Terminata la visione di questa prima, e
per ora unica stagione, la serie Netflix dedicata a The Punisher, si
colloca a mio giudizio su livelli molto alti, contendendo il primato
a Daredevil, non fosse per la sua natura derivativa e
cronologicamente subalterna.
Lo dico, lo accenavo già durante la
visione dei primi episodi, perché questa serie mi ha piacevolmente
spiazzato. Non sono particolarmente legato al personaggio
fumettistico del Punisher, che trovo troppo bidimensionale, e spesso
narrato in modo eccessivamente ottuso, cavalcando la
spettacolarizzazione di una violenza che sacrifica l'approfondimento
narrativo.
Be', tutto questo nella serie interpretata da Jon Bernthal non c'è. Questo Punisher arriva quasi a scrollarsi di dosso l'etichetta di antieroe facendo prevalere la seconda metà di questa doppia qualifica. La violenza è dosata (e badiamo bene, non manca affatto) a favore di un racconto teso, e della caratterizzazione di un protagonista non banale, dove i salti temporali danno a tutto (specialmente nello splatteroso finale) un crescendo da tragedia elisabettiana. L'ossessione onirica del Punisher, la sua fondamentale rettitudine, non erano mai state raccontate così bene. Non in versione live action, almeno. Finora.
Be', tutto questo nella serie interpretata da Jon Bernthal non c'è. Questo Punisher arriva quasi a scrollarsi di dosso l'etichetta di antieroe facendo prevalere la seconda metà di questa doppia qualifica. La violenza è dosata (e badiamo bene, non manca affatto) a favore di un racconto teso, e della caratterizzazione di un protagonista non banale, dove i salti temporali danno a tutto (specialmente nello splatteroso finale) un crescendo da tragedia elisabettiana. L'ossessione onirica del Punisher, la sua fondamentale rettitudine, non erano mai state raccontate così bene. Non in versione live action, almeno. Finora.
Non solo. Per una volta il villain,
riconoscibile immediatamente solo da chi conosce bene la fonte
fumettistica (e questo, stavolta, non è un difetto) è una nemesi
sfaccettata, ben costruita, carismatica e buca lo schermo fino al
twist finale sul quale è meglio tacere. Fanservice per i lettori
affezionati, chiusura del cerchio per il pubblico più generalista.
Un finale in cui il Punitore è il Punitore, ma in modo sottile, non
banale.
La serie, inoltre, prende abbastanza le
distanze dalle precedenti serie targate Marvel Netflix. Niente
Rosario Dawson, nessun riferimento alla battaglia di New York. Solo
Frank Castle con la sua storia e un personaggio chiave che fa da
legame funzionale (ma non solo) alla sua precedente apparizione nella
seconda stagione dedicata a Daredevil.
Per tutte queste ragioni, mi aspetto
che a tanti questa serie non piaccia. Proprio perché riesce a
rimuovere la fondamentale banalità del personaggio cartaceo, a
umanizzarlo e a intrecciare gli aspetti più violenti con un
procedere del racconto secondo i criteri del thriller.
Per una volta, una trasposizione che
spiazza in modo positivo e arricchisce, a mio modesto avviso, una
fonte spesso stereotipata. Un tempo, in qualche redazionale, il
Punitore fu definito “ottuso”. Bene. Stavolta non lo è. Ma
proprio per niente. E' possibile empatizzare. E senza sentirsi in
colpa.
Non era facile, e per questo promuovo
Marvel's The Punisher a pieni voti.