Un fistinu racchiuso in un piccolo
spazio, angusto eppure enorme. Scoppiettante, luminoso. Sullo sfondo
i fuochi (un piccolo schermo) salutano la resurrezione della
Santuzza. Rosalia, mostrata defunta, sepolta dai peccati di una città
sofferente, nella precedente vetrina (“Pietas”, estate del
2015) e avvolta nel gelido sudario della noncuranza, è risorta. E'
la nuova vetrina (tradizione palermitana ormai di lunghissima data)
che mastro Vincenzo Vizzari ha inaugurato ieri sera presso la sua
popolare bottega “Cittacotte” in corso Vittorio Emanuele, a un
passo da piazza Marina.
Una Rosalia che infrange il velo
minimalista e la plastica staticità che l'avevano vista soccombere
lo scorso anno, per rinascere, nuova luce di speranza, in un
caleidoscopio di pop art e tradizione siciliana, contaminate con
immaginari variegati e una spruzzata di kitsch che rendono la
santuzza internazionale e figlia di un'iconografia che affonda le
radici nel nostro Sud, ma senza accettare confini di sorta.
Il sudario dello scorso anno è caduto,
abbandonato in un angolo della vetrina. La santa emerge, braccia
rivolte al cielo, la bocca spalancata di un neonato che prende il suo
primo respiro e forse urla, come Papillon, alla fine del film, dopo
l'evasione: «Sono ancora vivo maledetti, bastardi! Sono ancora
vivo!»
Il profilo della
Palermo storica cinge la statua come un abito, ma anche come il cono
di un inferno dantesco che finalmente la lascia emergere. O come un
vulcano, che nuovamente attivo erutta la sua vera anima: la santuzza.
Non a caso l'opera di mastro Vizzari s'intitola quest'anno
“L'incantesimo del fuoco”. Fuoco come dono di Prometeo
all'umanità, affinché possa progredire, fuoco per squarciare le
tenebre dell'ignoranza. Fuoco come passione che vinca sull'ignavia.
Una lingua di fuoco vitale, un'eiaculazione fiorita, dove le
infiorescenze color cristallo dell'abito-montagna lasciano il posto a
un vivace manto di rose. Cascata di florida opulenza. Una criniera
floreale che incorona la santuzza conferendole valenze paniche e
dionisiache. Una Palermo che è stanca di giacere, che anela alla
vita, e dal gelo della morte vuole accedere alla vitalità danzante
del fuoco.
Un augurio, per il
festino alle porte e per la città di Palermo tutta. Forse, quella di
mastro Vizzari, è una delle poche voci realmente artistiche rimaste,
in cui la festa patronale di Palermo è vissuta come spunto creativo
per produrre bellezza e metafore non omologate, aldilà delle
implicazioni popolari e religiose ormai intrappolate in logiche
commerciali che girano a vuoto. Un appuntamento per il quartiere che
meriterebbe maggiore attenzione e di essere vissuta come parte
integrante di una festa sempre più vicina a una sagra del cibo e
avara di genuini spunti culturali.
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