Certo, arriviamo buon ultimi a parlare
di Dylan Dog: la morte puttana, fan movie di Denis Frison già
popolare da tempo sulla rete e tra gli appassionati dell'indagatore
dell'incubo. Ha senso una recensione in più, un altro commento,
peraltro privo di quei tecnicismi che competono a chi mastica di
cinema più e meglio di noi?
Mettiamola così. Dylan Dog: la
morte puttana è un fan movie talmente poco
fan e così dannatamente movie, da meritarsi una
visibilità ridondante, nella speranza che la cosa incoraggi
esperienze simili e possano regalare a quanti amano fumetti e cinema
altre belle sorprese.
Iniziare dall'informazione ormai
scontata che questo lungometraggio a bassissimo costo riesce là dove
Hollywood ha realizzato uno scempio assoluto, non può che essere il
punto di partenza di qualunque osservazione sul lavoro svolto da
Denis Frison e la sua squadra. Ne sono carburante sicuramente l'amore
per il fumetto, la sua profonda conoscenza e la volontà di
omaggiarlo quanto la libertà dalle logiche di mercato che spesso
intrappolano il cinema in meccanismi che girano a vuoto. La natura
“amatoriale” (e concedeteci, per una volta, le virgolette, che
qui più che altrove hanno ragione di esserci) del prodotto, ha
permesso a Frison di operare il miracolo proibito al cinema
mainstream, e dare corpo e voce al personaggio di Groucho
(interpretato da Walter Brocca), interdetto all'inutile film di Kevin
Munroe per ragioni di copyright. Essere svincolati dalle proiezioni
commerciali ha consentito, inoltre, di lasciare spazio alla fantasia
dello sceneggiatore (lo stesso regista) per sintetizzare la maggior
parte dei feticci che rendono il Dylan Dog cartaceo ciò che è: una
mitologia horror-onirica densa di personaggi caratteristici, e di
ammiccare ai grandi assenti dove lo spazio filmico avrebbe reso
forzato il loro inserimento. E' così che finalmente respiriamo in un
film quell'aria ironica e spiazzante, surreale e malinconica che il
fumetto ideato da Tiziano Sclavi ha ormai collocato nell'immaginario
collettivo. L'uso di alcune sequenze del Dellamorte Dellamore,
di Michele Soavi, utilizzate con maestria un paio di volte durante il
film, potrebbe far storcere il naso ai puristi, ma la verità è che
centra il bersaglio in modo del tutto coerente, finendo alla resa dei
conti con l'apparire una civetteria cinefila astutamente gestita
(grazie anche al coinvolgimento del doppiatore Roberto Pedicini, che
aveva prestato la voce a Rupert Everett nel film del 1994).
La sottolineatura di alcuni limiti
formali, inoltre, fa de La morte puttana un vero e proprio
esperimento di metacinema. Groucho, ci viene detto, indossa
dichiaratamente baffi e sopracciglia finti (ma non ci sarà mai
spiegato il perché) conferendo al personaggio un'ulteriore aura
surreale. Questo più delle mille citazioni sparse a piene mani lungo
tutte le due ore e dieci di film, che non peseranno al fan
dylandoghiano tanto sono intense. Altra osservazione scontata e
sviscerata sono i difetti fisiologici del lungometraggio, alcuni dei
quali (a nostro avviso) emergono soprattutto nelle scene d'azione,
concentrate per lo più nella seconda parte del film. Ma tutto questo
lascia il tempo che trova. Infatti, se in gemme del trash (prodotte
pure con soldi pubblici, come La croce dalle sette pietre di
Marco Antonio Andolfi) errori e goffaggini compromettono l'intero
film, affogandolo in una palude di comicità involontaria, nel caso
de La morte puttana, la compattezza della sceneggiatura,
l'attenzione alla maggior parte dei dettagli e la riuscita atmosfera,
capace di clonare in massima parte quella del fumetto ispiratore, fa
perdonare e azzera le naturali sbavature, certa recitazione
approssimativa, e anche dialoghi a volte non proprio perfetti. Dylan
Dog è presente con tutto il suo background, con la voce ossessiva di
Groucho nelle orecchie a mitragliare assurdità, con le apparizioni
della Morte e delle sinistre cantilene a lei dedicate, con gli amori
improvvisi e improbabili, le scene di sesso, di incubo, e il
progressivo sprofondare in un clima onirico dove le risposte non
contano, ma dove prevale l'estetica e il sapore del sogno labirintico
cui stiamo assistendo.
Girato tra Venezia (Dylan è in
trasferta) e Londra, Frison e soci ricostruiscono la dimora di Dylan,
gli spazi in cui è solito appartarsi per suonare il clarinetto e
costruire il suo galeone. Il maggiolone, l'ispettore Bloch, la medium
Trelkovski, gli immancabili
zombi e altri comprimari, caratterizzati con diligenza,
contribuiscono a fare de La morte puttana un bizzarro ponte
tra fumetto, cinema e modo di intendere gli spettacoli da questi
ispirati. Forse è addirittura spunto per una riflessione sul
concetto di passione, su dove si trova il confine (qui molto sfumato)
tra amatorialità e professionalità (Denis Frison è un giovane
filmaker in piena evoluzione), ma soprattutto sulla qualità e la
visionarietà quasi mai proporzionale all'estensione del budget.
Si è scritto anche che per guardare La
morte puttana è meglio lasciare da parte lo spirito critico e
godersi l'omaggio. Questo è in parte vero, ma suona anche un po'
pedante. Superficiale persino. Quel che buca letteralmente il video
nell'opera di Denis Frison (sceneggiatore, regista e interprete) è
l'atmosfera stralunata, costantemente in bilico tra ironia e
tristezza, orrore e commedia, che era molto difficile (per qualcuno
impossibile) rendere in un film live action. Lo stesso Dylan Dog a
fumetti non è esente da sviluppi confusi, scivoloni logici e
formali, e ciclopiche ingenuità. Eppure con il passare degli anni,
la serie ha finito col trasformare in caratteristiche vincenti ognuno
di questi grossi nei. Così il film di Frison, ispirato a un
tritatutto mediatico che frulla cinema, letteratura, altri fumetti e
chi più ne ha più ne metta, sfoggia una sintesi concettuale che non
può non incantare i fans della fonte cartacea. E scusate se è poco,
visto che questo fan film è in grado di parlare alle viscere degli
appassionati passando sopra agli ovvi limiti, come (aggiungeremmo) in
questo caso è meglio che sia. Se c'era un caso in cui era necessario
che i personaggi parlassero come in un albo della Bonelli (che non
brilla quasi mai per dialoghi particolarmente sofisticati) era
proprio questo. E ne riconosciamo i vezzi uno dopo l'altro, al di là
del semplice «Giuda ballerino!» che ovviamente non manca.
La lettura di insieme alla base de La
morte puttana è incoraggiante per chi si appassiona di letture
cinematografiche e televisive del media fumetto. Un'idea generale di
adattamento che lungi dall'essere una piatta copia carbone
restituisce vitalità a un'icona popolare del nostro tempo mentre
all'orizzonte si prospetta l'atteso rinnovamento annunciato da casa
Bonelli. Un ottimo biglietto da visita per un giovane regista
rampante che sicuramente farà ancora parlare di sé. Un ottimo
intrattenimento che deve giustamente avere la precedenza, nel carnet
dei fumettomani cinefili, su molte esangui pellicole di marchio
estero con budget miliardari.
Consapevoli, dunque, di non aver detto
niente che già non fosse stato scritto o declamato in rete, vi
consigliamo la visione. E di tenere d'occhio Frison, che ne sta già
combinando altre delle sue.
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