venerdì 4 luglio 2014

La limonata che scioglie la lingua


Da bambino, come molti altri della mia generazione, sono stato un avido divoratore di libri di Emilio Salgari. Ebbene sì. Ero un bambino che leggeva. Sarà stato perché la televisione era sempre rotta, e comunque esistevano solo due canali. Comunque leggevo tanto Salgari. E il primo romanzo, il più amato, fu “I misteri della giungla nera”. A quel tempo esistevano le edizioni Malipiero, libri destinati ai ragazzi in edizione integrale, arricchiti da illustrazioni che oggi, nella mia memoria, hanno parecchio di fumettistico. Salgari spesso era diviso in più volumi. Anzi, no, potremmo parlare di vere e proprie puntate. Una scelta editoriale che recuperava in parte la serialità delle edizioni originali, pubblicate a episodi su riviste e quotidiani. I libri della Malipiero presentavano un concetto simile a quello di certi sequel cinematografici di oggi. Un libro terminava con un cliffhanger da cardiopalma, e quello successivo, con un titolo differente, riprendeva il racconto da un'altra prospettiva, svelando poco per volta cosa fosse successo ai protagonisti mentre non li osservavi.

Letto “I misteri della giungla nera” dove l'avventura del cacciatore di serpenti Tremal Naik s'interrompeva di botto lasciandoti pieno di ansia, non ebbi pace finché non misi le mani su “La rivincita di Tremal Naik”, con il quale mi ingozzai in pochi giorni per scoprire l'esito della lotta tra il cacciatore e i temili Thugs adoratori della dea Kalì.

C'era un capitolo, in quel libro, intitolato “La limonata che scioglie la lingua”. Il resoconto di un interrogatorio al protagonista svolto con l'ausilio di una sostanza allucinogena fatta bere a sua insaputa come bevanda dissetante. “youma” la chiamavano (ignoro se Salgari si fosse inventato tutto di sana pianta o se ne avesse qualche reale contezza), e funzionava come una sorta di penthotal. Inebriava, dissolveva i freni inibitori, rendeva allegri e ciarlieri. In poche parole, confessavi qualunque cosa ti passasse per la testa senza neppure accorgertene. E fu così che il cacciatore di serpenti Tremal Naik fu protagonista dell'episodio più degradante della sua carriera di personaggio salgariano. Tutto risate e battute sciocche, mentre spiattellava davanti al nemico il suo vero nome, le sue vere intenzioni, per conto di chi lavorava e che cosa si apprestava a fare. Il tutto gonfiando il petto tra gli accessi di risa, e ripetendo al nemico, il capitano Macpherson, lo stolido tormentone: «Quanto sei stupido, amico... Quanto sei stupido...»

«Hai ragione,» risponde a un certo punto il capitano. «Sono davvero stupido.»


Oggi ripenso a questo libro, e alla “youma” ogni volta che scorro la pagina di Facebook. Ripeto, non so se Salgari l'avesse inventata del tutto, ma la sua intuizione era più che attendibile. Pensa a qualcosa che annienta le inibizioni, prende il narcisismo di un individio e lo fa scoppiare e saltare intorno come pop corn. Mette allegria compulsiva o depressione profonda, spinge a elargire agli interlocutori frasi piene di supponenza, a condividere citazioni (spesso dubbie) che dovrebbero esprimere chissà quali grandi verità. Ma soprattutto racconta tutto quello che sei... tutto quello che sai, ridendo come uno scemo, mentre dai del cretino a tutto e tutti. Oppure baci tutti, non fa molta differenza.

Nessun'altra droga è altrettanto efficace, nessuna ti fornisce così tante informazioni. Nessuna funziona come una macchina della verità... così attendibile e così fuorviante allo stesso tempo. Nessuna ti rende così tronfio e vulnerabile in un solo colpo. E con lo stesso spettacolare senso del grottesco.

La “youma”, la limonata che scioglie la lingua, aveva lo stesso, medesimo effetto di un social network di oggidì.

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