? Sbagliato? Chi lo sa? E ancora una volta abbiamo parlato e scritto di aria fritta. Quello di cui discorriamo veramente, noi nerd, quando ci avventuriamo in queste congetture, sono le nostre passioni, quello che ci piacerebbe vedere e quello che temiamo di trovarci davanti. Niente di più.
Il resto è solo attesa e speranza di riuscire ancora a stupirsi.


[Articolo di Filippo Messina]


giovedì 6 novembre 2014

Dylan Dog: Vittima degli eventi

 

C'era molta attesa per Dylan Dog: Vittima degli eventi, mediometraggio diretto da Claudio Di Biagio (Non aprite questo tubo) e sceneggiato da Luca Vecchi (ThePills, qui anche nelle vesti di interprete nel ruolo fondamentale di Groucho) con la collaborazione alla fotografia di Matteo Bruno (Canesecco). Due fortunate campagne di crowdfunding e il coinvolgimento amichevole di due attori di alto profilo (Milena Vukotic e Alessandro Haber), hanno portato alla nascita di questo ulteriore fanmade dopo i fasti (sia pure relativi a un circuito indipendente) di Dylan Dog: la Morte Puttana di Denis Frison e Dylan Dog: il Trillo del Diavolo di Roberto D'Antona. Un'attesa ulteriormente almpificata dall'operazione di rilancio del Dylan fumettistico a opera di Roberto Recchioni, ringraziato, tra i molti altri, nei titoli di coda come preziosa fonte di consigli. Sembra, insomma, che al di là di ogni esito oggettivo, il personaggio di Tiziano Sclavi si stia godendo una fase di rinnovata attenzione, e il fanmade di Di Biagio non poteva uscire (in modo totalmente free, liberamente visionabile sul canale Youtube TheJakal) in un momento più propizio.


Dopo averlo atteso, dopo averlo visto (e apprezzato), cosa resta da dire. Cosa, dopo il clamore già suscitato in rete? Francamente, ripetere che il film firmato da Di Biagio e Vecchi (come già i due fanmade che lo hanno preceduto) vinca a mani basse sullo scempio statunitense di qualche anno fa, suonerebbe davvero ripetitivo e stucchevole. E poi, per dire pane al pane e vino al vino: fare di meglio rispetto al film di Kevin Munroe con Brandon Routh non è la più difficile delle imprese per chiunque mastichi un po' di tecnica cinematografica. Quindi basta confronti. Il film cinematografico di Dylan Dog non è mai esistito veramente, in quanto la pellicola hollywoodiana non lascia appigli neppure ai cultori del trash nella sua assoluta inutilità e inconsistenza.

Proviamo a fare una riflessione un po' diversa. Non controcorrente, solo diversa. Il mediometraggio di Claudio Di Biagio sta mietendo consensi in rete, e questi sono sicuramente in larga parte meritati. Di Biagio, come anche Matteo Bruno (già segnalatisi per attenzione e competenza con la web serie Freaks!) si dimostrano delle promesse del cinema italiano da tenere d'occhio. Il loro Dylan Dog è differente da quello di Frison come da quello di D'Antona. Un Dylan Dog a suo modo rivisitato senza troppi ma e senza troppi perché. Nel film, interamente ambientato a Roma, incontriamo l'indagatore dell'incubo che conosciamo, con il suo nome straniero e i suoi vezzi britannici. Non c'è dato sapere perchè. Il suo studio si trova là, Dylan non è in trasferta come nella Venezia de La Morte Puttana. Sorvoliamo sulle banali questioni legate al budget, in questo caso un po' più consistente rispetto agli esperimenti passati. Di Biagio e Vecchi se ne sono allegramente fottuti, e hanno collocato Dylan in una dimensione surreale, dove geografia e spaziotempo non contano una cippa. Non conta l'appellativo old boy, usato da un ispettore Bloch che più italiano non si può, interpretato da un Alessandro Haber non fuori parte come potrebbe sembrare a dispetto del look fuori contesto (probabilmente dovuto ad altri impegni contigenti dell'attore che non avrà potuto rinunciare alla barba). Notevole la partecipazione della Vukotic nella parte della medium Trelkovsky, qui forse più maga che sensitiva... ma chi se ne frega? La performance dell'attrice è molto suggestiva e potremmo considerarlo il fiore all'occhiello dell'intera operazione.


Il film è formalmente riuscito e si eleva, per quanto riguarda il comparto tecnico, decisamente al di sopra delle pur lodevoli esperienze precedenti. La fotografia di Matteo Bruno è impeccabile, gli effetti visivi efficaci. Meritevole il lavoro di interprete di Luca Vecchi, un Groucho molto più calibrato di quelli visti in precedenza. Vecchi si è palesemente andato a studiare la mimica del vero Groucho Marx e la ripropone con grande verve, regalandoci un Groucho superlativo soprattutto per la presenza scenica. Valerio Di Benedetto, che interpreta Dylan, ha indubbiamente il physique du rôle, né gli manca il talento, sebbene la sua recitazione sia ancora suscettibile di qualche miglioramento. Il suo Dylan, però, magari più per vincoli di sceneggiatura che per interpretazione, si discosta a larghi tratti dalla controparte bonelliana, manifestando atteggiamenti forse fin troppo hard boiled. Non parleremo qui della trama, degli incubi, delle scene oniriche e del finale surreale (a suo modo un colpo da maestro) e fortemente citazionista. Spendiamo invece qualche parola sul concept e sul senso generale da dare all'operazione che, ricordiamolo, rimane un (riuscito) esercizio di stile al servizio del fandom. Qui veniamo... non alle note dolenti, ma al cuore del discorso. Il mediometraggio funziona, e sicuramente conquisterà il cuore della maggior parte degli appassionati se non la loro totalità. Il discorso, da cinefili, è un altro. La domanda da porsi è differente. Oltre l'estro, il talento della crew che realizza questi fanmovie e il livello di qualità raggiunto... c'è veramente posto per Dylan Dog al cinema (o comunque in un media live action, quale che sia)?


Proviamo a formulare il quesito in un altro modo: è davvero possibile tradurre l'universo narrativo di Dylan Dog in un codice mediatico differente dal fumetto che possa avere dignità autonoma, e non limitarsi a essere un prodotto (sia pure ben realizzato) che gratifica l'amore dei fans citandone feticci e tormentoni? Per carità, è chiaro a tutti che parliamo di mero intrattenimento e non di chissà quale ricerca artistica, ma chiederselo è lecito. Dylan Dog è un fumetto che nasce facendo del citazionismo e del tritatutto mediatico il suo brodo primordiale. Tentare con l'alchimia cinematografica di distillare questo ibrido e sintetizzarlo in una sola delle materie da cui trae origine è opera ardua se non impossibile. Non riusciamo a scrollarci di dosso la sensazione che, nonostante i meriti di Di Biagio, Frison e D'Antona, Dylan Dog funzioni al suo meglio sempre e solo sulla tavola disegnata. E questo in proporzione maggiore rispetto a molti altri cinefumetti di cui si discute. La stessa natura onirica e anarchica (nel senso di logica narrativa) del fumetto creato da Tiziano Sclavi ne fa una creatura unica nel suo genere, sfuggente, di cui si può abbozzare un ritratto solo approssimativo, ma che la fotocamera (o in questo caso la videocamera) non potrà mai catturare del tutto. Proprio perché non ha una forma definita, ma basa il suo successo trasversale su una molteplicità di segni in continuo movimento.
La domanda, alla fine, è: un film su Dylan Dog potrà mai essere qualcosa destinato non solo ai suoi lettori, affamati di vedere portare in scena il clarinetto, il gaelone o la misteriosa bottega di rigattiere chiamata Safarà?

Una domanda, che non sottintende nessuna risposta certa. E questo a prescindere dai meriti di Vittima degli eventi, che ci dimostra ancora una volta quanto la passione e la libertà da vincoli produttivi possano offrirci opere stimolanti e di qualità.



lunedì 8 settembre 2014

Giovedì 11 Settembre: "Dylan Dog - la morte puttana" al booq di Palermo



«La morte, la morte... la morte villana! La morte a Venezia... La morte puttana!»

Giovedì 11 Settembre 2014, da booq alle 20,30: "Dylan Dog - La morte puttana" il lungometraggio fanmade di Denis Frison che manda a casa l'obbrobrio hollywooddiano che ha sprecato su schermo la figura dell'indagatore dell'incubo di casa Bonelli. Ormai manca poco all'inizio di FanZinema, la piccola rassegna di cinefumetti amatoriali organizzata da Altroquando Palermo, e l'occasione non poteva essere sprecata per usare una delle tante belle immagini realizzate dal grafico Luigi Mennella per pubblicizzare l'evento. Vi ricordiamo che la manifestazione continuerà il 18 Settembre, sempre da booq, sempre alle 20,30, con la seconda fase: Piccoli FanZ, maratona di corti amatoriali.
La rete è una grande piazza, ma nel suo marasma certe perle non sono visibili a tutti. Riscoprire le produzioni indipendenti su grande schermo, nel buio di una sala in compagnia di più persone, a ingresso del tutto gratuito, è un ulteriore modo per contribuire a diffondere una cultura alternativa alle comuni leggi di mercato, e a capirne il vero potenziale attraverso un evento che permetta anche il confronto e la socializzazione.
Venite con Altroquando, dunque, a scoprire come la pura passione possa produrre cinefumetti affascinanti e curati che forse non vi sognate neppure.


sabato 30 agosto 2014

FanZinema: vi aspettiamo da booq


Settembre incombe, e così la ripresa dei lavori presso booq, bibliofficina di Vicolo della Neve all'Allora, a Palermo. Vi ricordiamo l'appuntamento con Altroquando e la rassegna di cinefumetti amatoriali FanZinema, che si aprirà l'11 Settembre alle 20,30 con la proiezione del lungometraggio di Denis Frison "Dylan Dog - La morte puttana" e proseguirà la settimana successiva, 18 Settembre, sempre al booq e sempre alle 20,30 con la maratona di corti intitolata Piccoli Fanz, che presenterà numerosi cortometraggi amatoriali dedicati al mondo dei fumetti. Un'occasione per stare insieme, per scoprire (o riscoprire) personaggi amati attraverso la visione spontanea e viscerale di chi ama l'arte per l'arte, senza grossi numeri, ma con tanta passione e fantasia.
Qui la pagina Facebook dell'evento.






sabato 9 agosto 2014

FanZinema: 11 e 18 Settembre la rassegna da booq


FanZinema, sarà il titolo di una piccola rassegna (articolata in due serate) che Altroquando Palermo presenterà presso booq (la biblio-officina autogestita di vicolo della Neve, vicino piazza Marina) i prossimi 11 e 18 Settembre alle ore 20,30. Le proiezioni (a ingresso libero) riguarderanno la visione amatoriale dei fumetti trasposti in film. La prima serata (11 Settembre, ore 20,30) sarà dedicata a Dylan Dog: La Morte Puttana, fanmovie di Denis Frison. Lungometraggio amatoriale che ha davvero poco da invidiare alle produzioni cinematografiche più blasonate, e che sicuramente vince a mani basse sull'orrido prodotto hollywoodiano interpretato da Brandon Routh. La seconda serata (18 Settembre, ore 20,30) presenterà invece Piccoli Fanz, una maratona di cortometraggi (italiani ed esteri), sempre realizzati in ambito no profit e amatoriale, ma spesso da crew che col cinema ci lavorano e sono in grado di proporre icone fumettistiche libere da condizionamenti commerciali, e quindi esteticamente più intriganti. Vi aspettano, quindi, il sempreverdi Batman e Superman, ma anche il marvelliano Daredevil, il dirompente Lupin III e un'interessante Rat-Man animato che vorremmo tanto ricevesse la sovvenzione congrua a produrre una serie televisiva. L'appuntamento è a Settembre, con Altroquando, booq... e tanta voglia di coltivare liberamente i propri sogni. Vi aspettiamo.


venerdì 11 aprile 2014

Dylan Dog: La morte puttana


Certo, arriviamo buon ultimi a parlare di Dylan Dog: la morte puttana, fan movie di Denis Frison già popolare da tempo sulla rete e tra gli appassionati dell'indagatore dell'incubo. Ha senso una recensione in più, un altro commento, peraltro privo di quei tecnicismi che competono a chi mastica di cinema più e meglio di noi?

Mettiamola così. Dylan Dog: la morte puttana è un fan movie talmente poco fan e così dannatamente movie, da meritarsi una visibilità ridondante, nella speranza che la cosa incoraggi esperienze simili e possano regalare a quanti amano fumetti e cinema altre belle sorprese.


Iniziare dall'informazione ormai scontata che questo lungometraggio a bassissimo costo riesce là dove Hollywood ha realizzato uno scempio assoluto, non può che essere il punto di partenza di qualunque osservazione sul lavoro svolto da Denis Frison e la sua squadra. Ne sono carburante sicuramente l'amore per il fumetto, la sua profonda conoscenza e la volontà di omaggiarlo quanto la libertà dalle logiche di mercato che spesso intrappolano il cinema in meccanismi che girano a vuoto. La natura “amatoriale” (e concedeteci, per una volta, le virgolette, che qui più che altrove hanno ragione di esserci) del prodotto, ha permesso a Frison di operare il miracolo proibito al cinema mainstream, e dare corpo e voce al personaggio di Groucho (interpretato da Walter Brocca), interdetto all'inutile film di Kevin Munroe per ragioni di copyright. Essere svincolati dalle proiezioni commerciali ha consentito, inoltre, di lasciare spazio alla fantasia dello sceneggiatore (lo stesso regista) per sintetizzare la maggior parte dei feticci che rendono il Dylan Dog cartaceo ciò che è: una mitologia horror-onirica densa di personaggi caratteristici, e di ammiccare ai grandi assenti dove lo spazio filmico avrebbe reso forzato il loro inserimento. E' così che finalmente respiriamo in un film quell'aria ironica e spiazzante, surreale e malinconica che il fumetto ideato da Tiziano Sclavi ha ormai collocato nell'immaginario collettivo. L'uso di alcune sequenze del Dellamorte Dellamore, di Michele Soavi, utilizzate con maestria un paio di volte durante il film, potrebbe far storcere il naso ai puristi, ma la verità è che centra il bersaglio in modo del tutto coerente, finendo alla resa dei conti con l'apparire una civetteria cinefila astutamente gestita (grazie anche al coinvolgimento del doppiatore Roberto Pedicini, che aveva prestato la voce a Rupert Everett nel film del 1994).


La sottolineatura di alcuni limiti formali, inoltre, fa de La morte puttana un vero e proprio esperimento di metacinema. Groucho, ci viene detto, indossa dichiaratamente baffi e sopracciglia finti (ma non ci sarà mai spiegato il perché) conferendo al personaggio un'ulteriore aura surreale. Questo più delle mille citazioni sparse a piene mani lungo tutte le due ore e dieci di film, che non peseranno al fan dylandoghiano tanto sono intense. Altra osservazione scontata e sviscerata sono i difetti fisiologici del lungometraggio, alcuni dei quali (a nostro avviso) emergono soprattutto nelle scene d'azione, concentrate per lo più nella seconda parte del film. Ma tutto questo lascia il tempo che trova. Infatti, se in gemme del trash (prodotte pure con soldi pubblici, come La croce dalle sette pietre di Marco Antonio Andolfi) errori e goffaggini compromettono l'intero film, affogandolo in una palude di comicità involontaria, nel caso de La morte puttana, la compattezza della sceneggiatura, l'attenzione alla maggior parte dei dettagli e la riuscita atmosfera, capace di clonare in massima parte quella del fumetto ispiratore, fa perdonare e azzera le naturali sbavature, certa recitazione approssimativa, e anche dialoghi a volte non proprio perfetti. Dylan Dog è presente con tutto il suo background, con la voce ossessiva di Groucho nelle orecchie a mitragliare assurdità, con le apparizioni della Morte e delle sinistre cantilene a lei dedicate, con gli amori improvvisi e improbabili, le scene di sesso, di incubo, e il progressivo sprofondare in un clima onirico dove le risposte non contano, ma dove prevale l'estetica e il sapore del sogno labirintico cui stiamo assistendo.
 

Girato tra Venezia (Dylan è in trasferta) e Londra, Frison e soci ricostruiscono la dimora di Dylan, gli spazi in cui è solito appartarsi per suonare il clarinetto e costruire il suo galeone. Il maggiolone, l'ispettore Bloch, la medium Trelkovski, gli immancabili zombi e altri comprimari, caratterizzati con diligenza, contribuiscono a fare de La morte puttana un bizzarro ponte tra fumetto, cinema e modo di intendere gli spettacoli da questi ispirati. Forse è addirittura spunto per una riflessione sul concetto di passione, su dove si trova il confine (qui molto sfumato) tra amatorialità e professionalità (Denis Frison è un giovane filmaker in piena evoluzione), ma soprattutto sulla qualità e la visionarietà quasi mai proporzionale all'estensione del budget.



Si è scritto anche che per guardare La morte puttana è meglio lasciare da parte lo spirito critico e godersi l'omaggio. Questo è in parte vero, ma suona anche un po' pedante. Superficiale persino. Quel che buca letteralmente il video nell'opera di Denis Frison (sceneggiatore, regista e interprete) è l'atmosfera stralunata, costantemente in bilico tra ironia e tristezza, orrore e commedia, che era molto difficile (per qualcuno impossibile) rendere in un film live action. Lo stesso Dylan Dog a fumetti non è esente da sviluppi confusi, scivoloni logici e formali, e ciclopiche ingenuità. Eppure con il passare degli anni, la serie ha finito col trasformare in caratteristiche vincenti ognuno di questi grossi nei. Così il film di Frison, ispirato a un tritatutto mediatico che frulla cinema, letteratura, altri fumetti e chi più ne ha più ne metta, sfoggia una sintesi concettuale che non può non incantare i fans della fonte cartacea. E scusate se è poco, visto che questo fan film è in grado di parlare alle viscere degli appassionati passando sopra agli ovvi limiti, come (aggiungeremmo) in questo caso è meglio che sia. Se c'era un caso in cui era necessario che i personaggi parlassero come in un albo della Bonelli (che non brilla quasi mai per dialoghi particolarmente sofisticati) era proprio questo. E ne riconosciamo i vezzi uno dopo l'altro, al di là del semplice «Giuda ballerino!» che ovviamente non manca.

La lettura di insieme alla base de La morte puttana è incoraggiante per chi si appassiona di letture cinematografiche e televisive del media fumetto. Un'idea generale di adattamento che lungi dall'essere una piatta copia carbone restituisce vitalità a un'icona popolare del nostro tempo mentre all'orizzonte si prospetta l'atteso rinnovamento annunciato da casa Bonelli. Un ottimo biglietto da visita per un giovane regista rampante che sicuramente farà ancora parlare di sé. Un ottimo intrattenimento che deve giustamente avere la precedenza, nel carnet dei fumettomani cinefili, su molte esangui pellicole di marchio estero con budget miliardari.

Consapevoli, dunque, di non aver detto niente che già non fosse stato scritto o declamato in rete, vi consigliamo la visione. E di tenere d'occhio Frison, che ne sta già combinando altre delle sue.

giovedì 19 settembre 2013

X-Men: Ritorno al Futuro





X-Men: Giorni di un Futuro Passato, seguito ideale del film X-Men: First Class (in Italia, X-Men: L'inizio), è sicuramente il progetto cinematografico più ambizioso che abbia coinvolto finora i mutanti Marvel sul grande schermo. Rappresenta una sorta di prova del nove, che si propone tra l'altro di compattare la vecchia trilogia con la nuova serie del franchise. Innanzitutto, segna il ritorno di Bryan Singer alla regia dopo la caporetto del pessimo Superman returns, e recupera buona parte dei nomi dei primi film, in alcuni casi facendoli interagire con i propri doppi più giovani.



Il film uscirà nel 2014, e il fermento tra i fans è notevole. Non a caso, la saga a fumetti da cui il film trae ispirazione (pur prevedibilmente mettendoci del suo) è una delle run più amate della gestione Claremont. Il tema del viaggio nel tempo per provare a cambiare un domani catastrofico è uno spunto classico che ha sempre un discreto impatto se gestito a dovere. Ma personalmente, la mia maggiore attesa riguarda il ritorno di due attrici da me molto amate. Mi riferisco a Ellen Page (Hard Candy, Inception, e terza, più incisiva Kitty Pride in X-Men: Conflitto Finale), ma soprattutto ad Anna Paquin, visto che Rogue è da sempre la mia x-woman preferita. Sarà innazitutto bizzarro rivederla con la mèche candida tra i capelli dopo che per tanto tempo m'ero abituato a identificarla con Sookie Stackhouse (True Blood).

Inoltre, la Rogue cinematografica è stata presentata sin dall'inizio come un carattere ibrido, che sintetizzava elementi di Rogue con attitudini e relazioni di Kitty Pride (il legame con Wolverine), personaggio relegata nei primi due film a un ruolo di contorno. Si spera che la nuova Rogue di una Paquin più matura possa, dopo aver ceduto il passo a Ellen Page nell'ultimo titolo della precedente trilogia, acquistare spazio e carattere. Come che vada, le aspettative sono alte. X-Men. First Class era un film riuscito e la strana creatura che si annuncia questo seguito, con i suoi salti temporali e l'incrocio chimerico tra i due cast, promette un certo divertimento. Staremo a vedere, mentre il nerdometro sale a mille...


giovedì 15 novembre 2012

The Amazing Spider-Man: riflessioni su un reboot controverso



Con il consueto ritardo (e sì, ci riesce difficile trovare il tempo per andare al cinema, quindi ci tocca aspettare le uscite in dvd), diciamo anche noi la nostra su The Amazing Spider-Man, il chiacchierato reboot cinematografico sull'amatissimo arrampicamuri di quartiere. Film che ha suscitato per lo più pareri diametralmente opposti, tra spettatori entusiasti e fans in crisi emetica acuta, lasciando poco spazio a opinioni intermedie. Del resto, è inutile nascondersi dietro un dito. Il pubblico dei cinefumetti, almeno quella vasta fetta che proviene dalla lettura (spesso decennale) degli albi, non è avvezzo a fare prigionieri quando si tenta di portare sullo schermo i suoi beniamini. L'amore per un personaggio, il suo mondo e le atmosfere che lo circondano, è vissuto con una sacralità quasi mai riconosciuta a certi classici della letteratura, altrettanto spesso massacrati dal cinema. Una passione che diventa ferocia quando la trasposizione filmica non è all'altezza delle aspettative. Il successo al botteghino di questo nuovo Spider-Man ha dato vita a un rinnovato franchise di cui già si prospetta il seguito, ma che dire riguardo la qualità del film, la sua interpretazioni delle icone fumettistiche che prova a rivisitare? Iniziamo dicendo questo: Twilight non c'entra una mazza. Il titolo Twilight (ovviamente per i suoi detrattori, di solito appassionati di altri generi fantastici) è ormai stato convenuto come una nuova parolaccia. Un dispregiativo che accompagna un irrimediabile pollice verso, intrecciando vari significati quali scialbo, scemo, fighetto, puerile e kitsch. E questo Amazing Spider-Man s'è beccato da più fronti l'infamante paragone: Twilight Spider-Man. Lasciamo un momento da parte questi giochi da semiotica nerd e vediamo di esaminare quali sono i reali meriti e demeriti della pellicola in questione.


La nostra reazione davanti al film di Mark Webb non è molto dissimile da quelle suscitateci da precedenti pellicole Marvel. Ammettiamolo: noi ci occupiamo di fumetti per vivere, li leggiamo, li vendiamo e li amiamo. Ma non ci siamo mai accostati a un cinefumetto con nessuna particolare aspettativa. Sarà l'età che avanza, non lo sappiamo. Ma restiamo di solito abbastanza distaccati, anche quando un titolo riesce a divertirci. Per questo ci può capitare di trovare eccessivo lo stracciarsi di vesti davanti ad alcuni titoli accusati di blasfemia, così come può sembrarci azzardato esaltarne altri come capolavori assoluti del cinema. Ma veniamo al dunque. Il nostro parere su The Amazing Spider-Man si potrebbe riassumere così: se il film di Mark Webb con Andrew Garfield fosse stato il primo lungometraggio dedicato all'Uomo Ragno, molto probabilmente gli entusiasmi e il gradimento (nostro e di altri) sarebbero aumentato di parecchie spanne. La confezione è dignitosa, il protagonista perfettamente in parte, il costume (un po' scuro rispetto alla controparte cartacea, ma per niente brutto come le prime foto di scena avevano lasciato presagire) funziona. La sceneggiatura (sebbene in alcuni tratti si affidi a una sospensione dell'incredulità adatta a un film per famiglie targato Disney) è discontinua, ma nel complesso abbastanza potabile. Gli effetti speciali (sorvoliamo sul 3D che non abbiamo visto né ci ha mai interessato) sono quelli attuali. Senza particolari sorprese e, soprattutto, non molto più evoluti da quelli esibiti dalla precedente trilogia. Da questo punto di vista, pertanto, non può esserci partita.


Peccato originale del claudicante (ma a nostro parere non spregevole) reboot, dunque, è la vicinanza temporale (troppa!) con il ben più riuscito Spider-Man di Sam Raimi (parliamo qui del primo film della serie), e l'inevitabile confronto con un predecessore che pur non esente da difetti centrava il bersaglio in modo molto più virtuoso. The Amazing Spider-Man, dunque, nasce già appesantito da un'eredità della quale non poteva non tener conto, e giustamente tenta un differente approccio narrativo al cosmo ragnesco per attenuare un confronto pericoloso. In parole povere, il progetto cinematografico (spinto da una logica che più commerciale non si può) si è mosso sin dal principio su un terreno minato, sforzandosi di essere diverso eppure simile nella sostanza a qualcosa di già compiuto e acclamato. Attinge a sottotrame emerse molto più avanti nella cronologia a fumetti (il mistero dei genitori di Peter Parker), recupera i caratteristici lanciaragnatele da polso (elemento iconico sul quale il film di Raimi aveva glissato), ricorre a un villain non apparso nella precedente versione, e presenta il primo vero amore del protagonista: Gwen Stacy, insieme al padre capitano di polizia (nel film ringiovanito per esigenze di copione).

Tutte le scelte fatte per allontanarsi dalla precedente lettura cinematografica, sebbene non svolte nel peggiore dei modi, non possono che suscitare straniamento nei fans più ortodossi del fumetto. Infatti quel che vediamo sullo schermo possiamo anche chiamarlo tecnicamente reboot, ma più sostanzialmente si tratta di una variazione sul tema, una cover arrangiata che si sforza di fare emergere sonorità alternative. E' una legge basica della cultura popolare. Non tutti apprezzeranno lo sforzo.
Andrew Garfield, bravo come sempre, è un Peter più complesso del solito, i cui aspetti ribelli e impudenti sono di gran lunga anticipati nell'economia del racconto. Si tratta sempre di Peter Parker, il secchione oggetto degli scherzi dei bulli della scuola. Ma il suo lato intellettuale e le capacità intraprendenti emergono sin dall'inizio del film in modo evidente, e questo sembra avere irritato una parte di lettori che non ha tardato ad affermare che «quello non è il Peter Parker che conosciamo».
In realtà questo non è esatto. Andrew Garfield è Peter Parker tanto quanto riusciva a esserlo Tobey Maguire (fisicamente, forse anche di più). Solo dà rilievo a caratteristiche differenti. Un Peter incompreso dai compagni di scuola, ma geniale e furbetto come pochi suoi coetanei, cosa che nel film si evince prima ancora che inventi dal nulla un adesivo rivoluzionario (l'intrusione alla Oscorp: scena poco verosimile, ma che regala una divertente rilettura dell'incidente che conferisce all'eroe i suoi poteri). 
A essere in buona parte sgasati risultano invece i personaggi chiave di Zio Ben e Zia May, due sagome che scimmiottano goffamente i due personaggi iconici tratteggiati in modo molto più diligente nel film di Raimi. Un peccato soprattutto per Sally Field, decisamente sprecata in un ruolo marginale e poco caratterizzato. L'assenza dell'esperienza da wrestler di Peter non si fa sentire troppo (ma un po' dispiace), così come quella dell'acido Jonah Jameson (che speriamo comunque di vedere in un capitolo successivo). La vera nota dolente sulla quale ci troviamo d'accordo con molte campane che hanno suonato a morto, è invece il personaggio dell'antagonista del film: Lizard. Non tanto per la realizzazione grafica, che non ci ha disturbato più di tanto, ma per il modo in cui il personaggio è raccontato e per l'estetica visiva adottata per rappresentare il mostruoso uomo-lucertola (veramente troppo simile a una sorta di Hulk con la coda prensile più che a un rettile umanoide). Dal canto suo, l'attore Rhys Ifans se la cava senza infamia e senza lode, e non riteniamo che il flop del villain sia da imputare interamente al suo casting. Si potrebbe continuare parlando dei tanti spunti narrativi lasciati incompiuti dal film, delle fisiologiche ingenuità, degli aspetti oggettivamente pasticciati, fino ad arrivare alla battuta finale del protagonista (un'ovvietà romantica del tutto innocua, che serve giusto a chiudere il film, ma che ha contribuito a far imbestialire chi voleva vedere sullo schermo il Peter Parker cartaceo e tutto d'un pezzo degli anni settanta). Ma vale veramente la pena andare con tanta acredine a caccia di pulci? Lo ripetiamo: sarà l'età, ma certi atteggiamenti estremi non fanno per noi. Non davanti a un film modesto ispirato a un fumetto di culto.


The Amazing Spider-Man, in definitiva, è una pellicola con un potenziale rimasto in larga parte inespresso, ma che non merita – secondo noi – di essere bocciato su tutta la linea. Forse troppo lungo (in un paio di momenti ci siamo sorpresi a chiederci «Ma quanto cavolo sta durando?!»), pieno di nei vistosi, ma nel complesso digeribile e persino promettente in vista di un sequel che non dovrà attardarsi sulla consueta genesi dell'eroe. Da collocare decisamente qualche gradino più in basso del lavoro firmato da Sam Raimi, quindi, ma senza lasciarsi prendere da furori talebani. Tutto sommato un Uomo Ragno discreto, del quale ci incuriosisce l'ulteriore evoluzione, a differenza di altri conclamati aborti cinematografici quali Ghost Rider e Elektra.
La macchina dei seguiti, intanto, è già entrata in movimento, e iniziano a fioccare i rumors sulla seconda pellicola di questo nuovo corso ragnesco. Attualmente sappiamo con discreta certezza che nel prossimo film vedremo apparire Mary Jane Watson, probabilmente nel ruolo (detenuto per anni dal suo omologo fumettistico) di fidanzata di riserva. La parte è stata affidata a Shailene Woodley, giovane attrice la cui lapidazione mediatica da parte dei talebanerd è già incominciata (beh, del resto la povera Emma Stone-Gwen Stacy era stata definita un "cesso di donna" sin dalle sue prime immagini apparse in rete). Si vocifera dell'arrivo del personaggio cardine di Harry Osborn, e di affidare il ruolo di villain a Electro, forse interpretato dall'attore afroamericano Jamie Foxx (anche qui il nerdume inizia a fare impietosi paragoni con il Fulmine Nero della DC Comics). Attendiamo di vedere come matureranno o marciranno questi semi. La sensazione ricevuta dallo schema narrativo generale è che questo spiderverso sia debitore all'idea base della serie televisila Smallville, dove ogni evento straordinario era collegato e quasi tutti i villain erano stati generati dal nefasto meterorite giunta sulla terra insieme alla navicella che trasportava il piccolo Superman. Qui (così almeno induce a supporre il primo film) è facile immaginare che tutto ruoterà intorno alle macchinazioni della Oscorp di Norman Osborn e ai suoi esperimenti sull'ibridazione uomo-animale che hanno generato Spider-Man come prima cavia umana casuale. Chissà!
Ma qualcosina (siamo nerd pure noi, in fondo) la paventiamo. Qualcosa come la possibile apparizione, a un certo punto, di un Goblin ispirato alla sua pessima versione Ultimate. Caratterizzazione che non abbiamo mai amato, e che peraltro rischierebbe di sovrapporre il look del personaggio a quello del Lizard cinematografico appena presentato con risultati deludenti. Ma questa, come che vada, sarà tutta un'altra storia, tutto un altro film.




martedì 23 ottobre 2012

Iron Man 3: il trailer italiano


Ecco, in italiano, il trailer ufficiale di Iron Man 3, la prima pellicola targata Marvel che dopo il grande successo del film The Avengers, di Joss Whedon, rappresenterà la nuova tappa nell'evoluzione del cinefumetto moderno (almeno di quello concepito secondo la visione marvelliana). Tony Stark, stavolta da solo, affronterà una battaglia che metterà a dura prova il suo genio scientifico e il suo coraggio. Il film rappresenta anche l'atteso debutto del villain chiamato il Mandarino, nei fumetti nemesi storica del protagonista, che nel film ha il volto dell'attore anglo-pakistano Ben Kingsley. Era stato scritto (fondatamente) che il personaggio era una figura ormai fuori tempo massimo, espressione della guerra fredda e di stereotipi razzisti. Ignoriamo quali saranno le sue origini e motivazioni nel film, e se questo sarà all'altezza dei predecenti. La curiosità, però, è tanta. La nuova pellicola è diretta da Shane Black, a differenza dei primi due episodi che vedevano alla regia Jon Favreau (comunque presente nel film, sempre nel ruolo di Happy Hogan). Da veri nerd, attendiamo di scoprire quale sarà la caratterizzazione moderna del bizzarro villain orientale (?), il suo legame con l'organizzazione dei Dieci Anelli (nominata sin dall'inizio della saga cinematografica), e che cosa farà con quelli che porta al dito. Voci non confermate, suggeriscono che nella storia vedremo anche il tecnovirus Extremis. Chissà! Nel frattempo, godetevi il trailer.

giovedì 30 agosto 2012

Batman: Puppet Master


Gotham: sono trascorsi pochi mesi dalla morte del procuratore distrettuale Harvey Dent, e l’opinione pubblica, come pure le forze di polizia, sono ancora convinte che a ucciderlo sia stato lo stesso Batman. Nel frattempo, una nuova mente criminale sta tramando per prendere il controllo della malavita. Il misterioso Scarface, che nessuno sembra avere mai visto. Quando qualcuno causa un’evasione di massa dal manicomio di Arkham, l’Uomo Pipistrello è costretto a tornare in azione per fermare la furia omicida del serial killer noto come Mr Zsasz. Ma il disegno criminale è più machiavellico di quanto sembra, e lo scontro finale si consumerà durante un teso incontro tra Scarface, il suo tremebondo segretario e l’enigmatico agente speciale che afferma di chiamarsi Edward Nigma, risoluto a catturare Batman una volta per tutte…


Batman: Puppet Master è un corto amatoriale che riserva molte piacevoli sorprese. Diretto da Bryan Nest con mano sicura e interpretato da un pugno di attori molto convincenti, il breve film si propone non soltanto di riprodurre le atmosfere e l’approccio noir adottato da Christopher Nolan per la sua trilogia cinematografica sull’Uomo Pipistrello, ma si colloca idealmente tra il secondo e terzo film del regista come una sorta di convincente fill-in, ambientato nel medesimo mondo.



L’obbiettivo è a nostro avviso pienamente centrato. La rivisitazioni di personaggi iconici segue la chiave metropolitana e hard boiled già usata da Nolan per raccontare le figure del Joker e dello Spaventapasseri. Lo stesso protagonista è a suo modo abbastanza convincente. I mezzi, per quanto ridotti, sono usati con perizia. Insomma, un piccolo gioiello tra quei prodotti che in rete siamo ormai abituati a chiamare fanmade.
Un esempio di come la passione e la conoscenza dell’argomento (ma anche delle tecniche, non dimentichiamo) possa assottigliare il confine tra il gioco e la prestazione professionale.
Buona visione.