giovedì 12 giugno 2025

Addio a Gino Campanella

 


Apprendo con dolore della scomparsa di Gino Campanella.

Un pioniere, un'istituzione cittadina, un esempio di resistenza assieme a Massimo Milani, il compagno di una vita. Gino e Massimo sono stati, e resteranno, un simbolo per la nostra Palermo e il movimento LGBTQ+ tutto. Senza il loro coraggio, le loro sfide, la loro presenza costante, i traguardi raggiunti in questi anni non esisterebbero. Quir, il loro negozio, aperto anche al confronto umano, è parte integrante della nostra storia. Una testimonianza viva nel cuore di Palermo.
La scomparsa di Gino rappresenta un pezzo in meno per l'anima della comunità, ma ora va a costituirne uno in più per la memoria, per l'orgoglio, per la spinta ad andare avanti.
Un abbraccio sentito a Massimo.
Ciao, Gino. Non sarai dimenticato. Non sarebbe possibile.

sabato 17 maggio 2025

Giornata Internazionale contro l'omolesbobitransfobia


 
17 maggio: Giornata internazionale per il contrasto all'omolesbobitransfobia.

Chi si aspettava qualcosa di diverso dal nuovo pontefice Leone XIV, è rimasto deluso. Ma questo non sposta niente. Il Papa è il capo della chiesa cattolica. I diritti riguardano tutti e tutte, appartenenti (o estranei) a qualunque fede. La politica dovrebbe... no: DEVE tutelare i diritti di chiunque. E questo è il primo punto.

Neppure, però, è possibile nascondersi dietro un dito, e negare che gli atteggiamenti papali abbiano influenze culturali di un certo rilievo. Ma sotto il sole, di nuovo non c'è nulla.

Anche gli atteggiamenti di Papa Bergoglio, peraltro blandissimi, rimanevano qualcosa di confinato alla sua persona, tra l'altro criticata dalla parte più conservatrice della sua stessa chiesa.

Il Papa, chiunque sia, non può modificare sostanzialmente la dottrina. Non è un monarca, ma risponde a meccanismi millenari. Non è una giustificazione. Questa consapevolezza deve spingerci a collocarlo nel suo giusto spazio, e a fare il nostro cammino in modo indipendente.

E poi, Papa Francesco, con le sue timide aperture, non faceva che riprendere paro paro passaggi dei Vangeli. Sull'accoglienza, sulla tolleranza, sulla carità. Ripeto: i Vangeli. La cosa più "woke" della storia umana, prima che questa parola del cavolo fosse inventata. Anche se molti fingono di non accorgersene.



domenica 4 maggio 2025

L'Eternauta di Netflix


L'Eternauta, la serie Netflix, molto probabilmente dividerà il pubblico italiano. Personalmente, l'ho trovata un adattamento molto interessante. Anche coraggioso. E ce ne voleva!

Coraggioso perché confrontarsi con un'opera della forza, narrativa e politica, di quella realizzata da Hector Oesterheld e Francisco Solano Lopez, è un'impresa da far tremare le vene ai polsi.
Coraggioso perché l'opera necessitava comunque di un forte adattamento. E' pur sempre un romanzo a fumetti uscito dagli anni 50 del secolo scorso, e per quanto tenga ottimamente botta, conserva al suo interno degli elementi che trasposti così come sono striderebbero.
Coraggioso perché azzarda nuovi parallelismi politici, tenendo conto della memoria storica argentina.
Coraggioso perché rinuncia (per adesso!) al gancio metanarrativo e scaraventa subito nel cuore del discorso. Coraggioso perché si prende il suo tempo, e adotta un ritmo lento, che a molti farà storcere il naso, ma che a mio parere è consono allo spirito della narrazione.
Coraggioso perché per una volta i protagonisti non sono giovanissimi. Anzi, sono quasi tutti agée. A partire dal protagonista, Ricardo Darìn, una star in patria, ma poco noto dalle nostre parti. Elemento che quasi sicuramente lo farà aborrire al pubblico della generazione Z.


Per rispondere alla domanda che mi sento porre: "E' all'altezza del fumetto"? Direi... no, e non intende esserlo.
E' come sfogliare I promessi sposi mentre si guarda uno dei tanti adattamenti, cercare le cose che ci convincono meno e decidere in base a quelle.
Per me non ha senso. L'Eternauta di Oesterheld rimane là. Con il suo valore, la sua poesia, il suo fortissimo impatto culturale.

L'atteggiamento più corretto è spogliarsi da questo sentimento inquisitorio e lasciarsi trasportare dal racconto. Quindi... niente sarà mai all'altezza. Ma può essere interessante, piacevole, e a tratti anche commovente, osservare come una narrazione che ci è cara è stata trasposta secondo un nuovo linguaggio, un sentire contemporaneo.


Io ho apprezzato questa prima stagione. Imperfetta, ma a mio parere amabile. E sono stracontento che, al di là delle stroncature che leggo in Italia, sia già stata confermata per una seconda, che a quanto pare punterà più in alto della prima. E dopo quello che si intravede nel finale, sarebbe stato un peccato mortale non andare avanti.
Ci sono numerosi semi che possono germogliare in corso d'opera. Alcuni dei quali riguardano il cammino, la natura e il destino del protagonista. Le variazioni sono accettabili, gli inciampi prevedibili.
Nel complesso, promuovo El Eternauta di Netflix. Me ne frego se non è all'altezza del capolavoro da cui è tratto. E' una storia che mi piace sentirmi ancora raccontare. E la voce che me la sta raccontando, ha un tono tutto sommato carezzevole.

Poi lo so, io appartengo a un'altra generazione. Da ragazzino, mi emozionavo davanti a Il libro della giungla di Zoltan Korda del 1942 (molto precedente al classico Disney). Anche quello presentava tante varianti. Eppure Sabu era Mogwly e c'era il duello con Shere Khan. Quello delle trasposizioni in live action è un piacere infantile, che ha tutto il diritto di essere conservato.
Questo Eternauta, vista la sua natura, forse ha qualcosa in più. Pertanto, direi, dategli una possibilità. E se le leggi spietate dello streaming non lo buttano giù, vediamo cosa riesce a dire nella sua completezza.

giovedì 13 febbraio 2025

Captain America Brave New World: Bene, ma non benissimo



 Captain America: Brave New World...

Allora, che dire?
Mettiamola così. Un film non brutto. Non noioso. Anche perché misericordiosamente breve rispetto a certi suoi predecessori. Un compito svolto con diligenza che merita una sufficienza. Sì, perché a mio avviso i problemi sono altri.
Il film di Julius Onah non è un dito in un occhio. Non è quell'agonia di "Quantomania" e neppure il brodino annacquato di "The Marvels". Il guaio è che se non disturba, neppure appassiona. O almeno non è riuscito a farlo con il sottoscritto.
C'è da dire che dopo anni e anni di film Marvel, sorprendere, emozionare, è diventato difficilissimo. Inoltre, ormai tutto è telefonato. Quelli che dovrebbero essere colpi di scena, li abbiamo tutti visti nei trailer. O peggio ancora, sono stati annunciati con mesi di anticipo. L'effetto finale, dunque, è come vedere un film giallo in cui i personaggi non conoscono l'identità dell'assassino, ma il pubblico sì. Non c'è il piacere della scoperta, ma soltanto l'attesa di vedere entrare in scena l'annunciato divo di turno.
Come può quindi un film d'avventura intrattenere davvero e funzionare alla luce di questi elementi. In un meccanismo produttivo in cui il film finito è solo il punto d'arrivo di un crescendo onanistico che alla fine ottunde l'orgasmo e conclude con una sensazione di liberazione più che di appagamento.
Non pollice verso (pare non sia vero che i romani lo facessero al Colosseo), ma neppure applausi. E la scena post credits, tanto attesa, non dice niente che non ci fosse già stato annunciato a gran voce un sacco di tempo fa.
Bisogna cambiare il meccanismo. Ma questa, diciamocelo, è un'utopia. Il giocattolo ha funzionato, ma siamo noi che siamo cambiato. Perché dopo una tempesta di stimoli arriva l'abitudine.
E addio.
Non escludo, comunque, che mantenendo le pretese basse possa intrattenere. Io stesso non l'ho odiato. Però...
Lo ammetto. Ora ho bisogno di altro.

lunedì 26 agosto 2024

Alien: Romulus



Una volta, parlando di cinema, un amico mi disse: «Non capisco i sequel! Sono una ripetizione degli eventi visti nel film precedente. Tanto vale rivedersi l'originale.»

C'era del vero, anche se non in modo assoluto. Io risposi che, al di là dell'opinione rispettabile, credevo di capire il senso commerciale dei sequel.
«Per lo spettatore che ha apprezzato il primo capitolo,» dicevo, «è come tornare a visitare un luogo vacanziero in cui l'ultima volta si è trovato bene. Incontrare di nuovo le persone che si sono conosciute la volta prima e che avevevi trovato simpatiche. Riscoprire le sensazioni già vissute e cercarne di nuove respirando la stessa aria.»

Lo penso ancora. Almeno per quanto riguarda una certa modalità di sequel.

Poi vengono i franchise, quelli belli lunghi, e lì la cosa si complica.

Un brand come quello di Alien è sempre stato caratteristico e imprevedibile nello stesso tempo. Dal prototipo di Ridley Scott, che ha dato nome e forma a uno spunto horror classicissimo trasformandolo in mito, a una serie di seguiti dagli stili tutti diversi. Action, dark, grottesco, per poi tornare in mano al suo demiurgo Scott, che ha voluto reinventare la materia originale dandogli un'impronta autoriale talmente libera dai condizionamenti del brand da risultare indigesta a molti. Due escursioni (Prometheus e Alien: Covenant) che se ne infischiano della verosimiglianza e si concentrano su una riflessione allucinata dell'esistenza, della genesi umana e del suo diritto alla vita.

La serie cinefumettistica-videoludica di Predator vs Alien fa storia a sé. Ed è meglio lasciarla dove sta, senza troppi pensieri. Alien: Romulus, sbanca al botteghino e spacca in due il pubblico come Mosé con il Mar Rosso. Capolavoro o zozzeria?
Naturalmente, la risposta si colloca in mezzo. Alien: Romulus è un onesto e piacevole film d'intrattenimento. Azzecca le caratterizzazioni dei suoi protagonisti, ha un ritmo forsennato e riesce persino a mettere ansia (ma che paura i facehuggers!). La vera domanda è: dove finisce la normale dinamica da sequel (il ritorno nei luoghi ameni di cui cianciavo all'inizio) e dove inizia il dar di gomito allo spettatore abituale, quello che ormai siamo abituati a definire "fanservice"? E forse dobbiamo sottolineare il fatto che il fanservice, specie se insistito, ha acquisito nel tempo una connotazione piuttosto negativa. Beh, io credo che in larga parte, in questo caso, le due cose si trovino a coincidere. Il regista Fede Alvarez, che non è un genio, ma neppure uno sprovveduto, fa un lavoro diligente, recuperando feticci dai film precedenti e sfruttandoli come innesco per il suo spettacolo. In un certo senso, Alien: Romulus si può considerare un sequel diretto del primo film diretto da Ridley Scott. Si colloca proprio tra il primo e secondo capitolo della saga e riesce furbescamente a plasmare un nuovo episodio, ancora differente dagli altri. Dinamica da sequel e fanservice si sovrappongono, dicevo, in modo (per me) indolore, generando un effetto che alla fine della fiera è abbastanza canonico. Quando si torna a visitare una meta turistica dove si è già stati, ripeto, è normale aspettarsi di rincontrare facce già viste e sentire gli stessi profumi (di mare, di monti... fate voi).


Certo, qualcosa di gridato c'è. Senza fare spoiler (che fuori contesto, parlando di xenomorfi famelici,
significa tutto e niente), quel «Stai lontano da lei, maledetta!» magari Alvarez se lo poteva pure risparmiare. Stessa battuta, circostanza un tantino diversa (mica tanto, in verità, ma è un sequel, quindi... ). Ammetto che risentire questa frase mi ha dato un leggero fastidio, giusto perché scopre fin troppo le carte del citazionismo.

Tutto il resto, gli echi di dinamiche passate, situazioni che ricicciano fuori... ne dobbiamo davvero parlare? Sono i sequel, bellezza!
(cit.) Declinazioni di una storia già narrata. Cambiano le maschere, forse anche i fondali, ma la fabula è sostanzialmente quella. A meno che il suo autore originale non decida di prendere una direzione diversa scontentando una larga fetta di pubblico. Ma non è questo il caso. Ci sono le astronavi, i viandanti dello spazio che chiedono solo vivere le loro vite, c'è lo xenomorfo con le sue nefande caratteristiche e... "nello spazio nessuno può sentirti urlare". Sappiamo benissimo a cosa andiamo incontro.
Inoltre, parliamo di un franchise vecchio di quasi mezzo secolo, che conta al suo attivo sette film più le contaminazioni con il suo quasi gemello, il brand di Predator. Possiamo chiamarlo come vogliamo, ma scoprire all'interno del nuovo capitolo una lunga serie di references è addirittura fisiologico.

Rimane la domanda: il fanservice di Alien: Romulus è davvero così irritante? A mio parere no. Non più di tanti altri sequel di film seriali blasonati. Forse qualche citazione troppo urlata, ma sono peccati veniali. Il film di Fede Alvarez è divertente, riesce a inquietare e fa intravedere un cuore pulsante dietro a tutto il fracasso, il sangue e la sequela di orrori fantascientifici che ormai lo spettatore scafato conosce a menadito. Non è neppure troppo lungo, ti fa affezionare ai protagonisti. Ti fa temere per la loro sorte. E da
un film del genere non mi aspetto niente di più.

sabato 22 giugno 2024

Doctor Who 2024: Riflessioni finali



...e si è conclusa anche questa stagione.
Allora... al netto dei difetti (che sono quelli di sempre), io direi: bene, ma non benissimo. Magari con un possibile margine di miglioramento nella prossima stagione.

I difetti: dicevo, sono quelli di sempre. La fretta nel chiudere certe macrotrame. La farraginosità di situazioni che sono affidate più alla suggestione che alla logica (è Doctor Who. Più che fantascienza, più che fantasy, aveva ragione chi lo definiva un serial "pazzo").
La melassa dei buoni sentimenti (che però gli perdono, perché il cattivismo ormai ci è servito abbondante da una miriade di altri prodotti, e un po' di rassicurazione fiabesca ci vuole pure).
L'altalena di qualità tra i vari episodi (dopotutto è una serie che va avanti da parecchi decenni).

Ncuti Gatwa? Un Dottore interessante, promettente, anche simpatico... ma che penso debba ancora definirsi veramente. A tratti lascia emergere il suo personaggio di Sex Education, e in altri appare fin troppo emotivo (Gesù, quanto frigna!). Ma in fondo ha avuto 8 episodi, mentre le serie precedenti ne avevano almeno 12. Forse, dico forse, deve ancora carburare. Non è che non vada bene, ma la concorrenza con le incarnazioni precedenti è ferocissima. Non è arrivato da Jodie Whittaker, ma dall'interregno del ritornato David Tennant. Eredità pesante. Teniamolo presente.

In definitiva, dopo l'era di Chris Chibnall, lo stacco qualitativo si vede. Si respira aria di casa, anzi di Tardis, ma c'è ancora strada da fare. Cose da aggiustare.

Per concludere con una nota rompipalle...

Io l'avevo detto che la bigenerazione era da intendere in modo allegorico, giusto per pacificare la vecchia idea del Dottore e guardare avanti. Ma se ci si attacca letteralmente agli snodi di trama, quella scelta già presenta il conto.

Rusell T. Davies ha affermato che non rivedremo il Dottore di David Tennant. Per ora non è nei piani, almeno.
Dico una cosa sola. E questa la capisce solo chi ha visto il finale di stagione. Nessuno spoiler, resto vago.

Il Tardis non si era pure sdoppiato?
Come la mettiamo?
Dovrebbero essere cazzi. O no?

Vada come vada, è sempre Doctor Who.
E ci sono affezionato.

domenica 2 giugno 2024

Un'altra serialità è possibile - Terza Parte

 

Parliamo ancora di serialità. Anzi, di serial. E di alternative. Alternative a grossi titoli. Grossi nel senso di gettonati, discussi, supportati da sponsor e orde di fans. Quelle che vi presento in questa rubrica, arrivata al terzo episodio, sono alcune serie da me ritenute interessanti e, se non passate sotto silenzio, ampiamente sottovalutate dal vasto pubblico.


Evil – Se non gli avete mai dato una possibilità, questo sarebbe il momento giusto per farlo. Evil, infatti, è appena arrivato alla sua stagione finale, la quarta, attualmente in fase di programmazione. E' vero, le premesse iniziali possono non apparire particolarmente allettanti. Di serie sul soprannaturale ce ne sono state a bizzeffe. Satanasso, i suoi adepti e fenomeni paranormali che si intrecciano a complotti terreni rappresentano una formula abusata. Eppure Evil, nonostante le premesse già viste, con tutte le sue imperfezioni, può contare su un punto di forza non indifferente. La scrittura, opera dei coniugi Robert e Michelle King, già autori di successi come The Good Wife.

Prodotto dalla CBS, Evil descrive il lavoro di una squadra al servizio della chiesa cattolica statunitense il cui compito è valutare l'attendibilità di fenomeni apparentemente diabolici o divini e l'eventuale decisione dell'istituzione ecclesiastica di contrastarli o accreditarli. Abbiamo David, un seminarista afroamericano (Mike Colter, visto in Luke Cage, e qui in un ruolo parecchio sfaccettato), Kristen, una psicologa forense e Ben, un hacker esperto in più rami della tecnologia, radunati per gestire casi bizzarri che potrebbero essere elaborate truffe come eventi oggettivamente soprannaturali. La trama verticale si intreccia con una densa progressione orizzontale in cui il tema dei singoli episodi spesso torna in scena in modo sorprendente. Le vicende personali dei tre protagonisti, cui si aggiunge il diabolico antagonista interpretato da Michael Emerson (Lost, Persons of Interest) nel ruolo di uno psicologo votato alla corruzione e al caos, svolgono una funzione rilevante nel mosaico generale. 

La narrazione di Evil procede costantemente sui binari dell'ambiguità, presentando ciò che potrebbe essere ultraterreno, ma anche manipolato da esseri umani senza scrupoli, assumendo una connotazione sempre più onirica che lascia allo spettatore la libertà di scegliere a cosa credere. Non esente da difetti, ma insidioso come una trappola, Evil è in grado di catturare l'attenzione dello spettatore e condurlo avanti di episodio in episodio, mentre lo status quo dei protagonisti matura e cambia generando un crescente senso di inquietudine.
Insomma, una serie poco frequentata che però sa come intrattenere. Se amate l'horror, una vostra occhiata la merita. Lo trovate su Paramount +.


The Strain – Tratta dalla trilogia di libri che va sotto il titolo generale di Nocturna, scritta a quattro mani dal regista Guillermo Del Toro e dal romanziere Chuck Hogan, The Strain è una serie già conclusa che conta quattro stagioni, andate in onda tra il 2014 e il 2017 sul canale statunitense FX e trasmessa in Italia da Fox. Anche il tema del vampirismo è stato sovraesposto, in televisione come al cinema, e oggi da dire sembra rimasto ben poco. 

I romanzi di Del Toro e Hogan propongono un approccio che rasenta la fantascienza (sebbene contaminata da una grossa componente gotica) e iniziano la loro saga riscrivendo il mito di Dracula, il suo arrivo nel mondo contemporanea non su una nave, ma a bordo di un modernissimo aereo che non appena atterrato spegne tutte le luci e rimane avvolto dal silenzio. I vampiri non sono raffinati aristocratici, non hanno canini appuntiti e la loro modalità di nutrirsi e riprodursi è qualcosa che va scoperta un poco per volta, attraverso l'analisi scientifica di medici abituati a confrontarsi con virus ed epidemie pericolosissime. 

Ci sarebbe da dire che la trilogia letteraria tende un po' a disperdersi, e smarrisce per strada alcune premesse iniziali proponendo delle rivelazioni sull'origine delle creature succhiasangue che possono risultare irritanti per qualche lettore. La serie televisiva, dove a condurre il gioco è lo stesso Guillermo Del Toro, anche regista dell'episodio pilota, elimina felicemente i punti deboli dell'ultimo romanzo e procede coerente per la strada che ha imboccato sin dall'inizio. Le poche variazioni sono efficaci e in definitiva la visione è gradevole anche per chi già ha letto la saga romanzesca. Consigliabile, quindi. Potete vedere tutte e quattro le stagioni di The Strain su Disney+.



Our Flag Means Death
– Basato molto liberamente sulla figura storica di Stede Bonnet, divenuto noto come il “Pirata gentiluomo”, Our Flag Means Death è una serie prodotta dalla HBO Max nel 2022. Tra commedia, avventura e romance, lo show ideato da David Jenkins è divenuto popolare presso la comunità LGBTQ+ per i suoi contenuti esplicitamente queer trattati con delicato umorismo. 

Nel XVIII secolo, il gentiluomo Stede Bonnet (l'attore neozelandese Rhys Darby) decide di abbandonare un matrimonio senza amore e le agiatezze della sua vita borghese per prendere le vie del mare, arruolare una ciurma di disperati e dare inizio alla carriera di pirata. Si tratta, però, di un sempliciotto con la testa piena di sogni che incontrerà non poche difficoltà sia a mantenere coeso l'equipaggio, sia a sopravvivere in mare durante quella che è ricordata come l'età d'oro della pirateria. La sua strada si incrocia con il più famoso e spietato dei pirati: Edward Teach, noto con il soprannome di Barbanera (Taika Waititi in persona). Tra il navigato corsaro e il sognatore, nascerà un'inattesa complicità che li porterà a innamorarsi scontrandosi con le convenzioni del loro tempo e le regole stesse della pirateria.

Strano, surreale, buffo, imprevedibile, Our Flag Means Death è una serie che oscilla tra il farsesco e il romantico, giovandosi di una ciurma di personaggi fortemente caratterizzati. Su tutti svetta Taika Waititi, in grado di apparire serio, languido, pagliaccesco e temibile a seconda delle esigenze di copione. Purtroppo, la serie è stata cancellata dopo due sole stagioni, ma merita comunque di essere recuperata. A proposito, in Italia non è mai arrivata. Quindi, per vederla è necessario ricorrere al pensiero laterale e affidarsi a sottotitoli artigianali.