"Ultimate Spider-Man" da nr. 1 a 40 e "Ultimates" - Prima Stagione completa. Brian Michael Bendis e Mark Bagley il primo, Mark Millar e Bryan Hitch il secondo. All'inizio degli anni 2000, la Marvel lanciò la linea "Ultimate". Un'etichetta che proponeva una serie di remake delle avventure dei suoi personaggi di punta secondo i linguaggi del nuovo millennio. In questo caso Spider-Man e gli Avengers ripartivano da zero, e le loro storie sviluppavano atmosfere e snodi narrativi citazionisti, ma sotto molti aspetti indipendenti dalle loro controparti classiche. Queste due serie sono entrate a far parte della Biblioteca Salvatore Rizzuto Adelfio, e presto potrete leggerli gratuitamente. Una realtà palermitana che continua a crescere, in un ambiente che va somigliando sempre più al nostro amato, vecchio Altroquando. Grazie a chi ci sostiene e lo rende possibile.
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Oggi, mentre sono preso dalle mie cose, il citofono suona in modo imperioso, tanto che sul momento mi sembra un grido. - Pronto? - Ci sono due colli. Qualcuno scenda a ritirarli. Due colli? Non sentivo questa frase dai tempi delle consegne in fumetteria. Alla fine, chiarito anche il suono del citofono che sembrava un urlo. E' arrivato Dylan Dog. In due colli. Direttamente da Bergamo. Un dono per la Biblioteca Salvatore Rizzuto Adelfio all'associazione Altroquando. GRAZIE. Di cuore. Alla faccia di chi ritiene morto e sepolto Altroquando e il sogno di Salvatore a Palermo. Altroquando e il suo fondatore vivono ancora, e crescono grazie a voi anche in altre parti di Italia. Siete grandi. Per sostenere la biblioteca autogestita potete donare libri e fumetti (contattateci alla mail altroquandopalermo@gmail.com) o con una piccola donazione monetaria sul nostro conto Paypal: http://paypal.me/altroquandopalermo
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#Like4Like. Dopo "Paperi", Marco Rincione torna, stavolta supportato ai disegni da Prenzy, con un'altra inquietante allegoria esistenziale. La ricerca di senso nel mondo dei social può prestarsi a più interpretazioni. Semplice mezzo di comunicazione? Palestra del narcisismo? Megafono di un ES di massa che dà voce a pensieri ed emozioni non filtrate dalla ragione? Il risultato a fumetti è comunque raggellante. E la distopia che fa da cornice apre i battenti a un incubo tecnologico cui tanti media stanno dedicando spazio.
L'idea di supereroe inteso come
versione laica e commerciale della concezione di messia, è antica
quanto il fumetto supereroistico stesso. Superman per primo è la
rappresentazione più classica di una creatura superiore venuta dal
cielo e cresciuta da una famiglia umile per “salvare” l'umanità.
Gli autori Jerry Siegel e Joe Shuster, entrambi ebrei, scelsero per
il loro personaggio kryptoniano il nome di Kal-El, che in ebraico
sarebbe traducibile come “Voce di Dio” (insomma, il
riferimento al Verbo è praticamente dichiarato). Un messia più
vicino alle aspettative del popolo ebreo del tempo di Cristo, che
attendeva un condottiero che li guidasse a un riscatto terreno più
che un maestro morale. La storia del fumetto supereroistico è zeppa
di letture mistiche simili, tralasciando le versioni più satiriche,
come il “Son of God” di Neil Adams, che riprendeva proprio
la figura di Gesù ammantandola di rimandi al Capitan Marvel-Shazam
della Fawcett (e in seguito della DC Comics). Tuttavia, negli anni
settanta la Marvel sbaragliò tutti con il personaggio di Adam
Warlock. Mentre attendiamo di scoprire quale trasfigurazione ci verrà
mostrata dal Marvel Cinematic Universe (abbiamo visto il suo bozzolo
in una delle scene post credits del secondo film dedicato ai
Guardiani della Galassia), ripercorriamone brevemente gli esordi
cartacei.
Warlock (all'epoca chiamato genericamente “Lui”)
nasce sulle pagine dei Fantastici Quattro a opera di Stan Lee e Jack
Kirby, ed è un essere creato artificialmente da un'enclave di
scienziati che mirano a produrre una versione perfezionata della vita
senziente. La situazione, però, sfugge loro di mano, e il risultato
è per l'appunto... Lui. Definito misteriosamente per un po' “La
creatura della chiusa 41”. Un giovanotto biondo dalla pelle
dorata e dai poteri enormi quanto indecifrabili. Compare per la prima
volta in forma prenatale, chiuso in un bozzolo che in seguito
diventerà il suo caratteristico rifugio ogni qual volta ha bisogno
di rigenerarsi. Poi in forma umanoide per poche vignette alla fine
del racconto, quando neutralizza (in modo veterotestamentario e anche
un po' sprezzante) gli scienziati che hanno avuto l'arroganza di
crearlo per scopi non all'altezza del suo potenziale, e abbandona il
pianeta giudicandolo troppo immaturo per ospitare un essere evoluto
come... Lui.
Ma siccome nelle storie Marvel niente è
mai come sembra (gli scienziati dell'enclave, per esempio, non sono
davvero morti e continueranno a fare pasticci), Lui ricompare in un
episodio di Thor. La terra non era pronta a riceverlo, ma si sa che
cos'è che tira più di una fune di bastimento. E in questo caso si
identifica con la dea Sif, della quale Lui si invaghisce, rapendola
alla maniera di King Kong (anche lo scimmione gigante era venerato
come un dio) per farne la sua compagna (in modo innocente, ma anche
un po' troglodita). Thor, che in quel periodo era affetto da una
sindrome asgardiana che lo mandava in berserk oltre misura, gliele
suona di santa ragione (rivelando che gli immensi poteri della
creatura sono estremamente variabili, e si riducono o si espandono a
seconda delle esigenze della trama), inducendolo a rinchiudersi nel
suo bozzolo protettivo e a fuggire di nuovo nello spazio.
Qui
inizia il casino mistico vero e proprio.
Pare, si dice, si mormora, che lo
sceneggiatore Roy Thomas fosse rimasto affascinato da “Jesus
Christ Superstar”, il musical di Andrew Lloyd Webber reso
celebre in tutto il mondo dal film di Norman Jewison del 1973.
L'opera rock di Webber era però popolarissima negli Stati Uniti già
nel 1972, e Thomas si mise in testa di portare sulle pagine dei
fumetti il supereroe messianico definitivo. La scelta cadde su Lui,
personaggio già esistente, ma ancora bisognoso di una vera
caratterizzazione (fino a quel momento era stato poco più di un
espediente narrativo per innescare le avventure di altri eroi) che fu
recuperato e trasformato in... Warlock.
Lo scenario scelto fu la Contro-Terra,
un mondo parallelo creato dall'Alto Evoluzionario (detto anche
“Grande Evoluzionista” viste le traduzioni ballerine
dell'Editoriale Corno). Personaggio già canonizzato nell'universo
Marvel, apparso su più testate (Thor, Hulk) e presentato come
genetista supremo, dedito alla sperimentazione e creazione di varie
forme di vita. La Contro-Terra era sostanzialmente un mondo parallelo
identico alla terra se non per alcune differenze storiche (pieno
quindi di doppelganger di personaggi iconici, ciascuno con una sua
variante). Qualcosa che oggi, per comodità espositiva, potremmo
paragonare all'universo gemello della serie televisiva “Fringe”.
Prima ancora, nell'episodio di Thor intitolato “I generatori di
vita”, avevamo incontrato un'altra creazione dell'Alto
Evoluzionario. Una genia di animali antropomorfi (esattamente come ne
“L'isola del dottor Moreau” di Wells, ma più evoluti) e
il loro crudele leader, un lupo (e sì!) chiamato genericamente Uomo
Bestia (Uomo Lupo era già preso).
La sintesi evangelica ideata da Roy
Thomas e realizzata graficamente dal grande Gil Kane fu praticamente
questa. L'Alto Evoluzionario ha creato sia gli animaluomini (New-Men)
che la Contro-Terra. L'intento dell'Alto Evoluzionario era
risparmiare al pianeta fotocopia le tribolazioni della terra
originale, ma tutto è mandato in vacca (praticamente per dispetto)
dall'Uomo Bestia e dalla sua stirpe di animali antromorfi, che subito
dopo si rifugiano sulla Contro-Terra per impadronirsene secondo i
canoni più consueti della narrazione supereroistica. Davanti a
questa deriva, il genetista vorrebbe disfare il proprio lavoro, ma
qui subentra Lui, che in seguito assumerà il nome di Adam Warlock.
Warlock (che nel frattempo ha rubato la divisa di Capitan
Marvel-Shazam, tagliando via maniche e gambali per stare più fresco)
ferma la mano del Creatore e si offre come protettore del pianeta
(comodamente separato dalla vera terra e quindi dalla continuity
ufficiale di casa Marvel), per salvare capra e cavoli dalle mire del
lupacchiotto. L'Alto Evoluzionario-Dio padre (putativo, in questo
caso, quanto San Giuseppe) accetta di partecipare a questa
performance in cosplay basata sul Vangelo, e invia Warlock sul
pianeta, donandogli il nome con cui sarà conosciuto e una delle
gemme dell'infinito (incastonata sulla fronte di Lui come su quelle
del dio Vishnu nell'iconografia induista) che in futuro si rivelerà
molto importante (soprattutto quando il personaggio sarà preso in
mano da Jim Starlin).
Inizia così l'avventura messianica di
Adam Warlock, con un ciclo di storie supereroistiche ambientate fuori
dal cosmo Marvel canonico, in lotta con la Bestia che si annida tra
gli uomini. Una lieta novella fatta di super-risse che poco hanno a
che vedere con gli insegnamenti etici cristiani, mostrando la corda
di un parallelismo religioso eccessivamente dichiarato. Ma la serie
intitolata “The Power of Warlock” ha vita breve e chiude
per la scarsità delle vendite.
La saga della Contro-Terra terminerà
sulle pagine dell'Incredibile Hulk (in trasferta per l'occasione sul
mondo parallelo), e lo farà nel modo più stucchevole possibile.
Sempre Roy Thomas, in questo caso in collaborazione con Gerry Conway,
conclude la saga metafisica di Adam Warlock con una narrazione ai
limiti del parodistico, ripercorrendo quasi pedissequamente le ultime
pagine dei Vangeli. In un certo senso, Hulk rivestirà un ruolo
simile a quello di Giuda, sia pure sotto il controllo del malvagio
diavolo-Uomo Bestia. Partecipiamo a una rappresentazione
supereroistica dell'ultima cena, ascoltiamo l'invito a ripetere il
rituale in memoria del supermessia, e assistiamo soprattutto alla
cattura e all'esecuzione di Warlock su un macchinario simile a una
croce egizia. Nemmeno l'urlo «Alto Evoluzionario, perché mi hai
abbandonato?!» ci viene risparmiato. E Warlock, come ogni Gesù
Cristo che si rispetti, muore, ma solo per tre giorni. Risorge
infatti dal suo bozzolo più potente che mai e dotato di una nuova
forma di consapevolezza astrale. Fa involvere l'Uomo Bestia
riportandolo alla sua natura lupesca, ne debella definitivamente la
minaccia e vola via nello spazio (come aveva già fatto anni prima
sulle pagine dei Fantastici Quattro) verso un nuovo, enigmatico
destino.
Qualche tempo dopo, Jim Starlin avrebbe
recuperato il personaggio di Warlock mettendo “tra parentesi” la
sua parabola messianica sulla Crontro-Terra, facendo evolvere le sue
avventure in una direzione cosmica e trasformandolo in un personaggio
schizofrenico, in lotta con la sua futura evoluzione malvagia: il
Magus, fondatore di un culto spaziale totalitario. Una metaformosi
concettuale che conserva le implicazioni mistiche, ma spostandole su
un piano più filosofico, e mettendo in scena un conflitto allegorico
sulla destinazione finale cui un grande potere può condurre. Il bene
e il male rappresentati come il conflitto interiore (e non solo) di
un unico personaggio, impegnato a salvare l'universo non da un demone
giunto dall'esterno, ma da se stesso.
La precedente visione messianica di Roy
Thomas aveva finito con l'impantanarsi in una serie di parallelismi
biblici fin troppo evidenti per essere realmente intriganti,
sconfinando alla fine nella citazione più banale. Paradossalmente,
toccando forse il punto più basso nell'interpretazione metafisica
dell'icona supereroistica. A quel punto Warlock doveva veramente
morire e risorgere a nuova vita. Editorialmente parlando. Il
personaggio ha conservato da allora il suo ruolo misticheggiante, ma
secondo una sensibilità più sfumata, potremmo dire più “new
age”, più fantasy e di conseguenza funzionale. Uno dei casi
supereroistici più bizzarri e mutevoli che l'evoluzione marvelliana
ci ha donato nel corso della sua lunga storia editoriale.
Tra i valori aggiunti della piattaforma
on demand Netflix ce n'è uno che forse non sarà riconosciuto dal
vasto pubblico, ma che ha un suo peso, e di sicuro – oggi – ha
reso felice me.
Parlo del recupero di serie televisive d'epoca.
Non preistoriche, ma che difficilmente oggi potremmo rivedere sui
canali convenzionali. Titoli di nicchia, ma di grande impatto che
meritano di essere recuperati, e dei quali fino a ieri non
esistevano versioni sottotitolate.
Oggi, su Netflix, torna finalmente
“Shaka Zulu”, serie sudafricana prodotta nell'ormai lontano 1986,
trasmessa da Rai Due in seconda serata e (almeno così mi risulta)
successivamente replicata solo su reti locali.
La miniserie, che
presenta un cast di tutto rispetto, integrando attori britannici
allora in auge come Robert Powell, Edward Fox, Christopher Lee e Trevor Howard con
esordienti neri di grande talento, narra la saga di re Shaka, noto
anche come il Napoleone Nero. Condottiero che nella prima metà
dell'ottocento unificò la popolazione Zulu rendendola un esercito
dalla potenza temibile, riuscendo a tenere in scacco per decenni le
forze colonizzatrici inglesi. Un racconto epico che attinge a una
pagina di storia poco conosciuta, basandosi su un romanzo di Joshua
Sinclair, ma senza dimenticare gli echi del poema che alla figura di
Shaka dedicò il poeta surrealista (e presidente del Senegal) Leopold
Sedar Senghor.
La serie TV si apre con quello che oggi
definiremmo un flashforward, identificato sin da subito dalla
didascalia “Epilogo” e ambientato circa sessant'anni dopo la
conclusione dell'avventura militare di Shaka. Davanti alla regina
Vittoria, gli eredi dell'impero Zulu assistono al crepuscolo del loro
regno, ma per lo spettatore è solo l'inizio di una saga
appassionante.
Nel 1986 stavo svolgendo il servizio
sostitutivo alla leva (allora funzionava così, almeno se questa era
la tua scelta) ed ero impegnato a far da supporto al corpo forestale
per spegnere incendi sulle montagne calabresi (le circolari
ministeriali del tempo prevedevano l'allontanamento degli obiettori
dal comune di residenza tanto quanto i militari di naja).
Contemporaneamente, in televisione andava in onda “Shaka Zulu”.
Ebbi così occasione di vedere alcuni episodi a spizzico,
recuperandoli qualche tempo più tardi in replica su un'emittente
locale, trasmessi a orari impossibili.
Da allora, di Shaka
avevo perso le tracce. Almeno della sua versione integrale e
fruibile. L'avevo a lungo cercato in rete, trovando qualche frammento
su Youtube, ma senza il supporto di alcun sottotitolo. Avevo
accarezzato l'idea di crearli io stesso, ma la mancanza di fonti e di
una base in lingua originale affidabile aveva finito con lo
scoraggiarmi. Oggi “Shaka Zulu” torna grazie a Netflix anche in
italiano. Non saprei dire con certezza se il doppiaggio sia lo stesso
del 1986, ma sembrerebbe di sì. E' possibile che molti storcano il
naso davanti a una produzione sudafricana degli anni 80, e sarebbe un
vero peccato, data la qualità del prodotto e l'interesse della
vicenda storica.
Ricordo e amo la narrazione del cammino
iniziale del giovane Shaka, la sua trasformazione da soggetto
diseredato a leader crudele e geniale stratega. Il rapporto con la
madre Nandi, vera protagonista femminile della vicenda. E la colonna
sonora di Margaret Singana, popolare folk singer sudafricana. La canzone che fa da intro a ogni episodio “We Are
Growing” (Noi cresciamo), così etnica e potente con le sue
sonorità tribali mi era rimasta impressa nella memoria. Ricordo la
scena dal sapore quasi fantasy in cui Shaka progetta e fa forgiare
quella che diventerà l'arma tradizionale degli Zulu, la lancia dalla
lunga lama appuntita e dal manico cortissimo. Il discorso al suo
esercito sulla vanità delle guerre tra le diverse tribù, quasi “un
balletto” più che un vero scontro militare, in cui le fazioni, ben
distanti tra loro, si scagliavano l'un l'altro lance lunghissime
senza ferirsi, e restando di conseguenza sempre in una situazione di
stallo.
«Noi,» dice Shaka «gettiamo via le nostre armi,
nella speranza che il nemico sia abbastanza gentile da
restituircele.»
La sua nuova arma diventa invece sinonimo di
morte. Il destino per i prigionieri di guerra è l'impalamento, e la
ferocia di Shaka è pari soltanto al suo carisma e alla sua genialità
bellica. Sotto il suo comando gli Zulu diventarono un impero che
l'Inghilterra imparò a temere, e la figura di Shaka un simbolo
pericoloso anche dopo la sua scomparsa.
Una storia e una messa
in scena anni 80 che a mio parere non è invecchiata di un giorno, e
che consiglio di scoprire a chi non era nato o era troppo giovane per
apprezzarla.
Oggi si può. E per questo sono grato all'esistenza
di Netflix.