Da bambino, come molti altri della mia
generazione, sono stato un avido divoratore di libri di Emilio
Salgari. Ebbene sì. Ero un bambino che leggeva. Sarà stato perché
la televisione era sempre rotta, e comunque esistevano solo due
canali. Comunque leggevo tanto Salgari. E il primo romanzo, il più
amato, fu “I misteri della giungla nera”. A quel tempo
esistevano le edizioni Malipiero, libri destinati ai ragazzi in
edizione integrale, arricchiti da illustrazioni che oggi, nella mia
memoria, hanno parecchio di fumettistico. Salgari spesso era diviso
in più volumi. Anzi, no, potremmo parlare di vere e proprie puntate.
Una scelta editoriale che recuperava in parte la serialità delle
edizioni originali, pubblicate a episodi su riviste e quotidiani. I
libri della Malipiero presentavano un concetto simile a quello di
certi sequel cinematografici di oggi. Un libro terminava con un
cliffhanger da cardiopalma, e quello successivo, con un titolo
differente, riprendeva il racconto da un'altra prospettiva, svelando
poco per volta cosa fosse successo ai protagonisti mentre non li
osservavi.
Letto “I misteri della giungla
nera” dove l'avventura del cacciatore di serpenti Tremal Naik
s'interrompeva di botto lasciandoti pieno di ansia, non ebbi pace
finché non misi le mani su “La rivincita di Tremal Naik”,
con il quale mi ingozzai in pochi giorni per scoprire l'esito della
lotta tra il cacciatore e i temili Thugs adoratori della dea Kalì.
C'era un capitolo, in quel libro,
intitolato “La limonata che scioglie la lingua”. Il
resoconto di un interrogatorio al protagonista svolto con l'ausilio
di una sostanza allucinogena fatta bere a sua insaputa come bevanda
dissetante. “youma” la chiamavano (ignoro se Salgari si
fosse inventato tutto di sana pianta o se ne avesse qualche reale
contezza), e funzionava come una sorta di penthotal. Inebriava,
dissolveva i freni inibitori, rendeva allegri e ciarlieri. In poche
parole, confessavi qualunque cosa ti passasse per la testa senza
neppure accorgertene. E fu così che il cacciatore di serpenti Tremal
Naik fu protagonista dell'episodio più degradante della sua carriera
di personaggio salgariano. Tutto risate e battute sciocche, mentre
spiattellava davanti al nemico il suo vero nome, le sue vere
intenzioni, per conto di chi lavorava e che cosa si apprestava a
fare. Il tutto gonfiando il petto tra gli accessi di risa, e
ripetendo al nemico, il capitano Macpherson, lo stolido tormentone:
«Quanto sei stupido, amico... Quanto sei stupido...»
«Hai ragione,» risponde a un certo
punto il capitano. «Sono davvero stupido.»
Oggi ripenso a questo libro, e alla
“youma” ogni volta che scorro la pagina di Facebook.
Ripeto, non so se Salgari l'avesse inventata del tutto, ma la sua
intuizione era più che attendibile. Pensa a qualcosa che annienta le
inibizioni, prende il narcisismo di un individio e lo fa scoppiare e
saltare intorno come pop corn. Mette allegria compulsiva o
depressione profonda, spinge a elargire agli interlocutori frasi
piene di supponenza, a condividere citazioni (spesso dubbie) che
dovrebbero esprimere chissà quali grandi verità. Ma soprattutto
racconta tutto quello che sei... tutto quello che sai, ridendo come
uno scemo, mentre dai del cretino a tutto e tutti. Oppure baci tutti,
non fa molta differenza.
Nessun'altra droga è altrettanto
efficace, nessuna ti fornisce così tante informazioni. Nessuna
funziona come una macchina della verità... così attendibile e così
fuorviante allo stesso tempo. Nessuna ti rende così tronfio e vulnerabile in un solo colpo. E con lo stesso spettacolare senso del
grottesco.
La “youma”, la limonata
che scioglie la lingua, aveva lo stesso, medesimo effetto di un
social network di oggidì.
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