“L'uomo, nel complesso, è meno
buono di quanto immagina o vorrebbe essere.”
Con questa citazione di Carl G. Jung si apre il primo numero della nuova serie Marvel intitolata “Immortal Hulk”. L'immortale Hulk, che va ad aggiungersi a una collezione già numerosa di aggettivi che nel corso dei decenni hanno preceduto il nome del gigante verde: Incredibile, Selvaggio, Indistruttibile... Persino “Fichissimo” (in inglese, Totally Awsome). E sono solo aggettivi di testata, che a contare gli appellativi del Golia di smeraldo ci sarebbe da confondersi.
Il personaggio di Hulk è cambiato
tante volte per continuare gattopardescamente a essere sempre se
stesso. Gli Hulk più o meno lucidi o intelligenti, per quanto
gradevoli da leggere (soprattutto quando al timone delle storie c'era
qualcuno come Peter David), cedevano puntualmente la scena al ritorno
dell'elemento più archetipico. Hulk è simbolo di ciò che lo crea
all'inizio della sua avventura: un'arma devastante, una bomba, una
potenza che non può essere contenuta, la collera irrazionale
dell'essere umano, la sua tendenza a cedere sempre e comunque alla
violenza e alla distruzione. In parte Frankestein (sia creatura che
creatore), in parte Jekill-Hyde. Hulk ha sempre avuto delle parentele
con la narrativa del terrore, e non a caso in principio, a causare la
sua metamorfosi non erano gli sbalzi di umore, ma semplicemente il
cadere della notte. Hulk si manifestava con le tenebre, e la sua
fronte (un tempo) era alta quanto quella della maschera di Boris
Karloff nel film che lo rese celebre.
Hulk, nella persona del suo alter ego
Bruce Banner, è morto parecchie volte. E sempre rocambolescamente
resuscitato, come da copione supereroistico dove il decesso è simile
a una brutta influenza, fastidiosa, persistente, ma che prima o poi
passerà. Non c'era dunque niente di scioccante nel vedere Banner
morire durante il (evitabilissimo) evento Civil War II. Ucciso
da una freccia scoccata dall'arciere Occhio di Falco, istruito da
Banner stesso affinché mettesse fine alla minaccia del mostro verde
qualora le cose si stessero mettendo male. La legge di Murphy si è
puntualmente confermata, e Banner (e così il suo Hulk) è rimasto
morto per qualche tempo, sostituito da un giovane Hulk più
scanzonato, Amadeus Cho, il fichissimo giovanotto verde. Ma le ferie
sono terminate, ed era ora che l'Hulk canonico tornasse in scena.
Eccolo quindi rispuntare durante la saga degli Avengers intitolata
“No Surrender”, dove ci viene spiegato che Hulk è sempre
stato immortale. Tutte le volte, dal principio. Per questo torna
sempre. Banner muore... ma Hulk la notte successiva tornerà ad
emergere, e a rigenerare anche il corpo del suo debole alter ego.
Al Ewing e Joe Bennett firmano dunque
l'inizio di un nuovo ciclo, Immortal Hulk, in cui (se il buon
giorno si vede dal mattino) dovremo vedere la diade Banner-Hulk
schiattare e risorgere più volte, seguendo un ritmo da storia
dell'orrore. Perché questo sembra essere il progetto. Riscoprire nel
personaggio di Hulk tutto il potenziale inquietante e buio, lasciando
da parte i lampi colorati del superomismo per concentrarsi sulla
paura e quanto di destabilizzante possa emergere dal rapporto
simbiotico tra Banner e il mostro che non gli permette di morire
definitivamente.
Il primo episodio ha una regia
interessante, ma anche un po' spiazzante. Diciamo che la “novità”,
quell'immortalità che c'è sempre stata (ma non era mai stata
chiaramente diagnosticata), porta a galla ulteriori ombre sul
personaggio e sotto certi aspetti, nel tentativo di rinnovarlo,
rischia di annacquarlo. Va benissimo rivedere un Hulk quasi
Frankensteinizzato (orribile parola!) e dal profilo molto più truce
del solito. Va bene scorgere nel suo linguaggio e nella sua nuova
mimica qualcosa che ricorda la crudeltà di Mr. Fixit, sua
precedente, celebre incarnazione. A lasciare perplessi è l'alone da
spirito della vendetta, più vicino a Ghost Rider che al Golia Verde.
Le similitudini (che ci sono sempre state) con il Solomon Grundy
della concorrente DC Comics. Persino qualche elemento comune al
rapporto del demone Etrigan con il suo ospite umano Jason Blood, ma
anche alcune dinamiche del bizzarro e poco noto Resurrection Man.
Rassegnandosi al fatto che nulla si
crea e nulla si distrugge (come l'Immortale Hulk), ma che tutto si
trasforma in qualcosa d'altro, o comunque qualcosa di diverso ma
simile... possiamo dire che la partenza di Immortal Hulk sia
un antipasto interessante e che tutto si giocherà sui numeri
immediatamente successivi. Il dubbio che permane è la necessità di
questa “nuova” caratteristica (jolly molto semplice da utilizzare
per riportarlo in scena), in realtà suggerita da sempre, e in
qualche modo tanto efficace in quanto lasciata vaga e tenuta
sottotraccia. Se l'intento è quello di ammantare di ossessione il
mostro che risiede in Banner, come nell'essere umano tipicizzato che
rappresenta, tutto sta al tono delle storie a venire. La vera
battaglia, il vero scontro tra titani, sarà con le consuetudini
commerciali della narrazione supereroistica, che ha sempre attirato
Hulk verso un centro di gravità più colorato e più pop. Più un rumoroso kaiju che un mostro realmente inquietante. Ma siamo qui per seguire
l'esperimento. Ed eventualmente, divertirci. Anche se un giorno,
forse inevitabilmente, l'ampolla fumigante potrebbe scoppiare in
faccia sia ai lettori che agli autori. Tanto il risultato sarebbe
comunque un faccione verde.
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