venerdì 11 aprile 2014

Dylan Dog: La morte puttana


Certo, arriviamo buon ultimi a parlare di Dylan Dog: la morte puttana, fan movie di Denis Frison già popolare da tempo sulla rete e tra gli appassionati dell'indagatore dell'incubo. Ha senso una recensione in più, un altro commento, peraltro privo di quei tecnicismi che competono a chi mastica di cinema più e meglio di noi?

Mettiamola così. Dylan Dog: la morte puttana è un fan movie talmente poco fan e così dannatamente movie, da meritarsi una visibilità ridondante, nella speranza che la cosa incoraggi esperienze simili e possano regalare a quanti amano fumetti e cinema altre belle sorprese.


Iniziare dall'informazione ormai scontata che questo lungometraggio a bassissimo costo riesce là dove Hollywood ha realizzato uno scempio assoluto, non può che essere il punto di partenza di qualunque osservazione sul lavoro svolto da Denis Frison e la sua squadra. Ne sono carburante sicuramente l'amore per il fumetto, la sua profonda conoscenza e la volontà di omaggiarlo quanto la libertà dalle logiche di mercato che spesso intrappolano il cinema in meccanismi che girano a vuoto. La natura “amatoriale” (e concedeteci, per una volta, le virgolette, che qui più che altrove hanno ragione di esserci) del prodotto, ha permesso a Frison di operare il miracolo proibito al cinema mainstream, e dare corpo e voce al personaggio di Groucho (interpretato da Walter Brocca), interdetto all'inutile film di Kevin Munroe per ragioni di copyright. Essere svincolati dalle proiezioni commerciali ha consentito, inoltre, di lasciare spazio alla fantasia dello sceneggiatore (lo stesso regista) per sintetizzare la maggior parte dei feticci che rendono il Dylan Dog cartaceo ciò che è: una mitologia horror-onirica densa di personaggi caratteristici, e di ammiccare ai grandi assenti dove lo spazio filmico avrebbe reso forzato il loro inserimento. E' così che finalmente respiriamo in un film quell'aria ironica e spiazzante, surreale e malinconica che il fumetto ideato da Tiziano Sclavi ha ormai collocato nell'immaginario collettivo. L'uso di alcune sequenze del Dellamorte Dellamore, di Michele Soavi, utilizzate con maestria un paio di volte durante il film, potrebbe far storcere il naso ai puristi, ma la verità è che centra il bersaglio in modo del tutto coerente, finendo alla resa dei conti con l'apparire una civetteria cinefila astutamente gestita (grazie anche al coinvolgimento del doppiatore Roberto Pedicini, che aveva prestato la voce a Rupert Everett nel film del 1994).


La sottolineatura di alcuni limiti formali, inoltre, fa de La morte puttana un vero e proprio esperimento di metacinema. Groucho, ci viene detto, indossa dichiaratamente baffi e sopracciglia finti (ma non ci sarà mai spiegato il perché) conferendo al personaggio un'ulteriore aura surreale. Questo più delle mille citazioni sparse a piene mani lungo tutte le due ore e dieci di film, che non peseranno al fan dylandoghiano tanto sono intense. Altra osservazione scontata e sviscerata sono i difetti fisiologici del lungometraggio, alcuni dei quali (a nostro avviso) emergono soprattutto nelle scene d'azione, concentrate per lo più nella seconda parte del film. Ma tutto questo lascia il tempo che trova. Infatti, se in gemme del trash (prodotte pure con soldi pubblici, come La croce dalle sette pietre di Marco Antonio Andolfi) errori e goffaggini compromettono l'intero film, affogandolo in una palude di comicità involontaria, nel caso de La morte puttana, la compattezza della sceneggiatura, l'attenzione alla maggior parte dei dettagli e la riuscita atmosfera, capace di clonare in massima parte quella del fumetto ispiratore, fa perdonare e azzera le naturali sbavature, certa recitazione approssimativa, e anche dialoghi a volte non proprio perfetti. Dylan Dog è presente con tutto il suo background, con la voce ossessiva di Groucho nelle orecchie a mitragliare assurdità, con le apparizioni della Morte e delle sinistre cantilene a lei dedicate, con gli amori improvvisi e improbabili, le scene di sesso, di incubo, e il progressivo sprofondare in un clima onirico dove le risposte non contano, ma dove prevale l'estetica e il sapore del sogno labirintico cui stiamo assistendo.
 

Girato tra Venezia (Dylan è in trasferta) e Londra, Frison e soci ricostruiscono la dimora di Dylan, gli spazi in cui è solito appartarsi per suonare il clarinetto e costruire il suo galeone. Il maggiolone, l'ispettore Bloch, la medium Trelkovski, gli immancabili zombi e altri comprimari, caratterizzati con diligenza, contribuiscono a fare de La morte puttana un bizzarro ponte tra fumetto, cinema e modo di intendere gli spettacoli da questi ispirati. Forse è addirittura spunto per una riflessione sul concetto di passione, su dove si trova il confine (qui molto sfumato) tra amatorialità e professionalità (Denis Frison è un giovane filmaker in piena evoluzione), ma soprattutto sulla qualità e la visionarietà quasi mai proporzionale all'estensione del budget.



Si è scritto anche che per guardare La morte puttana è meglio lasciare da parte lo spirito critico e godersi l'omaggio. Questo è in parte vero, ma suona anche un po' pedante. Superficiale persino. Quel che buca letteralmente il video nell'opera di Denis Frison (sceneggiatore, regista e interprete) è l'atmosfera stralunata, costantemente in bilico tra ironia e tristezza, orrore e commedia, che era molto difficile (per qualcuno impossibile) rendere in un film live action. Lo stesso Dylan Dog a fumetti non è esente da sviluppi confusi, scivoloni logici e formali, e ciclopiche ingenuità. Eppure con il passare degli anni, la serie ha finito col trasformare in caratteristiche vincenti ognuno di questi grossi nei. Così il film di Frison, ispirato a un tritatutto mediatico che frulla cinema, letteratura, altri fumetti e chi più ne ha più ne metta, sfoggia una sintesi concettuale che non può non incantare i fans della fonte cartacea. E scusate se è poco, visto che questo fan film è in grado di parlare alle viscere degli appassionati passando sopra agli ovvi limiti, come (aggiungeremmo) in questo caso è meglio che sia. Se c'era un caso in cui era necessario che i personaggi parlassero come in un albo della Bonelli (che non brilla quasi mai per dialoghi particolarmente sofisticati) era proprio questo. E ne riconosciamo i vezzi uno dopo l'altro, al di là del semplice «Giuda ballerino!» che ovviamente non manca.

La lettura di insieme alla base de La morte puttana è incoraggiante per chi si appassiona di letture cinematografiche e televisive del media fumetto. Un'idea generale di adattamento che lungi dall'essere una piatta copia carbone restituisce vitalità a un'icona popolare del nostro tempo mentre all'orizzonte si prospetta l'atteso rinnovamento annunciato da casa Bonelli. Un ottimo biglietto da visita per un giovane regista rampante che sicuramente farà ancora parlare di sé. Un ottimo intrattenimento che deve giustamente avere la precedenza, nel carnet dei fumettomani cinefili, su molte esangui pellicole di marchio estero con budget miliardari.

Consapevoli, dunque, di non aver detto niente che già non fosse stato scritto o declamato in rete, vi consigliamo la visione. E di tenere d'occhio Frison, che ne sta già combinando altre delle sue.

Nessun commento:

Posta un commento