
Un uomo senza la Storia, senza il passato, non è niente. Anche se è un Uomo d’Acciaio.
Un tempo ci baloccavamo con storie definite immaginarie. Racconti che si collocavano al di fuori della continuità seriale e che introducevano variazioni se non veri stravolgimenti nel background del personaggio di turno. Oggi, abbiamo imparato a usare una nuova etichetta: retrocontinuity. Operazione volta a rinarrare momenti importanti del passato dei protagonisti, con l’introduzione di nuovi spunti e toni più in sintonia con i tempi che corrono. La collana americana intitolata Superman Confidential, chiusa nel 2008 dopo appena 14 numeri, si proponeva per l’appunto di svecchiare elementi iconici legati al mondo dell’Uomo d’Acciaio, mostrandoci un Clark Kent che muoveva i primi incerti passi della sua carriera di supereroe. Dal primo ciclo di questa defunta serie è tratto Superman: Kryptonite, frutto della collaborazione di Darwyn Cooke, qui in veste soltanto di sceneggiatore, con un Tim Sale in ottima forma.
Ispirandosi solo in parte a una vecchia storia del 1949, Cooke spinge il processo di umanizzazione del primo supereroe a livelli forse mai visti prima. Superman è il paladino di Metropolis da poco tempo. Non è ancora inciampato nella sua rocciosa nemesi naturale e ignora i dettagli della propria origine aliena. Non conosce nemmeno l’esatta portata dei suoi poteri, soprattutto della sua presunta invulnerabilità. E questo gli permette di conoscere la paura, il panico, il fallimento. L’inizio che ripercorre la caduta della navetta con dentro il piccolo Kal-El è molto suggestivo, e introduce un io narrante ambiguo che fino alla fine del volume induce il lettore a chiedersi quale vera piega dovrà prendere la vicenda. La cronaca del primo incontro dell’Uomo d’Acciaio con la kryptonite segue un crescendo epico. Un cammino iniziatico in cui l’eroe, attraverso la scoperta dei suoi limiti, giungerà finalmente a maturazione. Il caso gioca un ruolo fondamentale per tutto il racconto. Le macchinazioni di Lex Luthor e del malvagio gangster detentore inconsapevole del minerale alieno, sembra dirci Darwyn Cooke, sono per il momento semplici pedine di un disegno più grande. Il vero protagonista di Superman: Kryptonite è il fato, e la catena di eventi che porterà l’ultimo figlio di Krypton a scoprire i propri natali extraterrestri grazie proprio all’unica sostanza che potrebbe annientarlo. L’espediente per legare gli argomenti nemesi-origine è agile e conduce la storia a compimento senza intoppi, abbandonando lungo il tragitto quegli ingredienti funzionali che avrebbero potuto risultare superflui ai fini generali del racconto. Ma Darwyn Cooke dimostra di conoscere il senso del ritmo così come conosce Superman, e sa bene che un’opera di riscrittura dovrà ridefinire non solo il protagonista ma l’intero cast dei comprimari. Luthor, nemico per eccellenza dell’Uomo d’Acciaio, è tratteggiato pertanto come un personaggio in fase di definizione. Lex, in fondo, è un inguaribile narcisista, che aspira a modo suo a essere un superuomo. Nell’accezione, almeno, in cui il denaro e la sua mente machiavellica lo rendono possibile. Divertente, quindi, vedere la stizza di Luthor davanti a un Superman che gli ruba la scena durante una manifestazione pubblica. E’ già Luthor, certo. Perverso e insinuante come sempre, ma ancora privo di una delle sue armi fondamentali. Arma che acquisirà n

Un uomo, anche se d’acciaio, senza una storia alle spalle non è nessuno. E questo vale anche per i miti. Vale per Superman, prototipo di ogni eroe in tuta. Sempre in volo, nonostante la kryptonite. Nonostante il peso degli anni.
Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.
Nessun commento:
Posta un commento