L'inizio
della seconda stagione conferma tutte le premesse di "Legion".
E cioè che ci troviamo davanti a un titolo di origine Marvel
decisamente atipico per approccio ed estetica al modo di raccontare i
supereroi (o a essere fiscali, i mutanti). Collocato fuori dal canone
cinematografico degli X-Men (ma neppure tanto, perché alcuni
riferimenti sarebbero perfettamente in linea, ma sono soltanto
mantenuti ai margini del non detto), "Legion" è una serie
TV che meriterebbe un'attenzione maggiore e che dimostra il vero
potenziale che il genere supereroistico avrebbe se solo si mollassero
gli ormeggi dell'intrattenimento più collaudato.
L'annuncio del film
sui "Nuovi Mutanti" suggerisce una chiave di lettura horror
del mito fumettistico, ma la verità è che questa strada è già
stata aperta da "Legion". Il tema della psicosi e della
schizofrenia fornisce una chiave allucinatoria per parlare di poteri
strani, di complotti labirintici e per portare in scena personaggi
visivamente bizzarri, senza chiarire mai del tutto se quello cui
assistiamo ha una valenza metaforica, se è reale o frutto di uno dei
deliri della personalità frammentata del protagonista. Su tutto
aleggia inoltre l'ombra di David Lynch (ma anche di Jodorowsky),
premendo il pedale della surrealtà e del viaggio psichedelico più
che su quello del superomismo. La memoria torna alla serie britannica
degli anni 60 "Il Prigioniero", pur con le sue differenze,
per il senso di enigma e di sogno disperato che riusciva a
comunicare. Determinanti, in questo, gli ammiccamenti ai fans più
attenti, con la rivisitazione delle nayadi di Stepford (personaggi
inquietanti creati da Grant Morrison durante la sua run) e il filo
conduttore del Re delle Ombre che getta una luce ambigua su ogni
parte del racconto.
"Legion"
è un prodotto coraggioso, che merita molto pubblico in più, e che
ci auguriamo decolli e continui a crescere.