lunedì 25 maggio 2009

Prima Tamarrata

Domenica di Maggio: Villa Garibaldi a Palermo. La tradizione è inossidabile. Mentre la primavera diventa estate, in chiesa si accendono i ceri e inizia la kermesse delle prime comunioni. La carovana dei piccoli palermitani accolti trionfalmente in seno alla comunità cattolica andrà avanti per tutto il mese. Piccole spose e piccoli manager, accompagnati da clan familiari tirati a lucido, spalancano le minuscole bocche per ricevere il corpo di Cristo, incalzati da ciurme di fotografi sudati. Per loro è un grande giorno. Almeno si direbbe così, a osservarli da lontano. Ma il momento più importante, una volta spenti gli incensi, è quello della villa. O della passeggiata a mare, poco più avanti, al Foro Italico. Set d’elezione per i book fotografici che dovranno fare invidia ai cuginetti e passerella irrinunciabile per genitori plastificati. Dopo il catechismo, la confessione, l’eucaristia, giunge infine l’ora. La consacrazione, quella vera, può finalmente incominciare. E allora venghino, signore e signori. Suoni l’orchestra e si accendano la luci. Perché questo è il più grande spettacolo del mondo. Domenica di Maggio: si apre il sipario e va in scena la volgarità. Non è chiara la relazione tra la natura spirituale della cerimonia e i mille feticci profani che le lunghe sessioni fotografiche celebrano di settimana in settimana. Non c’è più traccia della tunica apostolica che veniva fatta indossare ai piccoli comunicandi. Oggi si mira al “cool”, con veri e propri abiti nuziali in miniatura, forniti di velo e merletti. Il simbolo dell’innocenza infantile che incontrava il Cristo si è evoluto nell’abito di una piccola sposa, offerta in soave odore sull’altare dell’opulenza che il mondo potrebbe offrirle già dall’indomani. I piccoli corpi acerbi, sotto la guida di fotografi professionisti, si snodano in mezzo alle trine. Le bimbe si avvinghiano al fusto dei fanali come sinuose dive del cinema muto. Sorrisi sbarazzini, sederino in fuori, sguardo alla Lolita. E giù con un diluvio di compiaciutissimi scatti. Perché di questa importante giornata, in cui la famiglia ha investito tanto, niente dovrà essere dimenticato. Non sono di meno i maschietti, infilati in calzoni traslucidi dal colore indefinibile, vestiti con larghe giacche alla moda. Li fotografano con le mani in tasca, gli occhiali da sole sul viso e un sorrisetto sprezzante. Poi sull’erba dell’aiuola, a gambe divaricate, da vero, futuro tronista alla corte di Maria De Filippi. E dunque in piedi, di profilo, con aria da duro, la giacca lasciata penzolare dal braccio proteso, come nemmeno in certe pubblicità dei dopobarba. Certi uomini, ormai si sa, non devono chiedere MAI. E quel marmocchio incipriato diventerà uno di quegli uomini, sia chiaro sin da subito. Le foto sono fatte per attestarlo.
Sembra la prova generale per i book fotografici di un futuro programma tv. Un reality dedicato alle prime comunioni nel Sud, perché no. Tutti vorremmo sapere cosa pensano i piccoli comunicandi, che cosa sognano per loro le ferventi, cattolicissime famiglie.
«E toglile quel nastro dalla gonna! Non siamo più in chiesa, cavolo. Le sta una cacata!»
«Ridi meglio! Meglio! Di più! Fai vedere i dentini.»
«La manina al fianco... Piegati in avanti. Così!»
«Adesso corri. Solleva un po’ la gonna e corri. Corri!»
E’ uno spettacolo sconvolgente ai limiti dell’eros pedofilo, vedere queste bimbette biancovestite indotte da fotografi e familiari ad assumere pose innaturali. Da serpente. A mostrare forme che ancora non ci sono, e a sostituire l’ispirazione cristiana con forzati palpiti di acerba seduzione. Sembra quasi di vederli, maschietti e femminucce. Sdoganati da questo debutto in società che li vuole tamarri, arroganti, consapevoli sostenitori della dittatura delle apparenze. I piccoli bulli in tiro, pronti a marciare su tutto per conquistare il loro posto al sole in una vita sontuosamente omologata. Le piccole sacerdotesse dell’immagine, al primo capitolo di quello che potrebbe essere l’inizio di una vita davanti all’obbiettivo, in attesa che il “papi” di turno le noti e regali loro quell’istante di popolarità che illuminerà la loro esistenza. I genitori si difendono bene. Il babbo si scambia gli occhiali a specchio col figlioletto. Il fotografo li immortala entrambi. Si deve conservare memoria da quale stampino sia uscito cotanto pargolo. La madre, una giovane donna corvina dai capelli palesemente tinti, cammina a stento. Rischia di farsi male cadendo da quei tacchi così aguzzi. Non sembra preoccuparsene il simpatico fotografo, che la invita a esprimere il suo umore festoso volteggiando lungo il viale. E allora: «Giri, signora! Giri!» E la signora, rassegnata e sorridente... “gira”. Gira visibilmente preoccupata per i tacchi vertiginosi, forse anche per l’abito stretto. Non può certo negarsi all’obbiettivo, né rifiutarsi di volteggiare. Per che altro, se no, avrebbe acquistato quello strascico nero pece che quasi tocca terra? Perché scomodarsi a scegliere un corpetto trapunto di lustrini variopinti, uno di quelli che oggi è difficile scorgere anche nei peggiori avanspettacoli? E allora gira, gira, gira... Qualcuno guarderà. Qualcuno ricorderà... O almeno dovrebbero.
Di Domenica di Maggio non sono le prime comunioni a essere festeggiate nelle ville di Palermo. Ma il debutto sul palcoscenico della vita dei piccoli soldati del consumismo e dell’Italia Berlusconiana. Quella che ti insegna che conterai qualcosa solo se saprai mostrarti, se diventerai una velina o se entrerai nella casa del Grande Fratello. La Casa del Padre, ammesso che a lui importi qualcosa, ha già esaurito la sua funzione di set fotografico. Il vero palcoscenico ha aperto le porte. Chiaro, bambini? E lì non regnano la pace, la carità e l’uguaglianza...
Ma questo ve l’hanno già insegnato benissimo.

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