domenica 19 marzo 2017
Bernie Wrightson 1948 - 2017
Peccato.
Spesso è la prima parola che mi viene in mente quando un artista che ha detto tanto e che ancora avrebbe molto da dire, scompare. Peccato. Una via di mezzo tra la delusione e il dolore che esprime la sensazione di una perdita intellettuale oltre che fisica. La perdita per qualcosa che rappresentava una ricchezza.
Be', per Bernie Wrightson è davvero il caso di spenderlo quel "peccato".
Wrightson è stato, insieme a Lein Wein, uno dei genitori di Swamp Thing, la Cosa della Palude che, dopo la serie originale di 22 numeri e un intervallo, sarebbe passata nelle mani di Alan Moore, piantando uno dei semi da cui sarebbe sbocciata la divisione Vertigo della DC Comics. Ma Bernie Wrightson è andato oltre Swampy, sia pure legando il suo nome e le sue matite all'oscurità, al mondo del gotico, dell'orrore e delle atmosfere spaventose. Un artista capace di prendere l'orrore, il brutto, il minaccioso, e renderlo esteticamente piacevole agli occhi, bello e plastico, senza perdere l'aura di malsana tenebra che era chiamato a rappresentare.
Non a caso, nell'operazione di beneficenza messa in atto dalla Marvel nel 1985, X-Men: Heroes for Hope, fumetto one shot i cui proventi furono devoluti in aiuto delle popolazioni affamate dell'Africa, e che vide il contributo grafico e testuale di molti diversi disegnatori e scrittori, Wrightson intrecciò la sua matita con la penna di Stephen King (entrambi al lavoro sul segmento dedicato a Kitty Pryde), evocando atmosfere da cinema horror. Wrightson, per il mondo del fumetto, ERA l'horror. Quello più classico e romantico, fatto di magioni buie e animali striscianti. Il suo lavoro di illustratore sul Frankenstein di Mary Shelley resterà nella a lungo nella memoria dei lettori, vivido e iconografico come in poche occasioni.
Suo ultimo lavoro rimane Frankenstein Alive, Alive!, seguito ideale, su testi di Steve Niles, delle vicende della creatura, partendo da dove l'abbiamo lasciata alla fine del romanzo di Mary Shelley. Un lavoro lento, certosino, meraviglioso.
Ripeto: un peccato.
E un altro maestro che entra nella storia del fumetto per non uscirne mai più.
venerdì 17 marzo 2017
Movida, ancora Movida, sempre Movida...
Dopo aver vissuto per 15 anni in Vucciria, assistendo al sorgere, alla crescita, e al caglio della Movida palermitana, resto di sasso nel leggere i commenti agli articoli che periodicamente sono a questi dedicata. Non sempre si tratta del quartiere suddetto, ma l'argomento è il medesimo. Residenti ridotti a ostaggi di un baccanale che di anno in anno è andato sempre più fuori controllo. Perché in realtà parliamo di rave nel cuore della città e non della vera movida (che sarebbe itinerante) di origine spagnola. I problemi (seri) sono sempre quelli: il frastuono che toglie il sonno ai residenti, le risse, gli androni trasformati in latrine, il vandalismo (quante notti di assedio, ricordo) il sesso consumato a cielo aperto (personalmente, la cosa che mi darebbe meno fastidio, se non fosse che a innescarlo c'è molto altro), e illegalità crescente fino a sconfinare in scippi, rapine e pericolo per l'incolumità. In questi giorni emerge il problema dell'Olivella, in cui un comitato di residenti e commercianti si è visto costretto a ricorrere a un'azienda di vigilanza privata. Misura, tra l'altro, buona appena come deterrente, e del tutto inutile. Naturali (e anche corretti) gli attacchi al sindaco in carica (e in campagna elettorale), se non fosse che questo problema cittadino dura ormai da decenni, e sia stato tramandato da diverse amministrazioni comunali che oggi condividono la responsabilità della sua forma cronica.
Quello che mi gela, sono i commenti (immancabili). Commenti cui è impossibile rispondere. Commenti di individui con cui è impossibile il dialogo. Commenti che suonano "Non è affatto vero quel che dite, non è vero quel che è scritto...". Negazione pura e semplice, senza troppa fatica. Seguono inviti a godersi la città e ad apprezzarne la bellezza e l'allegria. Da un lato un serissimo problema di degrado, in cui è forte la cultura mafiosa dell'illegalità. Dall'altro l'accettazione passiva di un degrado che evidentemente è percepito come ricreativo.
Vedere questo mi confonde ancor di più dell'orrore urbano prodotto dall'assenza di regole. Mi fa capire che gli alieni esistono. Lo siamo l'uno per l'altro. E non dobbiamo neppure sforzarci di andare su un altro pianeta per fare incontri ravvicinati.
Quello che mi gela, sono i commenti (immancabili). Commenti cui è impossibile rispondere. Commenti di individui con cui è impossibile il dialogo. Commenti che suonano "Non è affatto vero quel che dite, non è vero quel che è scritto...". Negazione pura e semplice, senza troppa fatica. Seguono inviti a godersi la città e ad apprezzarne la bellezza e l'allegria. Da un lato un serissimo problema di degrado, in cui è forte la cultura mafiosa dell'illegalità. Dall'altro l'accettazione passiva di un degrado che evidentemente è percepito come ricreativo.
Vedere questo mi confonde ancor di più dell'orrore urbano prodotto dall'assenza di regole. Mi fa capire che gli alieni esistono. Lo siamo l'uno per l'altro. E non dobbiamo neppure sforzarci di andare su un altro pianeta per fare incontri ravvicinati.
giovedì 16 marzo 2017
Rocket Balloon - Episodio 6: Questione d'Image...
Dopo un'assenza dovuta a fattori di forza maggiore, ecco tornare Rocket Balloon con la sua sesta puntata della prima stagione. Già andata in onda su Runtimeradio.it e ora disponibile in formato podcast su Spreaker. Gli argomenti sono densi: l'avventura della Image, dall'esodo di alcuni artisti Marvel e delle anatomie impossibili di Rob Liefeld, all'invasione dei Morti che Camminano passando per Invincible. Si bighellona un po' tra fumetto, cinema e TV, parlando anche di Lego Batman, Legion e naturalmente... Logan. Finalmente dialoghiamo con chi ci ha scritto, e si discute anche de L'attacco dei giganti e delle opere controverse di Miguel Angel Martin. Insomma, una puntata di ritorno abbastanza cicciosa.
Ricordo a tutti che potete scriverci, porci domande e fornire spunti scrivendo una mail all'indirizzo: rocketballoonruntime@gmail.com.
Ricordo a tutti che potete scriverci, porci domande e fornire spunti scrivendo una mail all'indirizzo: rocketballoonruntime@gmail.com.
Difendete sempre i vostri sogni e restate con noi. Perché c'è sempre un Altroquando.
sabato 11 marzo 2017
lunedì 6 marzo 2017
Di Rumors, di Cinema, di Spoiler e i grandi problemi esistenziali
Il regista James Mangold (a proposito di "Logan - the Wolverine", attualmente nelle sale) si lascia andare a uno sfogo sul trend contemporaneo dei rumors e del gossip che tende oggi a circondare la lavorazione di ogni film, anticipando, svelando, e sottraendo di conseguenza parte della magia dell'attesa. "Siamo costretti a girare blindati" afferma "e di questo la lavorazione dei film non può che risentire". Inoltre, in riferimento ai frequenti spoiler (divenuti una pratica diffusissima sui social), afferma che è come se qualcuno svelasse i trucchi di uno spettacolo di illusionismo, anticipandone le sorprese e vanificando ogni innovazione e sforzo performativo.
Più o meno questo.
Può sempre saltare fuori qualcuno a dire: "Seeee, gli spoiler per un film. I GRANDI PROBLEMI DELLA VITA!"
Be', sicuramente tutti abbiamo problemi nella vita, e altrettanto certamente gli spoiler non sono al primo posto. Tuttavia per qualcuno, l'intrattenimento è un bastone cui appoggiarsi, un momento di tregua, e gli spoiler gli cacano tanto il cazzo.
Ma soprattutto, caro grillo parlante della Domenica, mi piacerebbe che qualcuno scoprisse i tuoi punti deboli, le cose che ti piacciono, che ti rasserenano, ti svagano (uno sport, la musica, il modellismo, la pornografia) e trovasse il modo di infastidirti, di guastare quella tua piccola gioia. Così che quando ti imbroncerai, possa guardarti dall'alto della sua presunta superiorità con un sopracciglio alzato e dirti con tono supponente: "I GRANDI PROBLEMI DELLA VITA! BAH!"
sabato 25 febbraio 2017
Telepatia contemporanea, buonismo e rom...
Diario del Capitano, data bestiale 25.02.2017
Il video delle due donne rom rinchiuse
nel gabbiotto dei rifiuti da tre impiegati della Lidl dovrebbe
commentarsi da sé.
Dovrebbe.
Sarà compito della legge perseguire
chi ha commesso reato, come sarà compito dell'azienda per cui
costoro lavorano decidere quale sia la posizione più opportuna da
mantenere (notare, ho scritto “mantenere” e non prendere). Le
minacce di boicottaggio nei confronti della ditta qualora i tre
protagonisti dell'orrenda bravata fossero licenziati, infatti, non
sono tardate. E' chiaro ormai a tutti. Per un numero vastissimo di
italiani, i tre hanno agito bene. Sono innocenti, anzi da premiare.
Qualcuno dia un oscar a questi signori per aver deliziato l'immensa
platea italiana generando un consenso di pubblico che nemmeno il
“Salò” di Pier Paolo Pasolini.
Ritorno con il pensiero a quando mi
interrogavo (cosa che faccio tuttora) sulla mia personale scintilla
di intolleranza, qualcosa che rimane acceso dentro di me, facendomi
porre continue domande, e che ho sviscerato in capitoli passati del mio diario on line.
Torno anche a una metafora cui penso
spesso. E cioè che i social network hanno praticamente reso realtà
uno dei superpoteri più affascinanti e scomodi dell'immaginario
collettivo: la telepatia, la capacità di leggere i pensieri altrui.
Parliamo della telepatia ad ampio spettro, quella incontrollabile,
che ti fa percepire senza filtri tutta la sgradevolezza del mondo
intorno a te. Perché se i social generano dipendenza, l'orrido ti
induce a contemplarlo. L'uomo è una bestia, reagisce a stimoli
preordinati come un cane di Pavlov. E lì partono altre domande.
Domande inutili, eh! Come: comprendo il
successo dei social, ma i commenti dei lettori su ogni sito di
giornalismo elettronico quale funzione dovrebbero avere? Fornire il
polso dell'opinione pubblica? Non credo, si dibatte già abbastanza
sull'affidabilità delle metodologie statistiche. Facilitare
l'interazione con la testata? Difficile. Sono sempre esistite le
lettere al direttore, le possibilità di comunicare privatamente non
mancherebbero. Creare un'area di discussione? Come no! Sentivamo la
mancanza di trasmissioni come “Aboccaperta”, dove a fare
spettacolo era una rissa che non poteva fisiologicamente arrivare a
nessuna conclusione costruttiva.
Perciò? Che cosa sono quei commenti
sotto ogni articolo pubblicato on line, che utilità hanno? Cori da
stadio? Il rumore del pubblico intorno a un'arena in cui i gladiatori
si sventrano? L'automatica necessità di aggiornarsi, pettinando il
trend tecnologico delle masse che ormai prevede di dare diritto di
parola a chiunque e su qualunque tema, anche se stiamo parlando di
fissione nucleare?
Sarebbe questa la democrazia diretta?
E l'abuso della parola “buonismo”?
Ne vogliamo parlare?
“Buonismo”. Se cerchiamo la
definizione di questa odiosa parola (e sì, perché è un insulto, e
non si discute), troviamo: Ostentazione
di buoni sentimenti, di tolleranza e benevolenza verso gli avversarî,
o nei riguardi di un avversario, spec. da parte di un uomo politico;
è termine di recente introduzione ma di larga diffusione nel
linguaggio giornalistico, per lo più con riferimento a determinati
personaggi della vita politica.
(Treccani)
Quindi nella parola "buonismo" è contenuta in sostanza un'accusa di ipocrisia. Del resto, la condotta pubblica di un politico è un percorso che può essere monitorato.
Quindi nella parola "buonismo" è contenuta in sostanza un'accusa di ipocrisia. Del resto, la condotta pubblica di un politico è un percorso che può essere monitorato.
In
realtà, oggi, il popolo della rete, sputa (letteralmente) questo
termine addosso
a chiunque
trovi
incivile e sbagliato un determinato comportamento. Ogni volta che
(ri)leggo questa parola, non posso fare a meno di chiedermi: quale
sarebbe il suo contrario? Cattivismo? Pragmatismo? Giustizia?
Eroismo? Franchezza?
Ho
abbastanza anni sul groppone per sapere che molti adolescenti
attraversano una fase psicologica che io chiamo “caterpillar”.
Avviene in genere tra i diciassette e i vent'anni (in qualche caso si
trascina con esiti perniciosi, e può diventare cronica) e consiste
nella convinzione di essere nobili d'animo
per
il semplice fatto di dire sempre
a tutti, senza
sovrastrutture, quel che si pensa. La propria verità (che è sempre
percepita
come assoluta), confondendo il concetto di franchezza con quello di
maleducazione (non sempre dire tutto quello che si pensa senza alcun
ausilio diplomatico è cosa buona e giusta).
Sono
piccoli, ma crescono. E la fase passa...
O
non passa più... nell'era dei social? Un
congruo numero di like è sufficiente a far sentire nel giusto
chiunque. Qualunque
stronzata diventa Vangelo con un bel po' di pollici in su. I
petti si gonfiano e le idee (confuse) si radicano sempre di più.
Buonisti.
Questo è chi pensa che quell'azione fosse violenta, espressione di
una
pulsione
sadica
prima ancora che razzista, e in ogni caso un reato. Anche un
poliziotto che spara a un ladro disarmato e con le spalle al muro
commette un crimine. Non
importa se il ladro ha le tasche piene, il
poliziotto andrà punito secondo la legge.
Anche
questo paradigma appena riassunto potrebbe scatenare tifoserie
contrarie. Mi chiedo quale delle due fazioni farebbe più incetta di
“buonista” scatarrati
lì, tanto per gradire.
Poi
incontri, tra i commenti, il razzista che ha per avatar l'icona di
Che Guevara. E lì inizia (si fa per dire) il vero divertimento. Il
cortocircuito massimo. Qualcuno gli fa notare che dovrebbe cambiare
avatar. Un altro fa notare che il Che era un assassino, che fucilava
gli omosessuali, eccetera, eccetera.
Ha
senso (cioè, ne vale la pena?) discutere sul concetto di icone? Sul
fatto che la mitizzazione di personaggi storici è comunque da
prendere con le molle, e che dietro ai movimenti
politici
e alle scelte giuste e sbagliate ci sono comunque esseri umani, fatti
di carne, sangue e merda. Che
i simboli possono fare il loro tempo. Ma anche sganciarsi dalla
complessità, a volte contraddittoria, di chi li ha ispirati per
diventare altro. Che
ormai sono poco più di uno pretesto per accapigliarsi ulteriormente?
E
la parola “comunista”? Usata come aggravante di “buonista”,
cui ormai raramente si vede rispondere di rimando: “fascista”?
Difficile
trovare un senso in tutto questo caos.
E' una conseguenza di questa moderna telepatia collettiva. Tutti
conosciamo i pensieri di tutti. Quelli
più superficiali, certo, ma proprio per questo più dannosi. E siamo
tutti sulla stessa barca, tutti parte dello stesso telefono senza
fili. Possiamo
spendere una parola gentile, ispirare simpatia. Un attimo dopo tirare
fuori una porcata immonda, o una ciclopica stupidaggine e far fuggire
chi aveva pensato di avvicinarsi.
La
telepatia, questa telepatia contemporanea,
non
è un progresso. Non è un dialogo. E' solo un rumore di fondo in cui
nessuno pensa davvero. E'
solo rumore,
rumore e ancora rumore.
Urla.
Come quelle delle
vittime di una
totale assenza di empatia.
Forse
è questo il contrario di buonismo.
Come classificare chi buonista non è? Figaggine della malvagità? Fierezza della volgarità e del proprio essere bulli (o plaudenti nei confronti dei bulli)? Forse la parola giusta suona desueta a qualcuno, ma io a questo punto la riadotterei. Li chiamerei "fascisti", anche se pensano di non esserlo. Come quando fascista era sinonimo di arrogante, picchiatore, prevaricatore. Se preferiscono un vocabolo diverso... ci sono tante parolacce tra cui scegliere. Non credo che la parola si possa cercare altrove.
sabato 11 febbraio 2017
Jiro Taniguchi: Un omaggio (1947 - 2017)
In tanti lo avevano detto con sprezzante amarezza. La gente continuerà a morire anche dopo la fine del 2016, anno che sarà ricordato per il numero consistente di personaggi noti defunti nel corso dei suoi dodici mesi. Ma la morte fa parte della vita, e non conosce data di scadenza. Infatti anche questo 2017 ha già iniziato a fare sentire il suo peso. Il peso mediatico della morte di un personaggio noto nell'era in cui il villaggio globale ha definitivamente trionfato.
Jiro Taniguchi era relativamente giovane, aveva sessantanove anni, e pare fosse malato da tempo. E' sempre un peccato quando un artista ci lascia troppo presto, soprattutto quando ancora ha tanto da dire. Ed è scontato e stucchevole (anche perché inevitabilmente ripetitivo) il coccodrillo di rito. Salutiamo il maestro Tanigughi contemplando alcune delle sue evocative tavole, ricordando il suo tratto caratteristico e pulito.
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