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martedì 15 ottobre 2013

Daredevil Fan Film - L'Uomo senza Paura



Ancora una volta i corti realizzati dai fans dimostrano che buona volontà e passione possono produrre risultati dignitosi anche quando i mezzi sono scarsi. Stavolta è il turno di Devil, anzi Daredevil, come si chiama realmente il personaggio in lingua originale (usando il gioco di parole tra diavolo e temerario). Il corto non dispone di grandi mezzi, ma sopperisce con una sceneggiatura discreta, un io narrante non troppo retorico e un'astuto montaggio che fa del buio e del non visto il suo vero punto di forza. Non poco se pensiamo che si tratta di un corto che porta in scena le origini di un supereroe statunitense. E soprattutto se il corto è italianissimo, sorpresa non da poco.
Prodotto dal canale Youtube Fresh Scream, scritto e diretto da Gianmaria Pezzato, che adatta dichiaratamente alcuni aspetti della miniserie di Frank Miller L'Uomo senza Paura, il breve film è interpretato da Vania Casna nel ruolo del giovane Matt Murdock, e presenta il cammino dell'eroe verso la sua definitiva identità di vigilante. Qualche variazione nella dinamica delle origini, un diligente uso degli effetti per rendere a video il celebre senso radar del supereroe non vedente, e un'atmosfera che più noir non si può. In definitiva un buon lavoro, trattandosi di un fan made. Un Daredevil giovane e inesperto che si fonde con il buio e riassume piuttosto bene gli aspetti mistici dell'eroe marvelliano. Complimenti allo staff e buona visione.

giovedì 19 settembre 2013

X-Men: Ritorno al Futuro





X-Men: Giorni di un Futuro Passato, seguito ideale del film X-Men: First Class (in Italia, X-Men: L'inizio), è sicuramente il progetto cinematografico più ambizioso che abbia coinvolto finora i mutanti Marvel sul grande schermo. Rappresenta una sorta di prova del nove, che si propone tra l'altro di compattare la vecchia trilogia con la nuova serie del franchise. Innanzitutto, segna il ritorno di Bryan Singer alla regia dopo la caporetto del pessimo Superman returns, e recupera buona parte dei nomi dei primi film, in alcuni casi facendoli interagire con i propri doppi più giovani.



Il film uscirà nel 2014, e il fermento tra i fans è notevole. Non a caso, la saga a fumetti da cui il film trae ispirazione (pur prevedibilmente mettendoci del suo) è una delle run più amate della gestione Claremont. Il tema del viaggio nel tempo per provare a cambiare un domani catastrofico è uno spunto classico che ha sempre un discreto impatto se gestito a dovere. Ma personalmente, la mia maggiore attesa riguarda il ritorno di due attrici da me molto amate. Mi riferisco a Ellen Page (Hard Candy, Inception, e terza, più incisiva Kitty Pride in X-Men: Conflitto Finale), ma soprattutto ad Anna Paquin, visto che Rogue è da sempre la mia x-woman preferita. Sarà innazitutto bizzarro rivederla con la mèche candida tra i capelli dopo che per tanto tempo m'ero abituato a identificarla con Sookie Stackhouse (True Blood).

Inoltre, la Rogue cinematografica è stata presentata sin dall'inizio come un carattere ibrido, che sintetizzava elementi di Rogue con attitudini e relazioni di Kitty Pride (il legame con Wolverine), personaggio relegata nei primi due film a un ruolo di contorno. Si spera che la nuova Rogue di una Paquin più matura possa, dopo aver ceduto il passo a Ellen Page nell'ultimo titolo della precedente trilogia, acquistare spazio e carattere. Come che vada, le aspettative sono alte. X-Men. First Class era un film riuscito e la strana creatura che si annuncia questo seguito, con i suoi salti temporali e l'incrocio chimerico tra i due cast, promette un certo divertimento. Staremo a vedere, mentre il nerdometro sale a mille...


lunedì 27 agosto 2012

The Twelve volume 2: la conclusione


Il domani è più che mai incerto per i dodici supereroi dimenticati, sprofondati in un sonno artificiale sul finire della seconda guerra mondiale e risvegliatisi dopo oltre mezzo secolo, in modo non dissimile da come accadde al leggendario Capitan America. Se questi, infatti, ha presto trovato una propria ragion d'essere tra le fila degli eroi chiamati Vendicatori, per i Dodici l'impatto con una società profondamente cambiata è oltremodo traumatico. Ciascuno di loro porta con sé un bagaglio di segreti, tormenti, forse follia. Essere un vigilante nel nuovo millennio può essere fonte di profonde contraddizioni, mentre il passato morde senza tregua, a sangue. L'assassinio dell'esuberante Blue Blade, che aveva tentato di riciclarsi nel mondo dello spettacolo, è ancora un enigma senza risposta. Ma nuovi crimini misteriosi stanno per insanguinare la strada dei Dodici, chiamati forse a misurarsi una volta di più con un male antico che pensavano di essersi lasciati alle spalle...


Sono passati circa quattro anni dalla pubblicazione italiana del primo volume di The Twelve, miniserie Marvel firmata da J.M. Straczynski e Chris Weston. Saga che recupera dodici personaggi della Golden Age del fumetto statunitense, risalenti a un periodo in cui la Marvel si chiamava ancora Timely e il genere supereroistico rispondeva a una codifica piuttosto differente da quella odierna. Il possente automa telecomandato Electro, la prima, inquietante Vedova Nera, il superuomo volante Dynamic Man, il veggente Excello e altri ancora. Eroi apparsi a volte per lo spazio di un unico racconto, controfigure di nomi più popolari, ammantati da un fascino vintage che affiancava all'ingenuità tipica del media fumetto di quel tempo una disinvoltura che la crociata del dottor Fredric Wertham e l'avvento del comics code non aveva ancora sottomesso. Dodici personaggi che, quattro anni fa, avevamo imparato a conoscere in un primo volume drammatico, introspettivo e denso di suspance. Una lettura che partendo dalle radici del genere supereroistico proponeva spunti moderni e affascinanti, proprio grazie al forte contrasto con il velo di polvere di cui i dodici protagonisti erano ricoperti. Sottili echi dell'epopea superomistica più riuscita e celebrata di sempre (Watchmen, con l'omicidio del più guascone tra i protagonisti e l'esplorazione dei lati oscuri di ciascuno, come la vera identità del vigilante Mister E), ulteriori misteri da svelare (la sottotrama horror legata ai segreti della prima Vedova Nera), e moderne trasfigurazioni metaforiche dell'archetipo mitologico prestato agli eroi in costume (l'ambigua e dolorosa vicenda di Rockman). 


La carne al fuoco era tanta, l'arrosto ben speziato, la prima portata assai gustosa. Normale che l'attesa fosse tanta. Comprensibile che quattro lunghi anni e la scadenza in drittura d'arrivo del contratto tra J.M. Straczynski e la Marvel Comics abbiano fatto temere a molti che la nostalgica saga sarebbe rimasta senza conclusione. Nel corso degli anni, uno speciale con la funzione di prequel (pubblicato in appendice a questo secondo e ultimo volume) non aveva fatto che aumentare le aspettative, e per certi versi irritare gli animi di quanti avevano apprezzato il primo, riuscitissimo tomo. Oggi, The Twelve giunge finalmente a conclusione, ma piuttosto che deflagrare implode, lasciando una sensazione di tiepido rammarico per ciò che avrebbe potuto essere. Sarà l'attesa, durata decisamente troppo tempo. Sarà stata la premura di un autore per concludere un ciclo lasciato incompleto sotto un'etichetta da cui si accingeva ad allontanarsi. O è semplicemente un fatto. Pur collocandosi a un livello sopra la media attuale, la seconda e conclusiva parte di The Twelve perde buona parte del fascino e del pathos che aveva caratterizzato i primi sei capitoli, e ci regala l'effetto di un amplesso veloce, piacevole, ma i cui (lunghissimi) preliminari si rivelano alla fine della fiera ben più esaltanti dell'atto stesso. 


Se la misteriosa uccisione di Blue Blade, evento intorno al quale ruota sostanzialmente tutto il racconto, aveva agganciato il lettore con la promessa di una climax crescente, la risoluzione da poliziesco classico risulta sbrigativa e riporta The Twelve nel novero delle tante miniserie revisioniste sul mito del superuomo. L'enigma soprannaturale legato alla prima, letale Vedova Nera, che tante aspettative aveva suscitato, sfuma in poco più che un fregio su una torta di fattura classica e dai sapori consueti. Così come la prevedibile conclusione della tragedia legata al destino di Rockman, e a tutte le abusate ambiguità che non riescono a bucare la pagina come le domande precedentemente poste. La sensazione è quella di un compito concluso in fretta, con mestiere, ma smarrendo per strada l'originaria ispirazione. Quella che era partita come una disincantata riflessione sul supereroe come icona ormai fuori tempo massimo, cambia decisamente rotta e punta su tematiche più logore. La compresenza, nei cosiddetti eroi più che in altri, di luce e oscurità, marcando contraddizioni e scoprendo nefande vergogne, purtroppo annacquando l'ispirazione sfoggiata nella prima parte del cammino. Il forte contrasto tra l'esordio dei dodici eroi avversari della minaccia nazista traghettati ai nostri giorni, e l'amaro capovolgimento di ruoli morali che sottrae senso alle battaglie del passato, avrebbe potuto essere una vera ferita inferta al cuore del mito del superuomo a fumetti. Tuttavia, lo svolgimento risolutivo sceglie strade troppo classiche per lasciare un segno che possa essere ricordato a lungo. Ed è un peccato vedere trasformare pagina dopo pagina qualcosa che era apparso inizialmente così particolare e intenso in una più frusta e convenzionale storia di eroi con superpoteri.


L'eccellenza del primo volume scende dunque ai livelli di guardia di una sufficienza congedata con il minimo sindacale dell'onore. Forse l'aspettativa era stata illusoria, o il tempo trascorso ha remato contro la perfetta riuscita di un'opera che avrebbe potuto avere qualche ambizione in più. Rimane il fatto che The Twelve, di Straczynski e Weston, è una variazione sul tema che merita comunque la lettura. Una storia di supereroi fuori dall'attuale trend commerciale, slegata da grandi eventi, reboot e altro ciarpame, in grado di regalare più di un brivido al lettore. Tra tante offerte dozzinali, questa sporca dozzina di vigilanti redivivi conserva ad ogni modo un suo appeal, grazie anche alle seducenti matite di Chris Weston, sempre ispirato e a suo agio in una quantità di generi differenti.
Dopotutto, può darsi anche che il sonno criogenico durato quasi un lustro, autentico flagello di molte altre serie a fumetti firmate da autori blasonati, sia la vera ragione di questa parziale delusione, e che i lettori che si accosteranno alle dodici maschere perdute per la prima volta nell'interezza della loro storia possano goderne la lettura in modo più uniforme.



Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.

[Articolo di Filippo Messina]

 

venerdì 2 settembre 2011

THOR: ovvero quegli strani ordigni cinematografici...


Alla fine anch'io l'ho visto. Ho svolto il mio compito da nerd, e ho fruito il tanto vituperato (non da tutti, ma comunque da molti) Thor di Kenneth Branagh. Che dire? Il mio commento è: «Illuminante!» E sia chiaro che non sto parlando della qualità del film, ma piuttosto dei meccanismi nascosti sotto la superficie dello spettacolo commerciale, delle dinamiche dietro lo sdegno di molti fans di vecchia data del fumetto Marvel, e delle sue varie (ma non infinite) possibilità di lettura.


La mia opinione risulterà probabilmente irritante per molti, ma ultimata la visione del film non riesco a pensarla diversamente. Ho visionato il film dell'illustre regista shakespeariano senza nessuna aspettativa, se non la curiosità di vedere quanto restava di una lettura iniziata nell’infanzia, riscoperta a tratti nell’età matura, e sul cui ricordo si fonda, insieme a tante altre memorie, l’immaginario che oggi mi appartiene. Sicuramente, una cospicua fetta di curiosità s'era nutrita anche dei tanti pareri negativi ascoltati da quanti mi stavano intorno e avevano già affrontato la visione del film restandone particolarmente disgustati. Da sempre, le recensioni più spietate mi fanno l'effetto di un afrodisiaco, e inizio a provare un'attrazione irrefrenabile per il titolo su cui tutti sputano. Forse per conoscere da vicino il volto del Male o per pacificarmi sulla reale esistenza di un orrore cosmico largamente condannato. Gli esiti di queste esperienze da mad doctor non sono sempre gli stessi, ma mi viene in genere confermato che la verità non si taglia mai con l'accetta.


Ebbene, quello dedicato al personaggio di Thor, a mio parere, non è certo il più riuscito dei film. Si tratta di un prodotto superficiale pur nella sua diligenza, anche un po’ frettoloso come molte marchette hollywoodiane. Ma non è neppure quel disastro, pessimo e immondo che mi era stato più volte annunciato. Nel complesso, un filmetto fantastico discretamente confezionato, che di sicuro poteva essere migliore, ma la cui realizzazione imperfetta non mi farà gridare al sacrilegio. Thor non è il migliore dei film Marvel finora realizzati, ma di sicuro non è neppure il peggiore. Si attesta, piuttosto, tra i titoli mediamente riusciti, senza infamia e senza troppa lode, scegliendo la strada di una pellicola dal sapore disneyano di genere avventuroso, sostanzialmente destinata a un pubblico di ragazzi e di adulti che non si vergognano di accompagnarli e scherzare un po' con loro.
Ma la verità, per quanto relativa o soggettiva, è un’altra. E non riguarda il film in sé, ma l’intera pratica, relativamente recente, della riduzione dei fumetti in lungometraggi per il cinema. E dei fumetti supereroistici soprattutto.


Esistono materiali, patrimoni fiabeschi, che giungono a noi attraverso svariati media. A volte si prova a trasformarli e a renderli qualcosa d’altro. Ma l’afrore della fiaba è forte, passionale, resistente. E dunque, spesso, permane anche sotto il più sontuoso dei belletti. In alcuni prodotti lo si avverte più che in altri, perché troppo vigorosa (come in Thor) è la componente fanciullesca, fatta di meraviglia e gioia elementare, e il cambio di approccio narrativo, come il differente mezzo di comunicazione, non è in grado di cancellarne il peculiare D.N.A. Più di altri titoli Marvel, Thor è sostanzialmente una fiaba. Ed è bene intendersi che non parliamo di un fantasy letterario dalla struttura più o meno matura, ma di qualcosa (un fumetto supereroistico) che è più strettamente imparentato con un elementare immaginario fiabesco che con la mitologia norrena cui la serie Marvel s'ispira alla lontana. Il film di Thor non altera questa semplice equazione, né si propone l'impresa (ardua e probabilmente inutile) di cavare sangue dalle rape.


Pertanto, viviamo oggi in un'epoca in cui esistono costosi giocattoli che contengono scintille di quell’energia magica che tanto ci entusiasmava da giovani. Un’energia magica che magari tuttora ci affascina sulle pagine di un mezzo più flessibile e soggetto a interpretazioni personali quale la tavola disegnata, ma che – in modo quasi ineluttabile – mostra tutti i suoi punti più deboli una volta imbrigliata in quel meccanismo moderno che è il cinema. Il film supereroistico, dunque, è come una lanterna incantata che troppo di frequente si apre svelando i suoi ingranaggi più segreti, più emotivi, che il fumetto, nel suo mondo a due dimensioni, ancora riesce più o meno a celare. E sono in tanti, in buona fede, a non accettare questa verità di fondo. Una visione scioccante, troppo difficile, per qualcuno, da collocare nella propria biblioteca interiore. Quel che si scorge su questo lussuoso giocattolo, tra un accecante effetto speciale e l’altro, è in realtà il riflesso del proprio io infantile. Il bambino che resiste irriducibile dentro di noi, e che vuole giocare sempre e soltanto... a modo suo. E griderà «Blutto, tu!!!» se qualcuno tenterà di forzarlo a fare altrimenti.


Del resto, scriveva Antoine de Saint-Exupery, gli adulti sono bambini cresciuti fisicamente... ma non tutti se ne ricordano. Un film riuscito più o meno può diventare una sorprendente pietra dello scandalo, suscitando indignazioni ciclopiche e sicuramente degne di cause più pregnanti. A volte non è neppure colpa del balocco, quel complicato ordigno creato per intrattenenerci. La sua superficie, in certi casi, è talmente lucida da mostrare una realtà scomoda. Il bambino che vediamo riflesso ci appare insopportabile non perché ci fa le boccacce, ma perché ci riesce difficile accettare che resterà nostro compagno di viaggio fino alla fine dei nostri giorni. In tanti, non la riconoscono, quella figura infantile. La odiano, le voltano le spalle, e danno la colpa al giocattolo per la frustrazione provata. Ignari di aver solo guardato in uno specchio dalla complessa, spettacolare cornice.




[Articolo di Filippo Messina]


mercoledì 27 aprile 2011

Future Foundation: il futuro dei Fantastici Quattro


L'atteso episodio che dovrebbe raccontare la dipartita di un membro storico dei Fantastici Quattro, nel nostro paese non è ancora uscito. Riesce difficile pensare che, nell'era di Internet, dei forum e delle anticipazioni più o meno sussurrate, ci sia ancora qualcuno che ignora l'identità del morituro (per quanto nessuno creda possa trattarsi di una morte definitiva). Per correttezza, evitiamo spoiler, per quanto possano essere ormai scontati, e parliamo d'altro. Parliamo del futuro immediato della serie Fantastic Four dopo la scomparsa di un protagonista illustre. Negli Stati Uniti, è già avvenuto. L'improvviso lutto muta lo status quo del quartetto (meno uno), il titolo della testata, l'estetica generale e i comprimari. Sempre per evitare fastidiose anticipazioni, siamo costretti a limitarci nell'uso delle immagini, ma possiamo rivelare che (almeno per il momento) la testata Fantastic Four è stata sospesa, e che al suo posto ha iniziato a uscire la sua erede, intitolata FF - Future Foundation.

Il quartetto, diventato un trio, rinnoverà il suo statuto trasformandosi in una fondazione scientifica cui aderiranno altri eroi ben noti ai Marvel fans. Il primo tra questi? L'Uomo Ragno (evidentemente, la sua militanza nei Vendicatori non bastava), giunto a riempire il vuoto appena creatosi nel gruppo con un look che sarà comune a tutti gli altri elementi della squadra, rivoluzionando la classica uniforme azzurra con lo stemma del 4. A ideare le nuove divise è stato l'editor Tom Brevoort, mentre il disegnatore Marko Djurdjevic li ha realizzati graficamente aggiungendovi del suo, come la struttura a cellette romboidali che prende il posto dello stemma storico.
Dopo l'Uomo Ragno nero e l'Uomo Ragno d'oro, quindi, ci toccherà vedere in azione l'Uomo Ragno bianco, membro ufficiale della Fondazione Futuro, diretta evoluzione di quelli che sono stati i Fantastici Quattro.
In America, il primo numero di Future Foundation è uscito lo scorso Marzo 2011, e ha subito scalato la vetta delle classifiche superando le 100.000 copie vendute. Un vero record, il che dimostra che gli espedienti marvelliani, volti a eliminare ciclicamente un personaggio e a ridefinirne lo scenario, ha tuttora un discreto impatto commerciale.


mercoledì 13 aprile 2011

Spider-Man: Shattered Dimensions


Interessante questa videorecensione (in italiano, firmata da Spaziogames) di Spider-Man: Shattered Dimensions, gioco della Activision uscito nel 2010 per Xbox360, PC, PS3 e Wii. Interessante almeno per noi, videogiocatori della Domenica (non troppo raffinati, quindi), e fans impenitenti del ragnetto Marvel.
Qui si tratta di impersonare ben quattro versioni dell'Arrampicamuri di Quartiere. Quella classica, quella Ultimate con indosso il simbionte nero, la versione avveniristica del 2099 e persino quella Noir con la sua ambientazione in stile anni trenta. Ciascuna con delle peculiari abilità e caratteristiche di gioco. Noi ci stiamo divertendo, e vi offriamo questo video per condividere con voi il nostro innocente svago. Magari (anzi, sicuramente) riuscite a far spiaccicare l'eroe meno di quanto ci riusciamo noi ogni volta che ci sediamo davanti al computer.


giovedì 24 marzo 2011

Capitan America: il trailer


Ecco, infine, un dettagliato trailer di quello che sarà uno dei film più discussi dai fumettomani nella prossima stagione cinematografica: Captain America - The First Avenger, con Chris Evans nella parte del leggendario Steve Rogers. I presupposti perché il progetto di un film avventuroso-fantastico in stile retrò si realizzi nella migliore delle confezioni possibili, sembrano esserci tutti. La cosa che impressiona sono gli effetti digitali usati sul corpo di Evans per rendere la costituzione gracile (ai limiti del rachitismo) del giovane Steve prima di essere sottoposto all'esperimento che lo trasformerà nel supersoldato per antonomasia. L'idea di una trasformazione Jekill-Hide che riempie di muscoli un mingherlino appare ancora oggi un po' ingenua se non risibile, ma l'atmosfera del fumetto c'è tutta. Vedremo gli esiti sul grande schermo. Del resto, ricordiamo: noi "siamo fedeli soltanto al Sogno!".


giovedì 24 febbraio 2011

Escort Marvel in azione su Capitan America


Diciamolo, non scopriamo certo l’acqua calda  quando parliamo dell’immagine dell’Italia all’estero e di come venga visto il nostro attuale presidente del consiglio. Di quanto il ridicolo e la volgare opulenza di cui si ammanta hanno finito col disegnare la caricatura vergognosa di un paese che non riesce proprio a maturare. La satira straniera ci è andata a nozze, e non è più una sorpresa sentire in che modi mordaci all’estero parlino di scandali sessuali, di decadente sultanato, di donnine sempre più giovani che sfoggiano doni principeschi, di salamelecchi, di papi, di pupe, di bunga bunga e tanto altro imbarazzante circo.

Qualcosa in particolare ha però attirato la nostra attenzione, dimostrandoci quanto questa idea dell’uomo di potere italiano abbia messo le radici nell’immaginario estero, al punto di affacciarsi – sia pure in modo non dichiarato – nei media più popolari come i fumetti di supereroi. Succede sul numero 9 del mensile Capitan America e i Vendicatori Segreti, pubblicato appena una settimana fa dalla Panini Comics. Più precisamente nel primo episodio dei Secret Avengers, scritto da Ed Brubaker e disegnato da Mike Deodato. L’inizio dell’episodio ci mostra subito la nuova squadra di Vendicatori in azione sotto copertura. Incontriamo Vedova Nera e Valchiria sotto le mentite spoglie di escort (chiamate proprio così “escort”) accompagnarsi a un basso signorotto corrotto cui presto faranno vedere i sorci verdi, piuttosto delle “merce” convenuta.

 

Il personaggio è di bassa statura, in là negli anni, calvo, con uno stereotipato sorriso a cinquataquattro denti, e afferma in uno dei suoi primi balloon di essere “americano”. La parola è stampata in un sussiegoso neretto anche nella traduzione italiana, quasi a voler sottolineare il “vorrei ma non posso” di autore e disegnatore, che in realtà stanno gridando a squarciagola: "Italianoooo!". E anche un nome ben preciso. Sì, perché il signore in questione, che si accompagna alle due eroine che si fingono prostitute  finendo ridicolizzato e pure menato... beh, ha delle sembianze davvero inconfondibili: quelle del presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi. I Vendicatori Segreti sono una nuova squadra di Vendicatori assemblata per svolgere operazioni segretissime e chirurgiche, là dove la corruzione incalza e la libertà del mondo è in pericolo.
Questo è l'inizio delle loro avventure, e il simbolo da neutralizzare emerso dalla fantasia di casa Marvel rinnova i tizzoni nel cuore di ogni italiano consapevole.

venerdì 11 febbraio 2011

X-Men: First Class - Il trailer


Ecco il primo trailer diffuso dalla 20th Century Fox del nuovo, atteso film dedicato ai mutanti Marvel. X-Men: First Class è diretto da Matthew Vaughn e uscirà il prossimo Giugno 2011. Non è tratto dall'omonimo spin off della serie a fumetti pubblicato qualche anno fa, ma si propone come prequel della trilogia cinematografica, e come quella rivisiterà situazioni e personaggi presentando uno scenario passato, in cui Xavier e Magneto erano ancora amici, i mutanti non si erano ancora rivelati al mondo e le basi per la creazione di X-Men stavano prendendo forma. Torna il personaggio di Mystica (ringiovanito), rivediamo Emma Frost (distrutta dallo spin off su Wolverine), e facciamo la conoscenza di Azazel, un personaggio recuperato da un ciclo a fumetti di dubbia qualità e che dovrebbe supplire un eroe invece assente: Nightcrawler. L'estetica generale del film sembra richiamare quella delle prime pellicole dirette da Bryan Singer. I mezzi ci sono. Tutto il resto è da scoprire. 

mercoledì 2 febbraio 2011

Capitano! Mio Capitano!


Alluvione di foto nelle ultime settimane per quanto riguarda il film Captain America - the First Avenger, diretto da Joe Johnston che uscirà la prossima Estate, anche in Italia. Resa nota anche la copertina di Empire Magazine di Marzo, che presenta il supersoldato Marvel con le fattezze dell'attore Chris Evans. Sempre più dettagliato il look dell'eroe, con un interessante rivisitazione della classica calzamaglia dei fumetti, nel film convertita in un'uniforme che riprende i tratti riconoscibili della tuta da supereroe. Vediamo uno scudo dapprima triangolare, poi a disco come quello che Cap è solito lanciare come un boomerang. Inoltre, scene dal laboratorio dove Steve Rogers riceve il siero del super-soldato, gli adepti dell'organizzazione Hydra, Hugo Weaving come Teschio Rosso (con il Cubo Cosmico) e altro ancora. Ormai è noto che l'intera storia del film sarà ambientata durante la seconda guerra mondiale, e che solo nel finale vedremo (forse) gettati i semi per il viaggio ghiacciato dell'eroe nell'era contemporanea. Su molti siti di cinema, i paragoni con I predatori dell'arca perduta si sprecano. Chissà se sarà davvero così. Certo che l'ambientazione bellica impone al film degli elementi di differenza dagli altri cinefumetti Marvel che abbiamo già visto. Se il risultato funzionerà resta ancora da scoprire.
 
 

lunedì 31 gennaio 2011

Spesso ritornano: zombi di ieri, zombi di oggi...


L’invasione è iniziata decenni fa, in quella lontana, livida notte del 1969, di cui fu artefice George A. Romero, regista da allora tornato numerose volte sul luogo del delitto. L’attacco era incominciato, ma la conquista effettiva dei morti viventi avviene oggi. Gli zombi hanno marciato sugli schermi di tutto il mondo, viaggiando dagli Stati Uniti all’Europa, mutando linguaggio, umore e attitudini, ma rimanendo sempre riconoscibili come icone horror internazionale. Presto, i non morti hanno colonizzato l’industria videoludica, e hanno quindi preso ad attraversare anche le pagine di fumetti sempre più popolari, dapprima come comprimari, poi come protagonisti di vere e proprie saghe. Robert Kirkman con la sua serie The Walking Dead ha sdoganato definitivamente i non morti come elemento portante di spettacoli rivolti a un pubblico generalista, e la sua recente riduzione televisiva, dove conta parecchio l’apporto del regista-sceneggiatore Frank Darabont (The Mist, Il Miglio Verde), ha spopolato dimostrando che gli zombi antropofaghi creati da Romero nel 1969 godono (per quanto risulti grottesco a dirsi) di ottima salute. Una sortita televisiva precedente, ma in Europa, s’era avuta con la miniserie brittanica Dead Set, dove l’epidemia zombesca si diffondeva negli studi in cui si realizzava Il Grande Fratello anglosassone, e vedeva come principale carne da macello gli insopportabili concorrenti dei reality. Zombi dalle attitudini più o meno atletiche o catatoniche hanno ormai strappato ai vampiri lo scettro di mostro più saccheggiato dalla fiction. Questo ammesso che nel cinema e altri media attuali, la parola “zombi” significhi ancora qualcosa.


Gli sviluppi recenti (ma neanche più tanto) del genere horror ci ha abituato alla presenza di due soggetti mostruosi legati da una vaga parentela. Gli "zombi" propriamente detti (cioè i morti risorti dalla tomba per stregoneria o per ragioni sconosciute e più o meno propensi ad addentare la gente viva) e gli "pseudozombi" (vale a dire persone vive e vegete, ma infettate da qualcosa che le rende bestiali e feroci, spesso antropofaghe e contagiose). Il cinema di George A. Romero e le sue creature predilette hanno quindi figliato nei decenni nuove generazioni di personaggi più vicini concettualmente a terribili appestati fuori controllo che a creature tornate dalla morte. 28 Giorni dopo di Danny Boyle, lo spagnolo [Rec] e  il canadese Pontypool sono solo tre dei film che hanno promosso il concetto di cinezombi da classico non morto a una generica minaccia collettiva dalle connotazioni in parte differenti, ma accomunate dal sempre efficace orrore della furia cannibale.


Ulteriori mutazioni e ibridazioni possiamo riscontrarle nei fumetti. La Marvel Comics ha sempre avuto la tendenza ad attingere dal proprio passato editoriale per riciclarle in forme aggiornate, spesso secondo le attuali sensibilità del pubblico. Che appaiano sotto l'etichetta Ultimate o seguano altre forme di riscrittura, l'intento è di solito quello di svecchiare modelli oggi ritenuti superati e gettarli in pasto a un fandom cresciuto con MTV, Inernet e i tanti miti del nuovo millennio.  Per restare in tema di non morti (o di spunti riesumati dalla tomba in base ai già espressi meccanismi commerciali), parliamo del volume uscito qualche tempo fa per la collana “100% Marvel: Zombie – Simon Garth”, che raccoglie le miniserie The Zombie e il suo seguito The Zombie: Simon Garth. Il prodotto in questione non è un fumetto disprezzabile, ma ugualmente non riesce a scrollarsi di dosso una patina di inutilità, ed è sopratutto un'occasione sprecata per i lettori più maturi, quelli in grado di ricordare l'incarnazione originale del personaggio, del quale – precisiamo – qui non c'è neanche l'ombra.


Nelle due miniserie in questione (scritte da Mike Raicht e disegnate da Kyle Hotz ed Eric Powell), ci viene descritta per l'ennesima volta il sorgere di una genia di morti mangiavivi, originati come al solito da un virus militare fuori controllo. Tutto si svolge in modo abbastanza aderente alle regole stabilite da George Romero nella sua celebre saga zombesca. L'inevitabile assedio da parte di un'orda di morti famelici, la presentazione di personaggi archetipici (l'impavido, il malvagio, la bella), con prevedibili episodi splatter e la genesi di quello che dovremmo riconoscere come l'eroe chiave del racconto: Simon Garth. Un impiegato di banca coinvolto in una sanguinosa rapina proprio mentre il fatale morbo inizia a infuriare. Dopo un'estenuante resistenza, Simon resta contagiato. Ma qualcosa in lui reagisce diversamente. Non si nutre dei vivi, sembra conservare un barlume di intelligenza e sopratutto l'attitudine alle azioni eroiche.
Quella del volume è una lettura che svaga, giacché non manca di tensione. Ma il senso di già visto, nonché una serie di spunti narrativi ormai sfruttati fino allo sfinimento, inducono a dimenticarlo non appena lo si ripone nello scaffale. La vera domanda è... perché Simon Garth? Perché questo nome?
Viene da pensare che la Marvel sentisse il bisogno di rispondere con una nuova uscita al successo emergente dei Walking Dead di Kirkman, pagando tributo al cinema di Romero, vero ideatore degli zombi come oggi li conosciamo. Esseri bestiali e cannibali che agiscono in gruppo, sbranando e contagiando gli sfortunati viventi che incontrano sulla loro strada.


Qualche decennio fa non era così. Ma Simon Garth c'era già.
George Romero aveva già consegnato alla storia il suo personale incubo horror, ma gli zombi a fumetti seguivano ancora regole differenti. Sorvolando sulla sua primissima incarnazione (un racconto breve firmato da Stan Lee e Bill Everett che risale addirittura al 1952), lo Zombie Marvel è ricordato sopratutto per la serie uscita tra il 1973 e il 1975, scritta inizialmente da Roy Thomas e Steve Gerber, e disegnata – tra gli altri – da illustratori del calibro di John Buscema e Pablo Marcos. La serie si intitolava Tales of the Zombie (in Italia l'abbiamo vista sul Corriere della Paura dell'editoriale Corno). Ed era tutta un'altra storia.

Simon Garth era un potente industriale del Caffè residente a New Orleans. Ricco e dispotico, aveva una bellissima figlia, Donna, che un giorno protegge dalle indesiderate avanches del laido giardiniere Gyps, picchiandolo e licenziandolo. Gyps uccide Simon per vendetta e costringe Layla, una sacerdotessa Voo Doo - che nella vita di tutti i giorni lavora come segretaria di Garth e ne era innamorata - a riportare in vita il suo principale sotto forma di zombie, affinché diventi per sempre suo schiavo. Vediamo quindi come lo Zombie Garth storico fosse collegato alla mitologia haitiana e al culto Voo Doo, e si muovesse in un contesto magico-etnico molto diverso dai racconti horror ispirati al modello romeriano. Un ruolo importante nella vicenda è svolto dall'amuleto di Damballah, il dio serpente. Un talismano di cui esistono due copie gemelle, una al collo del morto che cammina, l'altra in possesso di chi dovrà controllarlo come un automa. Quasi subito, Gyps perde l'amuleto. Garth, che ha recuperato una scintilla di memoria, lo uccide e inizia a vagare senza meta. Il seguito della saga vede lo zombie sfiorare più volte la strada di sua figlia, che lo sta cercando, e incontrare numerosi personaggi dai destini spesso tragici. L'amuleto gemello passa di mano in mano con conseguenze non sempre piacevoli. Il cammino di Simon s'incrocia spesso con quello di un malvagio gangster di New Orleans che si serve della magia Voo Doo per i suoi scopi criminali. Alla fine, Layla darà la sua vita affinché Simon possa resuscitare per un giorno, risolvere tutti i conti lasciati in sospeso, riconciliarsi con la figlia e l'ex moglie Miranda (ma anche chiudere la partita con il suo avversario criminale, che adesso vede come un riflesso distorto della sua vita precedente) e poter quindi morire definitivamente in pace. In un ciclo conclusivo epico e commovente, scritto da un ancora sconosciuto Chris Claremont, ogni filo della vicenda è recuperato. Simon si dimostra la metafora di un uomo “morto” molto prima che il suo giardiniere lo uccidesse. Le esperienze maturate dal suo alter ego cadaverico hanno cambiato il cinico e glaciale uomo d'affari, e il suo ultimo giorno (che coincide con il matrimonio della figlia Donna) sarà veramente il più intenso della sua vita.


Tales of the Zombie è un piccolo gioiello degli anni settanta, recuperato solo in parte, qualche anno fa, dalla collana da edicola Dark Side della Gazzetta dello Sport. Era scritto in modo bizzarro e per molti versi inusuale. Il protagonista, essendo un morto vivente, era praticamente muto (anche se in un'unica storia bofonchiava qualche parola). La narrazione in terza persona era affidata alle didascalie, ma il cantastorie si rivolgeva direttamente al protagonista e lo chiamava per nome. A volte incitandolo, altre rimproverandolo, sempre commentando le sue azioni. Insomma, un espediente letterario molto particolare per infondere a un morto che cammina una personalità struggente. Indimenticabile la sequenza in cui lo zombie si trascina fino alla fabbrica di caffè dove lavorava in vita, scala un cancello elettrificato senza riceverne danno e va a sedersi sulla poltrona imbottita del suo vecchio ufficio. Circondato dal lusso, ma irrimediabilmente solo, nella morte come lo era in vita.


Questo era... è Simon Garth. Questo era un fumetto di qualità.
Zombie: Simon Garth è invece una miniserie senza infamia e senza lode, che segue in modo pedissequo i cliché ormai radicati nell'immaginario giovanile dal cinema e dai videogames. Unica traccia, il nome di Simon Garth. E si potrebbe aggiungere: peccato.
Se adesso pensate che alcuni fumetti degli anni settanta avessero qualche marcia in più rispetto alle spacconate del nuovo millennio... chissà, forse non siete ancora diventati degli zombie.

 [Articolo di Filippo Messina]