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martedì 12 luglio 2022

Cittacotte 2022: Memento Mori

 


Era dal 2019 che la bottega Cittacotte, in via Vittorio Emanuele 120 a Palermo, non inaugurava una nuova vetrina.

Colpa della pandemia da Covid-19 che tante tradizioni e consuetudini sociali ha falciato per ben tre anni, e che ancora ci accompagna verso un futuro incerto e tutto da ricostruire.

L'ultima composizione creata dall'estro di Vincenzo Vizzari in occasione del Festino, festa patronale palermitana, del 2019 era stata “Fraternidad”. Inno alla solidarietà in cui Santa Rosalia congiugeva le mani con un migrante sopra un globo di edifici storici che rimandava dalla città di Palermo a tutto il mondo. Poi un lungo silenzio. Necessario, inevitabile, dettato dalle norme restrittive e da una saggia prudenza.



Memento Mori”, nuova vetrina inaugurata lunedì 11 luglio in occasione del Festino del 2022 interrompe finalmente la lunga pausa, e presenta un progetto artistico che in verità aveva cominciato a prendere forma proprio nel 2019, alla vigilia della grande emergenza che tante vite avrebbe stroncato costringendo tutti gli altri a un forzato isolamento. «Uno spunto quasi profetico,» riflette oggi Vincenzo Vizzari, considerando il tema della sua ultima creazione. L'intuizione di tempi funesti, ma anche la ricerca di rinnovate energie volte alla ricostruzione.

Memento Mori” (Ricordati che devi morire), formula reiterata da certe tradizioni religiose in cui si rammenta ai fedeli la caducità della vita e il giudizio divino che seguirà il trapasso, ma anche – in termini laici – un invito a vivere l'esistenza e a goderne le gioie proprio perché limitata nel tempo.

Stavolta la composizione di Vincenzo Vizzari si presenta dietro un sipario nero, bizzarra contaminazione di allusioni etniche, con i riferimenti alla Santuzza, e di cultura pop. Il teschio sinistro visto nella locandina del film “Inferno” di Dario Argento, in cui protagonista era la morte stessa, ma incoronato di rose come la santa patrona, e sovrastante una croce, simbolo di pena ma anche di resurrezione. Disvelata l'opera, le luci prevalgono sulle tenebre descrivendo un loop ideale di fine e principio, da cui ancora una volta Rosalia emerge trionfante.



Due, infatti, sono le possibili letture. Due le direzioni interpretative, dal basso o dall'alto. Una la visione globale che veicola il messaggio definitivo dell'opera. In “Memento Mori”, Rosalia è tutt'uno con il suo manto, corpo e anima di Palermo, e al suo interno scopriamo il melange di architetture che riassumono una città dai tanti volti storici. La morte incombe sulle case, rappresentata da più teschi fusi con le strutture. Una città che guarda un cimitero, e a una fossa comune a forma di punto interrogativo, che suggerisce l'incertezza del domani, ma anche l'ambiguità di quelle ossa, che forse giacciono, ma forse stanno ribollendo per uscire, sollevarsi e tornare a vivere.


E' vero che Rosalia ha la morte nel cuore. La sua espressione, però, rimane enigmatica. Dolente, ma quasi sensuale, come se quelle ossa la nutrissero e le dessero forza. Una lettura dell'opera verso il basso suggerisce il disfacimento della città, vittima delle sciagure, dell'incuria, condannata a un inesorabile tracollo. La lettura verso l'alto, parla invece di spoglie mortali che alimentano una vitalità indomabile, da cui la Santuzza si rigenera e alza il capo incoronato di fiori verso il cielo stellato, resa potente da tutte quelle anime che non saranno dimenticate. La visione globale comprende entrambe le interpretazioni, in una narrazione circolare di vita, morte e perenne rinascita. Un oroboro che si alimenta di se stesso e vede coincidere nella propria fine un eterno nuovo inizio. Circolarità poetica amara, ma in fondo ottimista, giacché solo vivendo si può continuare a sperare e a costruire qualcosa di migliore, anche dopo tre anni di pandemia, decenni di generica indifferenza e pertinace degrado. Una bellezza che resiste nonostante tutto, che serba i ricordi e onora i suoi morti.

Ricordati che devi morire, ma fallo per vivere. Al meglio, anche per chi non c'è più. Un augurio poetico per Palermo e il Festino del 2022, che trova nell'estro artistico di Vincenzo Vizzari e nella sua preziosa bottega delle terracotte un pilastro culturale che andrebbe coltivato come un fiore in serra. Auguriamoci di non dovere attendere troppo a lungo per vedere nuove creazioni.















 

CITTACOTTE su Facebook

martedì 11 dicembre 2018

CITTACOTTE Natale 2018: Christmas Reflection



Christmas Reflection”.
Fermi tutti. Una domanda è d'obbligo.
La scelta del titolo (in lingua inglese) di questa nuova installazione natalizia a opera di Vincenzo Vizzari, che inaugura la nuova vetrina (o piccolo palcoscenico, se vogliamo) della bottega Cittacotte sul Cassaro di Palermo, è casuale o meditata?
Sì, perchè la parola “reflection” in inglese è diversa dall'italiano “riflesso”. Certo, il suo primo signficato rimanda a un'immagine riprodotta su una superficie - per l'appunto - riflettente. Ma è traducibile anche come “riflessione”, nel senso di “meditazione”.

La vetrina natalizia di quest'anno, maestosa riproduzione in terracotta dipinta d'argento dei maggiori edifici storici palermitani, è caratterizzata da un gioco di specchi laterali e superiori che creano, a colpo d'occhio, l'illusione di un prisma scintillante. L'effetto è quello di una fortezza luminosa, somma di tante altre costruzioni. Regale e splendida, ma... presenta qualcosa che è anche un'illusione. O se preferiamo, un sogno. Deluso? Tramontato? Recuperabile? E' tutto da vedere.
Il progetto dell'installazione (pensato dal mastro Vizzari con intenti spettacolari che vanno sempre oltre il solo virtuosismo artigianale) è integrato in modo significativo dal gioco di specchi. Questi ultimi, infatti, non si limitano a moltiplicare le forme della città, ma in qualche modo catturano anche le immagini del Cassaro reale, con la sua verità quotidiana, il suo movimento, la sua prosaica verità.

Christmas Reflection” realizza dunque un doppio messaggio. La presentazione campanilista (idealmente nobile, ma anche un po' ipocrita) di una città ammantata di luci, ma fatta soprattutto di ombre. E di riflessi vivi che chiedono attenzione, dietro la facciata splendida di decantata capitale europea. Una “riflessione” su ciò che appare e ciò che è. Su ciò che vorrebbe (o potrebbe) essere e una cruda realtà urbana, riflessa in un'arte che smaschera l'amarezza della contraddizione, ma con piglio sognante. Tutto sommato speranzoso.


Un invito alla riflessione, dunque. E a osservare la propria città alla luce di cosa potrebbe essere.

Christmas Reflection” inaugura anche una seconda nuova vetrina di Cittacotte, impreziosita da una cornice di legno che ricorda giustamente un teatrino dei pupi. Perché questo è Cittacotte. Bottega di artigianato, negozio di souvenir, laboratorio artistico e spazio espositivo di una cifra stilistica, quella di Vincenzo Vizzari, che Palermo deve imparare a valorizzare, e tenersi ben stretta.



Su un Cassaro, via Vittorio Emanuele, ormai in continuo mutamento a misura di turista, dove il volto storico della città si appanna ogni anno di più, soffocato da anonime realtà commerciali, Cittacotte realizza una forma di resistenza culturale. Per questo dobbiamo tenerci cara questa bottega e chi la tiene viva.

Rifletti, Palermo.




venerdì 14 luglio 2017

Cittacotte: PER TERRA E PER MARE...



PERTERRAEPERMARE.

Letteralmente.

A stendere le braccia tra la terra e il mare è stata la Santuzza, ieri, inaugurando la nuova vetrina creata per questo 2017 da mastro Vincenzo Vizzari nella sua bottega “Cittacotte” in via Vittorio Emanuele 120 a Palermo. E potremmo dire: ce n'era bisogno. Oggi più che mai.

Santa Rosalia, patrona del capoluogo siciliano celebrata nella ricorrenza estiva del Festino e condotta in effige, come nella leggenda che la vede protagonista, per le strade della città, su un carro che di anno in anno ha perso ogni fascino in un progressivo decadere del gusto.
Eppure, ogni anno, basta l'estro di Vizzari a confezionare riletture della Santuzza in chiavi non scontate. A volte provocatorie, ma sempre animate da un messaggio che arriva forte e chiaro. Sociale più che mistico. Poetico più che agiografico. Talmente personale e intelligente da diventare iconico a sua volta, producendo un ramo del Festino vissuto sottotraccia da molti palermitani come un appuntamento imperdibile. Perché non c'è solo perizia artigianale nelle opere di Vizzari. Ma una forza interiore dirompente. E chi se non la Santuzza, celebrata in questi giorni estivi da una città intenta a gozzovigliare, sarebbe potuta essere portavoce di un grido a favore dell'accoglienza?


Ogni disvelamento di una nuova composizione esposta presso Cittacotte ha sempre luogo con piccoli, agili accorgimenti teatrali. E ad accompagnare l'alzata della tela, stavolta, è stato il rumore ipnotico e minaccioso del mare, accompagnato dal campionamento di suoni provenienti realmente da barconi di migranti. Voci disperate. Rumoreggiare di una massa di esseri umani in agoscia, invocazioni, sono l'atroce e vera colonna sonora di quelle mani che chiedono grazia, emergendo sia dall'acqua che sta per inghiottire i corpi sia dal barcone, che non mostra direttamente i profughi, ma anche qui solo le loro mani protese verso l'alto, prigionieri sottocoperta di qualcosa che suggerisce la bolgia di un inferno dantesco. Le figure intere non sono meno potenti. Una tragedia in tre atti riassunta in un'unica composizione plastica. Sulla sinistra, un uomo piange con il volto nascosto tra le mani. I piedi ancora sulla terra, un istante prima di imbarcarsi verso una flebile speranza di sopravvivenza. L'unica figura umana visibile per intero sul barcone sventola un fazzoletto, aggrappata a un brandello di imbarcazione che ricorda la sagoma di una zattera che lo regge a malapena. Poi ci sono i profughi in mare, che affondano a poca distanza dalla riva, sforzandosi di tenere un bambino fuori dall'acqua. Almeno affinché respiri per qualche istante ancora. A terra, un pugno di uomini seminudi si sforzano di tirare in secco l'imbarcazione con delle corde. Non ci sono tratti marcatamente distintivi tra migranti e soccorritori. Nessuna etnia definita, come a sottolineare l'insensatezza di etichette davanti alla tragedia umana.


E su tutto, Santa Rosalia. Una Rosalia che forse si lancia nel vuoto dal suo antico rifugio su monte Pellegrino. Forse volerà, sorretta dai gabbiani che la attorniano. Forse precipiterà, decretando la caduta di Palermo e la morte della sua anima morale, giù in mare, in compagnie di quelle vittime che non è riuscita a salvare. Ma il gesto della mano e l'espressione angosciata dicono tutto. Un'esortazione ancestrale a restare umani. L'urlo di un'empatia che si rifiuta di lasciarsi soffocare da ignoranza e fascismi. Una Palermo che sprofonderebbe nel Mediterraneo piuttosto che continuare a esistere senza la pietà umana.

PERTERRAEPERMARE è il titolo di questa composizione di Vincenzo Vizzari per il Festino 2017. Forse la più esplicitamente politica. Per coloro che per “politica” intendono la vita della gente, da qualunque parte essa provenga, e la mettono al primo posto. L'iscrizione nel cielo che fa da sfondo alla scultura leggiamo le parole: “L'umanità è la migliore delle religioni”. Frase pronunciata nella realtà da un migrante giunto in un centro accoglienza siciliano, e che Vizzari ha deciso di far sua, scolpendola e accostandola coraggiosamente alla figura della santa patrona di Palermo.
Contro i facili populismi e gli slogan ignoranti, contro gli “aiutiamoli a casa loro” (si sarebbe potuta dire la stessa cosa degli ebrei che tentavano di fuggire dalla Germania nazista, ma la giornata della memoria è diventata solo un'altra data sul calendario).


Nello stesso tempo, quella di quest'anno è comunque una Rosalia anche metafisica. Forse più degli altri anni, in quanto riconducibile al senso di carità sommerso da ciarpame ormai riconducibile più alla superstizione che al senso religioso. Una Santuzza che ha compreso il senso di appartenenza all'umanità, e che ricusa il suo ruolo di vessillo in una città che chiude le sue mura ai bisognosi. Una Rosalia che lancia un appello accorato. Un grido umano e artistico che vibra nella vetrina di Cittacotte, e che meriterebbe (come ogni anno) molta visibilità in più.


Viva Palermo e Santa Rosalia.


martedì 12 luglio 2016

CITTACOTTE: Estate 2016: L'incantesimo del fuoco


Un fistinu racchiuso in un piccolo spazio, angusto eppure enorme. Scoppiettante, luminoso. Sullo sfondo i fuochi (un piccolo schermo) salutano la resurrezione della Santuzza. Rosalia, mostrata defunta, sepolta dai peccati di una città sofferente, nella precedente vetrina (“Pietas”, estate del 2015) e avvolta nel gelido sudario della noncuranza, è risorta. E' la nuova vetrina (tradizione palermitana ormai di lunghissima data) che mastro Vincenzo Vizzari ha inaugurato ieri sera presso la sua popolare bottega “Cittacotte” in corso Vittorio Emanuele, a un passo da piazza Marina.

Una Rosalia che infrange il velo minimalista e la plastica staticità che l'avevano vista soccombere lo scorso anno, per rinascere, nuova luce di speranza, in un caleidoscopio di pop art e tradizione siciliana, contaminate con immaginari variegati e una spruzzata di kitsch che rendono la santuzza internazionale e figlia di un'iconografia che affonda le radici nel nostro Sud, ma senza accettare confini di sorta.

Il sudario dello scorso anno è caduto, abbandonato in un angolo della vetrina. La santa emerge, braccia rivolte al cielo, la bocca spalancata di un neonato che prende il suo primo respiro e forse urla, come Papillon, alla fine del film, dopo l'evasione: «Sono ancora vivo maledetti, bastardi! Sono ancora vivo!»


Il profilo della Palermo storica cinge la statua come un abito, ma anche come il cono di un inferno dantesco che finalmente la lascia emergere. O come un vulcano, che nuovamente attivo erutta la sua vera anima: la santuzza. Non a caso l'opera di mastro Vizzari s'intitola quest'anno “L'incantesimo del fuoco”. Fuoco come dono di Prometeo all'umanità, affinché possa progredire, fuoco per squarciare le tenebre dell'ignoranza. Fuoco come passione che vinca sull'ignavia. Una lingua di fuoco vitale, un'eiaculazione fiorita, dove le infiorescenze color cristallo dell'abito-montagna lasciano il posto a un vivace manto di rose. Cascata di florida opulenza. Una criniera floreale che incorona la santuzza conferendole valenze paniche e dionisiache. Una Palermo che è stanca di giacere, che anela alla vita, e dal gelo della morte vuole accedere alla vitalità danzante del fuoco.

Un augurio, per il festino alle porte e per la città di Palermo tutta. Forse, quella di mastro Vizzari, è una delle poche voci realmente artistiche rimaste, in cui la festa patronale di Palermo è vissuta come spunto creativo per produrre bellezza e metafore non omologate, aldilà delle implicazioni popolari e religiose ormai intrappolate in logiche commerciali che girano a vuoto. Un appuntamento per il quartiere che meriterebbe maggiore attenzione e di essere vissuta come parte integrante di una festa sempre più vicina a una sagra del cibo e avara di genuini spunti culturali.








venerdì 10 luglio 2015

CITTACOTTE - Estate 2015: PIETAS


«Hanno ammazzato Santa Rosalia! Santa Rosalia è viva!»

Altro che «Viva Palermo e...»

C'è l'imbarazzo della scelta. La frase a effetto per aprire questo ennesimo commento alla vetrina inaugurata ieri da Vincenzo Vizzari, mastro terracottaio della bottega Cittacotte in via Vittorio Emanuele, come ogni anno alla vigilia del Festino, potrebbe essere anche «Santa Rosalia è morta! Viva Santa Rosalia!»


Eppure, citare la popolare canzone di Francesco De Gregori (Pablo) ci sembra più pertinente. Dopo tre anni di letture artistiche sempre più iconoclaste e dense di significati metaforici, mastro Vizzari ha chiuso un cerchio. La sua Santuzza era sempre stata un'icona da rivisitare, non per gratuita irriverenza, ma per contrasto critico a un'iconografia solitamente piatta, avvezza alla più stucchevole agiografia. Nell'ultimo periodo, l'arte di Vincenzo Vizzari, o meglio il suo rapporto con la figura della Santuzza, si è fatto sempre più problematico. Sofferto, addirittura. E proprio per questo prodigo di bellezza e spirito creativo. Non si può dimenticare, dagli anni trascorsi, la vetrina intitolata La caduta degli dei, con Rosalia agonizzante in un cassonetto, soffocata dai rifiuti, di qualche tempo fa (uno dei picchi più alti della collezione di vetrine di Cittacotte dedicate alla santa patrona di Palermo). Seguì la versione chiamata Interiors, dove vedevamo una Rosalia squarciata nel corpo e nella mente, simbolo ella stessa di una città contradditoria e autolesionista. Poi venne Mission, la lettura che trasfigurava Rosalia in una versione disperata del mito di Cola Pesce, piccola titana chiamata a reggere come Atlante una Palermo fatta di caos e dubbio progresso, da cui mille mani imploranti si sporgevano in cerca di salvezza... e il grido muto sul volto della Santuzza non lasciava dormire tranquilli.


Era quindi un appuntamento inevitabile. Ispirandosi all'Isola dei Morti, dipinto del pittore simbolista Arnold Bocklin, mastro Vizzari porta in scena una città tetra, grigia, fuligginosa, dove i profili delle antiche architetture arabe della Palermo storica sono controfigure inquietanti dei pini che troneggiano nel quadro originale. Tutto è gotico in questo Pietas, titolo di questa vetrina dell'estate 2015. Ma a dispetto del titolo, con la versione della “Pietà” classica non ha nulla a che vedere. Più che pietà dimostrata, formula una richiesta di compassione... se non altro un moto di commozione davanti all'irreparabile, e un attento esame di coscienza alla ricerca delle proprie omissioni. Nessuno solleva pietosamente la Santuzza, ormai defunta, marmorea e avvolta nel suo sudario (stavolta non vediamo neppure il suo volto). Resta solo il suo corpo inerte, bianco e giacente sulla lastra di porfido, santa patrona ormai caduta sotto il peso del suo fallimento. Protettrice che niente ha potuto contro le tenebre che hanno avvolto la sua città. Stavolta non scorgiamo alcuna presenza umana. La città sulfurea sullo sfondo sembra disabitata, neppure ci trovassimo di fronte a uno scenario post apocalittico. Una visione pessimista che sembra annunciare che Dio è morto, e anche noi faremmo meglio a non sentirci tanto bene. Il fondale, anch'esso cupo ma illuminato da un plenilunio bluastro contribuisce al quadro dark, ma con una strizzata d'occhio a una percezione tutto sommato più autoironica del primo livello di lettura dell'opera. Ricorda un fondale classico degli horror inglesi della Hammer, quelli in cui eravamo abituati a vedere stagliarsi la figura dell'attore Christopher Lee, da poco scomparso, nel ruolo della sua vita, il vampiro più classico di tutti. Quindi Pietas ci comunica la disfatta, la morte, anzi l'assassinio della santa patrona della città... da parte della città stessa, divenuta a sua volta una città fantasma, e insinua che tra quelle ombre, in mezzo a quella fuliggine, si stiano annidando creature invisibili che poco hanno a che fare con l'umanità che vorremmo conservare. E che ci prenderanno, nel sonno, se non vigiliamo. Perché Santa Rosalia è stata ormai colpita al cuore, e dobbiamo difenderci da soli.


Grottesco. Gotico. Metaforico come sempre. Con una spruzzata di humor nerissimo a speziare un quadro plastico che illustra una visione palermitana di certo non idilliaca, ma che contribuisce a denunciare le contraddizioni, la retorica e l'ormai frusta, insopportabile demagogia che ogni anno permea sempre più la nostra partecipatissima festa patronale.




venerdì 13 luglio 2012

Cittacotte 2012: La caduta degli dei


12 Luglio 2012 ore 21, inaugurazione della vetrina di Cittacotte, di Vincenzo Vizzari. Una piccola bottega in corso Vittorio Emanuele 120 che è già storia, e rappresenta (con le sue cicliche inaugurazioni) un appuntamento curioso e decisamente diverso dal solito. Una tradizione (interrotta per un po' e ora fortunatamente ripresa) che giustamente, quest'anno, si è voluto inserire come parte integrante nel programma del Festino, la festa patronale che impazza ogni estate nella città di Palermo spesso, purtroppo, con manifestazioni ben più pacchiane.


Il titolo scelto dall'artista Vincenzo Vizzari, stavolta, è La caduta degli dei. Frase che echeggia il cinema di Luchino Visconti e fantasmi di guerra, ma che nelle intenzioni del mastro terracottaio è emblema del degrado cittadino e di un generale senso di disfacimento. Nell'opera dell'artista, Santa Rosalia appare umiliata piuttosto che glorificata. Il suo carro principesco lascia posto a cassonetti dell'immondizia, eletti a ricettacoli del suo corpo esanime, sconfitto, e di noti monumenti di una Palermo mai così bella eppure così malata. Un concetto provocatorio di grande potenza e significato. Un momento di festa, quello dedicato alla Santuzza, che non deve (e non può) nascondere la reale miseria in cui la città sta sprofondando. Una denuncia artistica che affida alla bellezza e all'inventiva la critica sociale contro l'ubriacatura festiva, fortemente voluta, ma di frequente espressione ipocrita di una città in costante stato di abbandono.
Anche stavolta, tutto si è svolto come in un piccolo teatro. Un doveroso ricordo a Rosario La Duca, storico dell'arte scomparso nel 2008, fino alla fine ospite puntuale e sostenitore dell'arte insolita e ipnotica che si forgia nella bottega delle Cittacotte. La musica drammatica, il sipario che si apre lentamente, gli effetti visivi, e l'arte plastica e potente di Vincenzo Vizzari a illuminare quella che oggi è probabilmente la vetrina più affascinante del cassaro di Palermo.






venerdì 16 luglio 2010

(Contro)Fistinu: Philippe Daverio e i palermitani


La rissa verbale tra Philippe Daverio, direttore artistico del Festino 2010, e i palermitani, tra cui gli sfollati di casa Guzzetta. La lettera aperta che segue, "Caro messiè Daverio...", è stata scritta da Alessandra Notarbartolo, ed è diventata in poche ore il manifesto del dissenso di una Palermo stanca e infuriata. Nella giornata seguente all'acceso diverbio, Daverio ha comunicato la sua decisione di abbandonare una città che non lo capisce per tornare nella sua Milano. Dopo una scena simile, e un Festino così stereotipato, Palermo ne sentirà davvero la mancanza.




Cher messiè Daverio...

no, messiè no. Lei signore non lo è affatto. Cher sì, caro, carissimo. Direi esoso. Direi vergognoso. Pancia piena e tristezza infinita. Squallore. Pietà. Come il "suo" festino. Anzi, come il festino suo e del suo degno compare, il fantasindaco. Le scrivo questa lettera stanotte, stanca morta e con i piedi gonfi dopo 7 ore di cammino per la MIA città, perchè ho paura che domani mattina avrò dimenticato le sue parole. Che invece voglio che rimangano ad imperitura memoria, voglio ricordarle e ripeterle, una ad una. Perchè lei, invece, il coraggio di ripeterle in diretta televisiva non lo ha avuto. Pavido e pusillanime. Del resto, cosa ci potevamo aspettare da chi ha deriso con la sua finta eVVe moscia gli operai della Gesip che protestavano contro gli sprechi del festino mentre la città muore? Nient'altro che fogna, la sua bocca. "Cicciona di merda" ha urlato in faccia a Mimma, mamma di casa Guzzetta che le ricordava che sua figlia dorme per strada da 1 mese, mentre lei ingrassa coi soldi della città. "Cicciona di merda", che detto da lei suona come un vero ossimoro, una battuta da cabaret. "Peggio per te che hai fatto 13 figli se non li potevi campare" ha continuato. E poi "merda" vomitato almeno 10 volte verso chi le diceva di vergognarsi. "Finto disoccupato!" ha urlato per zittire Peppe. Cos'è, un nuovo insulto nel suo lessico peVsonale? E infine, l'apoteosi: a chi le urlava "fascista", lei orgoglioso ha risposto "sono stalinista! e se fosse per me quelli come voi si sarebbero già estinti". Quelli come noi, Daverio? E chi siamo noi? Poveri? Derelitti? Umiliati e privati dei diritti più elementari da un sindaco e da una giunta che hanno messo questa città in ginocchio e prendono 200 mila euro dal fondo di emergenza per pagare lei? E chi è lei, invece? Io mi ricordo di lei. Lei è quello che vive di arte, ama l'arte, e quando per questo venne chiamato dagli studenti che occupavano l'accademia delle belle arti di Palermo per chiederle di sostenere la loro lotta, rispose ridendo che un grande architetto come lei non si sarebbe mai e poi mai mischiato con degli "artigiani" come loro. Io mi ricordo chi è lei. Lei è quello che ha fatto un video, messo su youtube, in cui definiva "vergognosi" gli italiani che si fermavano per la partita dei mondiali, dimenticando lo scempio che sta subendo l'Italia. Lo snob al contVaVio. Lo scempio di Palermo però lei lo ha dimenticato in un nanosecondo, il tempo che ci è voluto per intascare quei 200 mila euro. E' orgoglioso del suo lavoro, Daverio? E' fiero di se stesso? Si è accorto che il suo festino è stato in assoluto il più deserto della storia? Si è reso conto che la nostra manifestazione paradossalmente glielo ha salvato perchè ha portato in piazza i tre quarti delle persone che c'erano stasera? Guardi i dati, Daverio. Non si fidi di me, chieda alla Digos. "Non c'è nessuno" continuavano a ripetere "ci siamo solo noi e voi. Un risultato politico potete dire di averlo raggiunto!". Che tra parentesi detto da loro è un successone. Per NOI, naturalmente. Lei ha fatto una figura, professionalmente, che definirla di merda sarebbe già un eufemismo, Dorma tranquillo stanotte, Daverio. Ci sono cose che lei non avrà mai. Coscienza, dignità, eleganza. Dorma beato, come tutti gli ignoranti, che non sanno e non sapranno mai di non avere.

[Lettera aperta di Alessandra Notarbartolo]


giovedì 15 luglio 2010

(Contro)Fistinu 2010

Alcuni momenti della contromanifestazione del 14 Luglio 2010 che ha coinvolto i centri sociali, gli sfollati di casa Guzzetta e la Palermo antagonista contro l'edizione 2010 del Festino, organizzata da Philippe Daverio. Il fantasindaco Cammarata è presente solo in effige, assiso su un trono d'immondizia. Vero carro protagonista del Fistinu 2010. Giunto il carro ufficiale (il più anonimo degli ultimi anni), i manifestanti si mettono alla testa del corteo. Daverio, isterico, insulta tutti.

"W PALERMO E SANTA ROSALIA. PIGGHIATI A CAMMARATA E PORTATILLU VIA."


A Rusulia supra li munti
ci cuntavanu beddi cunti...
ca lu sinnacu, rusulia,
sta città granni facìa.

Unn è veru, mia Santuzza:
unn è ghiè si mori i puzza
e li strati, na biddizza
su cuperti d’a munnizza.


E li genti su accampati
ca li casi nun su assegnati
anzi mancu ci nn’è una
e la Giunta un si
nn’adduna!

Un travagghiu vali oro
ma è rimasto “cosa loro”:
ogni voto una promissa
pi pigghiarini pi fissa.


Li famigghi su accampati
e la casa è un sogno vano
E u travagghiu è merce rara
da picciotti ‘nsinu a’vara.

E cu vinni paga u pizzu,
lu strozzino sta a cpizzu!
Ma ci pare questa vita
Santa Nostra Favorita?


E li poveri i migranti
viennu cca da fame e guerra
e che trovan ‘nta sta terra?
sfruttamento e insulti tanti
Chi ci resta, Rusulia?
Putemu priari solo a ttia!

Si c’avemu na putìa
c’ha pahari u pizzu a ttia!
Si c’avemu na casuzza
sta cadiennu a pezza a pezza



E pigghiari l’autobusso
oramai divenne un lusso:
il biglietto a 1 euro e 30
nuddu cchiù ca si lamenta!



Si po’ carriari stu distinu?
Sta vitazza risicata?
Chi ci trasi lu Fistinu?
Chi ci ridi Cammarata?


Sta città soffoca e chianci
nta la pesti, mai finita!
comu l’ossa a Monti
Piddirinu.
fussi ancora seppellita.


Rusulia, facci la grazia.
Libberaci da sti farabbutti
primu u sinnacu e dipoi
levaci ‘i davanzi a tutti.


Dacci genti chi travagghia
p’a città e non pi so
‘mbrogghia
degna veru di rispettu
e non chiddu ca
s’ammogghia.


Chi ci resta, Rusulia?
Putemu priari sulu a Ttia!

E su’n ci pensi mancu tu
Un ti vegnu a trovu cchiù!
 
["Santuzza, libera Palermo da Cammarata". 
Testo stampato sul volantino distribuito durante la manifestazione del 14 Luglio 2010]