Ultim'ora: oggi si è spento...
Segue nome di personaggio noto, spesso
dello spettacolo. Cinema. TV. Teatro. Musica.
Segue proliferare di post sui social.
Principalmente IL social, vale a dire casa Zuckerberg.
Parliamo di post commemorativi.
Ma anche di post denigratori.
Non fa differenza.
Non ho sbagliato a scrivere. Per me,
almeno, non fa differenza. Sono due facce della stessa medaglia.
Omologazione e bastian contrario. Si esprimono sui social network con
la medesima prolificità. L'importante, si direbbe, è esprimersi.
Con rammarico o con acidità, non cambia moltissimo. E' un gioco
delle parti, uno dei sintomi della scimmia sulla schiena generata
dall'uso degli attuali strumenti di socializzazione. E lo dico senza
esprimere nessun giudizio che non voglia essere semplicemente
clinico.
Mi interessa di più un altro aspetto
della questione.
D'accordo, i social dando voce a tutti
abbattono i freni inibitori. Ci danno la sensazione di leggere nella
testa degli altri, sebbene anche questo sia ingannevole. Le persone
sono, per fortuna, più complicate di quel che scrivono sui social.
Non necessariamente migliori o peggiori. Solo più complesse. E' sul
social che questa eccessiva semplificazione svuota le cose di senso e
le rende irritanti. E' il surplus che pesa. Come una fetta di pane
spalmato di miele... e sopra quello, lo zucchero. Normale che
susciti nausea.
Parliamoci chiaro. Il social è social.
Dà voce alle pulsioni più comuni, più “normali” (nel senso di
“conformi”). Esprimere quindi cordoglio per la scomparsa di una
pop star, di un attore, di un personaggio a suo modo pubblico, è un
rituale istintivo di ogni comunità. Le condoglianze si fanno anche
ai nemici. Alla morte di qualcuno si seppellisce l'ascia di guerra,
sia pure per un giorno, e si fa un passo avanti (o indietro). E se ci
pensiamo bene, non è l'aspetto peggiore della cosa. E' (o sarebbe,
dovrebbe essere) solo un segno di civiltà.
Il bastian contrario non presenta
alcuna differenza. E' identico alla prefica. Solo ripete una litania
diversa. E inevitabilmente diventa altrettanto noioso. Altrettanto
stucchevole.
Esiste un'alternativa valida a queste
due opzioni? Sì. Il silenzio. Spesso la cosa più dignitosa, educata
e opportuna. E proprio per questo sottovalutata e praticata di rado.
Ma dico, parliamo di social. Sui social
il silenzio non esiste. Dove esiste il silenzio non c'è social.
E neppure nella realtà oggettiva di
una camera ardente c'è un silenzio totale. Ci sono pianti, ci sono
ricordi, preghiere per chi ha fede, moti di rabbia. Io ho visto
persino scoppiare delle risse.
Ma qui stiamo parlando di social. Di
vip defunti e delle diverse tifoserie che si scatenano non appena il
fischio del mietitore si è fatto sentire. Vai, che eri tutti noi!
Buuuuu! Eri uno stronzo.
La domanda che scaturisce da tutto
questo non ha una risposta scontata. Senza puntare il riflettore su
un nome in particolare, pensiamoci un attimo. La lista del binomio
merito-colpe, soprattutto in ambito artistico, è lunga e dolorosa.
Molto dolorosa.
Louis Ferdinand Celine: narratore di
statura smisurata, i cui scritti non fanno mistero di uno spiccato
sentimento antisemita.
Herbert Von Karajan: immenso direttore
d'orchestra che aderì al partito nazista.
Konrad Lorenz: padre dell'etologia,
conoscitore del mondo animale e grande divulgatore. In vita scrisse
articoli scientifici a sostegno dell'eugenetica.
Elia Kazan: grande regista teatrale e
cinematografico, delatore del maccartismo. Causò la rovina di molti
colleghi durante gli anni della caccia alle streghe del senatore
McCarthy.
L'elenco è lungo e potrebbe
continuare.
A mio avviso non esiste una risposta
definitiva. E' umano pensare che la qualità dell'uomo o della donna
dovrebbe pesare più di quella dell'artista, ma è altrettanto
ragionevole suggerire che conviene non avvicinarsi troppo agli
artisti che ci incantano, giacché quella complessità che rende
umani, spesso macchia e compromette la percezione stessa di opere che
altrimenti ameremmo.
E' umano anche pensare che le opere, il
contributo artistico, vada scisso dalle miserie dell'individuo che
le ha prodotte. In quanto l'arte vera vive di vita propria, e se
regala emozione, conserva comunque il suo valore. Sono entrambi
atteggiamenti rispettabili.
Ponendoci queste domande, assistiamo
all'eterna pantomima della contraddittorietà umana. Possiamo essere
bellissimi di fuori. Ma... sorpresa! Dentro siamo tutti pieni di
merda.
Poi ci sono gli aspetti relativi. Gli
oggettivi meriti artistici. L'effettiva portata della colpa. E'
normale che più grave sia il peccato più difficile sia ignorarlo.
Uccidere, fiancheggiare realtà che si sono macchiate di gravi
crimini e vantarsene, non è la stessa cosa di avere solo mostrato
simpatie politiche in antitesi con la nostra, e così via. Un artista
può avere innovato e creato un linguaggio. Un altro può solo averci
regalato delle ore spensierate, senza cambiare troppo nel lungo
termine.
Non fa differenza. Pioveranno comunque sia fiori che
uova marce. Insomma, è il grande gioco della notorietà che continua
anche dopo la morte. Se le tue foto finiscono in prima pagina sui
quotidiani, devi tenere conto che qualcuno potrebbe conservarle come
santini, qualcuno potrebbe masturbarcisi, e qualcuno usarle anche
come carta igienica. E morire è un atto ufficiale. Soprattutto se
sei popolare. Non ci sei più, ma per un po' ti vedranno dappertutto.
Guardo con tenerezza alle risse sui
social che si scatenano alla dipartita di ogni celebrità. Il
consueto ping pong di commenti a favore o contro. Dimenticandosi,
spesso, che il soggetto della conversazione non c'è più. E' finita,
gente. Ha dato. Se vi faceva così tanta antipatia, avreste potuto
dirlo anche prima, finché viveva. Forse avrebbe avuto più senso.
Solo... forse.
Tornando invece ai coccodrilli (sì,
come gli articoli scritti in morte di qualcuno)... possono stancare,
d'accordo. Ma sono innocui e volendo del tutto legittimi.
Quel che penso abbia bisogno di un
chiarimento è un altro concetto. Ci sono personaggi pubblici che
magari non amiamo. Non ci stanno particolarmente simpatici. Oppure ci
piacevano da bambini e in seguito abbiamo rettificato le nostre
preferenze. Eppure la loro scomparsa ci turba. Perché?
Non diamo niente per scontato. Il poeta
inglese (e sì) John Donne, nella sua poesia “No Man Is an
Island” lo ha detto meglio di chiunque altro, con il verso che
Ernest Hemingway ha scelto per il titolo di uno dei suoi romanzi più
celebri.
Nessun uomo è un'isola, completo in
se stesso
Ogni uomo è un pezzo del
continente, una parte del tutto.
Se anche solo una zolla venisse
lavata via dal mare,
l'Europa ne sarebbe diminuita, come
se le mancasse un promontorio,
come se venisse a mancare una dimora
amica o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo mi
diminuisce, perché io sono parte dell'umanità.
E dunque non chiedere mai per chi
suona la campana.
Suona per te.
Al di là degli echi grotteschi che
oggi (all'indomani del Brexit) ci pare di scorgere tra i versi, la
visione (anche mistica, ma non solo) di John Donne esprime uno di
quei sentimenti popolari che tanto possono infastidire sui social
network: il cordoglio per la morte di un personaggio pubblico.
Perché è vero. Alla lunga stucca. Ma
è il social, bellezza. Stucca tutto da quelle parti. Meglio usarlo
con parsimonia (e razionalità) se proprio non ti piace
(legittimamente) la ghigna che mostra.
E ogni dipartita di un personaggio che
può avere più o meno accompagnato la nostra vita, magari la nostra
giovinezza, con della musica, delle performance attoriali, a un
livello altissimo o raccogliticcio... ci diminuisce. E' per noi
stessi, per il nostro tempo perduto che ci commuoviamo. E' ai nostri
ricordi che tributiamo un pensiero, un post, un'immagine. Il livello,
persino gli individui scomparsi, c'entrano fino a un certo punto.
Si parla di noi. E di come eravamo.
Su tutto il resto, è meglio stendere
un velo pudico. Come diceva un personaggio nel fim “Shortbus”:
«C'è stato un tempo in cui volevo cambiare il mondo. Oggi
desidero solo lasciare la stanza con un po' di dignità.»
Un saluto cordiale.