sabato 31 agosto 2019

A Field in England [di Ben Wheatley]




«Mentre viviamo temendo l'inferno... ci siamo dentro.»

Mi vado innamorando sempre più del regista britannico Ben Wheatley a mano a mano che scopro la sua filmografia. Tutti film indipendenti e di difficile classificazione, per quanto spesso li si ascriva al genere del perturbante se non dell'horror. Meccanismi narrativi spiazzanti, e una visione cinematografica abbastanza anarchica, che qualcuno definisce velleitaria, bollando i suoi film come meri esercizi di stile senza capo né coda. Se il noir “Killer List” era un crescendo spietato di violenza ed esoterismo, fino a un finale criptico quanto sconvolgente, “A Field in England” (in italiano “I disertori”) uscito nel 2013, va possibilmente anche oltre, e ci regala un film a suo modo piacevolmente destabilizzante. In parte sogno, in parte incubo, che flirta con la cultura della psichedelia (in modo anche dichiarato), scatenando negli occhi e nella percezione di chi guarda una creatura cinematografica tra le più bizzarre. Non è un caso che in tanti gli stiano alla larga, dal momento che di sicuro esiste poco di altrettanto disorientante.



Lo scenario è quello della Guerra Civile inglese, fotografato in un pulitissimo bianco e nero, recitato in originale in inglese arcaico e interamente ambientato in un apparentemente interminabile campagna inglese («Il nulla e cardi...»). Quattro uomini fuggono dalla guerra. Quattro personaggi molto diversi tra loro, le cui peculiarità emergono da dialoghi tra il surreale e il picaresco, con una cadenza volutamente teatrale. Se il precedente “Kill List” poteva rammentare sotto alcuni aspetti il teatro di Harold Pinter, “A Field in England” echeggia le atmosfere del drammaturgo belga Michel de Ghelderode, la cui opera era influenzato dagli spettacoli di burattini e dal concetto di “teatro della crudeltà” di Antonin Artaud. Sintomo che Wheatley si sente molto legato all'aria che si respira sulle tavole del palcoscenico, e continua a sperimentare curiose ibridazioni con il linguaggio cinematografico attingendo alle poetiche meno omologate della prosa. Attraverso una narrazione scandita in quadri, i quattro disertori incontreranno in mezzo al nulla un alchimista stregone (l'attore Michael Smiley, visto in “Black Mirror” e attore ricorrente di Wheatley) che li coinvolgerà nelle sue trame, e nella ricerca di un misterioso tesoro.

In “A Field in England” ritroviamo temi classici quali il viaggio sciamanico e la scoperta della propria natura. Ma filtrati da un umorismo nerissimo e da una trama spiazzante, che se nella prima parte sembra seguire una dinamica tradizionale, nella seconda deraglia, violando ogni aspettativa logica e presentando scenari sempre più surreali, fino a una totale astrazione cui (non è una novità per Ben Wheatley) toccherà allo spettatore dare un significato. Sarebbe relativamente semplice riconoscere in “A Field in England” l'ennesima declinazione di un meccanismo narrativo già ampiamente sfruttato al cinema, E chissà, forse la risposta è davvero la più ovvia. Ma stiamo parlando di un film di Ben Wheatley, e certezze non ce ne possono essere. “A Field in England” è davvero una strana, stranissima creatura cinematografica. Facile da odiare per la sua particolarità e da ignorare per la sua scarsissima distribuzione. Eppure nella sua natura, magari un po' snob, di opera indipendente, che se infischia delle aspettative del vasto pubblico, risiede il suo fascino. Una potenza visiva notevole nel suo impeccabile bianco e nero, una caratterizzazione estrema dei personaggi, presi quasi di peso dalla commedia dell'arte e catapultati in un contesto allucinato, e un sottotesto magico, un viaggio psichedelico tutto da vivere, se non interpretare.
Questo è “A Field in England”. Un'esperienza cinematografica che non può in nessun caso lasciare indifferenti. E in ogni caso, difficilmente, una volta visto, si riuscirà a dimenticarlo presto.

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