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sabato 18 giugno 2016

Palermo Pride 2016



Palermo Pride 2016... il settimo a Palermo.

Solo poche parole, dopo aver vissuto ancora una volta la parata.

Va da sé che quest'anno la ricorrenza del Pride (festa politica) che trova la sua origine nei moti di Stonewall, dove un gruppo di transessuali (più di altri) trovarono per la prima volta la forza di resistere alle vessazioni arbitrarie di una polizia deviata, fosse legato alla tragedia di Orlando. Un episodio drammatico che resterà nella storia del movimento LGBT internazionale, per la sua folle gratuità, per la generica indifferenza e per aver fatto da scintilla a commenti di un'omofobia che rialza la testa senza la vergogna che avrebbe tutte le ragioni di provare.


Il costume di Massimo Milani (metà della storica coppia palermitana conosciuta come Massimo e Gino) è stato di una teatralità elegante e struggente. Una scelta riuscita, che coniuga rispettosamente il tributo al dolore per la violenza insensata che ha spezzato tante vite innocenti e la tradizionale manifestazione festosa che va comunque avanti, inesorabile come il progredire della storia e una lotta politica che più di prima deve vederci determinati. Un abito da sposa insaguinato (citazione filmica a Kill Bill di Quentin Tarantino) e la scritta “We Will Survive” (Noi sopravviveremo). Una sposa che sembra cadere sotto i colpi di una cieca violenza, ma che si rialza più forte di prima e combatte come una leonessa fino alla vittoria.

Questo Palermo Pride 2016, come già altre sue edizioni passate, potrà forse essere definito “poco trasgressivo” o “troppo poco fantasioso”. Ma non è su questo che intendiamo concentrarci. Pensiamo piuttosto (al di là di quel che vorremmo vedere) alla forza inclusiva e alla generale compostezza di quella che ancora oggi da molti è definita come una “indecente carnevalata”.


C'è da chiedersi cosa abbiano visto. Dove, e se la buona fede abbia casa dalle loro parti. Il Palermo Pride si è connotato sempre più come una manifestazione politica aperta e solidale con realtà che LGBT non sono. Quest'anno il tema ufficiale erano i migranti e l'accoglienza, ma nel corpo del corteo abbiamo avuto modo di incontrare anche associazioni per la tutela dei diritti degli invalidi (dimostrando che la guerra tra poveri può essere superata, e che non esistono battaglie che vengono prima di altre, ma piuttosto battaglie per una vita migliore che dovrebbero essere un'unica cosa).

Le famiglie arcobaleno, sempre più numerose e presenti, con i loro bambini, sono ormai un punto nodale della manfiestazione. Un Pride che forse deluderebbe chi cerca trasgressione ad ogni costo, nudità e provocazioni. Ma che dimostra una volta di più che la presunta “carnevalata” del Pride (molto più compito a Palermo di certe feste che celebrano vittorie calcistiche) non è che un comodo spauracchio. Un inesistente fantasma, creato a bella posta per giustificare inerzia e la (magari inconsapevole) pulsione a restare nell'ombra con l'illusione di essere migliori.










martedì 14 giugno 2016

Lettera aperta a un amico patetico



Caro amico patetico,

ti chiamo patetico perché, da come ti esprimi non viene naturale definirti omofobo, e neppure razzista. Da quel che hai scritto trasudi tanta di quell'ottusità che al massimo sei un idiota, sempre che non ci si trovi davanti a un ragazzino disgustosamente maleducato. Scrivo questa lettera aperta, ma non la indirizzo a te. So che non ti interessa, e non potrà interessarti mai. Lo faccio perché annoto in un blog le cose che mi colpiscono, e alcune di queste – penso – meritino di essere condivise. La tua furia, il tuo orgoglio, il tuo ossessivo bisogno di rivalsa, assomiglia tanto, ma davvero tanto a quello di molte minoranze discriminate nel mondo. E per questo ispiri più compassione che altro. Ma ripeto... probabilmente sei poco più di un bambino. Anzi, lo spero. Per te. Per tutti.

I social sono una brutta bestia, lo sappiamo. Come gli aeroplani. Macchine che realizzavano il sogno dell'uomo di volare, ma che finirono con l'essere usati per sganciare bombe. Lo sappiamo tutti che la possibilità di interloquire con persone distanti, che non ci vedono, che non conosciamo, è qualcosa di delicato che spesso porta a scontri inutili. Da bambini, appunto.

Vedi, a me hanno insegnato che vedere qualcosa di sbagliato senza intervenire equivale a giustificarlo. Per questo intervengo ogni volta che m'imbatto in un comportamento razzista. Nel caso specifico, stavo conversando con un amico, commentando per la precisione, un suo video sul grande tubo. L'amico mi saluta dicendo “Ti abbraccio”. Io rispondo al saluto scrivendo “Abbraccio ricambiato”. Dal nulla, salti fuori tu, perfetto sconosciuto, e spari un commento non pertinente alla conversazione, attribuendo senso di scandalo all'attore Gerard Depardieu (infilato a forza solo a causa di una citazione filmica) per dire che il tuo attore preferito (che tu definisci un “vero uomo”) schiferebbe quelle che per te erano “smancerie tra maschi adulti”.

Veri uomini.
Smancerie tra maschi adulti.

Sì, devi essere veramente molto, molto giovane.
Ripeto anche questo. Lo spero con tutte le mie forze, perché il contrario sarebbe sinistro.

A quel punto ti faccio notare che se anche Depardieu in persona si permettesse di dirmi una cosa del genere lo manderei affanculo. Che sentire il bisogno di mostrarsi maschi a tutti i costi allontana dall'essere quello che tu etichetti come “veri uomini”. E concludo facendoti presente che stai parlando con un gay che ci mette la faccia, giusto per farti notare che entrare in una stanza dove c'è gente che non conosci dovrebbe farti pensare due volte a fare battute che prevedono una complicità da scuola media.

Ok, sono un idealista illuso. Bisogna ripassare un concetto di base.
Scusarsi, oggi, è una capacità che possiedono solo superuomini e superdonne. Quindi, davanti a una gaffe, le possibilità si riducono a due. Tacere o gonfiare il petto, perseguendo gli stessi argomenti e peggiorando di molto la situazione.

Ed ecco, dunque, un lungo delirio sulla militanza gay, la “politicizzazione del proprio ano”, sulla “censura” (parola che ormai ha perso di senso e ha acquistato il significato di “libertà di dire stronzate senza che nessuno te le faccia notare”), insulti assortiti, minchiate a sfondo neanche tanto velatamente razzista... (“la strage di Orlando, beduini o non beduini...”) e un fiume di parole incomprensibili, scritte in un italiano opinabile, e del tutto prive di un senso compiuto che non sia l'ululato di un marmocchio fuori di sé perché è stato rimproverato e non resiste all'impulso di prendere a sassate la finestra di chi gli ha detto che le cose sporche non si mettono in bocca.

Così, tentando di togliere un sassolino dalla scarpa, ho scoperto che avevo invece pestato una cacca di cane. Mi ritrovo uno stalker che mi ingiuria sia sul canale degli amici che con messaggi privati (senza peraltro rendersi conto che questo lo sta già facendo sconfinare in un reato di natura penale). I contenuti sono espressi con una linguaggio che richiederebbe l'intervento di un esorcista, o forse di un esperto di lingue primitive, chissà. Gli argomenti addotti non meritano analisi, tanto varrebbe interpretare le scritte sul muro di un cesso... insomma, il piagnisteo di qualcuno che non ha sopportato di sentirsi dire che avrebbe potuto comportarsi meglio in casa d'altri.

Ho sentito (esagerando, lo ammetto) il bisogno di rammaricarmi per avere dato l'input a un tale proliferare di spazzatura sul canale di amici. Ma oggi non vedo perché dovrei farmi carico dell'inciviltà altrui. Il meccanismo è sempre lo stesso dell'età scolare. Il bullo bullizza. Quando gli si resiste o viene punito per le sue azioni, sente la necessità di vendicarsi della vittima che ha importunato. Io non ho alcun controllo su questi meccanismi di cui la nostra società è ancora malata. Posso solo riconoscerli e riprenderli, come faccio sempre.

Le opzioni di Internet lasciano il tempo che trovano. Bloccarti su Google, ovviamente, non è servito a nulla. Sicuro, come spieghi tu, tutti abbiamo più di un profilo. Credi davvero, poverino, che non me lo aspettassi? Pensi seriamente che perda tempo a leggere ogni virgola di quello che ancora ti ostini a scrivermi? Credi che, visto che ci tieni tanto, non esibisca i tuoi attacchi come medaglie? Davvero non ti rendi conto dello spettacolo miserrimo che stai facendo di te stesso? Che ogni cosa che scrivi è uno sputo che ti ricasca addosso?

No?
Mi dispiace molto per te.
Ma sei hai scelto di annegare nella tua stessa saliva, accomodati.

Sai una cosa, non ti odio. Temo, piuttosto, che tu abbia seriamente bisogno d'aiuto, perché tale insistenza a cercare riscossa è uno dei sintomi della nevrosi ossessivo compulsiva, e alla lunga se non arginata peggiora in modo drammatico, a volte sfociando in situazioni psicologicamente definite borderline. Ma devo ricordarmi che sto parlando a un campione di civiltà, che può insegnarmi tanto su molti fronti, e che di sicuro non ha interesse per certi futili argomenti accademici, e cui non frega nulla di conoscere veramente il suo interlocutore. Anche per questo ho smesso di leggere i tuoi deliri, e probabilmente (ma non sicuramente, perché non porgo l'altra guancia per sempre) stavolta non ti bloccherò. Lascerò che la tua ignoranza faccia spettacolo di sé. Che la tua arroganza si alimenti fino a scoppiare. Non confuterò i tuoi deliranti insulti, i tuoi vaneggiamenti pseudopolitici. Anzi, li sfoggerò. Sei stato maleducato, ma potevi evitare di apparire anche un mentecatto. Tuttavia, se ti fa sentire meglio, se non sei in grado di riconoscere una brutta figura, continua pure su questa strada. Spero solo che tu abbia vicino qualcuno che comprenda quanto stai male e ti aiuti. Perché non sei un omofobo, e neppure un razzista. Sei una creatura patetica. Piccola e bizzosa.

Ma c'è davvero tanta differenza?

Be', questa è una grande domanda.


martedì 17 maggio 2016

Giornata Internazionale contro l'Omofobia 2016


Diario del Capitano, data bestiale 17.05.2016

L'ho scritto altre volte. Le feste comandate (riferito ironicamente, in questo caso, non a ricorrenze religiose, ma a date ufficialmente dedicate a un tema sociale di spicco) mi hanno sempre lasciato un po' perplesso. Giornata contro l'Aids, Festa della Donna e chi più ne ha più ne metta. Ok, il segno sul calendario ha una funzione. Un promemoria, un pretesto per ricordarsi (almeno una volta all'anno) che abbiamo un problema irrisolto in più. Sì, lo so, l'ho scritto tante di quelle volte da averne la nausea. Forse non ci credo del tutto neppure io. Ma quest'anno, la giornata internazionale contro l'omofobia e la transfobia, all'indomani (praticamente) dell'approvazione (fortunosa) della legge (monca) sulle unioni civili, e la prospettiva di un referendum abrogativo... ha un retrogusto ancora più strano.


Ne abbiamo parlato. La voglia di festeggiare è poca. Tuttavia, non si può negare che queste unioni civili (ottenute dopo uno spasmodico tiro alla fune, e sotto una pioggia di ingiurie tale da avvelenare il testo della legge stessa) gioveranno a quanti hanno semplicemente bisogno di una tutela immediata. Parliamo di un riconoscimento della reciproca assistenza, parliamo di successioni e così via. Insomma, mentre ci mastichiamo i coglioni per tutta la merda inserita nel testo di legge, per le forche caudine che siamo stati costretti ad attraversare, per i punti importanti che questa legge avrebbe potuto (o dovuto) avere e non ha più... non si può negare che quel poco che è arrivato, fosse arrivato una trentina d'anni fa, avrebbe risparmiato non poche sofferenze. E questo con buona pace dei detrattori più irriducibili (che di base, sia chiaro, non hanno torto) della legge in esame.

Celebrare una giornata dedicata al rifiuto dell'omofobia, quindi, diventa problematico. Anche perché, unioni civili a parte, una legge contro l'omofobia in Italia non si è ancora vista. Al punto di sembrare ancora più chimerica dell'agognato riconoscimento e tutela dei diritti della coppie di fatto.

"Pochi, maledetti e subito!" si diceva una volta riferendosi ai pochi soldi di retribuzione, pochi ma sicuri. Pochi, ma sonanti e spendibili. Se non è il momento di brindare, magari è il momento di riflettere, e congratularsi con chi, grazie a questa legge azzoppata, potrà vivere un pochino meglio di ieri.

Facciamo, allora, come Pollyanna nel celebre film di Walt Disney: cerchiamo un motivo per essere contenti. O perlomeno, per non essere troppo scontenti, e corroborarci al fine di riprendere una lotta per i diritti all'esistenza che non finisce certo qui.


Abbiamo parlato del "poco" offerto dalla legge che non è "inutile". Parliamo degli elementi offensivi (quelli sì inutili) fortemente voluti dalla peggiore politica ai danni di questa legge. Parliamo di quella mancanza del "obbligo di fedeltà" che tanto ci offende. E' vero. Cancellare questo aspetto, nella mente di chi ha perseguito questa omissione, è un segnale ostile. Nelle intenzioni miserrime di chi lo ha voluto, assenza di obbligo a essere fedeli, corrisponderebbe a definire la differenza tra queste nuove unioni civili e l'istituzione del matrimonio (guardato, in via teorica, come un modello perfetto e nobile cui le coppie dello stesso sesso non possono aspirare). Una macchia che però sottolinea solo il becero sentire di chi ha sempre osteggiato questa legge e ne rimarca la sostanziale ottusità. Infatti, sarebbe auspicabile la rimozione dell'obbligo di fedeltà anche dal matrimonio classico. E per una semplice, ragionevole, motivazione storica e giuridica. L'obbligo di fedeltà è del tutto anacronistico. E non per motivi etici. Ma perché il suo inserimento (o in questo caso la sua assenza) è legato a una vecchia concezione del diritto di famiglia, ormai ampiamente (e fortunatamente) superata. L'obbligo di fedeltà tra coniugi esiste in rapporto al fatto storico che un tempo l'adulterio era un reato. Punibile con la prigione (ma ci finivano solo le mogli, se a tradire erano loro) o con una sanzione pecuniaria (se l'adultero era il marito). Inoltre, l'obbligo di fedeltà, qualora infranto, rappresentava un'attenuante per il coniuge che invocava il celebre "delitto d'onore" (con l'attenuante prevista dal codice del tempo). Insomma, per quanto offensivo possa sembrarci, omettere l'obbligo di fedeltà da una legge che regola i diritti e i doveri di una coppia, non è poi così terribile (se non nelle intenzioni provocatorie della politica avversa). Paradossalmente, è più moderno e illuminato di un elemento che ancora fa parte dell'istituto matrimoniale, nonostante non abbia più ragione di esistere in termini di ratio giuridica (se non quando viene utilizzato per distribuire le responsabilità in sede di divorzio).

Il referendum abrogativo? Si farà? Non si farà? Qualcuno crede davvero che possa significare qualcosa? Anche il divorzio, anche l'aborto, suscitarono una reazione quasi automatica di risposta referendaria, e in entrambi i casi, il paese rifiutò di fare un passo indietro (giacchè spesso l'opinione dei votanti si rivela più avanti della politica chiamata a rappresentarla).

Insomma, è una data sul calendario che ci ricorda che un tempo omosessualità e transessualità erano considerate malattie e che oggi (fortunatamente, e grazie a un progresso culturale che per quanto lento difficilmente si arresta del tutto) non è più così. Non dalla scienza medica.

Cerchiamo motivi per essere, se non contenti, meno irritati, meno insofferenti. C'è bisogno anche di questo, dopotutto. Ricorrenze che ci dettino un'agenda, quando un problema sociale non è ancora risolto. La legge che condanni l'omofobia è ancora lontana, ma possiamo sperare che le unioni civili di oggi contribuiscano, con la dimostrazione di una quotidianità normalizzante, con il vissuto delle coppie che se ne gioveranno, a spingere questo convoglio troppo lento verso la sua meta definitiva. L'uguaglianza davanti alla legge di ogni cittadino tenuto a pagare le tasse, e il diritto a una pacifica, creativa, meravigliosa diversità.

domenica 28 giugno 2015

Pride LGBT 2015 (e ricordiamo che...)


Ricordo che anni fa, una delle persone più intelligenti che abbia avuto l'onore di conoscere, parlando del Pride e delle implicazioni "carnevalesche", spesso usate dai detrattori (etero e omo) per sminuirne il significato e le funzioni, mi disse: «Quel che viene dimenticato facilmente dai benpensanti, è la connotazione festiva della manifestazione. Una sfilata per esigere diritti negati che sostituisce agli aspetti spesso seriosi e tristi di altri cortei politici, una componente colorata, in maschera, se vogliamo. E propone una richiesta di eguaglianza e di libertà con il sorriso sulle labbra e la voglia di giocare... di mettersi in gioco.»
Non fa una grinza. Ma anche quest'anno non mancheranno gli atteggiamenti bacchettoni (trasversali, ricordiamolo). Ricordiamo l'odiosa frase di circostanza che sentiamo ripetere tanto, troppo spesso "Ho tanti amici gay che mi danno ragione." Ricordiamo la sintesi (mutatis mutandis) che ne ha fatto Zerocalcare nel suo "La città del decoro": "Io ho tanti amici *** che per primi schifano quelli così. Che sono bravi! Se ne stanno nascosti nelle fogne, come le Tartarughe Ninja. Non si fanno vedere come questi". Ricordiamo la risposta canonizzata da dare a questo tipo di persone (quelli che hanno tanti amici gay): "Io invece non ho molti amici. Ma sono tutti persone intelligenti." Ricordiamo anche (se ce ne fosse bisogno) che il Pride celebra anche la ricorrenza dei moti di Stonewall, quando nel 1969 un gruppo di Drag Queen affrontò la polizia che era solita vessarle, dando inizio a quello che sarebbe diventato il movimento per i diritti LGBT internazionale. Rammentate questo quando avete la tentazione di dire che travestiti, drag e transessuali danneggiano la causa omosessuale con i loro eccessi. Sono soltanto quello che sono. E sono quelli e quelle come loro che hanno fatto in modo che la resistenza avesse inizio. Pertanto rispetto. E sia festa, sia carnevale, sia gioia, e sia Pride... per tutti.