"L'immensità della notte" (The Vast of Night), film indipendente diretto a budget zero da Andrew Patterson nel 2019, sta diventando un piccolo caso su Amazon Prime Video, che provvidenzialmente ha scelto di acquisirlo nel suo catalogo, dopo il consueto giro nei festival di fantascienza (e dopo essere stato snobbato, a torto, da quelli più blasonati).
Gli aspetti più sorprendenti di "The Vast of Night" sono il coraggio con cui un budget praticamente inesistente è stato convertito in virtuosismo filmico (segno che a volte i limiti aguzzano la creatività), e l'audacia di affidare l'intero crescendo del racconto interamente alle voci dei protagonisti. Due personaggi centrali, pochissime location e persino lunghe conversazioni al telefono. Verrebbe da definire "The Vast of Night" un saggio sull'uso virtuoso del dialogo e dei tempi drammatici, più che un film fantastico sull'inizio di un'invasione aliena. Invasione di cui ci sarà mostrato solo la crescente inquietudine, poi frenesia e dunque paura dei personaggi. E nient'altro. Se non gli effetti della presenza extraterrestre sulla nostra realtà.
Ambientato strategicamente negli anni 50 (ma anche concettualmente, in un periodo storico fatto di tensioni internazionali e paranoia politica), il film di Patterson gioca con lo spettatore in modo scoperto, iniziando subito con una citazione esplicita dei serial televisivi d'altri tempi ("Ai confini della realtà", "Oltre i Limiti"). Sin dalla prima scena siamo invitati a entrare in un piccolo schermo in bianco e nero che presto si accenderà di colori, ma che conserverà il tono e le suggestioni di un prodotto d'altri tempi. Quando gli effetti speciali non consentivano particolari acrobazie visive e si era costretti a lavorare di allusioni, di atmosfera e di racconti paurosi. Dove erano le parole e le emozioni suggerite a dare i brividi.
"The Vast of Night" non manca neppure di interessanti invenzioni visive, come il ricorso al piano sequenza che in più occasioni attraversa in soggettiva la minuscola cittadina del New Mexico in cui la vicenda è ambientata, dandoci effettivamente consapevolezza di un centro urbano piccolissimo, abitato da poche centinaia di abitanti, divenuto a un tratto l'occhio di un ciclone destinato ad allargarsi. Due le principali location. Anzi tre, sebbene la prima venga presto accantonata. La palestra di una scuola in cui l'intera cittadina di Cayuga è riunita per assistere alla partita di pallacanestro, evento che lascia praticamente deserto il resto del borgo. La piccola radio in cui lavora come conduttore il giovane Everett, un'emittente che guarda caso si chiama WOTW (e non ditemi che non ci arrivate), e il centralino dove quella notte Fay sta lavorando da sola, e dove per prima sentirà un misterioso suono dalla provenienza indecifrabile...
In qualche modo, è bizzarro considerare come uno dei temi del film, ambientato negli anni 50, sia anche la rapida evoluzione delle tecnologie. Soprattutto quelle legate alla comunicazione e alla conservazione dei dati. La conversazione iniziale tra Everett e Fay, che commentano le notizie sui prossimi sviluppi nell'ambito dei trasporti e della telefonia, non è messo lì a caso, ma prelude proprio al progressivo salto nell'ignoto che aspetta i due protagonisti dietro l'angolo. Si faccia caso alla battuta incredula di Everett sulle future evoluzioni del mezzo telefonico, e potremmo avere un'altra chiave di lettura per l'intero film. Dalle loro parole apprendiamo che entrambi, in fondo, sono affascinati dal progresso, e ambiscono a crescere individualmente e professionalmente nell'ambito dei rispettivi campi, che riguardano sempre le comunicazioni. "The Vast of Night" è quindi un gioco di scatole cinesi in cui le voci e i mezzi di trasmissione sono i veri protagonisti. Radio, telefono, bobine, registratori. Quasi come se ci venisse suggerito che la vera conquista avverrà attraverso questi strumenti e il controllo dei principali canali di comunicazione, non grazie a raggi della morte o all'occupazione di città da parte di mostri verdi. La notte immensa, infinita, che ci circonda non è che l'incertezza per il nostro domani, e le nuove inattese minacce che potremmo trovarci ad affrontare. Siano essi extraterestri in agguato, risoluti a conquistarci, o un progresso tecnologico veloce e ambiguo. Talmente rapido e sorprendente da diventare alieno e incontrollabile a sua volta.
Insomma, "La vastità della notte" riesce a rendere tematica e fortemente allegorica la sua struttura basata sulla comunicazione verbale a causa di un budget ridottissimo. E acquista un'identità molto spiccata proprio grazie ai binari su cui deve adattarsi a correre, evitando di diventare un prodotto dozzinale che racconta una storia già narrata mille volte. Non dimentica, però, di essere comunque cinema. Usando la presenza in scena, a volte anche insistita e ossessiva, dei suoi interpreti. A volte seguiti di spalle, come se ci trovassimo lì, a tallonarli lungo un interminabile piano sequenza. In altri casi, chiamati a reggere lunghi primi piani, in cui le loro maschere rappresentano una componente visiva molto importante di quello che funzionerebbe benissimo anche solo come radiodramma. E non è un caso neppure che durante certe sequenze, lo schermo si oscuri del tutto, affidandosi alle sole parole.
Un film diverso, quindi. Strano e particolare. Sicuramente da vedere, da ascoltare, da apprezzare.
Robotics. Un mondo popolato esclusivamente da automi che un tempo erano umani. Un'incubo che somma diversi archetipi della fantascienza, ma anche del fantasy e del romanzo d'avventura in generale. Una serie a fumetti tutta italiana, ideata da Claudio (Claps) Iemmola, scritta in collaborazione con Paul Izzo e disegnata da Giacomo Pilato, Gaetano Matruglio, Lazzaro Lo Surdo e Sudario Brando. Saga tecnologica, ma declinata secondo uno stile mutevole. In evoluzione, come la razza umana, come i robot...
Speciale
1000 iscritti. Per festeggiare il traguardo: una sfida. Anzi, un
esperimento da mad doctor. Si recensisce il saggio di Fabio Lastrucci
“Fantacomics”. Un viaggio nell'universo dei fumetti di
fantascienza degli anni 60 e 70, alla riscoperta di classici
intramontabili e meritevoli gioielli nascosti. I più maturi si
commuoveranno. I più giovani cresceranno e si innamoreranno. I
Pionieri dello Spazio, Luc Orient, Barbarella, Wampus, Ténèbrax...
e tanti altri. Fabio Lastrucci, con il suo ebook edito da Delos, ci
conduce per un sentiero astrale irto di stelle luminosissime. Io mi
permetto appena di introdurre al suo lavoro, ricco di spunti e
informazioni come solo un saggio può essere. Se amate i fumetti,
leggetelo. Costa pochissimo, e attualmente è anche in offerta. Lo
trovate seguendo il link
sottostante:
Può avere senso discutere di un film
non ancora uscito?
Ma sì, dai, che non si fa male a
nessuno. Al limite si spreca un po' di tempo... si punzecchia
qualcuno sui social network, oppure ci si esalta con aspettative alte
o basse. E' Internet, bellezza! Ma non è stato
sempre così, è storia recente. E con i cinefumetti sta andando
anche peggio. Certo, il cinema attinge a letteratura e teatro sin
dalle sue origini, ma vuoi mettere la nona arte? La storia del cinema
è zeppa di adattamenti, ma i lettori di fumetti sanno sempre quello
che vogliono. Ti aspettano al varco e non perdonano. Ogni film è
preceduto da una lunga novena, e – confessiamolo – il rituale
dell'attesa fa parte del piacere. Sono come gli esercizi spirituali
che precedono la Pasqua cattolica. A quanti piace spulciare quelle
notiziole, spesso imprecise se non del tutto false, che abbiamo
imparato a chiamare rumors? Vuoi mettere il delizioso, quasi mistico,
piacere che danno al nerd che è in noi quando annunciano che il film
in lavorazione conterrà questo o quell'elemento? E sbirciare quelle
prime immagini... i concept, i bozzetti, e i casting... Wow!
Applaudire o restare senza saliva a forza di sputi contro
l'attore/attrice di turno è uno sport tutto nuovo e decisamente in
fase di espansione. Importa poco se tutto è pura teoria, tutto
rimandato all'uscita effettiva della pellicola. Dopotutto che
possiamo saperne, si chiacchiera di aria fritta. E alla resa dei
conti, i giudizi sbagliati non sono neppure mancati. Ricordate il
dissenso per la statura di Hug Jackman, troppo alto per incarnare
Wolverine, quando vedemmo le prime immagini del casting relativo al
primo X-Men di Bryan Singer? E della valanga di pomodori lanciati alla foto
di Quicksilver interpretato da Ewan Peters, ne vogliamo parlare?
Stavolta però il discorso è diverso.
Parliamo del nuovo film dedicato ai Fantastici Quattro per la regia
di Josh Trank, regista che si è fatto notare per l'esperimento
Chronicle, pellicola girata in POV che esplorava il mondo dei
superpoteri senza attingere a nessuna fonte fumettistica cartacea. I
Fantastici Quattro, al cinema, hanno avuto finora poca fortuna. Non
impelaghiamoci sui titoli precedenti, e non per cieco disprezzo, ma
perché ci porterebbero fuori strada. Parliamo di Trank e del suo
film, del quale è da poco uscito il trailer, e delle aspettative
che, contro ogni previsione, è riuscito a conquistare. Sì, perché
fino a poche settimane fa, il film sulla prima famiglia Marvel
diretto da Trank era tra le produzioni più ignorate, dileggiate,
sottovalutate dal fandom. Il concetto di reboot (nel senso di nuovo
punto di partenza senza legami con le pellicole precedenti) è sempre
spinoso. Sicuramente l'annuncio che il personaggio chiave di Johnny
Storm, la scoppiettante Torcia Umana, il membro più spettacolare del
gruppo, non sarebbe stato un giovane guascone biondo, ma l'attore
Michael B. Jordan, che essendo di colore si colloca molto distante
dalla figura conservata per decenni nell'immaginario dei lettori di
mezzo mondo, aveva gettato parecchia acqua sul fuoco. La ribattezzata
Torcia Nera è stata la pietra dello scandalo che ha suscitato prima
un'ondata di indignazione generale (e giù a premettere di non essere
razzisti, ma...), poi la rimozione del film di Trank dall'agenda dei
progetti più attesi, quasi non esistesse neppure più.
Le acque sono tornate a bollire quando
è stato annunciato l'intero cast e sono state pubblicate le foto. Un
vero tornado nelle menti dei marvel fans, funestate da un casting a
base di attori giovanissimi e tutti clamorosamente fuori ruolo. Non
hanno aiutato neppure il rumor riguardo una Sue Storm che
probabilmente non amerà Reed Richards ma (forse) Ben Grimm
(interpretato stranamente da Jamie Bell, l'ex bambino danzante di
Billy Elliot) e l'origine totalmente riscritta del Dottor Destino,
qui un giovane e arrogante blogger. Meno scalpore ha suscitato il
riferimento alla Zona Negativa e al suo ruolo nell'acquisto dei
poteri da parte del quartetto. Niente raggi cosmici, sorry. Del
resto, “raggi cosmici” significa poco, visto che quando
Fantastici Quattro iniziò le pubblicazioni i viaggi nello
spazio erano appena iniziati e di cosa c'era effettivamente là fuori
non si sapeva praticamente nulla. E poi c'è la versione Ultimate a
fare da capro espiatorio. La serie era brutta, ma l'espediente della
Zona come fonte delle origini non era proprio da scartare.
Mettiamoci i volti giovani e poco empatici degli altri interpreti e
la frittata è stata fatta. Fantastici Quattro di Josh Trank
era il male, e nessuno lo aspettava proprio più, se non per
vituperarlo ancora e pure svogliatamente.
Che cosa è cambiato, allora, nelle
ultime settimane? Due cose, fondamentalmente.
Intanto, Josh Trank ha rotto il
silenzio e ha parlato diffusamente della sua idea del film e di come
intende rivisitare il quartetto. In un'intervista succosa ha
affermato che per approcciare a questi quattro supereroi e alla loro
nemesi si è ispirato al cinema “del corpo” di David Cronenberg.
Il racconto avrà un tono cupo e molto spazio sarà dato alle
mutazioni mostruose e shockanti che i protagonisti dovranno subire.
«Alcune scene» ha affermato Trank, «vi ricorderanno film come
Scanners e La Mosca.»
Il secondo evento è stata l'uscita del
primo trailer. Un video di pochi minuti che per atmosfere ricorda
recenti colossi della fantascienza d'autore (Interstellar,
Gravity), una colonna sonora cui ha contribuito nientemeno che
Philip Glass, ma soprattutto alcune scene, velocissime e seminali,
che sembrerebbero confermare la lettura fantascientifica e
cronenberghiana annunciata da Josh Trank.
I Fantastici Quattro come Scanners
e La Mosca, quindi.
Sarà vero?
Certo, se a Trank riesce di mandare la
palla in buca sarebbe uno sballo.
Resta il fatto che i Fantastici Quattro
marvelliani ne uscirebbero snaturati. Ma sarebbe così grave?
L'idea base, il tono della serie
(soprattutto all'inizio della gestione di Lee e Kirby) erano tra le
più leggere, ingenue, e quindi tra le più difficili da traghettare
nel linguaggio cinematografico senza scadere in un prodotto
infantile, oppure senza tradirne gli aspetti iconici.
La sensazione che suscita questa
campagna mediatica è strana. Come se ogni mossa pubblicitaria avesse
giocato con gli umori del fandom a bella posta, quasi ci si stesse
divertendo a provocarli.
Adesso è abbastanza chiaro che il film
di Trank (a prescindere sia bello o brutto) si propone come un
esperimento fuori dal coro. In una fase commerciale in cui l'aderenza
alla fonte fumettistica si dimostra vincente, questo titolo sembra
imboccare deliberatamente la strada opposta, e presentarsi come una
rivisitazione che prenderà spunto dall'essenza dei personaggi, ma
che si riserva di sviluppare atmosfere e contenuti tutti suoi.
Qualche parentela (ideale) con l'Hulk
di Ang Lee? Anche quel film fu disprezzato da molti, né mancarono
spettatori infuriati che affermarono che con Hulk la pellicola di Lee
non aveva niente a che vedere.
Sorge il sospetto che persino la
scelta di un attore afro per il ruolo tradizionalmente
biondoocchioceruleoragazzobiancoammerigano di Johnny Storm
abbia poco a che fare con il politically correct imperante. Si è
scritto tanto, si è detto tanto, della scelta mediatica di un attore
nero solo per ragioni politicamente inclusive. Si è parlato del
rapporto fratello-sorella con Sue, del fatto che saranno fratelli
adottivi (ed è Sue, la ragazza bianca, a essere stata adottata). Ci
si è pure chiesti (legittimamente) perché non fare di loro due
fratelli dalle madri diverse... e tutto potrebbe starci. Quello che
irrita è la difesa fuori luogo (miope, e probabilmente involontaria)
del concetto di famiglia naturale (ebbene sì). C'è persino chi ha
detto che Johnny e Sue non possono essere fratelli adottivi, giacché
una delle caratteristiche fondanti dei Fantastici Quattro è il loro
essere famiglia, e che sarebbe un peccato rinunciare a questo legame
fondamentale tra i personaggi.
Perdonate. Sorvolando sul fatto che
essere stati adottati non rende meno famiglia... ricordiamoci di Ben
Grimm. Nel quartetto ha sempre svolto il ruolo dello zio, un po' come
se fosse il fratello di Reed. Ma non lo è. E' solo un vecchio,
carissimo amico. Eppure nessuno si è mai sognato di dire che la Cosa
non facesse parte della Prima Famiglia Marvel. E non credo si
comincerà adesso.
E sì, i fumetti non saranno più una
cosa per bambini, ma a volte certe cose vanno ricordate ugualmente.
Tornando alla Torcia Nera, esiste una
minuscola possibilità che il politically correct sia solo un
pretesto, e che in realtà si tratti di un gancio mediatico che si
sta rivelando anche piuttosto efficace. Oltre a far tanto parlare, il
Johnny Storm afro era solo l'apripista di un intero cast che a un
lettore accanito non può che apparire disastroso. Sì, disastroso,
se quello che ci si aspetta, che si desidera, è una trasposizione su
schermo pedissequa e rassicurante del fumetto che abbiamo sempre
letto.
Il trailer ci mostra (per pochissimi
secondi) una Cosa esplodere da una massa rocciosa apparentemente
informe. Una torcia infiammarsi da lontano per un istante e un
braccio protendersi fuori scena (forse allungandosi) con grande
fatica. Niente di tutto questo garantisce che alla fine della fiera
vedremo un film riuscito, o realmente in linea con l'estetica
fantascientifica e “corporale” di David Cronenberg. Ma se si
voleva giocare sul contrasto, sulla variante di icone amatissime,
penso che il progetto sia ormai scoperto.
E il titolo? La grafica del logo originale si presenta così: FANT4STIC. Come se il vero titolo fosse, insomma "Fantastico" e il numero "4" fosse in qualche modo suggerito, implicito, ammiccante.
I Fantastici Quattro di
Josh Trank, comunque vada, non sembra proporsi come un cinefumetto
convenzionale, ma come una fantasia arbitraria su un modello di cui
resteranno soltanto alcune tracce essenziali. Questo ci induce ad
attenderlo con curiosità, se non altro per scoprire cosa diavolo
hanno combinato, e se magari tante deroghe al fumetto non possano
produrre alla fine uno spettacolo cinematografico perlomeno
interessante.
Giusto? Sbagliato? Chi lo sa? E ancora
una volta abbiamo parlato e scritto di aria fritta. Quello di cui
discorriamo veramente, noi nerd, quando ci avventuriamo in queste
congetture, sono le nostre passioni, quello che ci piacerebbe vedere
e quello che temiamo di trovarci davanti. Niente di più.
Il resto è solo attesa e speranza di
riuscire ancora a stupirsi.