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sabato 25 aprile 2015
lunedì 20 aprile 2015
FANT4STIC: il nuovo trailer
Ok, potrebbe essere (e forse sarà) un film del tutto inutile. Magari proprio brutto. Stupido. Infedele al massimo alla controparte cartacea. E io tutta sta voglia di difendere qualcosa che non si è ancora visto, che conosciamo solo da annunci e trailer, non ce l'ho. So però che comincio a scazzarmi nel sentirlo vituperare a mitraglia. Mi sembra più infantile di quanto un film (forse, probabilmente, inutile e mediocre) potrà riuscire a essere. E c'è anche qualcosa di talebano. Anzi, talebanerd. Io la vedo così. I Fantastici Quattro sono un fumetto le cui fondamenta iconiche sono profondamente avvinghiate agli anni sessanta. L'uomo non era ancora arrivato sulla luna e l'ingenuità regnava sovrana. Presumere di farli tali e quali non può fisiologicamente portare troppo lontano dagli esiti di Tim Stoy. L'idea di provare a trarne ispirazione per dire altro (forse come Ang Lee con il suo controverso Hulk) mi suscita un minimo sindacale di curiosità. Il film non s'intitola nemmeno Fantastic Four, ma gioca con la parola "Fantastic" integrando il 4 in modo che il riferimento ci sia e non ci sia. Sentire parlare della Torcia di colore mi ha stancato (ma è davvero una trasgressione così terribile?! Veramente non vi siete ancora dati pace?!). Sentire che la Cosa non ha gli occhioni blu come Lisa nella canzone di Mario Tessuto mi fa ridere fino alle lacrime. Ma non possiamo attendere di vedere che hanno combinato e discuterne con cognizione di causa? Nerd sì, ma... con juicio, perdinci!
mercoledì 15 aprile 2015
martedì 7 aprile 2015
martedì 10 marzo 2015
sabato 28 febbraio 2015
Grazie al popolo di FanZinema 3
GRAZIE a tutti quelli che sono intervenuti ad Altroquando FanZinema 3, al Porco Rosso. E' stata una bella serata. Tanta bella gente interessata, in tanti a scoprire argomenti e forme di creatività per loro sono sommerse, i ricordi del vecchio Altroquando, i progetti del nuovo, i vecchi amici che sono rimasti amici, i nuovi compagni di strada che sono straordinari... e il popcorn altroquandiano. Rifacciamolo presto. E grazie ancora.
giovedì 5 febbraio 2015
Le Quattro Fantastiche Mosche... di Josh Trank
Può avere senso discutere di un film
non ancora uscito?
Ma sì, dai, che non si fa male a
nessuno. Al limite si spreca un po' di tempo... si punzecchia
qualcuno sui social network, oppure ci si esalta con aspettative alte
o basse. E' Internet, bellezza! Ma non è stato
sempre così, è storia recente. E con i cinefumetti sta andando
anche peggio. Certo, il cinema attinge a letteratura e teatro sin
dalle sue origini, ma vuoi mettere la nona arte? La storia del cinema
è zeppa di adattamenti, ma i lettori di fumetti sanno sempre quello
che vogliono. Ti aspettano al varco e non perdonano. Ogni film è
preceduto da una lunga novena, e – confessiamolo – il rituale
dell'attesa fa parte del piacere. Sono come gli esercizi spirituali
che precedono la Pasqua cattolica. A quanti piace spulciare quelle
notiziole, spesso imprecise se non del tutto false, che abbiamo
imparato a chiamare rumors? Vuoi mettere il delizioso, quasi mistico,
piacere che danno al nerd che è in noi quando annunciano che il film
in lavorazione conterrà questo o quell'elemento? E sbirciare quelle
prime immagini... i concept, i bozzetti, e i casting... Wow!
Applaudire o restare senza saliva a forza di sputi contro
l'attore/attrice di turno è uno sport tutto nuovo e decisamente in
fase di espansione. Importa poco se tutto è pura teoria, tutto
rimandato all'uscita effettiva della pellicola. Dopotutto che
possiamo saperne, si chiacchiera di aria fritta. E alla resa dei
conti, i giudizi sbagliati non sono neppure mancati. Ricordate il
dissenso per la statura di Hug Jackman, troppo alto per incarnare
Wolverine, quando vedemmo le prime immagini del casting relativo al
primo X-Men di Bryan Singer? E della valanga di pomodori lanciati alla foto
di Quicksilver interpretato da Ewan Peters, ne vogliamo parlare?
Stavolta però il discorso è diverso.
Parliamo del nuovo film dedicato ai Fantastici Quattro per la regia
di Josh Trank, regista che si è fatto notare per l'esperimento
Chronicle, pellicola girata in POV che esplorava il mondo dei
superpoteri senza attingere a nessuna fonte fumettistica cartacea. I
Fantastici Quattro, al cinema, hanno avuto finora poca fortuna. Non
impelaghiamoci sui titoli precedenti, e non per cieco disprezzo, ma
perché ci porterebbero fuori strada. Parliamo di Trank e del suo
film, del quale è da poco uscito il trailer, e delle aspettative
che, contro ogni previsione, è riuscito a conquistare. Sì, perché
fino a poche settimane fa, il film sulla prima famiglia Marvel
diretto da Trank era tra le produzioni più ignorate, dileggiate,
sottovalutate dal fandom. Il concetto di reboot (nel senso di nuovo
punto di partenza senza legami con le pellicole precedenti) è sempre
spinoso. Sicuramente l'annuncio che il personaggio chiave di Johnny
Storm, la scoppiettante Torcia Umana, il membro più spettacolare del
gruppo, non sarebbe stato un giovane guascone biondo, ma l'attore
Michael B. Jordan, che essendo di colore si colloca molto distante
dalla figura conservata per decenni nell'immaginario dei lettori di
mezzo mondo, aveva gettato parecchia acqua sul fuoco. La ribattezzata
Torcia Nera è stata la pietra dello scandalo che ha suscitato prima
un'ondata di indignazione generale (e giù a premettere di non essere
razzisti, ma...), poi la rimozione del film di Trank dall'agenda dei
progetti più attesi, quasi non esistesse neppure più.
Le acque sono tornate a bollire quando
è stato annunciato l'intero cast e sono state pubblicate le foto. Un
vero tornado nelle menti dei marvel fans, funestate da un casting a
base di attori giovanissimi e tutti clamorosamente fuori ruolo. Non
hanno aiutato neppure il rumor riguardo una Sue Storm che
probabilmente non amerà Reed Richards ma (forse) Ben Grimm
(interpretato stranamente da Jamie Bell, l'ex bambino danzante di
Billy Elliot) e l'origine totalmente riscritta del Dottor Destino,
qui un giovane e arrogante blogger. Meno scalpore ha suscitato il
riferimento alla Zona Negativa e al suo ruolo nell'acquisto dei
poteri da parte del quartetto. Niente raggi cosmici, sorry. Del
resto, “raggi cosmici” significa poco, visto che quando
Fantastici Quattro iniziò le pubblicazioni i viaggi nello
spazio erano appena iniziati e di cosa c'era effettivamente là fuori
non si sapeva praticamente nulla. E poi c'è la versione Ultimate a
fare da capro espiatorio. La serie era brutta, ma l'espediente della
Zona come fonte delle origini non era proprio da scartare.
Mettiamoci i volti giovani e poco empatici degli altri interpreti e
la frittata è stata fatta. Fantastici Quattro di Josh Trank
era il male, e nessuno lo aspettava proprio più, se non per
vituperarlo ancora e pure svogliatamente.
Che cosa è cambiato, allora, nelle
ultime settimane? Due cose, fondamentalmente.
Intanto, Josh Trank ha rotto il
silenzio e ha parlato diffusamente della sua idea del film e di come
intende rivisitare il quartetto. In un'intervista succosa ha
affermato che per approcciare a questi quattro supereroi e alla loro
nemesi si è ispirato al cinema “del corpo” di David Cronenberg.
Il racconto avrà un tono cupo e molto spazio sarà dato alle
mutazioni mostruose e shockanti che i protagonisti dovranno subire.
«Alcune scene» ha affermato Trank, «vi ricorderanno film come
Scanners e La Mosca.»
Il secondo evento è stata l'uscita del
primo trailer. Un video di pochi minuti che per atmosfere ricorda
recenti colossi della fantascienza d'autore (Interstellar,
Gravity), una colonna sonora cui ha contribuito nientemeno che
Philip Glass, ma soprattutto alcune scene, velocissime e seminali,
che sembrerebbero confermare la lettura fantascientifica e
cronenberghiana annunciata da Josh Trank.
I Fantastici Quattro come Scanners
e La Mosca, quindi.
Sarà vero?
Certo, se a Trank riesce di mandare la
palla in buca sarebbe uno sballo.
Resta il fatto che i Fantastici Quattro
marvelliani ne uscirebbero snaturati. Ma sarebbe così grave?
L'idea base, il tono della serie
(soprattutto all'inizio della gestione di Lee e Kirby) erano tra le
più leggere, ingenue, e quindi tra le più difficili da traghettare
nel linguaggio cinematografico senza scadere in un prodotto
infantile, oppure senza tradirne gli aspetti iconici.
La sensazione che suscita questa
campagna mediatica è strana. Come se ogni mossa pubblicitaria avesse
giocato con gli umori del fandom a bella posta, quasi ci si stesse
divertendo a provocarli.
Adesso è abbastanza chiaro che il film
di Trank (a prescindere sia bello o brutto) si propone come un
esperimento fuori dal coro. In una fase commerciale in cui l'aderenza
alla fonte fumettistica si dimostra vincente, questo titolo sembra
imboccare deliberatamente la strada opposta, e presentarsi come una
rivisitazione che prenderà spunto dall'essenza dei personaggi, ma
che si riserva di sviluppare atmosfere e contenuti tutti suoi.
Qualche parentela (ideale) con l'Hulk
di Ang Lee? Anche quel film fu disprezzato da molti, né mancarono
spettatori infuriati che affermarono che con Hulk la pellicola di Lee
non aveva niente a che vedere.
Sorge il sospetto che persino la
scelta di un attore afro per il ruolo tradizionalmente
biondoocchioceruleoragazzobiancoammerigano di Johnny Storm
abbia poco a che fare con il politically correct imperante. Si è
scritto tanto, si è detto tanto, della scelta mediatica di un attore
nero solo per ragioni politicamente inclusive. Si è parlato del
rapporto fratello-sorella con Sue, del fatto che saranno fratelli
adottivi (ed è Sue, la ragazza bianca, a essere stata adottata). Ci
si è pure chiesti (legittimamente) perché non fare di loro due
fratelli dalle madri diverse... e tutto potrebbe starci. Quello che
irrita è la difesa fuori luogo (miope, e probabilmente involontaria)
del concetto di famiglia naturale (ebbene sì). C'è persino chi ha
detto che Johnny e Sue non possono essere fratelli adottivi, giacché
una delle caratteristiche fondanti dei Fantastici Quattro è il loro
essere famiglia, e che sarebbe un peccato rinunciare a questo legame
fondamentale tra i personaggi.
Perdonate. Sorvolando sul fatto che
essere stati adottati non rende meno famiglia... ricordiamoci di Ben
Grimm. Nel quartetto ha sempre svolto il ruolo dello zio, un po' come
se fosse il fratello di Reed. Ma non lo è. E' solo un vecchio,
carissimo amico. Eppure nessuno si è mai sognato di dire che la Cosa
non facesse parte della Prima Famiglia Marvel. E non credo si
comincerà adesso.
E sì, i fumetti non saranno più una
cosa per bambini, ma a volte certe cose vanno ricordate ugualmente.
Tornando alla Torcia Nera, esiste una
minuscola possibilità che il politically correct sia solo un
pretesto, e che in realtà si tratti di un gancio mediatico che si
sta rivelando anche piuttosto efficace. Oltre a far tanto parlare, il
Johnny Storm afro era solo l'apripista di un intero cast che a un
lettore accanito non può che apparire disastroso. Sì, disastroso,
se quello che ci si aspetta, che si desidera, è una trasposizione su
schermo pedissequa e rassicurante del fumetto che abbiamo sempre
letto.
Il trailer ci mostra (per pochissimi
secondi) una Cosa esplodere da una massa rocciosa apparentemente
informe. Una torcia infiammarsi da lontano per un istante e un
braccio protendersi fuori scena (forse allungandosi) con grande
fatica. Niente di tutto questo garantisce che alla fine della fiera
vedremo un film riuscito, o realmente in linea con l'estetica
fantascientifica e “corporale” di David Cronenberg. Ma se si
voleva giocare sul contrasto, sulla variante di icone amatissime,
penso che il progetto sia ormai scoperto.
E il titolo? La grafica del logo originale si presenta così: FANT4STIC. Come se il vero titolo fosse, insomma "Fantastico" e il numero "4" fosse in qualche modo suggerito, implicito, ammiccante.
I Fantastici Quattro di
Josh Trank, comunque vada, non sembra proporsi come un cinefumetto
convenzionale, ma come una fantasia arbitraria su un modello di cui
resteranno soltanto alcune tracce essenziali. Questo ci induce ad
attenderlo con curiosità, se non altro per scoprire cosa diavolo
hanno combinato, e se magari tante deroghe al fumetto non possano
produrre alla fine uno spettacolo cinematografico perlomeno
interessante.
Giusto? Sbagliato? Chi lo sa? E ancora
una volta abbiamo parlato e scritto di aria fritta. Quello di cui
discorriamo veramente, noi nerd, quando ci avventuriamo in queste
congetture, sono le nostre passioni, quello che ci piacerebbe vedere
e quello che temiamo di trovarci davanti. Niente di più.
Il resto è solo attesa e speranza di
riuscire ancora a stupirsi.
[Articolo di Filippo Messina]
giovedì 6 novembre 2014
Dylan Dog: Vittima degli eventi
C'era molta attesa per Dylan Dog:
Vittima degli eventi, mediometraggio diretto da Claudio Di Biagio
(Non aprite questo tubo) e sceneggiato da Luca Vecchi (ThePills, qui anche nelle vesti di interprete nel ruolo fondamentale
di Groucho) con la collaborazione alla fotografia di Matteo Bruno
(Canesecco). Due fortunate campagne di crowdfunding e il
coinvolgimento amichevole di due attori di alto profilo (Milena
Vukotic e Alessandro Haber), hanno portato alla nascita di questo
ulteriore fanmade dopo i fasti (sia pure relativi a un circuito
indipendente) di Dylan Dog: la Morte Puttana di Denis Frison e
Dylan Dog: il Trillo del Diavolo di Roberto D'Antona.
Un'attesa ulteriormente almpificata dall'operazione di rilancio del
Dylan fumettistico a opera di Roberto Recchioni, ringraziato, tra i
molti altri, nei titoli di coda come preziosa fonte di consigli.
Sembra, insomma, che al di là di ogni esito oggettivo, il
personaggio di Tiziano Sclavi si stia godendo una fase di rinnovata
attenzione, e il fanmade di Di Biagio non poteva uscire (in modo
totalmente free, liberamente visionabile sul canale Youtube TheJakal) in un momento più propizio.
Dopo averlo atteso, dopo averlo visto
(e apprezzato), cosa resta da dire. Cosa, dopo il clamore già
suscitato in rete? Francamente, ripetere che il film firmato da Di
Biagio e Vecchi (come già i due fanmade che lo hanno preceduto)
vinca a mani basse sullo scempio statunitense di qualche anno fa,
suonerebbe davvero ripetitivo e stucchevole. E poi, per dire pane al
pane e vino al vino: fare di meglio rispetto al film di Kevin Munroe
con Brandon Routh non è la più difficile delle imprese per chiunque
mastichi un po' di tecnica cinematografica. Quindi basta confronti.
Il film cinematografico di Dylan Dog non è mai esistito veramente,
in quanto la pellicola hollywoodiana non lascia appigli neppure ai
cultori del trash nella sua assoluta inutilità e inconsistenza.
Proviamo a fare una riflessione un po'
diversa. Non controcorrente, solo diversa. Il mediometraggio di
Claudio Di Biagio sta mietendo consensi in rete, e questi sono
sicuramente in larga parte meritati. Di Biagio, come anche Matteo
Bruno (già segnalatisi per attenzione e competenza con la web serie
Freaks!) si dimostrano delle promesse del cinema italiano da
tenere d'occhio. Il loro Dylan Dog è differente da quello di Frison
come da quello di D'Antona. Un Dylan Dog a suo modo rivisitato senza
troppi ma e senza troppi perché. Nel film, interamente ambientato a
Roma, incontriamo l'indagatore dell'incubo che conosciamo, con il suo
nome straniero e i suoi vezzi britannici. Non c'è dato sapere
perchè. Il suo studio si trova là, Dylan non è in trasferta come
nella Venezia de La Morte Puttana. Sorvoliamo sulle banali
questioni legate al budget, in questo caso un po' più consistente
rispetto agli esperimenti passati. Di Biagio e Vecchi se ne sono
allegramente fottuti, e hanno collocato Dylan in una dimensione
surreale, dove geografia e spaziotempo non contano una cippa. Non
conta l'appellativo old boy, usato da un
ispettore Bloch che più italiano non si può, interpretato da un
Alessandro Haber non fuori parte come potrebbe sembrare a dispetto
del look fuori contesto (probabilmente dovuto ad altri impegni
contigenti dell'attore che non avrà potuto rinunciare alla barba).
Notevole la partecipazione della Vukotic nella parte della medium
Trelkovsky, qui forse più maga
che sensitiva... ma chi se ne frega? La performance dell'attrice è
molto suggestiva
e potremmo considerarlo il fiore all'occhiello dell'intera
operazione.
Il film è formalmente riuscito e si
eleva, per quanto riguarda il comparto tecnico, decisamente al di
sopra delle pur lodevoli esperienze precedenti. La fotografia di
Matteo Bruno è impeccabile, gli effetti visivi efficaci. Meritevole
il lavoro di interprete di Luca Vecchi, un Groucho molto più
calibrato di quelli visti in precedenza. Vecchi si è palesemente
andato a studiare la mimica del vero Groucho Marx e la ripropone con
grande verve, regalandoci un Groucho superlativo soprattutto per la
presenza scenica. Valerio Di Benedetto, che interpreta Dylan, ha
indubbiamente il physique
du rôle, né gli manca il talento, sebbene la sua recitazione sia
ancora suscettibile di qualche
miglioramento. Il
suo Dylan, però, magari più per vincoli
di sceneggiatura che
per interpretazione, si discosta a larghi tratti dalla controparte
bonelliana, manifestando atteggiamenti forse fin troppo hard boiled.
Non parleremo qui della trama, degli incubi, delle scene oniriche e
del finale surreale (a suo modo un colpo da maestro) e fortemente
citazionista. Spendiamo
invece qualche parola sul concept e sul senso generale da dare
all'operazione che, ricordiamolo, rimane un (riuscito)
esercizio di stile
al servizio del fandom. Qui
veniamo... non alle note dolenti, ma al cuore del discorso. Il
mediometraggio funziona, e sicuramente conquisterà il cuore della
maggior parte degli appassionati se non la loro totalità. Il
discorso, da cinefili, è un altro. La domanda da porsi è
differente. Oltre l'estro, il talento della crew che realizza questi
fanmovie e il livello di qualità raggiunto... c'è veramente posto
per Dylan Dog al cinema (o comunque in un media live action, quale
che sia)?
Proviamo
a formulare il
quesito in un altro
modo: è davvero possibile tradurre l'universo narrativo di Dylan Dog
in un codice mediatico differente dal fumetto che possa avere dignità
autonoma, e non limitarsi a essere un prodotto (sia pure ben
realizzato) che gratifica l'amore dei fans citandone feticci e
tormentoni? Per
carità, è chiaro a tutti che parliamo di mero intrattenimento e non
di chissà quale ricerca artistica, ma chiederselo è lecito. Dylan
Dog è un fumetto che nasce facendo del citazionismo e del tritatutto
mediatico il suo brodo primordiale. Tentare con l'alchimia
cinematografica di distillare questo ibrido e sintetizzarlo in una
sola delle materie da cui trae origine è opera ardua se non
impossibile. Non riusciamo a scrollarci di dosso la sensazione che,
nonostante i meriti di Di Biagio, Frison e D'Antona, Dylan Dog
funzioni al suo meglio sempre e solo sulla tavola disegnata. E questo
in proporzione maggiore rispetto a molti altri cinefumetti di cui si
discute. La stessa
natura onirica e anarchica (nel senso di logica narrativa) del
fumetto creato da Tiziano Sclavi ne fa una creatura unica nel
suo genere,
sfuggente, di cui si può abbozzare un ritratto solo approssimativo,
ma che la fotocamera (o in questo caso la videocamera) non potrà
mai catturare del
tutto. Proprio perché non ha una forma definita, ma basa il suo
successo trasversale su una molteplicità di segni
in continuo movimento.
La
domanda, alla fine, è: un film su Dylan Dog potrà mai essere
qualcosa destinato non solo ai suoi lettori, affamati
di vedere portare in scena il clarinetto, il gaelone o la misteriosa
bottega di rigattiere chiamata Safarà?
Una
domanda, che non sottintende nessuna risposta certa. E questo a
prescindere dai meriti di Vittima degli eventi,
che ci dimostra ancora una volta quanto la passione e la libertà da
vincoli produttivi possano offrirci opere stimolanti e di qualità.
lunedì 8 settembre 2014
Giovedì 11 Settembre: "Dylan Dog - la morte puttana" al booq di Palermo
«La morte, la morte... la morte villana! La morte a Venezia... La morte puttana!»
Giovedì 11 Settembre 2014, da booq alle 20,30: "Dylan Dog - La morte puttana" il lungometraggio fanmade di Denis Frison che manda a casa l'obbrobrio hollywooddiano che ha sprecato su schermo la figura dell'indagatore dell'incubo di casa Bonelli. Ormai manca poco all'inizio di FanZinema, la piccola rassegna di cinefumetti amatoriali organizzata da Altroquando Palermo, e l'occasione non poteva essere sprecata per usare una delle tante belle immagini realizzate dal grafico Luigi Mennella per pubblicizzare l'evento. Vi ricordiamo che la manifestazione continuerà il 18 Settembre, sempre da booq, sempre alle 20,30, con la seconda fase: Piccoli FanZ, maratona di corti amatoriali.
La rete è una grande piazza, ma nel suo marasma certe perle non sono visibili a tutti. Riscoprire le produzioni indipendenti su grande schermo, nel buio di una sala in compagnia di più persone, a ingresso del tutto gratuito, è un ulteriore modo per contribuire a diffondere una cultura alternativa alle comuni leggi di mercato, e a capirne il vero potenziale attraverso un evento che permetta anche il confronto e la socializzazione.
Venite con Altroquando, dunque, a scoprire come la pura passione possa produrre cinefumetti affascinanti e curati che forse non vi sognate neppure.
sabato 30 agosto 2014
FanZinema: vi aspettiamo da booq
Settembre incombe, e così la ripresa dei lavori presso booq, bibliofficina di Vicolo della Neve all'Allora, a Palermo. Vi ricordiamo l'appuntamento con Altroquando e la rassegna di cinefumetti amatoriali FanZinema, che si aprirà l'11 Settembre alle 20,30 con la proiezione del lungometraggio di Denis Frison "Dylan Dog - La morte puttana" e proseguirà la settimana successiva, 18 Settembre, sempre al booq e sempre alle 20,30 con la maratona di corti intitolata Piccoli Fanz, che presenterà numerosi cortometraggi amatoriali dedicati al mondo dei fumetti. Un'occasione per stare insieme, per scoprire (o riscoprire) personaggi amati attraverso la visione spontanea e viscerale di chi ama l'arte per l'arte, senza grossi numeri, ma con tanta passione e fantasia.
Qui la pagina Facebook dell'evento.
sabato 9 agosto 2014
FanZinema: 11 e 18 Settembre la rassegna da booq
venerdì 11 aprile 2014
Dylan Dog: La morte puttana
Certo, arriviamo buon ultimi a parlare
di Dylan Dog: la morte puttana, fan movie di Denis Frison già
popolare da tempo sulla rete e tra gli appassionati dell'indagatore
dell'incubo. Ha senso una recensione in più, un altro commento,
peraltro privo di quei tecnicismi che competono a chi mastica di
cinema più e meglio di noi?
Mettiamola così. Dylan Dog: la
morte puttana è un fan movie talmente poco
fan e così dannatamente movie, da meritarsi una
visibilità ridondante, nella speranza che la cosa incoraggi
esperienze simili e possano regalare a quanti amano fumetti e cinema
altre belle sorprese.
Iniziare dall'informazione ormai
scontata che questo lungometraggio a bassissimo costo riesce là dove
Hollywood ha realizzato uno scempio assoluto, non può che essere il
punto di partenza di qualunque osservazione sul lavoro svolto da
Denis Frison e la sua squadra. Ne sono carburante sicuramente l'amore
per il fumetto, la sua profonda conoscenza e la volontà di
omaggiarlo quanto la libertà dalle logiche di mercato che spesso
intrappolano il cinema in meccanismi che girano a vuoto. La natura
“amatoriale” (e concedeteci, per una volta, le virgolette, che
qui più che altrove hanno ragione di esserci) del prodotto, ha
permesso a Frison di operare il miracolo proibito al cinema
mainstream, e dare corpo e voce al personaggio di Groucho
(interpretato da Walter Brocca), interdetto all'inutile film di Kevin
Munroe per ragioni di copyright. Essere svincolati dalle proiezioni
commerciali ha consentito, inoltre, di lasciare spazio alla fantasia
dello sceneggiatore (lo stesso regista) per sintetizzare la maggior
parte dei feticci che rendono il Dylan Dog cartaceo ciò che è: una
mitologia horror-onirica densa di personaggi caratteristici, e di
ammiccare ai grandi assenti dove lo spazio filmico avrebbe reso
forzato il loro inserimento. E' così che finalmente respiriamo in un
film quell'aria ironica e spiazzante, surreale e malinconica che il
fumetto ideato da Tiziano Sclavi ha ormai collocato nell'immaginario
collettivo. L'uso di alcune sequenze del Dellamorte Dellamore,
di Michele Soavi, utilizzate con maestria un paio di volte durante il
film, potrebbe far storcere il naso ai puristi, ma la verità è che
centra il bersaglio in modo del tutto coerente, finendo alla resa dei
conti con l'apparire una civetteria cinefila astutamente gestita
(grazie anche al coinvolgimento del doppiatore Roberto Pedicini, che
aveva prestato la voce a Rupert Everett nel film del 1994).
La sottolineatura di alcuni limiti
formali, inoltre, fa de La morte puttana un vero e proprio
esperimento di metacinema. Groucho, ci viene detto, indossa
dichiaratamente baffi e sopracciglia finti (ma non ci sarà mai
spiegato il perché) conferendo al personaggio un'ulteriore aura
surreale. Questo più delle mille citazioni sparse a piene mani lungo
tutte le due ore e dieci di film, che non peseranno al fan
dylandoghiano tanto sono intense. Altra osservazione scontata e
sviscerata sono i difetti fisiologici del lungometraggio, alcuni dei
quali (a nostro avviso) emergono soprattutto nelle scene d'azione,
concentrate per lo più nella seconda parte del film. Ma tutto questo
lascia il tempo che trova. Infatti, se in gemme del trash (prodotte
pure con soldi pubblici, come La croce dalle sette pietre di
Marco Antonio Andolfi) errori e goffaggini compromettono l'intero
film, affogandolo in una palude di comicità involontaria, nel caso
de La morte puttana, la compattezza della sceneggiatura,
l'attenzione alla maggior parte dei dettagli e la riuscita atmosfera,
capace di clonare in massima parte quella del fumetto ispiratore, fa
perdonare e azzera le naturali sbavature, certa recitazione
approssimativa, e anche dialoghi a volte non proprio perfetti. Dylan
Dog è presente con tutto il suo background, con la voce ossessiva di
Groucho nelle orecchie a mitragliare assurdità, con le apparizioni
della Morte e delle sinistre cantilene a lei dedicate, con gli amori
improvvisi e improbabili, le scene di sesso, di incubo, e il
progressivo sprofondare in un clima onirico dove le risposte non
contano, ma dove prevale l'estetica e il sapore del sogno labirintico
cui stiamo assistendo.
Girato tra Venezia (Dylan è in
trasferta) e Londra, Frison e soci ricostruiscono la dimora di Dylan,
gli spazi in cui è solito appartarsi per suonare il clarinetto e
costruire il suo galeone. Il maggiolone, l'ispettore Bloch, la medium
Trelkovski, gli immancabili
zombi e altri comprimari, caratterizzati con diligenza,
contribuiscono a fare de La morte puttana un bizzarro ponte
tra fumetto, cinema e modo di intendere gli spettacoli da questi
ispirati. Forse è addirittura spunto per una riflessione sul
concetto di passione, su dove si trova il confine (qui molto sfumato)
tra amatorialità e professionalità (Denis Frison è un giovane
filmaker in piena evoluzione), ma soprattutto sulla qualità e la
visionarietà quasi mai proporzionale all'estensione del budget.
Si è scritto anche che per guardare La
morte puttana è meglio lasciare da parte lo spirito critico e
godersi l'omaggio. Questo è in parte vero, ma suona anche un po'
pedante. Superficiale persino. Quel che buca letteralmente il video
nell'opera di Denis Frison (sceneggiatore, regista e interprete) è
l'atmosfera stralunata, costantemente in bilico tra ironia e
tristezza, orrore e commedia, che era molto difficile (per qualcuno
impossibile) rendere in un film live action. Lo stesso Dylan Dog a
fumetti non è esente da sviluppi confusi, scivoloni logici e
formali, e ciclopiche ingenuità. Eppure con il passare degli anni,
la serie ha finito col trasformare in caratteristiche vincenti ognuno
di questi grossi nei. Così il film di Frison, ispirato a un
tritatutto mediatico che frulla cinema, letteratura, altri fumetti e
chi più ne ha più ne metta, sfoggia una sintesi concettuale che non
può non incantare i fans della fonte cartacea. E scusate se è poco,
visto che questo fan film è in grado di parlare alle viscere degli
appassionati passando sopra agli ovvi limiti, come (aggiungeremmo) in
questo caso è meglio che sia. Se c'era un caso in cui era necessario
che i personaggi parlassero come in un albo della Bonelli (che non
brilla quasi mai per dialoghi particolarmente sofisticati) era
proprio questo. E ne riconosciamo i vezzi uno dopo l'altro, al di là
del semplice «Giuda ballerino!» che ovviamente non manca.
La lettura di insieme alla base de La
morte puttana è incoraggiante per chi si appassiona di letture
cinematografiche e televisive del media fumetto. Un'idea generale di
adattamento che lungi dall'essere una piatta copia carbone
restituisce vitalità a un'icona popolare del nostro tempo mentre
all'orizzonte si prospetta l'atteso rinnovamento annunciato da casa
Bonelli. Un ottimo biglietto da visita per un giovane regista
rampante che sicuramente farà ancora parlare di sé. Un ottimo
intrattenimento che deve giustamente avere la precedenza, nel carnet
dei fumettomani cinefili, su molte esangui pellicole di marchio
estero con budget miliardari.
Consapevoli, dunque, di non aver detto
niente che già non fosse stato scritto o declamato in rete, vi
consigliamo la visione. E di tenere d'occhio Frison, che ne sta già
combinando altre delle sue.
giovedì 19 settembre 2013
X-Men: Ritorno al Futuro
X-Men: Giorni di un Futuro Passato, seguito ideale del film X-Men: First Class (in Italia, X-Men: L'inizio), è sicuramente il progetto cinematografico più ambizioso che abbia coinvolto finora i mutanti Marvel sul grande schermo. Rappresenta una sorta di prova del nove, che si propone tra l'altro di compattare la vecchia trilogia con la nuova serie del franchise. Innanzitutto, segna il ritorno di Bryan Singer alla regia dopo la caporetto del pessimo Superman returns, e recupera buona parte dei nomi dei primi film, in alcuni casi facendoli interagire con i propri doppi più giovani.
Il film uscirà nel 2014, e il fermento tra i fans è notevole. Non a caso, la saga a fumetti da cui il film trae ispirazione (pur prevedibilmente mettendoci del suo) è una delle run più amate della gestione Claremont. Il tema del viaggio nel tempo per provare a cambiare un domani catastrofico è uno spunto classico che ha sempre un discreto impatto se gestito a dovere. Ma personalmente, la mia maggiore attesa riguarda il ritorno di due attrici da me molto amate. Mi riferisco a Ellen Page (Hard Candy, Inception, e terza, più incisiva Kitty Pride in X-Men: Conflitto Finale), ma soprattutto ad Anna Paquin, visto che Rogue è da sempre la mia x-woman preferita. Sarà innazitutto bizzarro rivederla con la mèche candida tra i capelli dopo che per tanto tempo m'ero abituato a identificarla con Sookie Stackhouse (True Blood).
Inoltre, la Rogue cinematografica è stata presentata sin dall'inizio come un carattere ibrido, che sintetizzava elementi di Rogue con attitudini e relazioni di Kitty Pride (il legame con Wolverine), personaggio relegata nei primi due film a un ruolo di contorno. Si spera che la nuova Rogue di una Paquin più matura possa, dopo aver ceduto il passo a Ellen Page nell'ultimo titolo della precedente trilogia, acquistare spazio e carattere. Come che vada, le aspettative sono alte. X-Men. First Class era un film riuscito e la strana creatura che si annuncia questo seguito, con i suoi salti temporali e l'incrocio chimerico tra i due cast, promette un certo divertimento. Staremo a vedere, mentre il nerdometro sale a mille...
giovedì 15 novembre 2012
The Amazing Spider-Man: riflessioni su un reboot controverso
Con il consueto ritardo (e sì,
ci riesce difficile trovare il tempo per andare al cinema, quindi ci
tocca aspettare le uscite in dvd), diciamo anche noi la nostra su The
Amazing Spider-Man, il chiacchierato reboot cinematografico
sull'amatissimo arrampicamuri di quartiere. Film che ha suscitato per
lo più pareri diametralmente opposti, tra spettatori
entusiasti e fans in crisi emetica acuta, lasciando poco spazio a
opinioni intermedie. Del resto, è inutile nascondersi dietro
un dito. Il pubblico dei cinefumetti, almeno quella vasta fetta che
proviene dalla lettura (spesso decennale) degli albi, non è
avvezzo a fare prigionieri quando si tenta di portare sullo schermo i
suoi beniamini. L'amore per un personaggio, il suo mondo e le
atmosfere che lo circondano, è vissuto con una sacralità
quasi mai riconosciuta a certi classici della letteratura,
altrettanto spesso massacrati dal cinema. Una passione che diventa
ferocia quando la trasposizione filmica non è all'altezza
delle aspettative. Il successo al botteghino di questo nuovo
Spider-Man ha dato vita a un rinnovato franchise di
cui già si prospetta il seguito, ma che dire riguardo la
qualità del film, la sua interpretazioni delle icone
fumettistiche che prova a rivisitare? Iniziamo dicendo questo: Twilight non c'entra una mazza. Il titolo Twilight (ovviamente per i suoi detrattori, di solito appassionati di altri generi fantastici) è ormai stato convenuto come una nuova parolaccia. Un dispregiativo che accompagna un irrimediabile pollice verso, intrecciando vari significati quali scialbo, scemo, fighetto, puerile e kitsch. E questo Amazing Spider-Man s'è beccato da più fronti l'infamante paragone: Twilight Spider-Man. Lasciamo un momento da parte questi giochi da semiotica nerd e vediamo di esaminare quali sono i reali meriti e demeriti della pellicola in questione.
La nostra reazione davanti al film di
Mark Webb non è molto dissimile da quelle suscitateci da
precedenti pellicole Marvel. Ammettiamolo: noi ci occupiamo di
fumetti per vivere, li leggiamo, li vendiamo e li amiamo. Ma non ci
siamo mai accostati a un cinefumetto con nessuna particolare
aspettativa. Sarà l'età che avanza, non lo sappiamo. Ma restiamo di solito abbastanza distaccati, anche quando un titolo riesce a divertirci. Per questo ci può capitare di trovare eccessivo lo
stracciarsi di vesti davanti ad alcuni titoli accusati di blasfemia,
così come può sembrarci azzardato esaltarne altri come
capolavori assoluti del cinema. Ma veniamo al dunque. Il nostro
parere su The Amazing Spider-Man si potrebbe riassumere così:
se il film di Mark Webb con Andrew Garfield fosse stato il primo lungometraggio
dedicato all'Uomo Ragno, molto probabilmente gli entusiasmi e il
gradimento (nostro e di altri) sarebbero aumentato di parecchie
spanne. La confezione è dignitosa, il protagonista
perfettamente in parte, il costume (un po' scuro rispetto alla
controparte cartacea, ma per niente brutto come le prime foto di
scena avevano lasciato presagire) funziona. La sceneggiatura (sebbene
in alcuni tratti si affidi a una sospensione dell'incredulità
adatta a un film per famiglie targato Disney) è discontinua,
ma nel complesso abbastanza potabile. Gli effetti speciali
(sorvoliamo sul 3D che non abbiamo visto né ci ha mai
interessato) sono quelli attuali. Senza particolari sorprese e,
soprattutto, non molto più evoluti da quelli esibiti dalla
precedente trilogia. Da questo punto di vista, pertanto, non può esserci partita.
Peccato originale del claudicante (ma a
nostro parere non spregevole) reboot, dunque, è la vicinanza
temporale (troppa!) con il ben più riuscito Spider-Man
di Sam Raimi (parliamo qui del primo film della serie), e
l'inevitabile confronto con un predecessore che pur non esente da
difetti centrava il bersaglio in modo molto più virtuoso. The
Amazing Spider-Man, dunque, nasce già appesantito da
un'eredità della quale non poteva non tener conto, e
giustamente tenta un differente approccio narrativo al cosmo ragnesco
per attenuare un confronto pericoloso. In parole povere, il progetto cinematografico (spinto da una logica che più commerciale non si può) si è mosso sin dal principio su un terreno minato, sforzandosi di essere diverso eppure simile nella sostanza a qualcosa di già compiuto e acclamato. Attinge a sottotrame emerse
molto più avanti nella cronologia a fumetti (il mistero dei
genitori di Peter Parker), recupera i caratteristici lanciaragnatele
da polso (elemento iconico sul quale il film di Raimi aveva
glissato), ricorre a un villain non apparso nella precedente versione, e presenta il primo vero amore del protagonista: Gwen Stacy, insieme
al padre capitano di polizia (nel film ringiovanito per esigenze di
copione).
Tutte le scelte fatte per allontanarsi
dalla precedente lettura cinematografica, sebbene non svolte nel
peggiore dei modi, non possono che suscitare straniamento nei fans
più ortodossi del fumetto. Infatti quel che vediamo sullo schermo possiamo anche chiamarlo tecnicamente reboot, ma più sostanzialmente si tratta di una variazione sul tema, una cover arrangiata che si sforza di fare emergere sonorità alternative. E' una legge basica della cultura popolare. Non tutti apprezzeranno lo sforzo.
Andrew Garfield, bravo come sempre, è un Peter più complesso del solito, i cui aspetti ribelli e impudenti sono di gran lunga anticipati nell'economia del racconto. Si tratta sempre di Peter Parker, il secchione oggetto degli scherzi dei bulli della scuola. Ma il suo lato intellettuale e le capacità intraprendenti emergono sin dall'inizio del film in modo evidente, e questo sembra avere irritato una parte di lettori che non ha tardato ad affermare che «quello non è il Peter Parker che conosciamo».
In realtà questo non è esatto. Andrew Garfield è Peter Parker tanto quanto riusciva a esserlo Tobey Maguire (fisicamente, forse anche di più). Solo dà rilievo a caratteristiche differenti. Un Peter incompreso dai compagni di scuola, ma geniale e furbetto come pochi suoi coetanei, cosa che nel film si evince prima ancora che inventi dal nulla un adesivo rivoluzionario (l'intrusione alla Oscorp: scena poco verosimile, ma che regala una divertente rilettura dell'incidente che conferisce all'eroe i suoi poteri).
Andrew Garfield, bravo come sempre, è un Peter più complesso del solito, i cui aspetti ribelli e impudenti sono di gran lunga anticipati nell'economia del racconto. Si tratta sempre di Peter Parker, il secchione oggetto degli scherzi dei bulli della scuola. Ma il suo lato intellettuale e le capacità intraprendenti emergono sin dall'inizio del film in modo evidente, e questo sembra avere irritato una parte di lettori che non ha tardato ad affermare che «quello non è il Peter Parker che conosciamo».
In realtà questo non è esatto. Andrew Garfield è Peter Parker tanto quanto riusciva a esserlo Tobey Maguire (fisicamente, forse anche di più). Solo dà rilievo a caratteristiche differenti. Un Peter incompreso dai compagni di scuola, ma geniale e furbetto come pochi suoi coetanei, cosa che nel film si evince prima ancora che inventi dal nulla un adesivo rivoluzionario (l'intrusione alla Oscorp: scena poco verosimile, ma che regala una divertente rilettura dell'incidente che conferisce all'eroe i suoi poteri).
A essere in buona parte sgasati risultano
invece i personaggi chiave di Zio Ben e Zia May, due sagome che
scimmiottano goffamente i due personaggi iconici tratteggiati in modo
molto più diligente nel film di Raimi. Un peccato soprattutto
per Sally Field, decisamente sprecata in un ruolo marginale e poco
caratterizzato. L'assenza dell'esperienza da wrestler di Peter non si
fa sentire troppo (ma un po' dispiace), così come quella dell'acido Jonah Jameson
(che speriamo comunque di vedere in un capitolo successivo). La vera
nota dolente sulla quale ci troviamo d'accordo con molte campane che
hanno suonato a morto, è invece il personaggio
dell'antagonista del film: Lizard. Non tanto per la realizzazione
grafica, che non ci ha disturbato più di tanto, ma per il modo
in cui il personaggio è raccontato e per l'estetica visiva adottata
per rappresentare il mostruoso uomo-lucertola (veramente troppo
simile a una sorta di Hulk con la coda prensile più che a un
rettile umanoide). Dal canto suo, l'attore Rhys Ifans se la cava
senza infamia e senza lode, e non riteniamo che il flop del villain
sia da imputare interamente al suo casting. Si potrebbe continuare parlando dei tanti spunti narrativi lasciati incompiuti dal film, delle fisiologiche ingenuità, degli aspetti oggettivamente pasticciati, fino ad arrivare alla battuta finale del protagonista (un'ovvietà romantica del tutto innocua, che serve giusto a chiudere il film, ma che ha contribuito a far imbestialire chi voleva vedere sullo schermo il Peter Parker cartaceo e tutto d'un pezzo degli anni settanta). Ma vale veramente la pena andare con tanta acredine a caccia di pulci? Lo ripetiamo: sarà l'età, ma certi atteggiamenti estremi non fanno per noi. Non davanti a un film modesto ispirato a un fumetto di culto.
The Amazing Spider-Man, in definitiva,
è una pellicola con un potenziale rimasto in larga parte inespresso,
ma che non merita – secondo noi – di essere bocciato su tutta la
linea. Forse troppo lungo (in un paio di momenti ci siamo sorpresi a
chiederci «Ma quanto cavolo sta durando?!»), pieno di nei vistosi, ma nel complesso digeribile e persino promettente in vista
di un sequel che non dovrà attardarsi sulla consueta genesi
dell'eroe. Da collocare decisamente qualche gradino più in basso del lavoro firmato da
Sam Raimi, quindi, ma senza lasciarsi prendere da furori talebani. Tutto sommato un Uomo
Ragno discreto, del quale ci incuriosisce l'ulteriore evoluzione, a
differenza di altri conclamati aborti cinematografici quali Ghost Rider
e Elektra.
La macchina dei seguiti, intanto, è già entrata in movimento, e iniziano a fioccare i rumors sulla seconda pellicola di questo nuovo corso ragnesco. Attualmente sappiamo con discreta certezza che nel prossimo film vedremo apparire Mary Jane Watson, probabilmente nel ruolo (detenuto per anni dal suo omologo fumettistico) di fidanzata di riserva. La parte è stata affidata a Shailene Woodley, giovane attrice la cui lapidazione mediatica da parte dei talebanerd è già incominciata (beh, del resto la povera Emma Stone-Gwen Stacy era stata definita un "cesso di donna" sin dalle sue prime immagini apparse in rete). Si vocifera dell'arrivo del personaggio cardine di Harry Osborn, e di affidare il ruolo di villain a Electro, forse interpretato dall'attore afroamericano Jamie Foxx (anche qui il nerdume inizia a fare impietosi paragoni con il Fulmine Nero della DC Comics). Attendiamo di vedere come matureranno o marciranno questi semi. La sensazione ricevuta dallo schema narrativo generale è che questo spiderverso sia debitore all'idea base della serie televisila Smallville, dove ogni evento straordinario era collegato e quasi tutti i villain erano stati generati dal nefasto meterorite giunta sulla terra insieme alla navicella che trasportava il piccolo Superman. Qui (così almeno induce a supporre il primo film) è facile immaginare che tutto ruoterà intorno alle macchinazioni della Oscorp di Norman Osborn e ai suoi esperimenti sull'ibridazione uomo-animale che hanno generato Spider-Man come prima cavia umana casuale. Chissà!
Ma qualcosina (siamo nerd pure noi, in fondo) la paventiamo. Qualcosa come la possibile apparizione, a un certo punto, di un Goblin ispirato alla sua pessima versione Ultimate. Caratterizzazione che non abbiamo mai amato, e che peraltro rischierebbe di sovrapporre il look del personaggio a quello del Lizard cinematografico appena presentato con risultati deludenti. Ma questa, come che vada, sarà tutta un'altra storia, tutto un altro film.
Ma qualcosina (siamo nerd pure noi, in fondo) la paventiamo. Qualcosa come la possibile apparizione, a un certo punto, di un Goblin ispirato alla sua pessima versione Ultimate. Caratterizzazione che non abbiamo mai amato, e che peraltro rischierebbe di sovrapporre il look del personaggio a quello del Lizard cinematografico appena presentato con risultati deludenti. Ma questa, come che vada, sarà tutta un'altra storia, tutto un altro film.
martedì 23 ottobre 2012
Iron Man 3: il trailer italiano
Ecco, in italiano, il trailer ufficiale di Iron Man 3, la prima pellicola targata Marvel che dopo il grande successo del film The Avengers, di Joss Whedon, rappresenterà la nuova tappa nell'evoluzione del cinefumetto moderno (almeno di quello concepito secondo la visione marvelliana). Tony Stark, stavolta da solo, affronterà una battaglia che metterà a dura prova il suo genio scientifico e il suo coraggio. Il film rappresenta anche l'atteso debutto del villain chiamato il Mandarino, nei fumetti nemesi storica del protagonista, che nel film ha il volto dell'attore anglo-pakistano Ben Kingsley. Era stato scritto (fondatamente) che il personaggio era una figura ormai fuori tempo massimo, espressione della guerra fredda e di stereotipi razzisti. Ignoriamo quali saranno le sue origini e motivazioni nel film, e se questo sarà all'altezza dei predecenti. La curiosità, però, è tanta. La nuova pellicola è diretta da Shane Black, a differenza dei primi due episodi che vedevano alla regia Jon Favreau (comunque presente nel film, sempre nel ruolo di Happy Hogan). Da veri nerd, attendiamo di scoprire quale sarà la caratterizzazione moderna del bizzarro villain orientale (?), il suo legame con l'organizzazione dei Dieci Anelli (nominata sin dall'inizio della saga cinematografica), e che cosa farà con quelli che porta al dito. Voci non confermate, suggeriscono che nella storia vedremo anche il tecnovirus Extremis. Chissà! Nel frattempo, godetevi il trailer.
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giovedì 30 agosto 2012
Batman: Puppet Master
Gotham: sono trascorsi pochi mesi dalla morte del procuratore distrettuale Harvey Dent, e l’opinione pubblica, come pure le forze di polizia, sono ancora convinte che a ucciderlo sia stato lo stesso Batman. Nel frattempo, una nuova mente criminale sta tramando per prendere il controllo della malavita. Il misterioso Scarface, che nessuno sembra avere mai visto. Quando qualcuno causa un’evasione di massa dal manicomio di Arkham, l’Uomo Pipistrello è costretto a tornare in azione per fermare la furia omicida del serial killer noto come Mr Zsasz. Ma il disegno criminale è più machiavellico di quanto sembra, e lo scontro finale si consumerà durante un teso incontro tra Scarface, il suo tremebondo segretario e l’enigmatico agente speciale che afferma di chiamarsi Edward Nigma, risoluto a catturare Batman una volta per tutte…
Batman: Puppet Master è un corto amatoriale che riserva molte piacevoli sorprese. Diretto da Bryan Nest con mano sicura e interpretato da un pugno di attori molto convincenti, il breve film si propone non soltanto di riprodurre le atmosfere e l’approccio noir adottato da Christopher Nolan per la sua trilogia cinematografica sull’Uomo Pipistrello, ma si colloca idealmente tra il secondo e terzo film del regista come una sorta di convincente fill-in, ambientato nel medesimo mondo.
L’obbiettivo è a nostro avviso pienamente centrato. La rivisitazioni di personaggi iconici segue la chiave metropolitana e hard boiled già usata da Nolan per raccontare le figure del Joker e dello Spaventapasseri. Lo stesso protagonista è a suo modo abbastanza convincente. I mezzi, per quanto ridotti, sono usati con perizia. Insomma, un piccolo gioiello tra quei prodotti che in rete siamo ormai abituati a chiamare fanmade.
Un esempio di come la passione e la conoscenza dell’argomento (ma anche delle tecniche, non dimentichiamo) possa assottigliare il confine tra il gioco e la prestazione professionale.
Buona visione.
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