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mercoledì 29 giugno 2016

Per chi suona il Social?



Ultim'ora: oggi si è spento...

Segue nome di personaggio noto, spesso dello spettacolo. Cinema. TV. Teatro. Musica.
Segue proliferare di post sui social. Principalmente IL social, vale a dire casa Zuckerberg.
Parliamo di post commemorativi.
Ma anche di post denigratori.
Non fa differenza.

Non ho sbagliato a scrivere. Per me, almeno, non fa differenza. Sono due facce della stessa medaglia. Omologazione e bastian contrario. Si esprimono sui social network con la medesima prolificità. L'importante, si direbbe, è esprimersi. Con rammarico o con acidità, non cambia moltissimo. E' un gioco delle parti, uno dei sintomi della scimmia sulla schiena generata dall'uso degli attuali strumenti di socializzazione. E lo dico senza esprimere nessun giudizio che non voglia essere semplicemente clinico.

Mi interessa di più un altro aspetto della questione.

D'accordo, i social dando voce a tutti abbattono i freni inibitori. Ci danno la sensazione di leggere nella testa degli altri, sebbene anche questo sia ingannevole. Le persone sono, per fortuna, più complicate di quel che scrivono sui social. Non necessariamente migliori o peggiori. Solo più complesse. E' sul social che questa eccessiva semplificazione svuota le cose di senso e le rende irritanti. E' il surplus che pesa. Come una fetta di pane spalmato di miele... e sopra quello, lo zucchero. Normale che susciti nausea.

Parliamoci chiaro. Il social è social. Dà voce alle pulsioni più comuni, più “normali” (nel senso di “conformi”). Esprimere quindi cordoglio per la scomparsa di una pop star, di un attore, di un personaggio a suo modo pubblico, è un rituale istintivo di ogni comunità. Le condoglianze si fanno anche ai nemici. Alla morte di qualcuno si seppellisce l'ascia di guerra, sia pure per un giorno, e si fa un passo avanti (o indietro). E se ci pensiamo bene, non è l'aspetto peggiore della cosa. E' (o sarebbe, dovrebbe essere) solo un segno di civiltà.  

Il bastian contrario non presenta alcuna differenza. E' identico alla prefica. Solo ripete una litania diversa. E inevitabilmente diventa altrettanto noioso. Altrettanto stucchevole.

Esiste un'alternativa valida a queste due opzioni? Sì. Il silenzio. Spesso la cosa più dignitosa, educata e opportuna. E proprio per questo sottovalutata e praticata di rado.
Ma dico, parliamo di social. Sui social il silenzio non esiste. Dove esiste il silenzio non c'è social.
E neppure nella realtà oggettiva di una camera ardente c'è un silenzio totale. Ci sono pianti, ci sono ricordi, preghiere per chi ha fede, moti di rabbia. Io ho visto persino scoppiare delle risse.

Ma qui stiamo parlando di social. Di vip defunti e delle diverse tifoserie che si scatenano non appena il fischio del mietitore si è fatto sentire. Vai, che eri tutti noi! Buuuuu! Eri uno stronzo.

La domanda che scaturisce da tutto questo non ha una risposta scontata. Senza puntare il riflettore su un nome in particolare, pensiamoci un attimo. La lista del binomio merito-colpe, soprattutto in ambito artistico, è lunga e dolorosa.
Molto dolorosa.

Louis Ferdinand Celine: narratore di statura smisurata, i cui scritti non fanno mistero di uno spiccato sentimento antisemita.

Herbert Von Karajan: immenso direttore d'orchestra che aderì al partito nazista.

Konrad Lorenz: padre dell'etologia, conoscitore del mondo animale e grande divulgatore. In vita scrisse articoli scientifici a sostegno dell'eugenetica.

Elia Kazan: grande regista teatrale e cinematografico, delatore del maccartismo. Causò la rovina di molti colleghi durante gli anni della caccia alle streghe del senatore McCarthy.

L'elenco è lungo e potrebbe continuare.

A mio avviso non esiste una risposta definitiva. E' umano pensare che la qualità dell'uomo o della donna dovrebbe pesare più di quella dell'artista, ma è altrettanto ragionevole suggerire che conviene non avvicinarsi troppo agli artisti che ci incantano, giacché quella complessità che rende umani, spesso macchia e compromette la percezione stessa di opere che altrimenti ameremmo.
E' umano anche pensare che le opere, il contributo artistico, vada scisso dalle miserie dell'individuo che le ha prodotte. In quanto l'arte vera vive di vita propria, e se regala emozione, conserva comunque il suo valore. Sono entrambi atteggiamenti rispettabili.

Ponendoci queste domande, assistiamo all'eterna pantomima della contraddittorietà umana. Possiamo essere bellissimi di fuori. Ma... sorpresa! Dentro siamo tutti pieni di merda.

Poi ci sono gli aspetti relativi. Gli oggettivi meriti artistici. L'effettiva portata della colpa. E' normale che più grave sia il peccato più difficile sia ignorarlo. Uccidere, fiancheggiare realtà che si sono macchiate di gravi crimini e vantarsene, non è la stessa cosa di avere solo mostrato simpatie politiche in antitesi con la nostra, e così via. Un artista può avere innovato e creato un linguaggio. Un altro può solo averci regalato delle ore spensierate, senza cambiare troppo nel lungo termine.

Non fa differenza. Pioveranno comunque sia fiori che uova marce. Insomma, è il grande gioco della notorietà che continua anche dopo la morte. Se le tue foto finiscono in prima pagina sui quotidiani, devi tenere conto che qualcuno potrebbe conservarle come santini, qualcuno potrebbe masturbarcisi, e qualcuno usarle anche come carta igienica. E morire è un atto ufficiale. Soprattutto se sei popolare. Non ci sei più, ma per un po' ti vedranno dappertutto.

Guardo con tenerezza alle risse sui social che si scatenano alla dipartita di ogni celebrità. Il consueto ping pong di commenti a favore o contro. Dimenticandosi, spesso, che il soggetto della conversazione non c'è più. E' finita, gente. Ha dato. Se vi faceva così tanta antipatia, avreste potuto dirlo anche prima, finché viveva. Forse avrebbe avuto più senso. Solo... forse.

Tornando invece ai coccodrilli (sì, come gli articoli scritti in morte di qualcuno)... possono stancare, d'accordo. Ma sono innocui e volendo del tutto legittimi.

Quel che penso abbia bisogno di un chiarimento è un altro concetto. Ci sono personaggi pubblici che magari non amiamo. Non ci stanno particolarmente simpatici. Oppure ci piacevano da bambini e in seguito abbiamo rettificato le nostre preferenze. Eppure la loro scomparsa ci turba. Perché?

Non diamo niente per scontato. Il poeta inglese (e sì) John Donne, nella sua poesia “No Man Is an Island” lo ha detto meglio di chiunque altro, con il verso che Ernest Hemingway ha scelto per il titolo di uno dei suoi romanzi più celebri.

Nessun uomo è un'isola, completo in se stesso
Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto.
Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare,
l'Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio,
come se venisse a mancare una dimora amica o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo mi diminuisce, perché io sono parte dell'umanità.
E dunque non chiedere mai per chi suona la campana.
Suona per te.

Al di là degli echi grotteschi che oggi (all'indomani del Brexit) ci pare di scorgere tra i versi, la visione (anche mistica, ma non solo) di John Donne esprime uno di quei sentimenti popolari che tanto possono infastidire sui social network: il cordoglio per la morte di un personaggio pubblico.
Perché è vero. Alla lunga stucca. Ma è il social, bellezza. Stucca tutto da quelle parti. Meglio usarlo con parsimonia (e razionalità) se proprio non ti piace (legittimamente) la ghigna che mostra.

E ogni dipartita di un personaggio che può avere più o meno accompagnato la nostra vita, magari la nostra giovinezza, con della musica, delle performance attoriali, a un livello altissimo o raccogliticcio... ci diminuisce. E' per noi stessi, per il nostro tempo perduto che ci commuoviamo. E' ai nostri ricordi che tributiamo un pensiero, un post, un'immagine. Il livello, persino gli individui scomparsi, c'entrano fino a un certo punto.

Si parla di noi. E di come eravamo.


Su tutto il resto, è meglio stendere un velo pudico. Come diceva un personaggio nel fim “Shortbus”: «C'è stato un tempo in cui volevo cambiare il mondo. Oggi desidero solo lasciare la stanza con un po' di dignità.»

Un saluto cordiale.

lunedì 29 dicembre 2014

Vime, Altroquando e l'anno che è trascorso...



Dobbiamo proprio fare il punto dell'anno che si sta concludendo? Per forza? Magari qualcuno pensa sia meglio dar per scontato che per tutti sia stato "un anno eccezionale", e propone applicazioni invasive e ottuse. E' il trend del momento su Facebook, la raccolta delle foto (anche quelle più tristi, le più truculenti, le più amare), assemblate in automatico per imporre una visione festiva forzosa, omologante, dall'encefalogramma piatto.

Beh, alle volte qualcosa di simpatico viene fuori lo stesso. Uno stato di Facebook a commento di questa irritante applicazione ha colpito la fantasia del nostro amico Vime, fumettista amatoriale attivo contro l'omofobia con il fumetto satirico Supergay, che sbeffeggia l'italietta arretrata e tuttora fanalino di coda in Europa sul versante dei diritti delle coppie di fatto. Lo stato Facebook del sottoscritto (ridotto e sfrondato da qualche parolaccia di troppo) è diventato quindi il testo di una tavola che ha per protagonista il superpaladino dei diritti LGBT (ma anche occhio critico delle derive culturali italiane). Che dire al riguardo? Grazie per l'attenzione, grazie per il lavoro e per esserci. E per il nuovo anno, tra le altre cose, auguriamoci che Supergay trovi l'editore che sta cercando.






«...ecco come è stato il tuo anno!»
Ma che cavolo vuoi saperne TU, stupido, ottuso, invadente software?! Per quattro foto del menga, molte delle quali sono immagini di estranei, illustrazioni scaricate dalla rete e cazzate varie? Ma si può sapere come ti permetti di fare le pulci all'anno che ho passato? Nel bene come nel male. E' vero che c'è gente che si scatta selfie pure al cesso. E' vero che c'è gente che ormai vive sul social più che per la strada. E' vero che tanti si nutrono della disinformazione bufalica (con indignazioni annesse) più che con i buoni, vecchi quotidiani. Come hai passato il tuo anno significherebbe "lo hai passato tutto su Facebook, coglionazzo!". Più che un invito a festeggiare mi sembra uno sberleffo, un marameo. Un urlo alla Tarzan del social che celebra la sua vittoria su di noi. E forse, in fondo in fondo, tanto lontano non ci va.



venerdì 4 luglio 2014

La limonata che scioglie la lingua


Da bambino, come molti altri della mia generazione, sono stato un avido divoratore di libri di Emilio Salgari. Ebbene sì. Ero un bambino che leggeva. Sarà stato perché la televisione era sempre rotta, e comunque esistevano solo due canali. Comunque leggevo tanto Salgari. E il primo romanzo, il più amato, fu “I misteri della giungla nera”. A quel tempo esistevano le edizioni Malipiero, libri destinati ai ragazzi in edizione integrale, arricchiti da illustrazioni che oggi, nella mia memoria, hanno parecchio di fumettistico. Salgari spesso era diviso in più volumi. Anzi, no, potremmo parlare di vere e proprie puntate. Una scelta editoriale che recuperava in parte la serialità delle edizioni originali, pubblicate a episodi su riviste e quotidiani. I libri della Malipiero presentavano un concetto simile a quello di certi sequel cinematografici di oggi. Un libro terminava con un cliffhanger da cardiopalma, e quello successivo, con un titolo differente, riprendeva il racconto da un'altra prospettiva, svelando poco per volta cosa fosse successo ai protagonisti mentre non li osservavi.

Letto “I misteri della giungla nera” dove l'avventura del cacciatore di serpenti Tremal Naik s'interrompeva di botto lasciandoti pieno di ansia, non ebbi pace finché non misi le mani su “La rivincita di Tremal Naik”, con il quale mi ingozzai in pochi giorni per scoprire l'esito della lotta tra il cacciatore e i temili Thugs adoratori della dea Kalì.

C'era un capitolo, in quel libro, intitolato “La limonata che scioglie la lingua”. Il resoconto di un interrogatorio al protagonista svolto con l'ausilio di una sostanza allucinogena fatta bere a sua insaputa come bevanda dissetante. “youma” la chiamavano (ignoro se Salgari si fosse inventato tutto di sana pianta o se ne avesse qualche reale contezza), e funzionava come una sorta di penthotal. Inebriava, dissolveva i freni inibitori, rendeva allegri e ciarlieri. In poche parole, confessavi qualunque cosa ti passasse per la testa senza neppure accorgertene. E fu così che il cacciatore di serpenti Tremal Naik fu protagonista dell'episodio più degradante della sua carriera di personaggio salgariano. Tutto risate e battute sciocche, mentre spiattellava davanti al nemico il suo vero nome, le sue vere intenzioni, per conto di chi lavorava e che cosa si apprestava a fare. Il tutto gonfiando il petto tra gli accessi di risa, e ripetendo al nemico, il capitano Macpherson, lo stolido tormentone: «Quanto sei stupido, amico... Quanto sei stupido...»

«Hai ragione,» risponde a un certo punto il capitano. «Sono davvero stupido.»


Oggi ripenso a questo libro, e alla “youma” ogni volta che scorro la pagina di Facebook. Ripeto, non so se Salgari l'avesse inventata del tutto, ma la sua intuizione era più che attendibile. Pensa a qualcosa che annienta le inibizioni, prende il narcisismo di un individio e lo fa scoppiare e saltare intorno come pop corn. Mette allegria compulsiva o depressione profonda, spinge a elargire agli interlocutori frasi piene di supponenza, a condividere citazioni (spesso dubbie) che dovrebbero esprimere chissà quali grandi verità. Ma soprattutto racconta tutto quello che sei... tutto quello che sai, ridendo come uno scemo, mentre dai del cretino a tutto e tutti. Oppure baci tutti, non fa molta differenza.

Nessun'altra droga è altrettanto efficace, nessuna ti fornisce così tante informazioni. Nessuna funziona come una macchina della verità... così attendibile e così fuorviante allo stesso tempo. Nessuna ti rende così tronfio e vulnerabile in un solo colpo. E con lo stesso spettacolare senso del grottesco.

La “youma”, la limonata che scioglie la lingua, aveva lo stesso, medesimo effetto di un social network di oggidì.

mercoledì 31 ottobre 2012

I mostri di Facebook


Facebook. Un grande progresso nelle comunicazioni per alcuni, un vizio tecnologico e una distrazione dalla vita reale per altri. Un potente strumento di divulgazione o un'idra a mille teste che si nutre dei nostri dati? Prezioso veicolo per nuove amicizie o per cocenti delusioni? Il dibattito, tutt'altro che vicino a una risposta definita, va avanti. In ogni caso, c'è chi ci scherza su. E chi lo ha fatto (ignoriamo la fonte, o l'avremmo riportata con piacere) ideando dei memi: una serie di immagini parlanti che definiscono in modo ironico (ma tagliente e verosimile) molte tipologia di comportamento sul social network più popolare del momento. Potremmo definirli mostri informatici, personaggi grotteschi generati dalla rete e dalle sue tentazioni, spesso in grado di amplificare le debolezze come i narcisismi di persone altrimenti normalissime, a prescindere dalla reale qualità degli individui che si trovano dall'altra parte del computer. Vi presentiamo questi quadretti satirici dopo averli liberamente tradotti in italiano (la fonte è anglofona) e averne (ebbene sì) aggiunto qualcuno di inedito (gli infomostri sono prolifici, e soprattutto sui social network hanno frequenti upgrade). Per quanto riguarda la traduzione: alcuni giochi di parole e riferimenti hanno richiesto una modifica per risultare comprensibili, ma ci siamo sforzati di conservarne lo spirito umoristico. Tanti tra noi, almeno una volta, affacciandosi su Facebook si sono trasformati in una di queste caricature. Ridiamone per un momento. Giusto per rammentare che la comunicazione immediata di un social network è potenzialmente una cosa utile, mentre il senso del limite, l'educazione e il rispetto degli altri, sono gli unici elementi che meriteranno sempre di essere conservati ovunque andremo. I soli a poter impedire la nostra graduale trasformazione in patetici pagliacci, su Facebook come per la strada.


















venerdì 9 dicembre 2011

Facebook, i nudi e la censura


L'omofobia di Facebook... o almeno l'ottusità con cui asseconda (probabilmente) ogni cretino che segnala qualcosa che dà fastidio alla sua prurigine, non è una novità. Personalmente ho già perso il conto di quante volte mi hanno cancellato foto e ammonito. Una volta, persino per un castissimo bacio gay. Oggi è toccato alla foto di David Goldenberg, grande fotografo britannico molto attivo nel panorama a tema lgbt, presentata in questo post. Immagine tra l'altro elegante e misurata. La stessa cosa non avviene per foto di nudi femminili spesso non altrettanto castigati. La discriminazione posta in atto da questo social network è sempre più evidente. Ben più irritante dello scandalo bigotto e omofobo di qualche imbecille di passaggio.