Giuseppe
Polliceli su Libero, 18 maggio 2015:
"Oggi
sbeffeggiare Gesù non è da temerari, ma da pavidi e da conformisti:
ci si dedichi piuttosto all’islam o all’ebraismo. Poi
quest’immotivata acredine nei confronti della religione che è uno
dei cardini della nostra civiltà - e quindi della nostra identità
di italiani e di europei - è una spia inquietante del vuoto morale e
culturale di cui l’Occidente è preda, e dietro a cui si cela un
inesplicabile e ingiusto odio verso di sé"
Stavolta
non ci preme parlare
di fumetti, ma piuttosto
dei toni di una polemica
innescata da un fumetto. La pubblicazione di “Gesù”,
miniserie
di Stefano
Antonucci e Daniele Fabbri edita
da
Made in Kina, ha
suscitato un commento sul quotidiano “Libero” che torna
ciclicamente in rete quando si parla di satira e religione cattolica.
Le parole “...ci
si dedichi all'Islam o all'ebraismo”
ispirano una risposta circostanziata.
Il
nostro intento, dunque, in questa sede, non è recensire l'opera di
Antonucci e Fabbri, né prendere posizione sulla qualità del
prodotto e neppure sviscerare il controverso concetto di satira.
Proviamo
soltanto
a riflettere sui toni e parole usate da “Libero”
e ampiamente diffuse sui social network, e a spiegare perché
–
a nostro parere –
gli
argomenti usati non siano accettabili al pari (per qualcuno) di una
presunta offesa alla religione.
Le
parole usate dal giornalista Giuseppe
Polliceli, in
realtà, sono già sentite. L'eco di una formula che si affaccia in
rete ogni qual volta nel nostro paese è pubblicata un'opera (a
fumetti o altro) ritenuta blasfema o comunque irridente alle figure
cardine del cattolicesimo (un esempio su tutti, la prima edizione
italiana del fumetto “Dicks”
di Garth Ennis, oggetto sul forum del sito ComicUS di aspre
polemiche). Formula che potremmo riassumere in poche parole che
sintetizzano il pensiero espresso su Libero
e che afferma: “Oggi
in Italia è “figo” scherzare in modo volgare sulla religione
cattolica... mentre non vi
azzardate a toccare
l'Islam perché vi
farebbero la pelle.”
(sic!)
Tenteremo,
qui, di esprimerci nel modo più urbano possibile. Troviamo questa
formula molto discutibile se non del tutto fuori luogo.
L'affermazione “è facile ridicolizzare Cristo piuttosto che
l'Islam!” non solo semplifica in modo eccessivo la questione, ma
risulta addirittura controproducente per chi si propone di muovere
una critica al contenuto satirico-blasfemo in esame. E questo perché
appare come l'intreccio di due atteggiamenti non brillanti:
vittimismo e una velata minaccia mafiosa.
Affrontare
l'annosa questione che anche la satira può essere valutata in base a
qualità e livello, ci porterebbe in questa sede a parlare d'altro.
Esaminiamo, invece, gli argomenti usati per muovere la critica. Tanto
per cominciare, l'Islam non è mai stato al riparo da intenti
satirici. C'è stato e c'è chi si dedica a quella fetta di realtà,
come purtroppo c'è anche chi è stato ucciso per averlo fatto. Se in
Italia prevale la satira sul cattolicesimo non è un fatto casuale o
di comodo. In Italia, il cattolicesimo continua di fatto a essere la
religione di stato, e in quanto tale è un cardine del quotidiano con
il quale ogni cittadino deve fare i conti, che sia di fede cattolica
o meno. L'Italia è un paese dove troviamo il crocifisso appeso nella
maggior parte dei luoghi pubblici, dal momento che si tende a dare
per scontato che la maggioranza sia cattolica o semplicemente non dia
troppa importanza a questa consuetudine. Però, se qualcuno manifesta
la proposta di toglierlo per dare voce a un'istanza di maggiore
pluralità delle idee, scattano immediatamente dei meccanismi di
difesa. La satira ha sempre riguardato le dinamiche di potere e i
messaggi forti volti a veicolare la cultura dominante presso un dato
popolo in un determinato momento storico. In Italia c'è il Vaticano,
non la Mecca. La fede professata dalla maggioranza è quella
cattolica, non quella musulmana. Dire “prova a
prendertela con l'Islam” è come dire: «Ti
permetti di bullizzarmi perché non è mia abitudine
reagire in modo violento. Ma se vai dal uno più
grande, più grosso e abituato a menare le mani,
quello di farà nero. Vai a punzecchiare lui se ti senti così
forte... così poi mi sai dire.»
C'è
palesemente del vittimismo, ma emerge (per quanto tra le righe) anche
qualcosa di minaccioso (e sottilmente portatore di pregiudizio, dal
momento che non tutti gli islamici vivono la loro religioni in
termini integralisti e sono dediti alla violenza). Ma se proprio
vogliamo stabilire chi è David e chi è Golia sul ring della satira
e della lettura goliardica della figure religiose, il ruolo del
gigante, del più potente, spetta alla Chiesa Cattolica. E'
innegabile che siano realtà di matrice cattolica a condurre campagne
contro determinati diritti e a schierarsi a fianco di determinate
logiche di potere. Solo per citare un'immagine mediatica rimasta
nella storia: a suo tempo, l'arcivescovo di Santiago del Cile non ha
mai negato la pubblica comunione al dittatore criminale Pinochet, il
quale non aveva remore ad affermare che “lo Spirito Santo era
anticomunista”. Tornando a bomba nel nostro paese e nel nostro
tempo, quello dei social. Oggi ci si imbatte anche in una forma di
negazionismo che afferma l'assoluta ininfluenza dell'istituzione
ecclesiastica nei confronti delle scelte terribilmente conservatrici
dei nostri politici. Eppure viviamo in un paese dove il Papa fa
notizia anche solo affacciandosi alla finestra. Un paese dove destra,
sinistra e centro sono state frullate, shakerate e mescolate in un
cocktail dagli ingredienti ormai indistinguibili, ma nel quale non è
difficile riconoscere il sapore della cultura cattolica e i fantasmi
irriducibili delle logiche democristiane.
Nel
1869, poco prima della breccia di Porta Pia, Papa Pio IX si affrettò
a rafforzare il potere temporale del pontificato promulgando,
nell'ambito del Concilio Vaticano I, il dogma di infallibilità del
pontefice in materia di fede. Non era una questione peregrina,
giacché la maggior parte delle famiglie regnanti nell'Italia del
Risorgimento erano cattolicissime. Di conseguenza, essere considerato
infallibile, per il pontefice, significava dettare l'agenda morale a
una larga fetta del quadro geopolitico del suo tempo. Inoltre, i
raporti tra Chiesa e Stato non sono mai stati indipendenti, ma
regolati da complessi e discussi rapporti diplomatici. La relazione
regolata dalla Legge delle Guarentigie continuò la sua corsa con i
Patti Lateranensi sottoscritti nel 1929 da Benito Mussolini,
riconosciuti in seguito, con la nascita della Repubblica, anche
nell'articolo 7 della Costituzione Italiana. E' del 1984 la revisione
dello stesso firmata dall'allora presidente del consiglio Bettino
Craxi con l'istituzione del famoso Otto per Mille alla Chiesa
Cattolica. Il cammino della chiesa, insomma, è sempre stato
intrecciato con quello della politica italiana, e questo per
oggettivi motivi storici. Negare l'influenza più o meno diretta
sulle dinamiche politiche odierne sarebbe pertanto una grossa
ingenuità.
Ma
torniamo a parlare di satira,
e di simboli.
Una
celebre vignetta del cartoonist americano Don Addis porta in scena un
personaggio (simbolo dell'estremismo cattolico) che brandisce una
grande croce con la quale, come fosse una mazza, picchia
selvaggiamente sulla testa un altro personaggio (simbolo
dell'ateismo) e lo insulta, dandogli dell'idiota, del pervertito,
bastardo... immorale... spazzatura... comunista! Il
secondo quadro della vignetta ci mostra l'ateo che, persa la
pazienza, ha strappato di mano la croce usata come dall'altro per
picchiarlo e fa per spezzarla. Il cattolico grida subito: «Porta
un po' di rispetto!»
Qualcuno
ha detto anche che è ipocrita dire che usare la figura di Gesù non
è necessariamente un'offesa alla sua persona o ai suoi insegnamenti,
ma il vero obiettivo è l'istituzione cattolica e l'uso che fa delle
sue icone. Che incidentalmente sono Gesù e la sua croce, questo è
un dato di fatto.
Se
vogliamo parlare di ipocrisia ci addentriamo in un territorio
delicato. Proviamo a consideriamo una cosa.
A
volte s'incontra e chi dice che i Vangeli sarebbero portatori di
istanze “maschiliste”. In realtà è vero il contrario. Al tempo
di Gesù, la donna aveva uno status giuridico molto simile a quello
di un bestia. Poteva persino essere ceduta, regalata, venduta. Se una
donna commetteva adulterio veniva lapidata. L'uomo era lapidato
soltanto se commetteva adulterio con la moglie di qualcun altro. Ma
se la donna con cui andava era nubile, nessuno ci faceva troppo caso.
Nei Vangeli si riscontra una grossa rivalutazione della figura
femminile. E non solo per la presenza della Madonna, madre del
messia, ma per numerosi personaggi significativi. La Samaritana, cui
Gesù rivolge la rivelazione sull'acqua di vita. La vedova che dona
l'obolo ed è elogiata da Gesù perché a differenza degli uomini si
è privata di qualcosa, mentre gli altri hanno donato il superfluo.
L'episodio di Marta e Maria. Marta si occupa delle faccende
domestiche, mentre Maria, ai piedi di Gesù, ascolta i suoi
insegnamenti. Marta si rivolge a Gesù chiedendogli di esortare sua
sorella ad aiutarla nei lavori di casa. La risposta di Gesù è:
Maria ha scelto la parte migliore. Cioè, Maria non vuole limitarsi
alle faccende di casa, ma desidera capire, ascoltare, studiare e
progredire.
Quindi,
nei Vangeli, la figura della donna è trattata in un modo per il suo
tempo addirittura rivoluzionaria. Fa riflettere che nella struttura
della chiesa cattolica, alla donna sia precluso lo stesso cammino
ministeriale dell'uomo. Alla donna suora è riservato un ruolo di
ausiliaria e non può amministrare i sacramenti, non potrà mai
diventare un sacerdote a prescindere dalle sue qualità e
attitudini... in quanto donna. La chiesa cattolica è rimasta
ancorata a dei limiti culturali che gli stessi Vangeli cercavano di
superare. Quindi stiamo attenti quando parliamo di simboli e di
ipocrisie, e impariamo a distinguere Cristianesimo da Cattolicesimo
istituzionale, evolutosi dall'opera di San Paolo e sviluppato
successivamente dai padri della chiesa. Ciascuno è libero di
accettare le norme morali che ritiene più giuste e la fede è un
fatto privato degno di rispetto. Ma nel momento in cui un'istituzione
religiosa pretende di sconfinare e mettere becco nei diritti di chi
ha scelto una fede diversa o di non averne nessuna, pur pagando
onestamente le tasse come qualunque cittadino italiano osservante...
è allora che scatta il diritto di satira. Non puoi darmi
dell'idiota, del pervertito, dell'immorale e pretendere che non ci
sia una risposta. A volte risposta che a volte può suonare
esasperata, volgare, ma che va comunque contestualizzata. La formula:
“non te la prendi con l'Islam perché quelli ti
ammazzerebbero”... non rende migliori di chi ti critica.
E questo a prescindere dalla qualità della critica. Anzi, tradisce
una povertà di argomenti.
Per questo, a nostro umile
avviso, eviteremmo questa formula, a sua volta e a suo modo volgare e
violenta, e cercheremmo argomenti più profondi. Il diritto di
replica è sacrosanto, ma per funzionare necessita di argomenti
ragionevoli, e farlo suonare come una puerile e minacciosa
recriminazione non è mai d'aiuto quando si vuole avere un dialogo.
Se... si vuole avere un dialogo.
E per concludere: forse (solo
forse) la satira, anche la più grassa, la più goliardica e
scomposta, svolge pure questa funzione. Causare l'emergere di
contraddizioni, di riflessioni e possibilmente di confronti più
costruttivi.
[Articolo di Filippo Messina]