mercoledì 2 novembre 2016

Rocket Balloon - Seconda Puntata

E due! Rocket Balloon è tornato (con un giorno di ritardo sui tempi previsti a causa della festività). Che dire? La trasmissione di approfondimento sui fumetti e argomenti nerd confinanti gestita dal sottoscritto (Filippo di Altroquando) e Peppe Saso, sembra raccogliere consensi. Stavolta si parla di supereroi e del loro rapporto con il concetto di realismo, della serie cinematografica dedicata a Batman di Christopher Nolan, di Marvel's Luke Cage, Lo chiamavano Jeeg Robot e altro ancora.

Il prossimo appuntamento sarà tra un mese, il primo Martedì di Dicembre sempre alle ore 10:00 su Runtime Radio, dunque. Ecco qui la versione podcast, da ascoltare comodamente con i vostri tempi. Vi ricordiamo anche che c'è una rubrica della posta cui potete scrivere e porci domande cui risponderemo in trasmissione. L'indirizzo è rocketballoonruntime@gmail.com
Buon ascolto e grazie a tutti per l'attenzione e l'affetto che dimostrate.



domenica 30 ottobre 2016

Palermo, ricorda: Altroquando non è Alastor


DA ALTROQUANDO, UNA LETTERA APERTA ALLA CITTA' DI PALERMO


Altroquando: un nome (ormai sovraesposto in Italia) che a Palermo è stato usato per la prima volta da Salvatore Rizzuto Adelfio, ed è legato a filo doppio alla memoria della sua persona e della sua attività storica. E' anche il nome (insieme alle sue generalità) dell'associazione culturale che da tre anni si propone, con umiltà e mezzi diversi, di proseguire il manifesto culturale da lui immaginato. E cioè una militanza sociale ibridata con forme espressive di norma associate al puro svago (come i fumetti, per cominciare). Su Facebook, da circa tre anni, esiste una pagina dedicata alla richiesta, a più voci, di intitolare il lungomare di Palermo alla memoria di Salvatore, che lo ha così a lungo raccontato in modo personale e inconfondibile. Mentre esortiamo l'amministrazione comunale a muoversi in tal senso (considerato che ha il potere giuridico di accorciare i tempi previsti dalla legge, e lo ha già usato per titolare vie ad altri palermitani illustri), non dimentichiamo che esistono altri aspetti legati alla memoria di Salvatore Rizzuto Adelfio. Aspetti che sono a rischio, in una città dalla memoria troppo corta.




Non ci giro intorno. Non ho nulla di personale contro i dipendenti dell'azienda Alastor che nel 2013, dopo la scomparsa di Salvatore, ha aperto un proprio punto vendita, con una nuova licenza di libreria, nei locali in affitto dove un tempo la nostra famiglia esercitava la sua attività. Ripeto, non ho nulla contro i dipendenti dell'azienda Alastor che dall'autunno del 2013 ha smerciato fumetti in corso Vittorio Emanuele 143 (locale che è rimasto a lungo privo di un'insegna che la identificasse come una ragione sociale differente). Trovo soltanto molto triste che quel luogo, dal quale l'insegna posta da Salvatore è stata rimossa e restaurata (Altroquando è un logo regolarmente registrato alla Camera di Commercio di Palermo e i diritti sono detenuti dall'associazione omonima) non sia stato chiamato da una parte della clientela con il suo effettivo nome, seguitando a definire "Altroquando" qualcosa che quel luogo non era più, così come non sarà mai Altroquando l'attività che a noi era subentrata nella vendita di fumetti a Palermo. 

Sì, perché quell'attività ha un nome diverso: quello stampato sui sacchetti che dà in omaggio, quello con cui gli impiegati rispondono al telefono. Quello che è effettivamente il nome dell'azienda Alastor, cui sto regalando in questa sede una gratuita pubblicità. E' triste e ingeneroso che ancora oggi, qualcuno si riferisca a una realtà totalmente svincolata da un pezzo di storia cittadina con il nome che identifica il lavoro e la testimonianza politica e culturale di Salvatore Rizzuto Adelfio. E' triste che ancora oggi qualcuno, distrattamente, mi contatti sulla pagina dell'associazione rivolgendosi a me con il nome di chi lavora presso la rivendita Alastor.

E' vero. Altroquando di Salvatore Rizzuto Adelfio iniziò come fumetteria, e con questo cercava, nonostante le progressive difficoltà e i malfunzionamenti del settore, di pagare le bollette. Ma quel nome, con Salvatore al timone, rappresentò negli anni tante altre cose.




Diffusione di varie espressioni di cultura underground
Manifestazioni antiproibizioniste
Lotta, testimonianza e divulgazione per i diritti delle persone LGBT
Centro di ascolto per persone LGBT
Promozione della piccola editoria
Collaborazioni costanti con realtà politiche progressiste, tra le tante, le sinergie con quella che è stata l'esperienza storica cittadina dello Zetalab
Organizzazione di mostre di artisti emergenti o completamente sommersi
Autoproduzioni editoriali
Promozione di autori indipendenti che un giorno sarebbero diventati popolari
Proposta e vendita di etichette musicali indipendenti e schierate
Contributo alla nascita di più associazioni politiche e culturali cittadine
Appoggio a collettivi satirici e opposizione alla censura (si ricordi l'episodio del 2010, contestuale alla visita a Palermo di Benedetto XVI, che Salvatore riuscì a filmare e che certa stampa paragonò all'esperienza di Radio Alice)





La lista potrebbe continuare. Ma dovrebbe essere evidente che Altroquando di Salvatore Rizzuto Adelfio non era una libreria come tutte le altre, e questo forse minò le sue fondamenta dal punto di vista economico segnandone il destino nei lunghi termini, ma anche caratterizzandola in modo molto forte. Lasciare svanire il ricordo di questa esperienza renderebbe vana anche la richiesta di intitolare alla memoria di Salvatore il lungomare di Sant'Erasmo. No, Palermo deve ricordare. E continuare, per pigrizia o consuetudine, a chiamare “Altroquando”, ovunque si trovi, il punto vendita di una catena di distribuzione con un background totalmente diverso, non aiuta. E' (si tratta solo di una facile metafora) come cercare un disco di Tiziano Ferro chiamandolo con il nome di Francesco Guccini, con tutto il rispetto per Ferro e i suoi estimatori (ma parliamo di personaggi, percorsi e generi musicali del tutto differenti).




Questo equivoco, questa sovrapposizione di un'identità storica con una realtà puramente (e legittimamente) commerciale che per qualche anno ha abitato le vecchie mura, deve finire. Lo dobbiamo alla memoria di Salvatore Rizzuto Adelfio, o riuscire a intitolargli il lungomare di Palermo (se mai l'otterremo) servirà a poco. Per questo chiedo gentilmente a tutti coloro che hanno conosciuto e rispettato Salvatore, agli ex colleghi operatori di fumetteria, ai fumettisti con cui è stato amichevole e che ha spinto quando la loro strada era ancora in salita, a chi continua ad acquistare fumetti presso un rivenditore che non è Altroquando né ha interesse a rivendicarne la storia, a condividere queste informazioni di base. Dal 2013 Altroquando non è più in corso Vittorio Emanuele. Altroquando, se ci credete, si sforza di esistere in altra forma, o – se non volete crederci – ha concluso la sua esperienza di vita con la scomparsa di Salvatore Rizzuto Adelfio.



Per favore, chiamate ALASTOR il negozio che per tre anni ha venduto fumetti a Palermo in via Vittorio Emanuele 143. Loro stessi si presentano così, perché questo è il nome della loro azienda con sede centrale a Napoli. Se la memoria è importante, se dare un nome a una strada spetta alle istituzioni, possiamo comunque tributare onore al merito chiamando semplicemente cose e persone con i loro veri nomi. E risparmiare costanti, amari qui pro quo a chi si sforza di conservare e coltivare questa memoria.

Ditelo. Ricordatelo. Rettificatelo. Io non ho intenzione di fermarmi. A Palermo, Altroquando è solo quello di Salvatore. 

O nessuno.




Hastag: #alastornonaltroquando

venerdì 28 ottobre 2016

"Perché non li ospiti a casa tua?"



«Perché non li ospiti a casa tua?»

Questa la battuta-provocazione più gettonata da chi (spesso dando dell'ipocrita ad altri di diverso orientamento politico) esprime atteggiamenti xenofobi o dà il nome di "buon senso" (quello presunto di chi non ha mosso un dito per informarsi seriamente) con il razzismo più radicato. Ma torniamo alla domanda che pretende di mettere l'interlocutore con le spalle al muro: «Perché non li ospiti a casa tua?»

Be', diciamo che con alcuni (ne ho conosciuti e sono stato tra loro) questa domanda casca non male, malissimo. Perché esistono persone, gruppi, centri sociali, che da soli o in comunità, hanno effettivamente accolto migranti caricandosi un onere che spetterebbe allo stato. Parlo di periodi anche precedenti all'attuale emergenza profughi. Parlo di gesti di solidarietà spontanea, magari idealista, magari imperfetta nella gestione del problema, che hanno l'effetto di un cerotto su una frattura. Ma che rimane comunque una scelta ben diversa dal rifiuto, e dall'arroganza di chiedere, dando per scontato che nessuno lo faccia: «Perché non li ospiti a casa tua?»

Questa domanda, questa frase, questa... "roba" che tanti sembrano adorare rigirarsi sulla lingua, assomiglia tanto (davvero tanto) a un chewing-gum masticato da altri, poi passato di bocca, rimasticato, sputato e quindi ripreso in bocca da altri ancora, per rimasticarlo, continuare la catena e presentarlo a un altro malcapitato come se fosse un pasticcino goloso cui non si può dire di no. 

Questo è la frase «Perché non li ospiti a casa tua?» 

Quindi, solidarietà a Vauro e a tutti coloro che, in questi giorni, sui social o di presenza, tanno subendo l'insulto di questa stolida cantilena. 

Altroquando



giovedì 27 ottobre 2016

Io e la folla: una riflessione (molto pedante) su The Walking Dead



Torniamo a parlare un momento di The Walking Dead.
Tranquilli. Nessuno spoiler di nessun genere. Solo una riflessione, dopo tredici anni di serie a fumetti e sei stagioni della versione televisiva (di cui è appena iniziata la settima).
Qui non faremo nessuna distinzione tra l'originale cartaceo e la versione in live action, ma una considerazione generale, emersa spontaneamente durante (questo sì) la visione dei più recenti episodi della serie TV.

Con The Walking Dead, l'autore Robert Kirkman ha portato nella serialità lo zombi romeriano. Lo “zombi famelico” diciamo. Quello che non nasce da un sortilegio Vudù, in qualità di automa di carne al servizio di uno stregone. Bensì gli zombi del mito cinematografico moderno, quelli antropofaghi (visto che, come è spiegato in Dawn of the Dead di George A. Romero “non sono cannibali, i cannibali mangiano i loro simili. Loro mangiano noi”).


Sfondiamo una porta già aperta se non del tutto scardinata. I film di Romero, per quanto la saga si sia protratta per più film, sono da considerare parabole politiche concluse nello spazio di ogni singola pellicola. Insomma, non sono gravate dal peso di una reale continuità. E anche se volessimo essere fiscali e vedercela ugualmente, non importerebbe, perché ogni film ha un suo meccanismo compiuto al suo interno. Non è così per The Walking Dead (fumetto e serie TV) dove l'idea basica concepita da Romero è adattata per viaggiare sui binari di un prodotto seriale a lungo termine. Diciamo pure che, nella saga di Kirkman, gli zombi, ben presto, si trasformano in un rumore di fondo, una scenografia, un contesto. Non sono protagonisti, sono un pretesto per seguire la storia di sopravvivenza di un pugno di esseri umani in un mondo imbarbarito e senza più regole a causa dell'epidemia. Non a caso (frase citata fino alla nausea) George Romero stesso ha definito The Walking Dead una soap opera in cui ogni tanto appaiono gli zombi.

Volendo, The Walking Dead, come dinamiche, non è troppo distante dal classico “I sopravvissuti”, storica serial  della televisione britannica che raccontava proprio le vicende di un gruppo di superstiti a un'epidemia globale che aveva ridotto ai minimi termini la razza umana facendo collassare ogni ordine sociale. In quel caso non c'erano vaganti affamati di carne viva, i morti non si rialzavano. Chi era morto restava morto, e il grosso guaio era solo l'inselvatichimento della razza umana residua, divisa tra chi sceglieva una pacifica ricostruzione e chi aveva intrapreso la strada della prevaricazione (vi ricorda nulla?).

Pensandoci bene, il punto debole potrebbe essere un altro, e la serializzazione rivelarsi un autogoal logico per la saga immaginata da Robert Kirkman.

Quanti anni sono passati (nel fumetto e nella serie) dall'inizio dell'apocalisse zombesca? Anche a voler condensare molto gli eventi, un po' di tempo è trascorso. E allora? Da dove continuano ad arrivare queste mandrie infinite di vaganti? C'è anche da chiedersi quanto sia verosimile che, presso le comunità più organizzate di sopravvissuti non si sia riusciti a edificare strutture difensive adeguate (puntualmente, i vaganti a un certo punto buttano giù tutto e mangiano tutti senza troppa difficoltà, solo con la pressione del numero). Perché non vengono pianificati metodi di regolare bonifica del territorio, volti a eliminarli in massa (in situazioni estreme anche usando esplosivi o il fuoco o mille possibili trappole)? Ma soprattutto, perché non si estinguono? Una volta compreso il meccanismo di trasformazione, i morti sono colpiti al cervello affinché non si trasformino. Eppure, là fuori, continuano a esistere folle di zombi che arrivano da ogni parte. Ok, prendiamo per buono che la loro putrefazione è molto lenta, anzi arriva a un certo punto e si arresta. Cosa che gli permette di non sciogliersi in poltiglia dopo qualche settimana. Ma le mosche, gli insetti, i vermi, non se li mangiano? La natura è piena di creaturine rosicchiacadaveri contro le quali gli zombi non avrebbero nessuna difesa. E non cominciamo a dire che ne arrivano sempre di nuovi dal mare. Magari da oltre oceano, camminando sul fondo. Perché le correnti e i gorghi renderebbero impossibile un tale esodo di massa, e un fracco di pesci predatori ne farebbero polpette. Invece no, esiste un'orda anonima di zombi che si trova lì, inesauribile, solo perché funzionale alla storia. Ma razionalmente non potrebbero restare così numerosi con il trascorrere del tempo. Dopo qualche anno, specialmente. Il loro numero dovrebbe essere sensibilmente diminuito, e non presentare più mandrie come quelle che vediamo di frequente nella serie TV o nel fumetto.


La serializzazione del tema richiede dunque una cospicua sospensione dell'incredulità. Così come la richiede pensare che un cadavere putrefatto (spesso in stato avanzato) abbia ancora denti abbastanza sani da mordere senza che gli caschi la mascella, riducendo il tentato morso solo a uno shock da schifo totale, un disgustoso massaggio gengivale.

Se applicare le regole della fisica ai supereroi annienta le loro ragioni d'essere alla base, così l'andamento naturale delle cose dovrebbe quantomeno ridurre drasticamente il numero dei vaganti, minando alle fondamenta l'intera saga.

Ovviamente, stiamo solo scherzando. E' tutto un gioco, e dobbiamo accettarlo per quello che è.


Dissociarsi da Goro e il concetto di vera ignoranza



Pubblico, copiando e incollando da Facebook, questo appello politico dell'attivista, e amico, Pietro Milazzo, in modo da dargli, nel mio piccolo, ulteriore diffusione.

Credo sia GIUSTO e DOVEROSO,
far partire una CAMPAGNA di PROTESTA DURA e di RIPROVAZIONE individuale e collettiva, per quanto e' accaduto presso GORO e GORINO (Ferrara).
E' giusto contestare e far vergognare questa comunità... per trasformare questo in un atto simbolico e culturale, per dare un esempio di SANZIONE e RIPROVAZIONE MORALE che sia un deterrente per analoghe porcate.
Si può partire inondando il fax e l'email del COMUNE con un semplice testo che dica: VERGOGNA .
Questi i dati:
Riferirsi a:Comune di Goro - Piazza Dante Alighieri, 19 - 44020 Goro (FE)
Tel:0533.792911 - Fax:0533.995179 - PEC:comune.goro@cert.comune.goro.fe.it - C.F.:82000830388
A commento, cos'altro potremmo aggiungere? 

C'è stata la discussa vignetta di Vauro, su Goro "non abbastanza chiusa". C'è questa iniziativa che parte da Palermo (ma che non è rivolta certo ai soli palermitani). C'è bisogno di dire no. Un "no" ancora più forte di quello che è stato detto, dai protagonisti di questo pessimo episodio di inciviltà italiana. Se servissero informazioni sull'accaduto e sulla sua illegittimità, rimando al video (sempre puntuale e arguto) di Breaking Italy, inserito in fondo a questo post.

E' giusto mettere in atto una protesta simbolica (una mail, un fax) che rifiutino non solo il razzismo, ma anche un'ignoranza compiaciuta. Anzi, fin troppo autoindulgente, sia da chi ne è portatore che da chi tende a motivare(e, magari in buona fede, a minimizzare) determinati comportamenti in quanto "'ignoranti".
Un'osservazione che vuole essere solo spunto di riflessione. Alcuni insegnanti di religione cattolica, alcuni sacerdoti e teologi, ci dicono che noi (riferito a un "noi cattolici") avremmo fatto le Crociate "in buona fede". Mi sono sempre chiesto: chi era in buona fede in quell'occasione? Forse la soldataglia. Forse. Gli interessi che realmente motivavano quella guerra santa (perché di questo si trattava) sicuramente no.
Un po' come minimizzare le azioni di un bullo a scuola, giacché "sono ragazzi". Il punto non è sottolineare l'ovvio, ma chiedersi come educarli, questi ragazzi.

Attenzione, allora, quando usiamo la parola "ignoranza" come forma di giustificazione o anche solo forma di "comprensione" nei confronti di chi ha atteggiamenti razzisti o omofobi. La parola ignoranza è polivalente ed è un termine che sfugge come acqua tra le dita. Perché in un certo senso, siamo TUTTI ignoranti in qualcosa. Nessuno può essere preparato in tutto. Per tutti noi esisterà sempre un argomento sul quale non siamo debitamente informati, preparati.
Nello stesso modo, non tutti pretendiamo di parlare, fare scelte, giudicare, prendere posizione in merito a cose che non conosciamo. Là non si tratta più di ignoranza. Si dovrebbero cercare altre parole. 

Parole. Al plurale. E sono tante. Non sempre facili da scegliere.

Semplificando molto, esistono persone consapevoli della propria ignoranza e volenterose di informarsi. Altre che agiscono senza preoccuparsene troppo, magari gonfiando il petto e facendo selfie festosi per la battaglia vinta.


L'ignoranza è il minore dei mali.
Altroquando

mercoledì 26 ottobre 2016

The Walking Dead: Negan... e le dinamiche di una serie TV (No Spoiler)


I cosiddetti cliffhanger sono una tradizione consolidata nei serial televisivi. A proposito di The Walking Dead, quello che aveva lasciato in sospeso il pubblico nel finale della sesta stagione, era particolarmente macabro. L'episodio si concludeva con un'efferata uccisione fuori scena (o almeno parzialmente in scena), celando l'identità della vittima. In sostanza, quel che è stato dato in pasto al pubblico del serial è stato un prolungato gioco di totomorte (durato mesi). Chi è il personaggio del cast che ci ha lasciato (ci sta lasciando, ci lascerà) tra la fine della sesta e l'inizio della settima stagione? Si è arrivati al paradosso di contare gli alberi sullo sfondo e confrontare i fotogrammi nel tentativo di identificare la posizione della vittima.


Non un vero e proprio twist, quindi. Piuttosto un crescendo di suspance che (pensa un po') ha parecchi precedenti nell'ambito delle soap opera. Molti anni fa, in Guiding Light (in Italia, Sentieri) una volta avevamo visto una petroliera piena di personaggi amatissimi esplodere senza sapere chi fosse riuscito a mettersi in salvo e chi no. Eppure la regia aveva, con un montaggio allusivo, suggerito chiaramente che uno dei protagonisti non ce l'avrebbe fatta. L'episodio successivo mostrava l'arrivo in ospedale di qualcuno che restava celato al pubblico, ma che il medico di turno riceveva con un'espressione angosciata, dimostrando di conoscerlo bene. Il resto della puntata procedeva lentamente, mostrando poco per volta i personaggi superstiti tornare a chi li amava. Poco per volta, appunto. Fino alla rivelazione finale, per esclusione. Il colpo più basso. Qualcosa che per i fan della soap più longeva della storia della televisione (e della radio) fu un vero trauma.

L'inizio della settima stagione di The Walking Dead ricicla questa stessa dinamica. Adattata al format e ai suoi tempi, ovviamente. Non c'è nulla di male o di cui meravigliarsi. George Romero stesso ha definito The Walking Dead "una soap opera dove ogni tanto compaiono degli zombi". E' vero. Come è vero che esiste un pubblico a cui le soap opera piacciono (in modo del tutto legittimo) e che anche quelle possono essere di qualità scadente o discreta.

In The Walking Dead, però, si gioca sporco. E si trolla. Di brutto.


Il vero twist è questo. Giocare con le aspettative del pubblico. Influenzarle. Instillare un dubbio. Dare una certezza. O far credere di averla data. E poi sconvolgere tutto. In modo gattopardesco, direi. Ma adesso sto dicendo troppo, e mi sono ripromesso di non fare spoiler.

E' chiaro che The Walking Dead, con questa premiere, sta cercando di rilanciarsi e riconquistare parte del pubblico perso per noia negli ultimi tempi. Negan (interpretato da un Jeffrey Dean Morgan, il Comico del Watchmen cinematografico, perfettamente in parte) è un villain fuori dal tempo. Un boss mafioso che utilizza metodi medievali, e certe perversioni (soprattutto psicologiche) sono da ricondurre, a mio parere, al clima sanguinoso e crudele che ha fatto la fortuna di Game of Thrones.

E' questo il futuro dello show? Una cupezza che mira a minare ogni certezza dello spettatore, provocandolo con gesti di malvagità estrema presi in prestito da un'altra dimensione narrativa? Anche qui non ci sarebbe niente di male. L'intrattenimento, in questo primo episodio, c'è stato. Come ci saranno le inevitabili critiche. Rimane il fatto che The Walking Dead, la serie televisiva (il fumetto segue un cammino tutto suo... forse!) continua a fare discutere e a suscitare attese. Per la ABC, che produce lo show, questo non è sicuramente poco.

Ce ne freghiamo?


Diario del Capitano. Data bestiale 26 Ottobre 2016

Quelli che ti dicono: “Ma fregatene”, dicono una stupidaggine (in buona fede, ovviamente). Perché se uno potesse fregarsene, lo farebbe e basta. Nessuno è così masochista da stare male quando gli capita qualcosa di seccante, così per capriccio. Ma non può fregarsene, perché per indole è incapace di farlo, e ne soffre. Semplicemente questo.”

Queste parole (che io ho riassunto e ingentilito) sono state pronunziate da Karim Musa, in arte Yotobi, in una chat live di qualche mese fa. Nel suo caso, si riferiva a dinamiche negative che riguardavano la sua attività di comico su Youtube. In quel momento stava parlando seriamente, ma si è espresso con quella limpidezza tagliente che è propria dei cabarettisti scafati. Ha comunque detto qualcosa che pensavo da tempo, senza riuscire a trovare la forma più concisa. Anzi, qualche volta avrò pure provato a esprimermi al riguardo, ma senza la stessa puntuale sintesi, che spezza definitivamente le lance del discorso.
George Orwell, in "1984" afferma che "I libri migliori sono quelli che ci dicono cose che già sappiamo". Nel senso che dà una sensazione piacevole, leggere in forma chiara un pensiero che ci si agita dentro, ma che non siamo ancora stati in grado di formalizzare. Sono sicuro di aver scritto altre volte che quando ti dicono, alla siciliana “futtitinni” (“fregatene”), in realtà stanno dicendo “Guarda, non me ne fotte niente dei tuoi problemi. Se te ne fotti anche tu, è pure meglio”. Insomma, è un modo per liquidare un discorso giocando la carta del luogo comune più gettonato. E va bene così. Nessuno è tenuto a sorbirsi i tuoi problemi. Almeno finché non si tratta di gente che ti ha chiesto notizie sulla tua vita e quella di altri, informazioni che vanno a riaprire vecchie ferite, e dopo averti fatto parlare per dieci minuti buoni, ti danno il ben servito con il canonico “fregatene – futtitinni” (ti dirò, io magari stavo pensando ad altro finché non mi ci hai fatto pensare tu. E ora hai pure la faccia di bronzo di dirmi “fregatene”?).

Per questo aborro tale formula. E non la uso mai. Perché potrà anche essere usata in buona fede, ma non è d'aiuto. E non è un segnale positivo. E' un'esortazione che lascia trasparire superficialità, e l'insofferenza di chi la proferisce davanti al disagio altrui. Forse anche mancanza di empatia. Magari pure del minimo sindacale di diplomazia, perché ci sono cose di fronte alle quali sarebbe preferibile stare in silenzio, e al limite scuotere la testa o lasciar parlare gli occhi. E' meglio persino l'allontanarsi in punta di piedi. Se ne sei capace, ovviamente.

Purtroppo il mondo non è bello, ma è sicuramente vario. E (altra cosa che dico spesso) questo non è certo il suo aspetto peggiore. L'assenza di empatia, invece, è una cosa che mi disturba parecchio, e può mostrare gradazioni diverse e pericolose. Vedo troppo egocentrismo, troppi maestri di vita improvvisati. Ne ho conosciuti tanti. Troppi, appunto. Persone incapaci di fermarsi davanti a una resistenza, un rifiuto, la scelta del prossimo di comportarsi diversamente da quanto hanno suggerito. Mi danno l'idea di automi. Nell'accezione peggiore del termine. Creature meccaniche incapaci di comportamenti non previsti dal loro software di fabbrica. Se qualcosa non va secondo la loro programmazione, iniziano a dare messaggio di errore. Non capiscono. Si irritano. Oppure ironizzano. E spesso ti giudicano. A volte hanno dei comportamenti talmente incomprensibili da farti sentire alieno. Perché a loro modo vivono meglio di te. Soffrono meno di te. Possono ferirti mentre tu non puoi.

Potresti fregartene.
Ma questo solo ne sei capace, ovviamente.