Diario del Capitano, data bestiale 25.02.2017
Il video delle due donne rom rinchiuse
nel gabbiotto dei rifiuti da tre impiegati della Lidl dovrebbe
commentarsi da sé.
Dovrebbe.
Sarà compito della legge perseguire
chi ha commesso reato, come sarà compito dell'azienda per cui
costoro lavorano decidere quale sia la posizione più opportuna da
mantenere (notare, ho scritto “mantenere” e non prendere). Le
minacce di boicottaggio nei confronti della ditta qualora i tre
protagonisti dell'orrenda bravata fossero licenziati, infatti, non
sono tardate. E' chiaro ormai a tutti. Per un numero vastissimo di
italiani, i tre hanno agito bene. Sono innocenti, anzi da premiare.
Qualcuno dia un oscar a questi signori per aver deliziato l'immensa
platea italiana generando un consenso di pubblico che nemmeno il
“Salò” di Pier Paolo Pasolini.
Ritorno con il pensiero a quando mi
interrogavo (cosa che faccio tuttora) sulla mia personale scintilla
di intolleranza, qualcosa che rimane acceso dentro di me, facendomi
porre continue domande, e che ho sviscerato in capitoli passati del mio diario on line.
Torno anche a una metafora cui penso
spesso. E cioè che i social network hanno praticamente reso realtà
uno dei superpoteri più affascinanti e scomodi dell'immaginario
collettivo: la telepatia, la capacità di leggere i pensieri altrui.
Parliamo della telepatia ad ampio spettro, quella incontrollabile,
che ti fa percepire senza filtri tutta la sgradevolezza del mondo
intorno a te. Perché se i social generano dipendenza, l'orrido ti
induce a contemplarlo. L'uomo è una bestia, reagisce a stimoli
preordinati come un cane di Pavlov. E lì partono altre domande.
Domande inutili, eh! Come: comprendo il
successo dei social, ma i commenti dei lettori su ogni sito di
giornalismo elettronico quale funzione dovrebbero avere? Fornire il
polso dell'opinione pubblica? Non credo, si dibatte già abbastanza
sull'affidabilità delle metodologie statistiche. Facilitare
l'interazione con la testata? Difficile. Sono sempre esistite le
lettere al direttore, le possibilità di comunicare privatamente non
mancherebbero. Creare un'area di discussione? Come no! Sentivamo la
mancanza di trasmissioni come “Aboccaperta”, dove a fare
spettacolo era una rissa che non poteva fisiologicamente arrivare a
nessuna conclusione costruttiva.
Perciò? Che cosa sono quei commenti
sotto ogni articolo pubblicato on line, che utilità hanno? Cori da
stadio? Il rumore del pubblico intorno a un'arena in cui i gladiatori
si sventrano? L'automatica necessità di aggiornarsi, pettinando il
trend tecnologico delle masse che ormai prevede di dare diritto di
parola a chiunque e su qualunque tema, anche se stiamo parlando di
fissione nucleare?
Sarebbe questa la democrazia diretta?
E l'abuso della parola “buonismo”?
Ne vogliamo parlare?
“Buonismo”. Se cerchiamo la
definizione di questa odiosa parola (e sì, perché è un insulto, e
non si discute), troviamo: Ostentazione
di buoni sentimenti, di tolleranza e benevolenza verso gli avversarî,
o nei riguardi di un avversario, spec. da parte di un uomo politico;
è termine di recente introduzione ma di larga diffusione nel
linguaggio giornalistico, per lo più con riferimento a determinati
personaggi della vita politica.
(Treccani)
Quindi nella parola "buonismo" è contenuta in sostanza un'accusa di ipocrisia. Del resto, la condotta pubblica di un politico è un percorso che può essere monitorato.
Quindi nella parola "buonismo" è contenuta in sostanza un'accusa di ipocrisia. Del resto, la condotta pubblica di un politico è un percorso che può essere monitorato.
In
realtà, oggi, il popolo della rete, sputa (letteralmente) questo
termine addosso
a chiunque
trovi
incivile e sbagliato un determinato comportamento. Ogni volta che
(ri)leggo questa parola, non posso fare a meno di chiedermi: quale
sarebbe il suo contrario? Cattivismo? Pragmatismo? Giustizia?
Eroismo? Franchezza?
Ho
abbastanza anni sul groppone per sapere che molti adolescenti
attraversano una fase psicologica che io chiamo “caterpillar”.
Avviene in genere tra i diciassette e i vent'anni (in qualche caso si
trascina con esiti perniciosi, e può diventare cronica) e consiste
nella convinzione di essere nobili d'animo
per
il semplice fatto di dire sempre
a tutti, senza
sovrastrutture, quel che si pensa. La propria verità (che è sempre
percepita
come assoluta), confondendo il concetto di franchezza con quello di
maleducazione (non sempre dire tutto quello che si pensa senza alcun
ausilio diplomatico è cosa buona e giusta).
Sono
piccoli, ma crescono. E la fase passa...
O
non passa più... nell'era dei social? Un
congruo numero di like è sufficiente a far sentire nel giusto
chiunque. Qualunque
stronzata diventa Vangelo con un bel po' di pollici in su. I
petti si gonfiano e le idee (confuse) si radicano sempre di più.
Buonisti.
Questo è chi pensa che quell'azione fosse violenta, espressione di
una
pulsione
sadica
prima ancora che razzista, e in ogni caso un reato. Anche un
poliziotto che spara a un ladro disarmato e con le spalle al muro
commette un crimine. Non
importa se il ladro ha le tasche piene, il
poliziotto andrà punito secondo la legge.
Anche
questo paradigma appena riassunto potrebbe scatenare tifoserie
contrarie. Mi chiedo quale delle due fazioni farebbe più incetta di
“buonista” scatarrati
lì, tanto per gradire.
Poi
incontri, tra i commenti, il razzista che ha per avatar l'icona di
Che Guevara. E lì inizia (si fa per dire) il vero divertimento. Il
cortocircuito massimo. Qualcuno gli fa notare che dovrebbe cambiare
avatar. Un altro fa notare che il Che era un assassino, che fucilava
gli omosessuali, eccetera, eccetera.
Ha
senso (cioè, ne vale la pena?) discutere sul concetto di icone? Sul
fatto che la mitizzazione di personaggi storici è comunque da
prendere con le molle, e che dietro ai movimenti
politici
e alle scelte giuste e sbagliate ci sono comunque esseri umani, fatti
di carne, sangue e merda. Che
i simboli possono fare il loro tempo. Ma anche sganciarsi dalla
complessità, a volte contraddittoria, di chi li ha ispirati per
diventare altro. Che
ormai sono poco più di uno pretesto per accapigliarsi ulteriormente?
E
la parola “comunista”? Usata come aggravante di “buonista”,
cui ormai raramente si vede rispondere di rimando: “fascista”?
Difficile
trovare un senso in tutto questo caos.
E' una conseguenza di questa moderna telepatia collettiva. Tutti
conosciamo i pensieri di tutti. Quelli
più superficiali, certo, ma proprio per questo più dannosi. E siamo
tutti sulla stessa barca, tutti parte dello stesso telefono senza
fili. Possiamo
spendere una parola gentile, ispirare simpatia. Un attimo dopo tirare
fuori una porcata immonda, o una ciclopica stupidaggine e far fuggire
chi aveva pensato di avvicinarsi.
La
telepatia, questa telepatia contemporanea,
non
è un progresso. Non è un dialogo. E' solo un rumore di fondo in cui
nessuno pensa davvero. E'
solo rumore,
rumore e ancora rumore.
Urla.
Come quelle delle
vittime di una
totale assenza di empatia.
Forse
è questo il contrario di buonismo.
Come classificare chi buonista non è? Figaggine della malvagità? Fierezza della volgarità e del proprio essere bulli (o plaudenti nei confronti dei bulli)? Forse la parola giusta suona desueta a qualcuno, ma io a questo punto la riadotterei. Li chiamerei "fascisti", anche se pensano di non esserlo. Come quando fascista era sinonimo di arrogante, picchiatore, prevaricatore. Se preferiscono un vocabolo diverso... ci sono tante parolacce tra cui scegliere. Non credo che la parola si possa cercare altrove.