mercoledì 27 luglio 2016

Civil War II (...Bis, Revival, Cosplayer?)

Civil War, l'evento orchestrato nel 2006 dallo sceneggiatore Mark Millar che ha scosso il mondo dei supereroi Marvel è oggi materia di un revival, tuttora in corso di uscita negli Stati Uniti. Pregi e difetti di un'operazione che - come già la trascorsa Secret Wars - si propone di rilanciare il Marvel Universe, prendendo - a sorpresa - le distanze dalle ormai popolarissime versioni cinematografiche. Ma è tutto oro quel che luccica? Quali differenze ci sono tra queste due "guerre civili". Scopriamolo insieme.

giovedì 14 luglio 2016

Basilicò di Giulio Macaione

Basilicò, di Giulio Macaione. Una piacevolissima sorpresa da parte di un giovane autore italiano.
La storia di Altroquando e quella di Giulio sono parzialmente intrecciate, considerato che ha mosso i suoi primi passi di disegnatore a Palermo, allestendo la mostra "Nell'ombra" presso la nostra (non più esistente... non chiamate con il nome della mia famiglia le mura in affitto dove oggi vive qualcun'altro, per favore...) libreria, durante il ciclo "Sguardi & Visioni" nel 2001. Da allora, acqua sotto i ponti ne è passata. Giulio è cresciuto, ha frequentato l'Accademia di Belle Arti a Bologna, dove vive ormai da anni, e ha prodotto tutta una serie di prove notevoli, fino a Basilicò. Forse il suo banco di prova più ambizioso. Almeno per ora. Scopriamolo insieme.

martedì 12 luglio 2016

CITTACOTTE: Estate 2016: L'incantesimo del fuoco


Un fistinu racchiuso in un piccolo spazio, angusto eppure enorme. Scoppiettante, luminoso. Sullo sfondo i fuochi (un piccolo schermo) salutano la resurrezione della Santuzza. Rosalia, mostrata defunta, sepolta dai peccati di una città sofferente, nella precedente vetrina (“Pietas”, estate del 2015) e avvolta nel gelido sudario della noncuranza, è risorta. E' la nuova vetrina (tradizione palermitana ormai di lunghissima data) che mastro Vincenzo Vizzari ha inaugurato ieri sera presso la sua popolare bottega “Cittacotte” in corso Vittorio Emanuele, a un passo da piazza Marina.

Una Rosalia che infrange il velo minimalista e la plastica staticità che l'avevano vista soccombere lo scorso anno, per rinascere, nuova luce di speranza, in un caleidoscopio di pop art e tradizione siciliana, contaminate con immaginari variegati e una spruzzata di kitsch che rendono la santuzza internazionale e figlia di un'iconografia che affonda le radici nel nostro Sud, ma senza accettare confini di sorta.

Il sudario dello scorso anno è caduto, abbandonato in un angolo della vetrina. La santa emerge, braccia rivolte al cielo, la bocca spalancata di un neonato che prende il suo primo respiro e forse urla, come Papillon, alla fine del film, dopo l'evasione: «Sono ancora vivo maledetti, bastardi! Sono ancora vivo!»


Il profilo della Palermo storica cinge la statua come un abito, ma anche come il cono di un inferno dantesco che finalmente la lascia emergere. O come un vulcano, che nuovamente attivo erutta la sua vera anima: la santuzza. Non a caso l'opera di mastro Vizzari s'intitola quest'anno “L'incantesimo del fuoco”. Fuoco come dono di Prometeo all'umanità, affinché possa progredire, fuoco per squarciare le tenebre dell'ignoranza. Fuoco come passione che vinca sull'ignavia. Una lingua di fuoco vitale, un'eiaculazione fiorita, dove le infiorescenze color cristallo dell'abito-montagna lasciano il posto a un vivace manto di rose. Cascata di florida opulenza. Una criniera floreale che incorona la santuzza conferendole valenze paniche e dionisiache. Una Palermo che è stanca di giacere, che anela alla vita, e dal gelo della morte vuole accedere alla vitalità danzante del fuoco.

Un augurio, per il festino alle porte e per la città di Palermo tutta. Forse, quella di mastro Vizzari, è una delle poche voci realmente artistiche rimaste, in cui la festa patronale di Palermo è vissuta come spunto creativo per produrre bellezza e metafore non omologate, aldilà delle implicazioni popolari e religiose ormai intrappolate in logiche commerciali che girano a vuoto. Un appuntamento per il quartiere che meriterebbe maggiore attenzione e di essere vissuta come parte integrante di una festa sempre più vicina a una sagra del cibo e avara di genuini spunti culturali.








venerdì 8 luglio 2016

Scarafaggi (veri e wannabe)

 


Diario del Capitano, data bestiale 8 Luglio 2016...

Spesa al supermercato vicino casa. Uno dei giovani impiegati fa su e giù con aria da pavone intorno a una collega che sta rassettando l'ortofrutta. La chiama "signorina" ma con un tono mellifluo, che sottintende sia già successo qualcosa di poco piacevole tra loro. Lei si gira e lo fulmina con un'occhiata. «Non mi toccare!» gli intima. Lui: «Non abbiamo ancora fatto pace?» Lei non gli risponde. Dopo qualche minuto sono in fila alla cassa. Un garzone di colore entra nel market dopo la consegna, e il tipo di prima lo apostrofa: «Ehi, sai cos'è successo in un'altra città a uno come te?» E gli racconta con un tono umoristico incomprensibile l'assassinio brutale dell'uomo nigeriano a Fermo. Ride, e il ragazzo di colore, che probabilmente non ha compreso bene il racconto, confuso e pieno di lazzi, ride con lui (forse anche perché ha necessità di stare in campana e non perdere il lavoro). Nel frattempo si inserisce anche il cassiere: «Non appena siete soli di là, ammazzalo.» Fa un gesto come di accoltellamento. E giù risate.

Non ho potuto fare a meno di grugnire tra i denti qualcosa come... e ci scherzate pure! Complimenti!
Per quello che può servire, per quanto simili figuri possano capire del dissenso che li sfiora ma non li travolge. Mi scopro a pensare con amarezza che non mi trovo su un social network. E' il mondo reale. Lo stesso che ha stroncato una vita senza nessun motivo. E adesso trova pure motivo per riderne.
Una volta, un mio familiare, si trovò tra i piedi un grosso scarafaggio e lo colpì con la scopa fino a spezzarlo in due. Io rimasi orripilato... ma anche chi aveva la scopa in mano era sorpresa dalla violenza che la ripugnanza le aveva fatto tirare fuori. Mi disse balbettando: «Non doveva sconfinare nel mio territorio...»

Credo che certi atti di violenza razzista non siano dissimili dalla furia irrazionale contro un insetto schifoso che ti entra in casa. Non doveva oltrepassare il confine. Mi fa schifo, lo odio, non voglio mi sfiori, non è un essere umano. E' uno scarafaggio.

«Non mi toccare!»

E a volte questo ragionamento riguarda esseri umani di etnia diversa. Percepiti alla stregua di una creatura disgustosa, aliena, solamente dannosa. Nella tua percezione talmente simile alla spazzatura che ucciderla non ti sembra neppure una colpa, una responsabilità, qualcosa che meriti una riflessione etica.
Non è troppo diverso non cogliere la gravità di quanto è successo. Farne motivo di scherzo, magari dopo aver importunato una donna (dimostrarti stronzo a 360° in meno di cinque minuti è davvero un bel primato). E quanto è bello, quanto è incoraggiante, vedere scattare così facilmente la solidarietà tra questi...

...scarafaggi.

Blatte. Bacherozzi. Mangiapane. Gli esseri che probabilmente avrebbero maggiori possibilità di sopravvivenza a una catastrofe nucleare.

Sono stanco. Stanco di tutto. L'umanità in fondo ha avuto la sua chance. Forse è arrivato il momento di lasciare tentare qualcun'altro.


mercoledì 29 giugno 2016

Per chi suona il Social?



Ultim'ora: oggi si è spento...

Segue nome di personaggio noto, spesso dello spettacolo. Cinema. TV. Teatro. Musica.
Segue proliferare di post sui social. Principalmente IL social, vale a dire casa Zuckerberg.
Parliamo di post commemorativi.
Ma anche di post denigratori.
Non fa differenza.

Non ho sbagliato a scrivere. Per me, almeno, non fa differenza. Sono due facce della stessa medaglia. Omologazione e bastian contrario. Si esprimono sui social network con la medesima prolificità. L'importante, si direbbe, è esprimersi. Con rammarico o con acidità, non cambia moltissimo. E' un gioco delle parti, uno dei sintomi della scimmia sulla schiena generata dall'uso degli attuali strumenti di socializzazione. E lo dico senza esprimere nessun giudizio che non voglia essere semplicemente clinico.

Mi interessa di più un altro aspetto della questione.

D'accordo, i social dando voce a tutti abbattono i freni inibitori. Ci danno la sensazione di leggere nella testa degli altri, sebbene anche questo sia ingannevole. Le persone sono, per fortuna, più complicate di quel che scrivono sui social. Non necessariamente migliori o peggiori. Solo più complesse. E' sul social che questa eccessiva semplificazione svuota le cose di senso e le rende irritanti. E' il surplus che pesa. Come una fetta di pane spalmato di miele... e sopra quello, lo zucchero. Normale che susciti nausea.

Parliamoci chiaro. Il social è social. Dà voce alle pulsioni più comuni, più “normali” (nel senso di “conformi”). Esprimere quindi cordoglio per la scomparsa di una pop star, di un attore, di un personaggio a suo modo pubblico, è un rituale istintivo di ogni comunità. Le condoglianze si fanno anche ai nemici. Alla morte di qualcuno si seppellisce l'ascia di guerra, sia pure per un giorno, e si fa un passo avanti (o indietro). E se ci pensiamo bene, non è l'aspetto peggiore della cosa. E' (o sarebbe, dovrebbe essere) solo un segno di civiltà.  

Il bastian contrario non presenta alcuna differenza. E' identico alla prefica. Solo ripete una litania diversa. E inevitabilmente diventa altrettanto noioso. Altrettanto stucchevole.

Esiste un'alternativa valida a queste due opzioni? Sì. Il silenzio. Spesso la cosa più dignitosa, educata e opportuna. E proprio per questo sottovalutata e praticata di rado.
Ma dico, parliamo di social. Sui social il silenzio non esiste. Dove esiste il silenzio non c'è social.
E neppure nella realtà oggettiva di una camera ardente c'è un silenzio totale. Ci sono pianti, ci sono ricordi, preghiere per chi ha fede, moti di rabbia. Io ho visto persino scoppiare delle risse.

Ma qui stiamo parlando di social. Di vip defunti e delle diverse tifoserie che si scatenano non appena il fischio del mietitore si è fatto sentire. Vai, che eri tutti noi! Buuuuu! Eri uno stronzo.

La domanda che scaturisce da tutto questo non ha una risposta scontata. Senza puntare il riflettore su un nome in particolare, pensiamoci un attimo. La lista del binomio merito-colpe, soprattutto in ambito artistico, è lunga e dolorosa.
Molto dolorosa.

Louis Ferdinand Celine: narratore di statura smisurata, i cui scritti non fanno mistero di uno spiccato sentimento antisemita.

Herbert Von Karajan: immenso direttore d'orchestra che aderì al partito nazista.

Konrad Lorenz: padre dell'etologia, conoscitore del mondo animale e grande divulgatore. In vita scrisse articoli scientifici a sostegno dell'eugenetica.

Elia Kazan: grande regista teatrale e cinematografico, delatore del maccartismo. Causò la rovina di molti colleghi durante gli anni della caccia alle streghe del senatore McCarthy.

L'elenco è lungo e potrebbe continuare.

A mio avviso non esiste una risposta definitiva. E' umano pensare che la qualità dell'uomo o della donna dovrebbe pesare più di quella dell'artista, ma è altrettanto ragionevole suggerire che conviene non avvicinarsi troppo agli artisti che ci incantano, giacché quella complessità che rende umani, spesso macchia e compromette la percezione stessa di opere che altrimenti ameremmo.
E' umano anche pensare che le opere, il contributo artistico, vada scisso dalle miserie dell'individuo che le ha prodotte. In quanto l'arte vera vive di vita propria, e se regala emozione, conserva comunque il suo valore. Sono entrambi atteggiamenti rispettabili.

Ponendoci queste domande, assistiamo all'eterna pantomima della contraddittorietà umana. Possiamo essere bellissimi di fuori. Ma... sorpresa! Dentro siamo tutti pieni di merda.

Poi ci sono gli aspetti relativi. Gli oggettivi meriti artistici. L'effettiva portata della colpa. E' normale che più grave sia il peccato più difficile sia ignorarlo. Uccidere, fiancheggiare realtà che si sono macchiate di gravi crimini e vantarsene, non è la stessa cosa di avere solo mostrato simpatie politiche in antitesi con la nostra, e così via. Un artista può avere innovato e creato un linguaggio. Un altro può solo averci regalato delle ore spensierate, senza cambiare troppo nel lungo termine.

Non fa differenza. Pioveranno comunque sia fiori che uova marce. Insomma, è il grande gioco della notorietà che continua anche dopo la morte. Se le tue foto finiscono in prima pagina sui quotidiani, devi tenere conto che qualcuno potrebbe conservarle come santini, qualcuno potrebbe masturbarcisi, e qualcuno usarle anche come carta igienica. E morire è un atto ufficiale. Soprattutto se sei popolare. Non ci sei più, ma per un po' ti vedranno dappertutto.

Guardo con tenerezza alle risse sui social che si scatenano alla dipartita di ogni celebrità. Il consueto ping pong di commenti a favore o contro. Dimenticandosi, spesso, che il soggetto della conversazione non c'è più. E' finita, gente. Ha dato. Se vi faceva così tanta antipatia, avreste potuto dirlo anche prima, finché viveva. Forse avrebbe avuto più senso. Solo... forse.

Tornando invece ai coccodrilli (sì, come gli articoli scritti in morte di qualcuno)... possono stancare, d'accordo. Ma sono innocui e volendo del tutto legittimi.

Quel che penso abbia bisogno di un chiarimento è un altro concetto. Ci sono personaggi pubblici che magari non amiamo. Non ci stanno particolarmente simpatici. Oppure ci piacevano da bambini e in seguito abbiamo rettificato le nostre preferenze. Eppure la loro scomparsa ci turba. Perché?

Non diamo niente per scontato. Il poeta inglese (e sì) John Donne, nella sua poesia “No Man Is an Island” lo ha detto meglio di chiunque altro, con il verso che Ernest Hemingway ha scelto per il titolo di uno dei suoi romanzi più celebri.

Nessun uomo è un'isola, completo in se stesso
Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto.
Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare,
l'Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio,
come se venisse a mancare una dimora amica o la tua stessa casa.
La morte di qualsiasi uomo mi diminuisce, perché io sono parte dell'umanità.
E dunque non chiedere mai per chi suona la campana.
Suona per te.

Al di là degli echi grotteschi che oggi (all'indomani del Brexit) ci pare di scorgere tra i versi, la visione (anche mistica, ma non solo) di John Donne esprime uno di quei sentimenti popolari che tanto possono infastidire sui social network: il cordoglio per la morte di un personaggio pubblico.
Perché è vero. Alla lunga stucca. Ma è il social, bellezza. Stucca tutto da quelle parti. Meglio usarlo con parsimonia (e razionalità) se proprio non ti piace (legittimamente) la ghigna che mostra.

E ogni dipartita di un personaggio che può avere più o meno accompagnato la nostra vita, magari la nostra giovinezza, con della musica, delle performance attoriali, a un livello altissimo o raccogliticcio... ci diminuisce. E' per noi stessi, per il nostro tempo perduto che ci commuoviamo. E' ai nostri ricordi che tributiamo un pensiero, un post, un'immagine. Il livello, persino gli individui scomparsi, c'entrano fino a un certo punto.

Si parla di noi. E di come eravamo.


Su tutto il resto, è meglio stendere un velo pudico. Come diceva un personaggio nel fim “Shortbus”: «C'è stato un tempo in cui volevo cambiare il mondo. Oggi desidero solo lasciare la stanza con un po' di dignità.»

Un saluto cordiale.

lunedì 27 giugno 2016

POErtraits - campagna Kickstarter

Edgar Allan Poe. Praticamente il padre della narrativa poliziesca e orrorifica. Il genio sregolato da cui ci arrivano classici come "Il gatto nero", "La maschera della Morte Rossa", la struggente poemetto "Il Corvo" e molto altro. Può essere oggetto di un gioco scanzonato, umoristico, creativo, addirittura goliardico?
La risposta è: assolutamente sì. Ecco a voi "POErtraits". 100 (e passa) modi di vedere Poe. Un gioco grafico e linguistico lanciato dal disegnatore Marco Rocchi, e tema di un'attuale campagna di crowdfunding su Kickstarter per la pubblicazione. Avete tempo fino al 3 Luglio. Nel video, tutti i dettagli. I link per info e crowdfunding, in fondo al post.