Alla fine anch'io l'ho visto. Ho svolto il mio compito da nerd, e ho fruito il tanto vituperato (non da tutti, ma comunque da molti) Thor di Kenneth Branagh. Che dire? Il mio commento è: «Illuminante!» E sia chiaro che non sto parlando della qualità del film, ma piuttosto dei meccanismi nascosti sotto la superficie dello spettacolo commerciale, delle dinamiche dietro lo sdegno di molti fans di vecchia data del fumetto Marvel, e delle sue varie (ma non infinite) possibilità di lettura.
La mia opinione risulterà probabilmente irritante per molti, ma ultimata la visione del film non riesco a pensarla diversamente. Ho visionato il film dell'illustre regista shakespeariano senza nessuna aspettativa, se non la curiosità di vedere quanto restava di una lettura iniziata nell’infanzia, riscoperta a tratti nell’età matura, e sul cui ricordo si fonda, insieme a tante altre memorie, l’immaginario che oggi mi appartiene. Sicuramente, una cospicua fetta di curiosità s'era nutrita anche dei tanti pareri negativi ascoltati da quanti mi stavano intorno e avevano già affrontato la visione del film restandone particolarmente disgustati. Da sempre, le recensioni più spietate mi fanno l'effetto di un afrodisiaco, e inizio a provare un'attrazione irrefrenabile per il titolo su cui tutti sputano. Forse per conoscere da vicino il volto del Male o per pacificarmi sulla reale esistenza di un orrore cosmico largamente condannato. Gli esiti di queste esperienze da mad doctor non sono sempre gli stessi, ma mi viene in genere confermato che la verità non si taglia mai con l'accetta.
Ma la verità, per quanto relativa o soggettiva, è un’altra. E non riguarda il film in sé, ma l’intera pratica, relativamente recente, della riduzione dei fumetti in lungometraggi per il cinema. E dei fumetti supereroistici soprattutto.
Esistono materiali, patrimoni fiabeschi, che giungono a noi attraverso svariati media. A volte si prova a trasformarli e a renderli qualcosa d’altro. Ma l’afrore della fiaba è forte, passionale, resistente. E dunque, spesso, permane anche sotto il più sontuoso dei belletti. In alcuni prodotti lo si avverte più che in altri, perché troppo vigorosa (come in Thor) è la componente fanciullesca, fatta di meraviglia e gioia elementare, e il cambio di approccio narrativo, come il differente mezzo di comunicazione, non è in grado di cancellarne il peculiare D.N.A. Più di altri titoli Marvel, Thor è sostanzialmente una fiaba. Ed è bene intendersi che non parliamo di un fantasy letterario dalla struttura più o meno matura, ma di qualcosa (un fumetto supereroistico) che è più strettamente imparentato con un elementare immaginario fiabesco che con la mitologia norrena cui la serie Marvel s'ispira alla lontana. Il film di Thor non altera questa semplice equazione, né si propone l'impresa (ardua e probabilmente inutile) di cavare sangue dalle rape.
Pertanto, viviamo oggi in un'epoca in cui esistono costosi giocattoli che contengono scintille di quell’energia magica che tanto ci entusiasmava da giovani. Un’energia magica che magari tuttora ci affascina sulle pagine di un mezzo più flessibile e soggetto a interpretazioni personali quale la tavola disegnata, ma che – in modo quasi ineluttabile – mostra tutti i suoi punti più deboli una volta imbrigliata in quel meccanismo moderno che è il cinema. Il film supereroistico, dunque, è come una lanterna incantata che troppo di frequente si apre svelando i suoi ingranaggi più segreti, più emotivi, che il fumetto, nel suo mondo a due dimensioni, ancora riesce più o meno a celare. E sono in tanti, in buona fede, a non accettare questa verità di fondo. Una visione scioccante, troppo difficile, per qualcuno, da collocare nella propria biblioteca interiore. Quel che si scorge su questo lussuoso giocattolo, tra un accecante effetto speciale e l’altro, è in realtà il riflesso del proprio io infantile. Il bambino che resiste irriducibile dentro di noi, e che vuole giocare sempre e soltanto... a modo suo. E griderà «Blutto, tu!!!» se qualcuno tenterà di forzarlo a fare altrimenti.
Del resto, scriveva Antoine de Saint-Exupery, gli adulti sono bambini cresciuti fisicamente... ma non tutti se ne ricordano. Un film riuscito più o meno può diventare una sorprendente pietra dello scandalo, suscitando indignazioni ciclopiche e sicuramente degne di cause più pregnanti. A volte non è neppure colpa del balocco, quel complicato ordigno creato per intrattenenerci. La sua superficie, in certi casi, è talmente lucida da mostrare una realtà scomoda. Il bambino che vediamo riflesso ci appare insopportabile non perché ci fa le boccacce, ma perché ci riesce difficile accettare che resterà nostro compagno di viaggio fino alla fine dei nostri giorni. In tanti, non la riconoscono, quella figura infantile. La odiano, le voltano le spalle, e danno la colpa al giocattolo per la frustrazione provata. Ignari di aver solo guardato in uno specchio dalla complessa, spettacolare cornice.
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