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venerdì 28 ottobre 2016

"Perché non li ospiti a casa tua?"



«Perché non li ospiti a casa tua?»

Questa la battuta-provocazione più gettonata da chi (spesso dando dell'ipocrita ad altri di diverso orientamento politico) esprime atteggiamenti xenofobi o dà il nome di "buon senso" (quello presunto di chi non ha mosso un dito per informarsi seriamente) con il razzismo più radicato. Ma torniamo alla domanda che pretende di mettere l'interlocutore con le spalle al muro: «Perché non li ospiti a casa tua?»

Be', diciamo che con alcuni (ne ho conosciuti e sono stato tra loro) questa domanda casca non male, malissimo. Perché esistono persone, gruppi, centri sociali, che da soli o in comunità, hanno effettivamente accolto migranti caricandosi un onere che spetterebbe allo stato. Parlo di periodi anche precedenti all'attuale emergenza profughi. Parlo di gesti di solidarietà spontanea, magari idealista, magari imperfetta nella gestione del problema, che hanno l'effetto di un cerotto su una frattura. Ma che rimane comunque una scelta ben diversa dal rifiuto, e dall'arroganza di chiedere, dando per scontato che nessuno lo faccia: «Perché non li ospiti a casa tua?»

Questa domanda, questa frase, questa... "roba" che tanti sembrano adorare rigirarsi sulla lingua, assomiglia tanto (davvero tanto) a un chewing-gum masticato da altri, poi passato di bocca, rimasticato, sputato e quindi ripreso in bocca da altri ancora, per rimasticarlo, continuare la catena e presentarlo a un altro malcapitato come se fosse un pasticcino goloso cui non si può dire di no. 

Questo è la frase «Perché non li ospiti a casa tua?» 

Quindi, solidarietà a Vauro e a tutti coloro che, in questi giorni, sui social o di presenza, tanno subendo l'insulto di questa stolida cantilena. 

Altroquando



venerdì 4 settembre 2015

In nome della foto



Diario del Capitano. Data bestiale 4 Settembre 2015...

Non entrerò in merito alla polemica (comprensibile, ma anche fuorviante) sulla condivisione sui social network delle foto di bambini morti (o immigrati adulti). Tutto sembra cortocircuitare in un match tra il partito del "dobbiamo osservare il pasto nudo, vedere e capire cosa mangiamo ogni giorno" e quello del "rifiuto alla pornografia della violenza". Cortocircuito, appunto. In queste ore sto riflettendo. Di norma, i nostri contatti sono persone con cui condividiamo un minimo sindacale di visioni del mondo. E' difficile (almeno credo sia la norma) avere tra gli "amici" di Facebook qualcuno che è totalmente agli antipodi con te, politicamente, eticamente, e così via. E se pure succede, per caso, non dura a lungo. Bene. Prendiamo due dei miei amici a caso. Non amici di Facebook lontani e mai incontrati dal vivo, gente che conosco direttamente e di cui conosco la buona fede. Sono entrambi antirazzisti, hanno entrambi avversione per gli atteggiamenti xenofobi e sono tutti e due seriamente addolorati dalle notizie e dalle immagini che ci bombardano in questi giorni.

Perché dico questo?


Perché OGGI li vedo militare su due "piccoli fronti" opposti pur condividendo la stessa visione sociopolitica. Quello che mi balza agli occhi è la futile discordia tra "foto sì e foto no". Una spaccatura che a volte sfiora l'insulto e la rissa. Quello che non mi dà pace è questa battaglia, neppure tanto sotterranea, tra queste due sponde che appartengono alla stessa fazione. Gli argomenti accomunano, le modalità dividono. E la parola "ipocrita" rimbalza da una parte all'altra come la pallina in una partita di ping pong. Ed è irritante quanto ascoltare i commenti xenofobi.


Perché tutto questo?


Ma soprattutto: è davvero casuale?
E' questo il social network? Un'arma di distrazione di massa? Un generatore di divisioni insensate?
Facciamo tutto da soli o qualcosa, qualcuno detta la nostra agenda?
Oggi ho questa domanda in testa.

sabato 27 giugno 2015

Tre soldi... e una cartina tornasole



Palermo. Niente di nuovo (sostanzialmente) su questo fronte. Solo qualche foglia di fico (e ficus) in meno.

Che nell'ambito dei posteggiatori abusivi, gli operatori del settore siano diventati (quasi) tutti di colore, è un dato statistico che si era notato ed è già oggetto di discussione. La cosa però va oltre la categoria posteggiatori (e qui scopro l'acqua calda). Un tempo, a Palermo, chi ti chiedeva l'elemosina era prevalentemente (se non sempre) un autoctono. Adesso sono quasi esclusivamente neri (e siamo a un passo dal togliere il quasi). La domanda inquietante è: che fine ha fatto la legione di mendicanti locali che mi ha tenuto compagnia per gran parte della vita? 

Che dietro alla questua in città ci fosse sempre stato un racket alla Mr. Peachum (giusto per buttarla in poesia, citando Bertolt Brecht) era un mistero solo per i più ingenui. Ma oggi, un velo è caduto. Non è più possibile nascondere il meccanismo evolutivo di questo bussiness, e il fenomeno è diventato drammaticamente evidente. In un modo che ha del grottesco.


Se prima potevamo non pensarci, oggi non è più così. Qui arriva la battuta politicamente scorretta. Il colore della pelle (cambiato) dei mendicanti attuali, è come una cartina di tornasole che denuncia la presenza della componente acida nel composto chimico. E cioè che questa povera gente (immigrata) è molto più vulnerabile, manipolabile, sfruttabile, da parte della criminalità organizzata locale (e meno male che in tanti hanno paura di chi arriva dall'esterno). E il loro utilizzo pratico come manovalanza sul territorio mi ricorda (oltre a spezzarmi il cuore due volte, perché essendo in ristrettezze economiche gravi, non posso aiutare nessuno come vorrei) che se pure dono qualcosa, lo dono alla cassa di un'organizzazione criminale, del quale il soggetto che ho di fronte non vedrà quasi nulla. L'allarme migranti è come un incantesimo che sta lasciando senza veli tutte le miserie del nostro paese e del nostro quotidiano. Del nostro sentire e della nostra cordardia. Quando scegliamo quale anello (debole) della catena usare come caprio espiatorio per le nostre frustrazioni.


sabato 15 novembre 2014

Sulla stessa barca


Sulla stessa barca è una mostra collettiva itinerante nata allo scopo di raccogliere fondi per l'emergenza immigrati a Lampedusa. A organizzarla sono state numerose realtà associative tra cui Fumettomania Factory, Palermo Fumetto, la Scuola del Fumetto di Palermo, Libera e altri ancora.


Numerosi disegnatori italiani hanno contribuito con una tavola per sostenere questa mostra itinerante (la tappa precedente è stata Macerata) cui si accompagna un'asta benefica a favore degli immigrati minorenni giunti senza genitori a Lampedusa. Ogni opera, con un suo stile, illustra il dramma dell'immigrazione, le fasi del naufragio, la solidarietà o il disprezzo, il caos, le lacrime o la speranza, e merita di essere visitata. L'associazione Associazione Culturale Palermo Fumetto, tra le altre, ha portato questa mostra a Palermo inaugurandola ieri, 14 Novembre presso la Ex Real Fonderia alla Cala.
 
 
La mostra è aperta, con orario continuato dalle ore 8 alle ore 19, fino al 23 Novembre, e vale una visita. Non solo per l'impegno profuso da organizzatori e artisti, ma per l'argomento forte che tratta e il media (quello fumettistico) ancora oggi snobbato da molti sebbene usato sempre più spesso per veicolare temi importanti. Molte opere presentano una doppia chiave di lettura, segno cruciale della profonda complessità del problema. Ma anche ennesima dimostrazione di come una rappresentazione per immagini possa esprimere più di cento parole.