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domenica 25 giugno 2017

Quando la Pantera Nera affrontò il Klan: una lotta per tutti


Nel 1973, sulla testata "Jungle Action" lo sceneggiatore Don McGregor e i disegnatori Rich Buckler e Billy Graham, realizzarono un gioiello a fumetti destinato a distinguersi nella produzione Marvel nei decenni successivi, quasi mai raggiunto per intensità ed equilibrio tra testi e illustrazioni. Un pugno allo stomaco, in cui Pantera Nera, il primo supereroe africano in assoluto, si muoveva nella cosiddetta civiltà statunitense scontradosi contro l'ottusa violenza del Ku Klux Klan. Una rappresentazione avventurosa di un conflitto politico reale, quello tra l'organizzazione razzista americana e il partito per i diritti dei neri, gemmato dal movimento di Martin Luther King, ma caratterizzato da posizioni meno concilianti, da cui l'eroe Marvel prendeva direttamente il nome. Indimenticabile la scena in cui T'Challa, in casa dei genitori di Monica, vede attraverso il vetro chiuso di una finestra la bottiglia incendiaria volare nell'aria per colpire l'abitazione. Si tuffa in avanti infrangendo il vetro prima che la bottiglia tocchi la finestra, la afferra al volo e la scaglia lontano, nella direzione da cui è venuta. Una sequenza che oggi definiremmo cinematografica, che sulla tavola a fumetti aveva una potenza visiva incredibile. Quella storia aveva una densità politica non scontata. Gli avversari dell'eroe non erano geniali, né particolarmente potenti. Ma abbastanza numerosi, abbastanza pieni di odio da poterlo mettere ugualmente in seria difficoltà. Altra famosa scena, è la fuga di T'Challa legato alla classica croce ardente del Klan. In quel ciclo di storie, assistevamo alla rappresentazione epica e fantasiosa di una reale lotta politica e culturale. 

Da cosa nasceva il Klan, i suoi fanatismi, i suoi delitti? Da dove se non dalla paura di essere soppiantati, contaminati culturalmente, dal timore di perdere privilegi, anche da poco, a favore del popolo nero? Da dove nasceva lo slogan storico «Ammazza il negro prima che sposi tua figlia!»? 
Paura. Paura intrecciata a ignoranza, annegate in un oceano di superficialità. L'essere umano vive secondo cultura e non secondo natura (altrimenti non si sposerebbe, non sarebbe tendenzialmente monogamo, non avrebbe leggi e si guadagnerebbe il cibo e lo spazio vitale a suon di mazzate... e in effetti i trogloditi non sono del tutto estinti). La cultura genera consuetudini, norme, ma anche nazionalismi e pregiudizi. Paure che nel corso della storia allargano o spostano il loro perno di attenzione, soprattutto in momenti di crisi generale. Per questo, nel mese del Pride, voglio ricordare quando la Pantera Nera affrontò non la sua nemesi Klaw, o il Dottor Destino o un altro nemico in costume. Ma un avversario storico, reale, un avversario della sua gente, che li temeva e odiava in modo del tutto insensato. A chi in questi giorni, come tutti gli anni, va cianciando di etero Pride, o sussurra sui social che verrà il giorno che a essere discriminati saranno gli eterosessuali, e che dovrebbero essere loro a manifestare e a riaffermare la loro identità "a rischio", dedico questa tavola e il ricordo di una lotta memorabile, nella storia prima che nei fumetti. La lotta per il diritto a esistere. La lotta contro una paura che non ha ragion d'essere. Contro l'affermazione ossessiva della non appartenenza a una categoria che chiede solo un riconoscimento di diritti pari a qualunque cittadino pagante le tasse. La dedico a tutti i fratelli e sorelle LGBT, immigrati, diseredati e oggetto di discriminazione. E per ricordare che il fumetto, anche quello fracassone e bambinesco di supereroi, è riuscito a volte a essere profondamente serio. Un'altra celebre scena della saga, in una doppia splash page mostrava Pantera che agguantava due fuggitivi (un bianco e un nero) sollevandoli letteralmente da terra in un chiaro riferimenti allegorico alla bilancia della giustizia. 

Bravi, McGregor, Buckler e Graham. Viva la Pantera Nera e tutti coloro che resistono.



giovedì 22 dicembre 2016

Rocket Balloon Speciale Natale

Ascolta Rocket Balloon Ep 4: SPECIALE NATALE" su Spreaker.

In occasione delle feste natalize, ecco il primo speciale di Rocket Balloon dedicato al Natale, qui in versione podcast su Spreaker (dove è possibile recuperare l'intera serie della trasmissione). Si parla ovviamente di fumetti a tema Natalizio, ma anche di cinema (natalizio), di incarnazioni più o meno trasgressive di Babbo Natale e persino del recente trailer di Spider-Man: Homecoming, che riporterà l'Uomo Ragno al cinema con il volto del giovane attore Tom Holland. Il tutto servito da Runtimeradio.it e sempre condotto dal sottoscritto e dallo spumeggiante Peppe Saso. 
Buon ascolto e buone feste.

martedì 22 novembre 2016

Figlio di un preservativo bucato [di Howard Cruse] feat. True Colors


Un video a cui tengo molto, in quanto rappresenta una collaborazione (sia pure a distanza) con un altro Youtuber (Riccardo del canale True Colors) e che si propone di affrontare da due diversi punti di vista il tema delle diversità e della solidarietà. Riccardo è una persona disabile che testimonia coraggiosamente in video la quotidianità della sua condizione e la resistenza alle problematiche che la vita di ogni giorno mette davanti alla gente come lui. I nostri due video sono incrociati, anzi: specchiati, a partire dalle rispettive intro, pensate appositamente per collegare due tasselli che fanno parte di un'unica iniziativa. Riccardo parla di un'opera letteraria che tratta il tema della disabilità e della comunicazione. Io invito a riscoprire un classico americano (forse non abbastanza noto in Italia) che racconta di come le battaglie per i diritti civili degli afroamericani negli anni 60 si intrecciavano con la vita della comunità LGBT (ancora prima dei moti di Stonewall e la nascita di un vero e proprio movimento politico), narrando tutto dal punto di vista di un giovane gay che non ha ancora trovato un suo equilibrio. Si tratta di “Figlio di un preservativo bucato” (Stuck Rubber Baby, in originale) di Howard Cruse. Un romanzo a fumetti che andrebbe letto da tutti, e che ha molto da dire sul concetto di libertà, di lotta per il diritto di esistere, e di quel filo rosso che lega la libertà e la diversità di tutti. Quelle diversità che sono una ricchezza, e sono il motore del progresso e del cammino verso una vera forma di civiltà.




domenica 30 ottobre 2016

Palermo, ricorda: Altroquando non è Alastor


DA ALTROQUANDO, UNA LETTERA APERTA ALLA CITTA' DI PALERMO


Altroquando: un nome (ormai sovraesposto in Italia) che a Palermo è stato usato per la prima volta da Salvatore Rizzuto Adelfio, ed è legato a filo doppio alla memoria della sua persona e della sua attività storica. E' anche il nome (insieme alle sue generalità) dell'associazione culturale che da tre anni si propone, con umiltà e mezzi diversi, di proseguire il manifesto culturale da lui immaginato. E cioè una militanza sociale ibridata con forme espressive di norma associate al puro svago (come i fumetti, per cominciare). Su Facebook, da circa tre anni, esiste una pagina dedicata alla richiesta, a più voci, di intitolare il lungomare di Palermo alla memoria di Salvatore, che lo ha così a lungo raccontato in modo personale e inconfondibile. Mentre esortiamo l'amministrazione comunale a muoversi in tal senso (considerato che ha il potere giuridico di accorciare i tempi previsti dalla legge, e lo ha già usato per titolare vie ad altri palermitani illustri), non dimentichiamo che esistono altri aspetti legati alla memoria di Salvatore Rizzuto Adelfio. Aspetti che sono a rischio, in una città dalla memoria troppo corta.




Non ci giro intorno. Non ho nulla di personale contro i dipendenti dell'azienda Alastor che nel 2013, dopo la scomparsa di Salvatore, ha aperto un proprio punto vendita, con una nuova licenza di libreria, nei locali in affitto dove un tempo la nostra famiglia esercitava la sua attività. Ripeto, non ho nulla contro i dipendenti dell'azienda Alastor che dall'autunno del 2013 ha smerciato fumetti in corso Vittorio Emanuele 143 (locale che è rimasto a lungo privo di un'insegna che la identificasse come una ragione sociale differente). Trovo soltanto molto triste che quel luogo, dal quale l'insegna posta da Salvatore è stata rimossa e restaurata (Altroquando è un logo regolarmente registrato alla Camera di Commercio di Palermo e i diritti sono detenuti dall'associazione omonima) non sia stato chiamato da una parte della clientela con il suo effettivo nome, seguitando a definire "Altroquando" qualcosa che quel luogo non era più, così come non sarà mai Altroquando l'attività che a noi era subentrata nella vendita di fumetti a Palermo. 

Sì, perché quell'attività ha un nome diverso: quello stampato sui sacchetti che dà in omaggio, quello con cui gli impiegati rispondono al telefono. Quello che è effettivamente il nome dell'azienda Alastor, cui sto regalando in questa sede una gratuita pubblicità. E' triste e ingeneroso che ancora oggi, qualcuno si riferisca a una realtà totalmente svincolata da un pezzo di storia cittadina con il nome che identifica il lavoro e la testimonianza politica e culturale di Salvatore Rizzuto Adelfio. E' triste che ancora oggi qualcuno, distrattamente, mi contatti sulla pagina dell'associazione rivolgendosi a me con il nome di chi lavora presso la rivendita Alastor.

E' vero. Altroquando di Salvatore Rizzuto Adelfio iniziò come fumetteria, e con questo cercava, nonostante le progressive difficoltà e i malfunzionamenti del settore, di pagare le bollette. Ma quel nome, con Salvatore al timone, rappresentò negli anni tante altre cose.




Diffusione di varie espressioni di cultura underground
Manifestazioni antiproibizioniste
Lotta, testimonianza e divulgazione per i diritti delle persone LGBT
Centro di ascolto per persone LGBT
Promozione della piccola editoria
Collaborazioni costanti con realtà politiche progressiste, tra le tante, le sinergie con quella che è stata l'esperienza storica cittadina dello Zetalab
Organizzazione di mostre di artisti emergenti o completamente sommersi
Autoproduzioni editoriali
Promozione di autori indipendenti che un giorno sarebbero diventati popolari
Proposta e vendita di etichette musicali indipendenti e schierate
Contributo alla nascita di più associazioni politiche e culturali cittadine
Appoggio a collettivi satirici e opposizione alla censura (si ricordi l'episodio del 2010, contestuale alla visita a Palermo di Benedetto XVI, che Salvatore riuscì a filmare e che certa stampa paragonò all'esperienza di Radio Alice)





La lista potrebbe continuare. Ma dovrebbe essere evidente che Altroquando di Salvatore Rizzuto Adelfio non era una libreria come tutte le altre, e questo forse minò le sue fondamenta dal punto di vista economico segnandone il destino nei lunghi termini, ma anche caratterizzandola in modo molto forte. Lasciare svanire il ricordo di questa esperienza renderebbe vana anche la richiesta di intitolare alla memoria di Salvatore il lungomare di Sant'Erasmo. No, Palermo deve ricordare. E continuare, per pigrizia o consuetudine, a chiamare “Altroquando”, ovunque si trovi, il punto vendita di una catena di distribuzione con un background totalmente diverso, non aiuta. E' (si tratta solo di una facile metafora) come cercare un disco di Tiziano Ferro chiamandolo con il nome di Francesco Guccini, con tutto il rispetto per Ferro e i suoi estimatori (ma parliamo di personaggi, percorsi e generi musicali del tutto differenti).




Questo equivoco, questa sovrapposizione di un'identità storica con una realtà puramente (e legittimamente) commerciale che per qualche anno ha abitato le vecchie mura, deve finire. Lo dobbiamo alla memoria di Salvatore Rizzuto Adelfio, o riuscire a intitolargli il lungomare di Palermo (se mai l'otterremo) servirà a poco. Per questo chiedo gentilmente a tutti coloro che hanno conosciuto e rispettato Salvatore, agli ex colleghi operatori di fumetteria, ai fumettisti con cui è stato amichevole e che ha spinto quando la loro strada era ancora in salita, a chi continua ad acquistare fumetti presso un rivenditore che non è Altroquando né ha interesse a rivendicarne la storia, a condividere queste informazioni di base. Dal 2013 Altroquando non è più in corso Vittorio Emanuele. Altroquando, se ci credete, si sforza di esistere in altra forma, o – se non volete crederci – ha concluso la sua esperienza di vita con la scomparsa di Salvatore Rizzuto Adelfio.



Per favore, chiamate ALASTOR il negozio che per tre anni ha venduto fumetti a Palermo in via Vittorio Emanuele 143. Loro stessi si presentano così, perché questo è il nome della loro azienda con sede centrale a Napoli. Se la memoria è importante, se dare un nome a una strada spetta alle istituzioni, possiamo comunque tributare onore al merito chiamando semplicemente cose e persone con i loro veri nomi. E risparmiare costanti, amari qui pro quo a chi si sforza di conservare e coltivare questa memoria.

Ditelo. Ricordatelo. Rettificatelo. Io non ho intenzione di fermarmi. A Palermo, Altroquando è solo quello di Salvatore. 

O nessuno.




Hastag: #alastornonaltroquando

sabato 18 giugno 2016

Palermo Pride 2016



Palermo Pride 2016... il settimo a Palermo.

Solo poche parole, dopo aver vissuto ancora una volta la parata.

Va da sé che quest'anno la ricorrenza del Pride (festa politica) che trova la sua origine nei moti di Stonewall, dove un gruppo di transessuali (più di altri) trovarono per la prima volta la forza di resistere alle vessazioni arbitrarie di una polizia deviata, fosse legato alla tragedia di Orlando. Un episodio drammatico che resterà nella storia del movimento LGBT internazionale, per la sua folle gratuità, per la generica indifferenza e per aver fatto da scintilla a commenti di un'omofobia che rialza la testa senza la vergogna che avrebbe tutte le ragioni di provare.


Il costume di Massimo Milani (metà della storica coppia palermitana conosciuta come Massimo e Gino) è stato di una teatralità elegante e struggente. Una scelta riuscita, che coniuga rispettosamente il tributo al dolore per la violenza insensata che ha spezzato tante vite innocenti e la tradizionale manifestazione festosa che va comunque avanti, inesorabile come il progredire della storia e una lotta politica che più di prima deve vederci determinati. Un abito da sposa insaguinato (citazione filmica a Kill Bill di Quentin Tarantino) e la scritta “We Will Survive” (Noi sopravviveremo). Una sposa che sembra cadere sotto i colpi di una cieca violenza, ma che si rialza più forte di prima e combatte come una leonessa fino alla vittoria.

Questo Palermo Pride 2016, come già altre sue edizioni passate, potrà forse essere definito “poco trasgressivo” o “troppo poco fantasioso”. Ma non è su questo che intendiamo concentrarci. Pensiamo piuttosto (al di là di quel che vorremmo vedere) alla forza inclusiva e alla generale compostezza di quella che ancora oggi da molti è definita come una “indecente carnevalata”.


C'è da chiedersi cosa abbiano visto. Dove, e se la buona fede abbia casa dalle loro parti. Il Palermo Pride si è connotato sempre più come una manifestazione politica aperta e solidale con realtà che LGBT non sono. Quest'anno il tema ufficiale erano i migranti e l'accoglienza, ma nel corpo del corteo abbiamo avuto modo di incontrare anche associazioni per la tutela dei diritti degli invalidi (dimostrando che la guerra tra poveri può essere superata, e che non esistono battaglie che vengono prima di altre, ma piuttosto battaglie per una vita migliore che dovrebbero essere un'unica cosa).

Le famiglie arcobaleno, sempre più numerose e presenti, con i loro bambini, sono ormai un punto nodale della manfiestazione. Un Pride che forse deluderebbe chi cerca trasgressione ad ogni costo, nudità e provocazioni. Ma che dimostra una volta di più che la presunta “carnevalata” del Pride (molto più compito a Palermo di certe feste che celebrano vittorie calcistiche) non è che un comodo spauracchio. Un inesistente fantasma, creato a bella posta per giustificare inerzia e la (magari inconsapevole) pulsione a restare nell'ombra con l'illusione di essere migliori.










martedì 14 giugno 2016

Lettera aperta a un amico patetico



Caro amico patetico,

ti chiamo patetico perché, da come ti esprimi non viene naturale definirti omofobo, e neppure razzista. Da quel che hai scritto trasudi tanta di quell'ottusità che al massimo sei un idiota, sempre che non ci si trovi davanti a un ragazzino disgustosamente maleducato. Scrivo questa lettera aperta, ma non la indirizzo a te. So che non ti interessa, e non potrà interessarti mai. Lo faccio perché annoto in un blog le cose che mi colpiscono, e alcune di queste – penso – meritino di essere condivise. La tua furia, il tuo orgoglio, il tuo ossessivo bisogno di rivalsa, assomiglia tanto, ma davvero tanto a quello di molte minoranze discriminate nel mondo. E per questo ispiri più compassione che altro. Ma ripeto... probabilmente sei poco più di un bambino. Anzi, lo spero. Per te. Per tutti.

I social sono una brutta bestia, lo sappiamo. Come gli aeroplani. Macchine che realizzavano il sogno dell'uomo di volare, ma che finirono con l'essere usati per sganciare bombe. Lo sappiamo tutti che la possibilità di interloquire con persone distanti, che non ci vedono, che non conosciamo, è qualcosa di delicato che spesso porta a scontri inutili. Da bambini, appunto.

Vedi, a me hanno insegnato che vedere qualcosa di sbagliato senza intervenire equivale a giustificarlo. Per questo intervengo ogni volta che m'imbatto in un comportamento razzista. Nel caso specifico, stavo conversando con un amico, commentando per la precisione, un suo video sul grande tubo. L'amico mi saluta dicendo “Ti abbraccio”. Io rispondo al saluto scrivendo “Abbraccio ricambiato”. Dal nulla, salti fuori tu, perfetto sconosciuto, e spari un commento non pertinente alla conversazione, attribuendo senso di scandalo all'attore Gerard Depardieu (infilato a forza solo a causa di una citazione filmica) per dire che il tuo attore preferito (che tu definisci un “vero uomo”) schiferebbe quelle che per te erano “smancerie tra maschi adulti”.

Veri uomini.
Smancerie tra maschi adulti.

Sì, devi essere veramente molto, molto giovane.
Ripeto anche questo. Lo spero con tutte le mie forze, perché il contrario sarebbe sinistro.

A quel punto ti faccio notare che se anche Depardieu in persona si permettesse di dirmi una cosa del genere lo manderei affanculo. Che sentire il bisogno di mostrarsi maschi a tutti i costi allontana dall'essere quello che tu etichetti come “veri uomini”. E concludo facendoti presente che stai parlando con un gay che ci mette la faccia, giusto per farti notare che entrare in una stanza dove c'è gente che non conosci dovrebbe farti pensare due volte a fare battute che prevedono una complicità da scuola media.

Ok, sono un idealista illuso. Bisogna ripassare un concetto di base.
Scusarsi, oggi, è una capacità che possiedono solo superuomini e superdonne. Quindi, davanti a una gaffe, le possibilità si riducono a due. Tacere o gonfiare il petto, perseguendo gli stessi argomenti e peggiorando di molto la situazione.

Ed ecco, dunque, un lungo delirio sulla militanza gay, la “politicizzazione del proprio ano”, sulla “censura” (parola che ormai ha perso di senso e ha acquistato il significato di “libertà di dire stronzate senza che nessuno te le faccia notare”), insulti assortiti, minchiate a sfondo neanche tanto velatamente razzista... (“la strage di Orlando, beduini o non beduini...”) e un fiume di parole incomprensibili, scritte in un italiano opinabile, e del tutto prive di un senso compiuto che non sia l'ululato di un marmocchio fuori di sé perché è stato rimproverato e non resiste all'impulso di prendere a sassate la finestra di chi gli ha detto che le cose sporche non si mettono in bocca.

Così, tentando di togliere un sassolino dalla scarpa, ho scoperto che avevo invece pestato una cacca di cane. Mi ritrovo uno stalker che mi ingiuria sia sul canale degli amici che con messaggi privati (senza peraltro rendersi conto che questo lo sta già facendo sconfinare in un reato di natura penale). I contenuti sono espressi con una linguaggio che richiederebbe l'intervento di un esorcista, o forse di un esperto di lingue primitive, chissà. Gli argomenti addotti non meritano analisi, tanto varrebbe interpretare le scritte sul muro di un cesso... insomma, il piagnisteo di qualcuno che non ha sopportato di sentirsi dire che avrebbe potuto comportarsi meglio in casa d'altri.

Ho sentito (esagerando, lo ammetto) il bisogno di rammaricarmi per avere dato l'input a un tale proliferare di spazzatura sul canale di amici. Ma oggi non vedo perché dovrei farmi carico dell'inciviltà altrui. Il meccanismo è sempre lo stesso dell'età scolare. Il bullo bullizza. Quando gli si resiste o viene punito per le sue azioni, sente la necessità di vendicarsi della vittima che ha importunato. Io non ho alcun controllo su questi meccanismi di cui la nostra società è ancora malata. Posso solo riconoscerli e riprenderli, come faccio sempre.

Le opzioni di Internet lasciano il tempo che trovano. Bloccarti su Google, ovviamente, non è servito a nulla. Sicuro, come spieghi tu, tutti abbiamo più di un profilo. Credi davvero, poverino, che non me lo aspettassi? Pensi seriamente che perda tempo a leggere ogni virgola di quello che ancora ti ostini a scrivermi? Credi che, visto che ci tieni tanto, non esibisca i tuoi attacchi come medaglie? Davvero non ti rendi conto dello spettacolo miserrimo che stai facendo di te stesso? Che ogni cosa che scrivi è uno sputo che ti ricasca addosso?

No?
Mi dispiace molto per te.
Ma sei hai scelto di annegare nella tua stessa saliva, accomodati.

Sai una cosa, non ti odio. Temo, piuttosto, che tu abbia seriamente bisogno d'aiuto, perché tale insistenza a cercare riscossa è uno dei sintomi della nevrosi ossessivo compulsiva, e alla lunga se non arginata peggiora in modo drammatico, a volte sfociando in situazioni psicologicamente definite borderline. Ma devo ricordarmi che sto parlando a un campione di civiltà, che può insegnarmi tanto su molti fronti, e che di sicuro non ha interesse per certi futili argomenti accademici, e cui non frega nulla di conoscere veramente il suo interlocutore. Anche per questo ho smesso di leggere i tuoi deliri, e probabilmente (ma non sicuramente, perché non porgo l'altra guancia per sempre) stavolta non ti bloccherò. Lascerò che la tua ignoranza faccia spettacolo di sé. Che la tua arroganza si alimenti fino a scoppiare. Non confuterò i tuoi deliranti insulti, i tuoi vaneggiamenti pseudopolitici. Anzi, li sfoggerò. Sei stato maleducato, ma potevi evitare di apparire anche un mentecatto. Tuttavia, se ti fa sentire meglio, se non sei in grado di riconoscere una brutta figura, continua pure su questa strada. Spero solo che tu abbia vicino qualcuno che comprenda quanto stai male e ti aiuti. Perché non sei un omofobo, e neppure un razzista. Sei una creatura patetica. Piccola e bizzosa.

Ma c'è davvero tanta differenza?

Be', questa è una grande domanda.


martedì 17 maggio 2016

Giornata Internazionale contro l'Omofobia 2016


Diario del Capitano, data bestiale 17.05.2016

L'ho scritto altre volte. Le feste comandate (riferito ironicamente, in questo caso, non a ricorrenze religiose, ma a date ufficialmente dedicate a un tema sociale di spicco) mi hanno sempre lasciato un po' perplesso. Giornata contro l'Aids, Festa della Donna e chi più ne ha più ne metta. Ok, il segno sul calendario ha una funzione. Un promemoria, un pretesto per ricordarsi (almeno una volta all'anno) che abbiamo un problema irrisolto in più. Sì, lo so, l'ho scritto tante di quelle volte da averne la nausea. Forse non ci credo del tutto neppure io. Ma quest'anno, la giornata internazionale contro l'omofobia e la transfobia, all'indomani (praticamente) dell'approvazione (fortunosa) della legge (monca) sulle unioni civili, e la prospettiva di un referendum abrogativo... ha un retrogusto ancora più strano.


Ne abbiamo parlato. La voglia di festeggiare è poca. Tuttavia, non si può negare che queste unioni civili (ottenute dopo uno spasmodico tiro alla fune, e sotto una pioggia di ingiurie tale da avvelenare il testo della legge stessa) gioveranno a quanti hanno semplicemente bisogno di una tutela immediata. Parliamo di un riconoscimento della reciproca assistenza, parliamo di successioni e così via. Insomma, mentre ci mastichiamo i coglioni per tutta la merda inserita nel testo di legge, per le forche caudine che siamo stati costretti ad attraversare, per i punti importanti che questa legge avrebbe potuto (o dovuto) avere e non ha più... non si può negare che quel poco che è arrivato, fosse arrivato una trentina d'anni fa, avrebbe risparmiato non poche sofferenze. E questo con buona pace dei detrattori più irriducibili (che di base, sia chiaro, non hanno torto) della legge in esame.

Celebrare una giornata dedicata al rifiuto dell'omofobia, quindi, diventa problematico. Anche perché, unioni civili a parte, una legge contro l'omofobia in Italia non si è ancora vista. Al punto di sembrare ancora più chimerica dell'agognato riconoscimento e tutela dei diritti della coppie di fatto.

"Pochi, maledetti e subito!" si diceva una volta riferendosi ai pochi soldi di retribuzione, pochi ma sicuri. Pochi, ma sonanti e spendibili. Se non è il momento di brindare, magari è il momento di riflettere, e congratularsi con chi, grazie a questa legge azzoppata, potrà vivere un pochino meglio di ieri.

Facciamo, allora, come Pollyanna nel celebre film di Walt Disney: cerchiamo un motivo per essere contenti. O perlomeno, per non essere troppo scontenti, e corroborarci al fine di riprendere una lotta per i diritti all'esistenza che non finisce certo qui.


Abbiamo parlato del "poco" offerto dalla legge che non è "inutile". Parliamo degli elementi offensivi (quelli sì inutili) fortemente voluti dalla peggiore politica ai danni di questa legge. Parliamo di quella mancanza del "obbligo di fedeltà" che tanto ci offende. E' vero. Cancellare questo aspetto, nella mente di chi ha perseguito questa omissione, è un segnale ostile. Nelle intenzioni miserrime di chi lo ha voluto, assenza di obbligo a essere fedeli, corrisponderebbe a definire la differenza tra queste nuove unioni civili e l'istituzione del matrimonio (guardato, in via teorica, come un modello perfetto e nobile cui le coppie dello stesso sesso non possono aspirare). Una macchia che però sottolinea solo il becero sentire di chi ha sempre osteggiato questa legge e ne rimarca la sostanziale ottusità. Infatti, sarebbe auspicabile la rimozione dell'obbligo di fedeltà anche dal matrimonio classico. E per una semplice, ragionevole, motivazione storica e giuridica. L'obbligo di fedeltà è del tutto anacronistico. E non per motivi etici. Ma perché il suo inserimento (o in questo caso la sua assenza) è legato a una vecchia concezione del diritto di famiglia, ormai ampiamente (e fortunatamente) superata. L'obbligo di fedeltà tra coniugi esiste in rapporto al fatto storico che un tempo l'adulterio era un reato. Punibile con la prigione (ma ci finivano solo le mogli, se a tradire erano loro) o con una sanzione pecuniaria (se l'adultero era il marito). Inoltre, l'obbligo di fedeltà, qualora infranto, rappresentava un'attenuante per il coniuge che invocava il celebre "delitto d'onore" (con l'attenuante prevista dal codice del tempo). Insomma, per quanto offensivo possa sembrarci, omettere l'obbligo di fedeltà da una legge che regola i diritti e i doveri di una coppia, non è poi così terribile (se non nelle intenzioni provocatorie della politica avversa). Paradossalmente, è più moderno e illuminato di un elemento che ancora fa parte dell'istituto matrimoniale, nonostante non abbia più ragione di esistere in termini di ratio giuridica (se non quando viene utilizzato per distribuire le responsabilità in sede di divorzio).

Il referendum abrogativo? Si farà? Non si farà? Qualcuno crede davvero che possa significare qualcosa? Anche il divorzio, anche l'aborto, suscitarono una reazione quasi automatica di risposta referendaria, e in entrambi i casi, il paese rifiutò di fare un passo indietro (giacchè spesso l'opinione dei votanti si rivela più avanti della politica chiamata a rappresentarla).

Insomma, è una data sul calendario che ci ricorda che un tempo omosessualità e transessualità erano considerate malattie e che oggi (fortunatamente, e grazie a un progresso culturale che per quanto lento difficilmente si arresta del tutto) non è più così. Non dalla scienza medica.

Cerchiamo motivi per essere, se non contenti, meno irritati, meno insofferenti. C'è bisogno anche di questo, dopotutto. Ricorrenze che ci dettino un'agenda, quando un problema sociale non è ancora risolto. La legge che condanni l'omofobia è ancora lontana, ma possiamo sperare che le unioni civili di oggi contribuiscano, con la dimostrazione di una quotidianità normalizzante, con il vissuto delle coppie che se ne gioveranno, a spingere questo convoglio troppo lento verso la sua meta definitiva. L'uguaglianza davanti alla legge di ogni cittadino tenuto a pagare le tasse, e il diritto a una pacifica, creativa, meravigliosa diversità.

giovedì 12 maggio 2016

Festa (e guastafeste): ovvero sulle unioni civili



Diario del Capitano, data bestiale 12.05.2016

Come detto ieri sera al Circolo Arci Malaussène all'inizio della nostra serata "Queer as Comics" nell'ambito del percorso verso il Palermo Pride 2016, da festeggiare non c'è molto. Ma non si può negare che un passo da formica in avanti nel progresso sociale del nostro paese sia stato fatto, e che per questo qualcuno (forse una minoranza, ma viva e con le sue esigenze) può festeggiare per avere alcune (solo alcune) delle possibilità prima categoricamente escluse. Ingrugnirsi serve a poco. Cerchiamo di essere contenti per quanti potranno giovarsi di questa (bruttissima) legge. E rimbocchiamoci le maniche per ciò che è dietro l'angolo. La guerra tra poveri e benaltrismo che già imperversa sui social (ricordiamoci che solidarietà e inclusione sono armi politiche potentissime in questi casi, e magari andrebbero sfruttate meglio), il ventilato referendum per chiedere l'abrogazione (certa gente ha tempo per pensare a una cosa sola, evidentemente) e le prossime, inevitabili barricate. E' come passare un esame con una pedata anzhé a pieni voti, ma puoi accedere al corso successivo. Magari non sarà la migliore delle metafore, ma da qualche parte dovremo ricominciare. Non solo giuridicamente, ma culturalmente. E ricordiamoci che certe battaglie si affrontano anche nella vita quotidiana, attraverso un processo di normalizzazione, di visibilità.
E detto questo... aspetto ancora una legge seria contro l'omofobia.

domenica 17 aprile 2016

Lui & l'Orso - incontro da Games Academy con Salvatore Callerami



Cari tutti e tutte... è UFFICIALE (...e gentiluomo!).
 Il 28 Aprile alle ore 18: dalla collaborazione di Altroquando con la fumetteria Games Academy Palermo (e presso la stessa, in via Narciso Cozzo a Palermo) presentiamo "Lui e L'orso" di Salvatore Callerami. 
Amanti dei fumetti in generale, simpatizzanti dell'allegra orsaggine... siate presenti. Perché "Lui & l'Orso" non è un fumetto come tutti gli altri. E' una ventata di novità per la Sicilia e il fumetto italiano tutto, in un panorama sempre uguale a se stesso. Altroquando continua il suo cammino a fianco della Bear Culture e vi propone di scoprirne questa giovane, freschissima lettura italiana, fatta di verve goliardica, spunti da sitcom e bonaria provocazione.
Salvatore Callerami sarà con noi per parlare della sua grossa creatura e disegnare dal vivo. 
Uscite dal letargo e marciate fino a noi. Woof!








sabato 30 gennaio 2016

Family EVERY Day


Alla faccia di chi non ci crede, anche a due anni e mezzo dalla sua scomparsa... siamo ancora una famiglia. E lo saremo sempre. Perché la strada percorsa insieme non si può cancellare. Andrò avanti e lui sarà con me, perché ci sarà sempre un Altroquando. Con buona pace dei detrattori. Family Every Day.

domenica 28 giugno 2015

Linea 103: Dopo il Pride...




Palermo. Linea 103. Il giorno dopo del Pride LGBT 2015.


Quello scalcinato Talk Show su quattro ruote chiamato Linea 103, "format di approfondimento" che si colloca nell'area dell'estrema destra più ignorante, mi ha veramente rotto i coglioni. 


Un tempo era "vietato parlare al conducente". Ora il conducente ha la "velina" (nei panni di maturi signori, spesso pensionati che evidentemente fanno avanti e indietro sulla vettura perché non hanno altri hobby). Ho già parlato più volte di loro: li chiamo "grilli sparlanti". Ma sono più simili a scimmie urlatrici. Non solo. Ti tirano anche addosso le loro feci.

Come sa bene chi frequenta la linea, il fatto che la vettura sia spesso quasi vuota, trasforma la linea in un salotto ambulante dove si sente di tutto e di più. Normalmente commenti su calcio e... "politica", inframezzati da osservazioni razziste, maschiliste, omofobe. 

E' il 28 Giugno 2015, il mattino dopo del Pride.

La vettura percorre via Roma, e si commenta quel che resta del Pride (anzi... "a festa ri gay" a sentire i pensatori). In realtà, niente di peggio o diverso da quel che si trova al mattino in Vucciria dopo una notte di eterissima (?) Movida. Bottiglie di birra, rifiuti... Ok, non va bene. Come non andrebbe bene dappertutto. Ma questa è un'altra storia. Qui invece sembra essere tutta colpa "ra festa ri froci". L'autista di turno è lo stesso che vorrebbe riaprire i forni crematori per i Rom. Che cosa ti vuoi aspettare? Che sia tenero con una massa di froci festanti che bevono e ballano? Pensi che le sue cellule grige siano in grado di assimilarli alle masse che popolano la Palermo by night con risultati identici? Ovviamente no.

C'è pure un sidekick aggiunto, che sta più indietro. Vicino a me. Troppo. E parla. Parla. Anzi, strilla.

«Un ci manca nenti... su gay... su vastasi... su alcolizzati... e macari puru trocati!»

Mi piacerebbe dire che non è da me. Ma non è vero. Io mi sforzo di apparire bonario, ma sono un tipo irruento. Forse addirittura violento. Mi costa fatica mantenere il controllo. Anche stavolta ho dovuto fare uno sforzo. Ma all'ennesimo raglio non ci ho visto più. Restando seduto, ho voltato la testa e ho detto al "signore" che "i gay l'aviani tutte... ma che iddu parrava assai". E iddu: "Ma parro giusto". A quel punto gli ho detto chiaro e tondo che mi aveva appena insultato quattro volte. E quando ha mostrato di non capire (ma va?!) l'ho cordialmente invitato ad andare per la sua strada e ad allontanarsi da me. Ha trotterellato fino al posto del conducente, ancora impegnato a cinguettare di bottiglie di birra abbandonate e di... "qualche malattia grave". Più vicino alla materia di cui era fatto, probabilmente si è sentito rincuorato. Avere scoperto di essere stato vicino a un gay, alcolizzato, magari pure drogato, doveva averlo sconvolto assai. Poi, per grazia di Dio, è sceso ed è andato a fare in culo dove gli tocca.

Sono stufo. 
E mi rivolgo direttamente all'azienda Amat di Palermo.

Stufo che chiunque si senta in diritto di sparare stronzate, dando per scontato di parlare di creature mostruose e mitologiche che sicuramente non possono nascondersi vicino a lui, perché le riconoscerebbe. Stanco di sentire inneggiare a forni crematori per rom e immigrati... Stanco di sentire tanta ignoranza, odio, pregiudizio esprimersi senza che nessuno intervenga per condannare la puzza di fogna che avvolge quel bus che sono costretto a prendere (da abbonato) per ragioni pratiche. 
Se questa gente ha il coraggio di sparare le sue stronzate è perché nessuno interloquisce. Nessuno manifesta dissenso. Vedere o sentire qualcosa di sbagliato e non intervenire, è un po' come legittimare. Invito l'azienda AMAT di Palermo a conversare con i suoi dipendenti autisti, a ripristinare un religioso silenzio intorno al conducente (che per inciso, tanto è impegnato a ripetere che il ruolo della donna è quello di lavare i piatti, da saltare sistematicamente fermate regolarmente richieste dai passeggeri) e a rendere le linee dei luoghi confortevoli per chiunque paghi il biglietto. Non solo per ignoranti reazionari in vena di blaterare ad alta voce come fossero in taverna. 

Le opinioni sono le loro. Io non ho nessun dovere di doverle ascoltare mentre viaggio.

Una postilla.
 Per rispondere al cialtrone incontrato sul bus stamattina, quello che diceva che "le hanno tutte... gay... alcolizzati... vastasi... magari drogati... Tutte le hanno!" rispondiamo: No. Qualcosa ci manca. La tua ignoranza. La tua cattiveria. Tutti i tuoi pregiudizi. Che vuoi farci? Siamo esseri imperfetti. E meglio PORCO (e gay) CHE FASCISTA!




venerdì 19 giugno 2015

Verso il Palermo Pride 2015



Ci siamo anche quest'anno. L'onda Pride, l'Human Pride, come quest'anno sta venendo lanciato, torna ancora una volta nella nostra città. Palermo, una città per molti versi irredimibile. Una città che vuole cambiare. Una città che non vuole saperne di cambiare nella stessa identica misura in cui sogna il cambiamento. Una città che sta cambiando (in meglio, in peggio?) a prescindere dalle sue intenzioni e dai suoi progetti. Ogni anno le medesime polemiche, stavolta incrudelite dall'aberrante mistificazione progandistica sulla teoria gender. Le solite nenie anche da parte dei gay incravattati contro la "fottuta carnevalata" (come se il Pride non fosse anche un'espressione festiva, né più né meno del vero e proprio carnevale, della festa patronale del Festino e dell'acquisito, commercialmente imposto Halloween, ma senza le medesime motivazioni politiche e storiche). Di transessuali e drag queen, che "danneggerebbero" la causa con i loro lustrini, dimenticando che il movimento per i diritti LGBT è nato proprio dalla resistenza di questi soggetti e non dagli omosessuali più omologati e nascosti. Del resto... come scrive Zerocalcare nella sua "Città del decoro", in un contesto differente, ma universalmente graffiante: «...ce ne sono di bravi, che se ne stanno nascosti nelle fogne, come le Tartarughe Ninja. Non come questi, che si fanno vedere...»
E ci risiamo. Ci risiamo con le manifestazioni, con le rivendicazioni, con le polemiche.


L'importante è esserci. Farsi sentire.
Detto questo. Ormai è un rito. Altroquando c'era sin dal primo, funambolico e riuscitissimo Pride palermitano. Sin dall'inizio ha contestato il logo. Inascoltato. Ogni anno abbiamo riproposto la nostra pacifica polemica, e proposto un logo alternativo, ma sostanzialmente simile: un fiore fucsia. Oggi, in alcuni casi, anche quello ufficiale è stato per certi versi ingentilito, ma non basta ancora. La prematura scomparsa, due anni fa, di Salvatore Rizzuto Adelfio, nostro fondatore, non mette fine alla nostra posizione. Che riproponiamo come ogni anno, ormai uguale, pertinace. Perché non è solo questione di logo. Ma di incapacità di cambiare. Cosa che per un Pride (che appoggiamo comunque) a noi appare un controsenso. Quella Star of Life (simbolo internazionale dei paramedici, sfoggiato in tinta fucsia dalle associazioni paramediche femminili statunitensi) che nessuno (o comunque in pochi) sembrano percepire come qualcosa di esteticamente e contenutisticamente fuori luogo. Per coerenza, in memoria di Salvatore Rizzuto Adelfio e di un argomento sul quale non riuscì a farsi ascoltare, riproponiamo anche quest'anno l'ormai vecchia riflessione. Consapevoli di essere perdenti davanti alla maggioranza. Consapevoli di dover continuare (è il Pride, accidenti!) orgogliosi della nostra differenza.



Il logo del Palermo Pride (praticamente identico a un simbolo internazionale legato ai frangenti più spiacevoli della vita, la Paramedic Cross) è soltanto un campanello d'allarme. La nostra scelta di modificarne la sagoma è stata dettata solo dalla volontà di essere presenti con una “controfigura” che possa aprire un nuovo dialogo per i Pride futuri. Infatti, non possiamo nascondere che il Palermo Pride (bellissima novità cittadina degli ultimi anni) ha una struttura mediatica che non ci persuade. E' l'unico Pride in tutto il mondo ad avere (e a conservare in modo pertinace) un logo (peraltro semanticamente sbagliato) sempre uguale e immutabile, laddove tutte le altre città ne producono uno nuovo ogni anno.

Nato (lo sappiamo bene) con l'intento di essere un Pride fortemente politicizzato e inclusivo, quello di Palermo si è presto lasciato sedurre dalle sirene del facile consenso popolare, e il suo logo è diventato una sorta di brand commerciale, difeso ossessivamente ed esibito da tanti con la stessa passione con cui altrove si sfoggia il logo della Nike. Eppure il Pride LGBT dovrebbe essere la manifestazione-festa anticonformista per eccellenza, mutevole e in continuo sviluppo. Invece ci ostiniamo a sventolare e a dipingere sulle nostre facce, ogni anno, lo stesso identico simbolo. Forse per il bisogno ancestrale di sentirsi parte di un clan, di una crew. Pulsioni che richiamano alla mente il tipico provincialismo del nostro Sud, sempre ansioso di distinguersi, ma - sembrerebbe - non di maturare davvero. Il Pride dovrebbe simboleggiare un valore liberatorio con un milione di facce, e proprio per questo, in quanto politicamente caratterizzato, dovrebbe tendere ad andare controcorrente e non ostinarsi a sguazzare in un ripetitivo trend. Bocciare sul nascere la proposta di organizzare un concorso contest per le scuole d'arte di Palermo, alla ricerca di un nuovo logo da adottare di anno in anno (diventando, nello stesso tempo, presenti presso realtà accademiche dove di norma gli argomenti LGBT non esistono) ha lasciato il posto alla facile sbornia dell'omologazione.


Altroquando di Salvatore Rizzuto Adelfio è ancora qui, e marcerà con il Palermo Pride come già negli anni passati. Con le sue ragioni, i suoi dissensi, la sua collaborazione.
Buon Pride 2015 , e buone riflessioni, a tutti e tutte.


domenica 17 maggio 2015

Giornata internazionale contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia


17 Maggio... Giornata Internazionale contro l'Omofobia e la Transfobia.

Una di quelle date stabilite come promemoria, una sorta di agenda morale, fatta per ricordarci temi etici o eventi storici tragici, affinché si rifletta, almeno per un giorno, su argomenti che... evidentemente, hanno ancora bisogno di una nota in agenda.

Almeno per un giorno.


Essere cinici è facile. Io stesso lo divento di frequente, e spesso mi lascio andare all'insofferenza per quelle che a volte appaiono come feste comandate. Ma esistono argomenti che investono la vita, la dignità delle persone. Ed esistono scelte cruciali per tutti gli individui, sulle quali i comuni cittadinie e soprattutto quanti li governano, non possono permettersi di glissare. Scegliere se restare umani, vivere secondo cultura, e quindi continuare a progredire, o secondo natura, quel concetto tanto spesso chiamato in causa in modo superficiale ed errato per troncare discorsi scomodi e continuare a sguazzare nella propria beata, comoda ignoranza. Oggi, l'Italia ha bisogno di note in agenda come questa. Uno dei pochissimi paesi in Europa a non aver legiferato adeguatamente (diciamo pure che ci ha nemmeno lontanamente provato) sulle unioni civili e (non sia mai) su una legge che sancisca una volta per tutte che discriminare, offendere e aggredire a causa dell'orientamento sessuale è un reato.


Una giornata, dunque, per ricordarsi che ancora oggi tante persone omosessuali e transessuali sono discriminate, perseguitate, dileggiate. Una nota in agenda che tornerà il prossimo anno, come tante altre, mentre molti tra noi sperano che nel frattempo il clima sia cambiato.
Noi di Altroquando vogliamo celebrare questa giornata con un sorriso e il linguaggio, a noi caro, dei fumetti. Lo facciamo ricordando una pagina dell'opera di Grant Morrison The Invisibles, che vede protagonisti la bellissima drag queen Lord Fanny e il giovanissimo, irrequieto Dane.

Dane e Fanny sono appostati in auto durante una missione. Dane, che inizialmente aveva un atteggiamento decisamente omofobo, ha finalmente superato i suoi limiti e sta iniziando ad accettare affettivamente Fanny come persona. Nell'attesa, per fare conversazione, le dice: «Sei Ok, sai? Solo mi chiedo una cosa. Tu sei un uomo, giusto? E vorresti essere una donna. Allora perché non ti operi e risolvi la situazione?»

Fanny, quasi distrattamente, con l'ironia che la contraddistingue risponde: «Oh, beh, caro... Perché dovrei operarmi? Non sono mica malata! In fondo non è un pezzetto di carne in più a impedire a una ragazza di essere una vera ragazza.»



Tutti uguali davanti alla legge. Tutti pacificamente diversi ognuno a loro modo.
Questa è solo una possibile idea di giustizia.
Annotiamocela.