Con il consueto ritardo (e sì,
ci riesce difficile trovare il tempo per andare al cinema, quindi ci
tocca aspettare le uscite in dvd), diciamo anche noi la nostra su The
Amazing Spider-Man, il chiacchierato reboot cinematografico
sull'amatissimo arrampicamuri di quartiere. Film che ha suscitato per
lo più pareri diametralmente opposti, tra spettatori
entusiasti e fans in crisi emetica acuta, lasciando poco spazio a
opinioni intermedie. Del resto, è inutile nascondersi dietro
un dito. Il pubblico dei cinefumetti, almeno quella vasta fetta che
proviene dalla lettura (spesso decennale) degli albi, non è
avvezzo a fare prigionieri quando si tenta di portare sullo schermo i
suoi beniamini. L'amore per un personaggio, il suo mondo e le
atmosfere che lo circondano, è vissuto con una sacralità
quasi mai riconosciuta a certi classici della letteratura,
altrettanto spesso massacrati dal cinema. Una passione che diventa
ferocia quando la trasposizione filmica non è all'altezza
delle aspettative. Il successo al botteghino di questo nuovo
Spider-Man ha dato vita a un rinnovato franchise di
cui già si prospetta il seguito, ma che dire riguardo la
qualità del film, la sua interpretazioni delle icone
fumettistiche che prova a rivisitare? Iniziamo dicendo questo: Twilight non c'entra una mazza. Il titolo Twilight (ovviamente per i suoi detrattori, di solito appassionati di altri generi fantastici) è ormai stato convenuto come una nuova parolaccia. Un dispregiativo che accompagna un irrimediabile pollice verso, intrecciando vari significati quali scialbo, scemo, fighetto, puerile e kitsch. E questo Amazing Spider-Man s'è beccato da più fronti l'infamante paragone: Twilight Spider-Man. Lasciamo un momento da parte questi giochi da semiotica nerd e vediamo di esaminare quali sono i reali meriti e demeriti della pellicola in questione.
La nostra reazione davanti al film di
Mark Webb non è molto dissimile da quelle suscitateci da
precedenti pellicole Marvel. Ammettiamolo: noi ci occupiamo di
fumetti per vivere, li leggiamo, li vendiamo e li amiamo. Ma non ci
siamo mai accostati a un cinefumetto con nessuna particolare
aspettativa. Sarà l'età che avanza, non lo sappiamo. Ma restiamo di solito abbastanza distaccati, anche quando un titolo riesce a divertirci. Per questo ci può capitare di trovare eccessivo lo
stracciarsi di vesti davanti ad alcuni titoli accusati di blasfemia,
così come può sembrarci azzardato esaltarne altri come
capolavori assoluti del cinema. Ma veniamo al dunque. Il nostro
parere su The Amazing Spider-Man si potrebbe riassumere così:
se il film di Mark Webb con Andrew Garfield fosse stato il primo lungometraggio
dedicato all'Uomo Ragno, molto probabilmente gli entusiasmi e il
gradimento (nostro e di altri) sarebbero aumentato di parecchie
spanne. La confezione è dignitosa, il protagonista
perfettamente in parte, il costume (un po' scuro rispetto alla
controparte cartacea, ma per niente brutto come le prime foto di
scena avevano lasciato presagire) funziona. La sceneggiatura (sebbene
in alcuni tratti si affidi a una sospensione dell'incredulità
adatta a un film per famiglie targato Disney) è discontinua,
ma nel complesso abbastanza potabile. Gli effetti speciali
(sorvoliamo sul 3D che non abbiamo visto né ci ha mai
interessato) sono quelli attuali. Senza particolari sorprese e,
soprattutto, non molto più evoluti da quelli esibiti dalla
precedente trilogia. Da questo punto di vista, pertanto, non può esserci partita.
Peccato originale del claudicante (ma a
nostro parere non spregevole) reboot, dunque, è la vicinanza
temporale (troppa!) con il ben più riuscito Spider-Man
di Sam Raimi (parliamo qui del primo film della serie), e
l'inevitabile confronto con un predecessore che pur non esente da
difetti centrava il bersaglio in modo molto più virtuoso. The
Amazing Spider-Man, dunque, nasce già appesantito da
un'eredità della quale non poteva non tener conto, e
giustamente tenta un differente approccio narrativo al cosmo ragnesco
per attenuare un confronto pericoloso. In parole povere, il progetto cinematografico (spinto da una logica che più commerciale non si può) si è mosso sin dal principio su un terreno minato, sforzandosi di essere diverso eppure simile nella sostanza a qualcosa di già compiuto e acclamato. Attinge a sottotrame emerse
molto più avanti nella cronologia a fumetti (il mistero dei
genitori di Peter Parker), recupera i caratteristici lanciaragnatele
da polso (elemento iconico sul quale il film di Raimi aveva
glissato), ricorre a un villain non apparso nella precedente versione, e presenta il primo vero amore del protagonista: Gwen Stacy, insieme
al padre capitano di polizia (nel film ringiovanito per esigenze di
copione).
Tutte le scelte fatte per allontanarsi
dalla precedente lettura cinematografica, sebbene non svolte nel
peggiore dei modi, non possono che suscitare straniamento nei fans
più ortodossi del fumetto. Infatti quel che vediamo sullo schermo possiamo anche chiamarlo tecnicamente reboot, ma più sostanzialmente si tratta di una variazione sul tema, una cover arrangiata che si sforza di fare emergere sonorità alternative. E' una legge basica della cultura popolare. Non tutti apprezzeranno lo sforzo.
Andrew Garfield, bravo come sempre, è un Peter più complesso del solito, i cui aspetti ribelli e impudenti sono di gran lunga anticipati nell'economia del racconto. Si tratta sempre di Peter Parker, il secchione oggetto degli scherzi dei bulli della scuola. Ma il suo lato intellettuale e le capacità intraprendenti emergono sin dall'inizio del film in modo evidente, e questo sembra avere irritato una parte di lettori che non ha tardato ad affermare che «quello non è il Peter Parker che conosciamo».
In realtà questo non è esatto. Andrew Garfield è Peter Parker tanto quanto riusciva a esserlo Tobey Maguire (fisicamente, forse anche di più). Solo dà rilievo a caratteristiche differenti. Un Peter incompreso dai compagni di scuola, ma geniale e furbetto come pochi suoi coetanei, cosa che nel film si evince prima ancora che inventi dal nulla un adesivo rivoluzionario (l'intrusione alla Oscorp: scena poco verosimile, ma che regala una divertente rilettura dell'incidente che conferisce all'eroe i suoi poteri).
Andrew Garfield, bravo come sempre, è un Peter più complesso del solito, i cui aspetti ribelli e impudenti sono di gran lunga anticipati nell'economia del racconto. Si tratta sempre di Peter Parker, il secchione oggetto degli scherzi dei bulli della scuola. Ma il suo lato intellettuale e le capacità intraprendenti emergono sin dall'inizio del film in modo evidente, e questo sembra avere irritato una parte di lettori che non ha tardato ad affermare che «quello non è il Peter Parker che conosciamo».
In realtà questo non è esatto. Andrew Garfield è Peter Parker tanto quanto riusciva a esserlo Tobey Maguire (fisicamente, forse anche di più). Solo dà rilievo a caratteristiche differenti. Un Peter incompreso dai compagni di scuola, ma geniale e furbetto come pochi suoi coetanei, cosa che nel film si evince prima ancora che inventi dal nulla un adesivo rivoluzionario (l'intrusione alla Oscorp: scena poco verosimile, ma che regala una divertente rilettura dell'incidente che conferisce all'eroe i suoi poteri).
A essere in buona parte sgasati risultano
invece i personaggi chiave di Zio Ben e Zia May, due sagome che
scimmiottano goffamente i due personaggi iconici tratteggiati in modo
molto più diligente nel film di Raimi. Un peccato soprattutto
per Sally Field, decisamente sprecata in un ruolo marginale e poco
caratterizzato. L'assenza dell'esperienza da wrestler di Peter non si
fa sentire troppo (ma un po' dispiace), così come quella dell'acido Jonah Jameson
(che speriamo comunque di vedere in un capitolo successivo). La vera
nota dolente sulla quale ci troviamo d'accordo con molte campane che
hanno suonato a morto, è invece il personaggio
dell'antagonista del film: Lizard. Non tanto per la realizzazione
grafica, che non ci ha disturbato più di tanto, ma per il modo
in cui il personaggio è raccontato e per l'estetica visiva adottata
per rappresentare il mostruoso uomo-lucertola (veramente troppo
simile a una sorta di Hulk con la coda prensile più che a un
rettile umanoide). Dal canto suo, l'attore Rhys Ifans se la cava
senza infamia e senza lode, e non riteniamo che il flop del villain
sia da imputare interamente al suo casting. Si potrebbe continuare parlando dei tanti spunti narrativi lasciati incompiuti dal film, delle fisiologiche ingenuità, degli aspetti oggettivamente pasticciati, fino ad arrivare alla battuta finale del protagonista (un'ovvietà romantica del tutto innocua, che serve giusto a chiudere il film, ma che ha contribuito a far imbestialire chi voleva vedere sullo schermo il Peter Parker cartaceo e tutto d'un pezzo degli anni settanta). Ma vale veramente la pena andare con tanta acredine a caccia di pulci? Lo ripetiamo: sarà l'età, ma certi atteggiamenti estremi non fanno per noi. Non davanti a un film modesto ispirato a un fumetto di culto.
The Amazing Spider-Man, in definitiva,
è una pellicola con un potenziale rimasto in larga parte inespresso,
ma che non merita – secondo noi – di essere bocciato su tutta la
linea. Forse troppo lungo (in un paio di momenti ci siamo sorpresi a
chiederci «Ma quanto cavolo sta durando?!»), pieno di nei vistosi, ma nel complesso digeribile e persino promettente in vista
di un sequel che non dovrà attardarsi sulla consueta genesi
dell'eroe. Da collocare decisamente qualche gradino più in basso del lavoro firmato da
Sam Raimi, quindi, ma senza lasciarsi prendere da furori talebani. Tutto sommato un Uomo
Ragno discreto, del quale ci incuriosisce l'ulteriore evoluzione, a
differenza di altri conclamati aborti cinematografici quali Ghost Rider
e Elektra.
La macchina dei seguiti, intanto, è già entrata in movimento, e iniziano a fioccare i rumors sulla seconda pellicola di questo nuovo corso ragnesco. Attualmente sappiamo con discreta certezza che nel prossimo film vedremo apparire Mary Jane Watson, probabilmente nel ruolo (detenuto per anni dal suo omologo fumettistico) di fidanzata di riserva. La parte è stata affidata a Shailene Woodley, giovane attrice la cui lapidazione mediatica da parte dei talebanerd è già incominciata (beh, del resto la povera Emma Stone-Gwen Stacy era stata definita un "cesso di donna" sin dalle sue prime immagini apparse in rete). Si vocifera dell'arrivo del personaggio cardine di Harry Osborn, e di affidare il ruolo di villain a Electro, forse interpretato dall'attore afroamericano Jamie Foxx (anche qui il nerdume inizia a fare impietosi paragoni con il Fulmine Nero della DC Comics). Attendiamo di vedere come matureranno o marciranno questi semi. La sensazione ricevuta dallo schema narrativo generale è che questo spiderverso sia debitore all'idea base della serie televisila Smallville, dove ogni evento straordinario era collegato e quasi tutti i villain erano stati generati dal nefasto meterorite giunta sulla terra insieme alla navicella che trasportava il piccolo Superman. Qui (così almeno induce a supporre il primo film) è facile immaginare che tutto ruoterà intorno alle macchinazioni della Oscorp di Norman Osborn e ai suoi esperimenti sull'ibridazione uomo-animale che hanno generato Spider-Man come prima cavia umana casuale. Chissà!
Ma qualcosina (siamo nerd pure noi, in fondo) la paventiamo. Qualcosa come la possibile apparizione, a un certo punto, di un Goblin ispirato alla sua pessima versione Ultimate. Caratterizzazione che non abbiamo mai amato, e che peraltro rischierebbe di sovrapporre il look del personaggio a quello del Lizard cinematografico appena presentato con risultati deludenti. Ma questa, come che vada, sarà tutta un'altra storia, tutto un altro film.
Ma qualcosina (siamo nerd pure noi, in fondo) la paventiamo. Qualcosa come la possibile apparizione, a un certo punto, di un Goblin ispirato alla sua pessima versione Ultimate. Caratterizzazione che non abbiamo mai amato, e che peraltro rischierebbe di sovrapporre il look del personaggio a quello del Lizard cinematografico appena presentato con risultati deludenti. Ma questa, come che vada, sarà tutta un'altra storia, tutto un altro film.
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