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giovedì 7 gennaio 2016

Il Sangue e il "tuo dio": Charlie Hebdo un anno dopo


"Se qualcuno mi offende la mamma, è ovvio che deve aspettarsi un pugno"
"Incolla qui l'immagine del tuo dio (una scena di sodomizzazione) se vuoi essere Charlie..."
Primo: Laddove si sparge sangue, la religione c'entra solo in forma di oppiaceo per indottrinare militi pronti a tutto. I veri obiettivi sono sempre politici e le fila tirate da gente del tutto atea. In questo, la stessa copertina commemorativa del discusso speciale di Charlie Hebdo mi appare - più che altro - ingenua. "Le religioni uccidono". Per l'esattezza, a uccidere sono gli uomini. E per farlo, nel corso della storia hanno forgiato numerosi pretesti. La religione è solo uno di quelli più gettonati. Secondo: A Parigi sono state ammazzate delle persone. Cosa che non si dovrebbe fare MAI... che tu creda in un qualunque dio o che tu sia un totale agnostico. 
Se cerchi di argomentare, suggerendo tra le righe che la strage di Charlie Hebdo è stata comunque cercata, se non meritata... il mio dio, per oggi, diventi TU. E ti bestemmio con tutto il cuore, pur non condividendo in modo acritico ogni virgola di tutto ciò che si fregia dell'etichetta di satira (che rimane comunque libera, come libera è la possibilità di discuterne). Tutto questo dibattere sul dio rappresentato dallo speciale di Charlie Hebdo secondo l'iconografia cristiana, è a mio parere inutile. Com'è sterile discutere se la satira "merita" la ritorsione o meno (perché di questo si parla, anche quanto i toni vorrebbero apparire morbidi). Io non ci sto. Nè da una parte né dall'altra. Il mio rifiuto della violenza DEVE prevalere su ogni altra implicazione. Ricordiamoci che quando governi, confessioni, gruppi sociali, più volte nella storia, hanno deciso che qualcuno andava cancellato, spesso non si guardava cosa scriveva o disegnava. Ma soltanto a come viveva, e se non era omologato al suo sentire. Ma del resto, a volte sentiamo cattolici (anche sacerdoti) affermare che l'omosessualità è un peccato grave quanto l'omicidio. Se la cosa vi fa tremare, avete ragione. Perché questa non è religione. E' solo fottutissima cultura arretrata che si manifesta USANDO la religione. Ed è molto più difficile da combattere, da satireggiare, da rieducare, delle tante, vituperate (ormai ridotte praticamente a comodo capro espiatorio) forme di spiritualità. Andiamo oltre, e restiamo prima di ogni altra cosa umani.



martedì 30 giugno 2015

Grazie a Paolo Piffarerio


Per salutare Paolo Piffarerio, classe 1924, scomparso stanotte, mi piace ricordare un capitolo d'infanzia. Quando, dodicenne, mi faceva lunghe (per me) passeggiate a piedi, e attraversavo Palermo per arrivare nella distante via Cavour (per qualunque cosa, secondo mia madre, fosse "lontana", in famiglia si usava l'espressione "dove c'è il Teatro Massimo". Come se rispetto al quartiere Notarbartolo, piazza Verdi fosse Timbuctù). Cosa c'era in via Cavour negli anni settanta? Per cominciare c'era quello che chiamavamo il Supercinema (non era un nomignolo dato dal volgo, ma un vero e proprio appellativo del cinema Excelsior... che aveva una sala grande per i tempi, anche se distante anni luce dai multisala di oggi), e davanti c'era (e ancora c'è) il chiosco libreria (che non mi pare sia mai stato un'edicola). Proprio in quel chiosco recuperai praticamente tutti i numeri della collana Eureka Pocket dell'editoriale Corno, e tra questi il mitico Maschera Nera, di Max Bunker, disegnato proprio da Piffarerio (che al tempo della prima edizione si firmava Paul Payne). Negli anni successivi, la Corno avrebbe tentato una ristampa in albi, ma il mio ricordo è legato soprattutto a quel volume antologico tascabile.


Ovviamente, Piffarerio ha disegnato di tutto e di più. Subentrato a Magnus su Alan Ford, aveva disegnato il romanzo storico Fouché, il western El Gringo (tutti firmati da Luciano Secchi-Bunker), e tanto, tanto altro. Ai ragazzi del tempo, lo stile di Piffarerio non piaceva gran che. C'è da dire anche che aver preso le redini di Alan Ford dopo l'abbandono di un mostro sacro caratteristico come Magnus fornì carburante ai suoi detrattori.
In realtà Piffarerio aveva uno stile molto classico e dettagliato. gli scenari western di El Gringo e Maschera Nera avevano una polverosità molto fisica. E la stessa cura si poteva riscontrare nelle illustrazioni in costume di Fouché. Un tratto probabilmente non popolarissimo (nel senso di quelli che non piace facilmente a tutti), ma assolutamente funzionale al racconto, agile e pertanto godibile.

Io lo ricorderò soprattutto per Maschera Nera. Quella via di mezzo tra Zorro e l'Asso di Picche di Ongaro e Pratt. Quella specie di Batman del West, che svolgeva un ruolo anche durante il massacro di Alamo (cui fu l'unico a sopravvivere) e incontrò personaggi come Davy Crockett.

Tutto qui. Solo un ricordo d'infanzia, per ricordare un grande vecchio del fumetto italiano.

Paolo Piffarerio. 1924-2015

giovedì 12 febbraio 2015

Diaz, per non dimenticare


Il lancio di una bottiglia che si schianta per terra.
Così si apre “Diaz-don’t clean up this blood”, il film che documenta gli avvenimenti accaduti la notte del 21 luglio del 2001 durante il G8 di Genova. Quella notte rappresenta il culmine di una vera e propria guerriglia urbana fra i manifestanti e la polizia. Quella volta a Genova ci scappò anche il morto, Carlo Giuliani, colpito a morte dal proiettile di un giovane carabiniere, uno di quelli mandati lì per fare numero, per fare il lavoro sporco. Genova pullulava di questi giovani poliziotti e carabinieri, inesperti e spaventati.

Quella morte pesò come un macigno e costituì la miccia ad una sequela di azioni violente e distruttive. Genova fu ridotta in ginocchio. Black block e poliziotti si fronteggiavano costantemente, mentre nei palazzi i potenti della terra discutevano di temi mondiali e sorridevano all’indirizzo delle telecamere, fintamente ignari di quello che stava accadendo là fuori.
I fatti sono noti, e per l’appunto, dimenticati: sabato 21 luglio 2001, ultimo giorno di manifestazioni e scontri al G8 di Genova, poco prima di mezzanotte, centinaia di poliziotti fanno irruzione nel complesso scolastico A. Diaz adibito dai manifestanti a media-center, picchiano selvaggiamente e arrestano immotivatamente centinaia di ragazze e ragazzi, italiani e stranieri, inermi e colti nel sonno. Poi falsificano le prove riguardo presunti reati di resistenza e porto d’armi cercando di depistare le indagini.
Diaz è un pugno nello stomaco e come i pugni nello stomaco mozzano il respiro, tanto che ci metti un po’ prima di riuscire a parlare. La forza di quelle immagini è tale che non si può rimanere impassibili.
E’ necessario assimilare bene.

Diaz è un concentrato di violenze, di sangue, di accanimento ingiustificato.
Diaz è indignazione, cuore che palpita e voglia di menar pugni. Diaz è verità, una verità insabbiata a dire il vero, celata sotto strati di anni, polvere e menefreghismo. Invece è necessario che tutti guardino Diaz perchè quei fatti s’imprimano bene nella mente, affinchè non si dimentichi, non un’altra volta.

“Interruzione della democrazia”, così lo ha definito Amnesty International; però durante la proiezione continuavo a chiedermi, come è stato possibile avvallare una tale cosa? e perchè poi? per esporre un trofeo? Chi materialmente ha detto: sì, fatelo, assaltate la scuola e rasate al suolo tutto? è come se mancasse un tassello e non si sapesse dove andarlo a prendere, e poi, qual era l’intento del regista? farci odiare i poliziotti? sì, in effetti, un “leggerissimo” senso di ostilità sopraggiunge, ma poi, se ci riflettiamo, loro sono solo meri esecutori. Dov’era lo Stato in quel momento? Forse su questo aspetto il film difetta un po’, ma forse no, forse si voleva solo raccontare i fatti, così per come sono accaduti. Non vuole essere un film politico, ma un film di denuncia, ma intanto la sensazione che manchi qualcosa rimane.
Nonostante tutto, è un film che ha dei grandi pregi, anche stilistici, ma sopratutto è un documento quasi fedele (i fatti si basano sugli atti del processo) di quello che è successo quella notte alla scuola Diaz, e non è cosa da poco, siamo tanto abituati a vedere fatti realmente accaduti “sceneggiati” alla bell’emmeglio, che quasi ci stupiamo e ci domandiamo: ma quelle cose sono accadute davvero? sono accadute così per come lo vediamo? be’, sì, in questo caso sì.

[Articolo di Rosita Baiamonte, pubblicato anche su Abattoir.it]

venerdì 10 ottobre 2014

Mater Monstrum



Nella piazza mediatica dei social impazzano i commenti sul bruttismo episodio (bullismo? E' la parola giusta?) di Napoli. Il ragazzino obeso di quattrodici anni devastato nell'intestino con l'aria compressa da due ventiquattrenni (chiamiamoli adulti, per favore) per puro divertimento sadico. Il ragazzo adesso è all'ospedale e versa in gravi condizioni. A suscitare più commenti è la difesa televisiva della madre del giovanotto arrestato e accusato di tentato omicidio, e le parole "era solo uno scherzo, un gioco". Siamo sicuri che si tratti solo di degrado? O perlomeno che questo tipo di degrado etico riguardi soltanto gli strati sociali più bassi? L'argomentazione del "è solo uno gioco, si scherzava e basta" è tristemente vecchia e trita. La sentivamo nelle scuole medie degli anni settanta, a seguito di episodi molto meno gravi, ma che germinavano nel medesimo humus culturale, seminando dolore, insicurezza, ingiustizia. Allora la parola "bullismo" non era ancora stata coniata, ma i meccanismi erano già oliati alla perfezione. Nel giro di trent'anni la situazione è peggiorata. E le istituzioni scuole e famiglia (con buona pace delle Sentinelle in piedi) hanno subito, nel nostro paese, un deterioramento fuori controllo. Non solo un ventiquattrenne non ha la consapevolezza necessaria a capire quanto danno reale può causare una pistola ad aria compressa, ma si porta dentro un senso di impunità più feroce di qualsiasi cattiva intenzione. E' lo stesso sadismo, lo stesso fare del più debole un giocattolo, a essere stato svuotato di senso. E l'ignavia su tutto e la comoda convinzione di molte famiglie che alla gioventù sia perdonabile qualunque pulsione, in quanto fisiologica dell'età. Un'età ormai elastica e sfuggente, giacché, ripeto, a ventiquattro anni si è ormai adulti. Non è un caso che sui social molti degli insulti siano rivolti più alla madre con le ali aperte che al responsabile del gesto violento e vigliacco. Forse è il momento di chiedersi di chi siamo figli, da dove veniamo e che cosa intendiamo veramente come educazione e protezione della nostra progenie. Possiamo anche fare un occhio nero al professore che gli ha dato un brutto voto, ma non potremo fermare la mano del poliziotto che domani lo arresterà perché si è sentito troppo "al sicuro" dalle norme per evitare di commettere un reato, e ancora meno potremo fermare le dinamiche carcerarie che lo "premieranno" durante questa sua prima trasferta dietro le sbarre (in compagnia di adulti scafati, per sua fortuna sforniti di pistola ad aria compressa, ma attrezzati con qualcosa di più casareccio, che il ventiquattrenne, nella sua innocenza, potrebbe trovare ugualmente traumatico). E' vero, gli argomenti acritici e ignoranti di quella madre fallita ce la fanno sembrare un mostro. Ha tirato su un rozzo golem che ha sguazzato nella banalità del male, facendo danno ad altri e andando incontro a meritatissime conseguenze. Il simbolo di un'intera generazione di genitori che confondono la protezione e l'appartenenza mafiosa con l'amore per il sangue del proprio sangue. In modo, purtroppo, trasversale. Democratico come un virus contagioso. Riprodursi potrà essere un fatto semplice e naturale. Essere genitori no. Quello è tutto cultura, tutta una questione di testa, di presenza, di accortezza. Per questo il concetto di "famiglia naturale" mi fa pensare d'istinto a una catena di montaggio, programmata per sfornare consumatori, elettori, carne da cannone.