martedì 26 maggio 2015

Gesù: l'affare Chiesa - Islam



Giuseppe Polliceli su Libero, 18 maggio 2015:

"Oggi sbeffeggiare Gesù non è da temerari, ma da pavidi e da conformisti: ci si dedichi piuttosto all’islam o all’ebraismo. Poi quest’immotivata acredine nei confronti della religione che è uno dei cardini della nostra civiltà - e quindi della nostra identità di italiani e di europei - è una spia inquietante del vuoto morale e culturale di cui l’Occidente è preda, e dietro a cui si cela un inesplicabile e ingiusto odio verso di sé"

Stavolta non ci preme parlare di fumetti, ma piuttosto dei toni di una polemica innescata da un fumetto. La pubblicazione di “Gesù”, miniserie di Stefano Antonucci e Daniele Fabbri edita da Made in Kina, ha suscitato un commento sul quotidiano “Libero” che torna ciclicamente in rete quando si parla di satira e religione cattolica. Le parole “...ci si dedichi all'Islam o all'ebraismo” ispirano una risposta circostanziata. Il nostro intento, dunque, in questa sede, non è recensire l'opera di Antonucci e Fabbri, né prendere posizione sulla qualità del prodotto e neppure sviscerare il controverso concetto di satira. Proviamo soltanto a riflettere sui toni e parole usate da “Libero” e ampiamente diffuse sui social network, e a spiegare perché – a nostro parere gli argomenti usati non siano accettabili al pari (per qualcuno) di una presunta offesa alla religione.

Le parole usate dal giornalista Giuseppe Polliceli, in realtà, sono già sentite. L'eco di una formula che si affaccia in rete ogni qual volta nel nostro paese è pubblicata un'opera (a fumetti o altro) ritenuta blasfema o comunque irridente alle figure cardine del cattolicesimo (un esempio su tutti, la prima edizione italiana del fumetto “Dicks” di Garth Ennis, oggetto sul forum del sito ComicUS di aspre polemiche). Formula che potremmo riassumere in poche parole che sintetizzano il pensiero espresso su Libero e che afferma: “Oggi in Italia è “figo” scherzare in modo volgare sulla religione cattolica... mentre non vi azzardate a toccare l'Islam perché vi farebbero la pelle.” (sic!)

Tenteremo, qui, di esprimerci nel modo più urbano possibile. Troviamo questa formula molto discutibile se non del tutto fuori luogo. L'affermazione “è facile ridicolizzare Cristo piuttosto che l'Islam!” non solo semplifica in modo eccessivo la questione, ma risulta addirittura controproducente per chi si propone di muovere una critica al contenuto satirico-blasfemo in esame. E questo perché appare come l'intreccio di due atteggiamenti non brillanti: vittimismo e una velata minaccia mafiosa.

Affrontare l'annosa questione che anche la satira può essere valutata in base a qualità e livello, ci porterebbe in questa sede a parlare d'altro. Esaminiamo, invece, gli argomenti usati per muovere la critica. Tanto per cominciare, l'Islam non è mai stato al riparo da intenti satirici. C'è stato e c'è chi si dedica a quella fetta di realtà, come purtroppo c'è anche chi è stato ucciso per averlo fatto. Se in Italia prevale la satira sul cattolicesimo non è un fatto casuale o di comodo. In Italia, il cattolicesimo continua di fatto a essere la religione di stato, e in quanto tale è un cardine del quotidiano con il quale ogni cittadino deve fare i conti, che sia di fede cattolica o meno. L'Italia è un paese dove troviamo il crocifisso appeso nella maggior parte dei luoghi pubblici, dal momento che si tende a dare per scontato che la maggioranza sia cattolica o semplicemente non dia troppa importanza a questa consuetudine. Però, se qualcuno manifesta la proposta di toglierlo per dare voce a un'istanza di maggiore pluralità delle idee, scattano immediatamente dei meccanismi di difesa. La satira ha sempre riguardato le dinamiche di potere e i messaggi forti volti a veicolare la cultura dominante presso un dato popolo in un determinato momento storico. In Italia c'è il Vaticano, non la Mecca. La fede professata dalla maggioranza è quella cattolica, non quella musulmana. Dire prova a prendertela con l'Islam” è come dire: «Ti permetti di bullizzarmi perché non è mia abitudine reagire in modo violento. Ma se vai dal uno più grande, più grosso e abituato a menare le mani, quello di farà nero. Vai a punzecchiare lui se ti senti così forte... così poi mi sai dire.»

C'è palesemente del vittimismo, ma emerge (per quanto tra le righe) anche qualcosa di minaccioso (e sottilmente portatore di pregiudizio, dal momento che non tutti gli islamici vivono la loro religioni in termini integralisti e sono dediti alla violenza). Ma se proprio vogliamo stabilire chi è David e chi è Golia sul ring della satira e della lettura goliardica della figure religiose, il ruolo del gigante, del più potente, spetta alla Chiesa Cattolica. E' innegabile che siano realtà di matrice cattolica a condurre campagne contro determinati diritti e a schierarsi a fianco di determinate logiche di potere. Solo per citare un'immagine mediatica rimasta nella storia: a suo tempo, l'arcivescovo di Santiago del Cile non ha mai negato la pubblica comunione al dittatore criminale Pinochet, il quale non aveva remore ad affermare che “lo Spirito Santo era anticomunista”. Tornando a bomba nel nostro paese e nel nostro tempo, quello dei social. Oggi ci si imbatte anche in una forma di negazionismo che afferma l'assoluta ininfluenza dell'istituzione ecclesiastica nei confronti delle scelte terribilmente conservatrici dei nostri politici. Eppure viviamo in un paese dove il Papa fa notizia anche solo affacciandosi alla finestra. Un paese dove destra, sinistra e centro sono state frullate, shakerate e mescolate in un cocktail dagli ingredienti ormai indistinguibili, ma nel quale non è difficile riconoscere il sapore della cultura cattolica e i fantasmi irriducibili delle logiche democristiane.

Nel 1869, poco prima della breccia di Porta Pia, Papa Pio IX si affrettò a rafforzare il potere temporale del pontificato promulgando, nell'ambito del Concilio Vaticano I, il dogma di infallibilità del pontefice in materia di fede. Non era una questione peregrina, giacché la maggior parte delle famiglie regnanti nell'Italia del Risorgimento erano cattolicissime. Di conseguenza, essere considerato infallibile, per il pontefice, significava dettare l'agenda morale a una larga fetta del quadro geopolitico del suo tempo. Inoltre, i raporti tra Chiesa e Stato non sono mai stati indipendenti, ma regolati da complessi e discussi rapporti diplomatici. La relazione regolata dalla Legge delle Guarentigie continuò la sua corsa con i Patti Lateranensi sottoscritti nel 1929 da Benito Mussolini, riconosciuti in seguito, con la nascita della Repubblica, anche nell'articolo 7 della Costituzione Italiana. E' del 1984 la revisione dello stesso firmata dall'allora presidente del consiglio Bettino Craxi con l'istituzione del famoso Otto per Mille alla Chiesa Cattolica. Il cammino della chiesa, insomma, è sempre stato intrecciato con quello della politica italiana, e questo per oggettivi motivi storici. Negare l'influenza più o meno diretta sulle dinamiche politiche odierne sarebbe pertanto una grossa ingenuità.

Ma torniamo a parlare di satira, e di simboli.


Una celebre vignetta del cartoonist americano Don Addis porta in scena un personaggio (simbolo dell'estremismo cattolico) che brandisce una grande croce con la quale, come fosse una mazza, picchia selvaggiamente sulla testa un altro personaggio (simbolo dell'ateismo) e lo insulta, dandogli dell'idiota, del pervertito, bastardo... immorale... spazzatura... comunista! Il secondo quadro della vignetta ci mostra l'ateo che, persa la pazienza, ha strappato di mano la croce usata come dall'altro per picchiarlo e fa per spezzarla. Il cattolico grida subito: «Porta un po' di rispetto



Qualcuno ha detto anche che è ipocrita dire che usare la figura di Gesù non è necessariamente un'offesa alla sua persona o ai suoi insegnamenti, ma il vero obiettivo è l'istituzione cattolica e l'uso che fa delle sue icone. Che incidentalmente sono Gesù e la sua croce, questo è un dato di fatto.

Se vogliamo parlare di ipocrisia ci addentriamo in un territorio delicato. Proviamo a consideriamo una cosa.
A volte s'incontra e chi dice che i Vangeli sarebbero portatori di istanze “maschiliste”. In realtà è vero il contrario. Al tempo di Gesù, la donna aveva uno status giuridico molto simile a quello di un bestia. Poteva persino essere ceduta, regalata, venduta. Se una donna commetteva adulterio veniva lapidata. L'uomo era lapidato soltanto se commetteva adulterio con la moglie di qualcun altro. Ma se la donna con cui andava era nubile, nessuno ci faceva troppo caso. Nei Vangeli si riscontra una grossa rivalutazione della figura femminile. E non solo per la presenza della Madonna, madre del messia, ma per numerosi personaggi significativi. La Samaritana, cui Gesù rivolge la rivelazione sull'acqua di vita. La vedova che dona l'obolo ed è elogiata da Gesù perché a differenza degli uomini si è privata di qualcosa, mentre gli altri hanno donato il superfluo. L'episodio di Marta e Maria. Marta si occupa delle faccende domestiche, mentre Maria, ai piedi di Gesù, ascolta i suoi insegnamenti. Marta si rivolge a Gesù chiedendogli di esortare sua sorella ad aiutarla nei lavori di casa. La risposta di Gesù è: Maria ha scelto la parte migliore. Cioè, Maria non vuole limitarsi alle faccende di casa, ma desidera capire, ascoltare, studiare e progredire.

Quindi, nei Vangeli, la figura della donna è trattata in un modo per il suo tempo addirittura rivoluzionaria. Fa riflettere che nella struttura della chiesa cattolica, alla donna sia precluso lo stesso cammino ministeriale dell'uomo. Alla donna suora è riservato un ruolo di ausiliaria e non può amministrare i sacramenti, non potrà mai diventare un sacerdote a prescindere dalle sue qualità e attitudini... in quanto donna. La chiesa cattolica è rimasta ancorata a dei limiti culturali che gli stessi Vangeli cercavano di superare. Quindi stiamo attenti quando parliamo di simboli e di ipocrisie, e impariamo a distinguere Cristianesimo da Cattolicesimo istituzionale, evolutosi dall'opera di San Paolo e sviluppato successivamente dai padri della chiesa. Ciascuno è libero di accettare le norme morali che ritiene più giuste e la fede è un fatto privato degno di rispetto. Ma nel momento in cui un'istituzione religiosa pretende di sconfinare e mettere becco nei diritti di chi ha scelto una fede diversa o di non averne nessuna, pur pagando onestamente le tasse come qualunque cittadino italiano osservante... è allora che scatta il diritto di satira. Non puoi darmi dell'idiota, del pervertito, dell'immorale e pretendere che non ci sia una risposta. A volte risposta che a volte può suonare esasperata, volgare, ma che va comunque contestualizzata. La formula: “non te la prendi con l'Islam perché quelli ti ammazzerebbero”... non rende migliori di chi ti critica. E questo a prescindere dalla qualità della critica. Anzi, tradisce una povertà di argomenti.

Per questo, a nostro umile avviso, eviteremmo questa formula, a sua volta e a suo modo volgare e violenta, e cercheremmo argomenti più profondi. Il diritto di replica è sacrosanto, ma per funzionare necessita di argomenti ragionevoli, e farlo suonare come una puerile e minacciosa recriminazione non è mai d'aiuto quando si vuole avere un dialogo. Se... si vuole avere un dialogo.

E per concludere: forse (solo forse) la satira, anche la più grassa, la più goliardica e scomposta, svolge pure questa funzione. Causare l'emergere di contraddizioni, di riflessioni e possibilmente di confronti più costruttivi.


[Articolo di Filippo Messina]




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