sabato 8 ottobre 2016

Teatro Montevergini di Palermo liberato: in bocca al lupo (affinché viva e ululi ancora)


Ieri,
7 Ottobre 2016, il Teatro Montevergini di Palermo è stato occupato, anzi, liberato da un'immobilità istituzionale che lo ha tenuto congelato e inerte per almeno tre anni. Pacificamente popolato da una comunità variegata di persone il cui progetto è quello di restituire alla cittadinanza quello che era ormai, agli occhi di tutti, uno grande spazio sprecato. Una struttura tempo addietro risanata, che ospita la Scuola di Teatro del Teatro Biondo di Palermo, altra realtà bisognosa di attenzione e nuova linfa vitale, che annega in uno spazio enorme e finora fondamentalmente abbandonato a sé stesso, sorvolando sull'ormai antico annuncio di un bando di assegnazione, mai formalmente realizzato che ben riassume il concetto sintetizzato da Giuseppe Bellafiore nella sua Guida alla Città di Palermo, di “definitiva provvisorietà”, che affligge da sempre il capoluogo siciliano come una malattia cronica.

Lo striscione affisso dalla comunità degli occupanti recita significativamente le parole: “Né pubblico né privato: Comune”. Da subito è partita un'assemblea cittadina cui sono state puntualmente invitate le istituzioni per un confronto diretto e pacifico. Invito rimasto, almeno fino alla giornata di ieri, disertato. Unica risposta, una nota dell'Assessore alla Cultura Andrea Cusumano, che definisce il gesto degli occupanti “Illegale e inaccettabile” affermando che l'occupazione causa “Il blocco immediato di tutte le attività in corso”, cioè le attività della scuola di teatro diretta da Emma Dante e le manifestazioni relative a “Le Vie dei Tesori”.

Nella sua freddezza istituzionale, la nota dell'Assessore Cusumano fa risuonare nella memoria dei palermitani la consueta solfa da carillon inceppato su una legalità soltanto presunta, che non prevede nessun reale confronto con gli individui e le loro autentiche esigenze. Se infatti le istituzioni si fossero prese il disturbo di rispondere all'invito al dialogo, tempestivamente partito a occupazione avvenuta, ci saremmo tutti risparmiati delle considerazioni che avranno anche il crisma dell'istituzionalità, ma restano inesatte, fuorvianti, parziali e di conseguenza inaccettabili per la città che hanno l'onere di amministrare. Una Palermo dove una massa di cittadini paga tasse salatissime, strozzandosi e sopravvivendo a stento, in una città dai servizi sempre più scadenti. Una città che può a buon diritto affermare di essere proprietaria di almeno un pezzo di spazi comuni che l'amministrazione ha relegato nel dimenticatoio. Ma siamo a Palermo, e il segnale intimidatorio, il richiamo alla legalità, è riservato a quei soggetti che propongono un dialogo costruttivo, mentre quartieri del centro storico sono ormai stati del tutto abbandonati a un'illegalità galoppante, degradante e pericolosa, cui palesemente l'amministrazione della città non riesce a far fronte. Non è una bella figura.

Auguriamo in bocca al lupo all'esperienza appena nata al Teatro Montevergini, e
invitiamo a leggere, qui a seguire, la nota della comunità resa pubblica oggi 8 Ottobre 2016, in cui si fa chiarezza su quelli che sono lo spirito e gli obiettivi dell'iniziativa, ma anche i punti di fraintendimento che vanno al più presto chiariti con chi ha il dovere di tutelare e aiutare a crescere la nostra città, dialogando con le realtà più propositive, e aldilà di iniziative demagogiche discutibili. Perché abbiamo bisogno del pane, ma vogliamo anche le rose. Noi palermitani le abbiamo pagate per anni. E ci spettano.

Altroquando


UN PAIO DI CONSIDERAZIONI SULLA GIORNATA DI IERI



Nella prima assemblea cittadina del Montevergini liberato, avvenuta ieri pomeriggio, molte persone hanno discusso con l'obiettivo di formulare una diversa idea di città e di partecipazione nelle pratiche di gestione degli spazi pubblici palermitani. 
Nel corso dell'assemblea abbiamo letto le dichiarazioni fatte dall'Assessore alla cultura Cusumano, che stravolgono le pratiche, le intenzioni dichiarate e le questioni poste. 
Nel corso dell'occupazione non è stato compiuto nessun atto di forza o prepotenza. Le porte dello spazio sono rimaste aperte per tutto il corso della giornata.
Durante la mattinata di ieri abbiamo chiarito ai vertici del Teatro Biondo la nostra intenzione di non ostacolare le attività dello Stabile e della scuola. Per altro lo spazio occupato non comprende l'ex Chiesa del Montevergini, adibita a sala teatrale.
Il percorso avviato non mira a bloccare le attività che già si svolgono ma piuttosto ad utilizzare lo spazio al pieno delle sue potenzialità artistiche e sociali, in una prospettiva d'incontro e contaminazione reciproca. Questa assemblea non vuole arrogarsi un diritto esclusivo sulle scelte riguardanti questo spazio, ma aprire un processo di gestione delle proprietà pubbliche come “beni comuni” e di sperimentazione di forme di governo orizzontali e partecipate su cui l'amministrazione sino ad adesso non ha dimostrato sufficiente coraggio e capacità di visione, al contrario di quanto successo a Napoli e che l'amministrazione dichiara di prendere a modello.
L'assemblea del Montevergini prosegue la discussione alle ore 18:00, rinnovando l'invito alla città e alle istituzioni ad un confronto sui temi posti.







Trent'anni di Dylan Dog: Mater Dolorosa


Trent'anni, sentirli tutti e andare comunque avanti. Potrebbe essere lo spirito giusto. Anche per Dylan Dog. Una veloce riflessione sulla festa di compleanno organizzata per l'indagatore dell'incubo da Roberto Recchioni e Gigi Cavenago: Mater Dolorosa (No Spoiler).

martedì 4 ottobre 2016

Rocket Balloon: Puntata Zero

Ed è fatta! La puntata Zero (possiamo anche definirla Prima puntata, visto che il progetto è ormai approvato e avrà seguito) di Rocket Balloon è andata. Si è parlato tanto anche di Salvatore Rizzuto Adelfio, fondatore di Altroquando, senza il quale questa avventura non sarebbe neppure cominciata. Ho preso nota delle sbavature che mi riguardano e prometto di impegnarmi a migliorare (del resto, in radio sono al debutto). Ora si passa alla produzione della seconda puntata. Ogni primo Martedì del mese su http://runtimeradio.it/. Intanto, eccovi il link al podcast su Spreaker. Sulla pagina trovate anche l'indirizzo email del programma. Se volete rivolgere domande a me o a Giuseppe Saso , se volete partecipare al giochetto nerd che ho proposto alla fine, ci trovate lì. L'avventura è iniziata, e contiamo di rodarci in fretta e fare sempre meglio. Ci sarà sempre un Altroquando.

giovedì 29 settembre 2016

Nasce Rocket Balloon su Runtime Radio


Sta per iniziare una nuova avventura. Diamo il benvenuto a Runtime Radio. Una web radio geek (ma non solo!) dove si apre (tra le altre) un'ulteriore realtà altroquandiana. Rocket Balloon sarà uno spazio in cui Peppe Saso e il sottoscritto parleranno di fumetti e argomenti nerd senza limiti (e magari oltre... verso l'infinito). Il logo ufficiale è stato realizzato da Roberta Miranda (che ringraziamo). Tra pochi giorni si parte su Runtime Radio. Vi invitiamo a bordo per questa nuova avventura. Ci sarà sempre un altroquando. Quindi vi aspettiamo per l'inizio di questa nuova esperienza.





martedì 27 settembre 2016

Le due vite di Frank Carter (Il Maestro di Cera e Prigioniero di Ares)


Frank Carter è tornato.
Due volte.
E per quanto lo storico Bond-Connery abbia insegnato a tutti che “Si Vive Solo Due Volte”, Frank sembra avere tutte le intenzioni di tornare anche per un terzo round (anzi, lo ha già fatto), e magari perdurare finché le energie degli autori e le attenzioni dei lettori lo supporteranno.

Un riassunto per i neofiti. Frank Carter nasce come web comic su testi di Carlo Coratelli e per i disegni di Fortunato Latella nel 2009 sul portale di Shockdom (realtà editoriale ormai consolidata e fucina di artisti esordienti negli spazi virtuali) e si “reincarna” in un primo volume cartaceo nel 2012 con il marchio Red Publishing. Le Avventure di una Spia per caso, pubblicate per la prima volta online con cadenza quindicinale, si ispirano dichiaratamente alla scuola del fumetto franco-belga, sia per la scelta grafica della cosiddetta linea chiara, sia per il tono avventuroso e vagamente retrò delle sue storie. La matrice del racconto è da cercare nella tradizione della spy-comedy hollywoodiana, dove un individuo qualunque, senza alcun addestramento ma pieno di spontanea iniziativa, si trova coinvolto suo malgrado in intrighi di portata (hitchockiana) internazionale.


Dopo i primi due archi narrativi (“Equivoco a Casablanca” e “La formula Zolta”) già raccolti nel primo volume cartaceo, Frank Carter è ancora una spia, anche se quel “per caso” ormai si è un po' perso per strada. Infatti, secondo l'antica, ingenua tradizione delle strip avventurose della golden age, i servizi segreti hanno riconosciuto il potenziale del nostro uomo qualunque, che adesso può essere richiamato a collaborare con il governo per operazioni pericolose in qualunque momento. Ed è questo lo scenario che ci presenta la seconda trasferta cartacea di Frank Carter nel volume che raccoglie “Il Maestro di Cera” e “Prigioniero di Ares”.


Lo spirito del fumetto di Coratelli e Latella (cui subentra Marco Performato nella seconda metà del volume) rimane invariato. Avventura spensierata e atmosfere leggerissime che ammiccano alla cultura popolare di un tempo andato, partendo dal cinema e attraversando i punti cardine della gloriosa storia delle strisce syndacate. Storie semplici, basate su twist narrativi calibrati e scanditi appositamente per colpire la fantasia del lettore con brevi sequenze disegnate che suscitino l'attesa per il seguito. Avevamo lasciato la coppia di protagonisti con la notizia della gravidanza di Jill che in questo volume renderà padre Frank di un bambino che non potrà (feticisticamente) ricevere un nome diverso da quello della stessa “spia per caso”, con una venatura di amour fou che insinua un impalpabile sottotesto inquietante nel rapporto, cartoonesco e spensierato, di questa coppia felice. Felice di trovarsi in costante pericolo, in quanto dipendenti dall'adrenalina e geneticamente insofferenti a una vita di banale quotidianità. Scherzi a parte, l'elementarità delle storie è da dare per scontata e non può essere intesa come un difetto della serie, a meno che non s'ignori del tutto il valore di omaggio e l'esercizio di stile vintage che è carburante dell'intero progetto. Un progetto (che è anche una sorta di gioco artistico) nato per riproporre stilemi antichi (vecchio, ormai, è parola dispregiativa) adattandoli ai mezzi di comunicazione attuali. E nella fattispecie, soprattutto il web.


Il Maestro di Cera, il primo ciclo che compone questa seconda escursione di Frank Carter nell'universo dell'avventura senza frontiere, parte ancora una volta come spy-comedy, ma attinge soprattutto ad archetipi del cinema horror della Hollywood più classica (dovrebbe essere inutile citare “La Maschera di Cera” e i suoi infiniti remake). E introduce un nuovo villain che sicuramente darà filo da torcere al protagonista anche in futuro. I riferimenti ai tratti somatici dell'attore Vincent Price parlano abbastanza chiaro. Frank Carter potrà anche essere una spia per caso, ma è un cocktail di cultura pop organizzato e fortemente voluto. Rigorosamente analcolico, per essere alla portata di chiunque. Da consumare in bicchieri piccoli e da buttare giù d'un fiato, godendo di quel velocissimo brivido che un salto nel passato (e tra diversi mondi dell'immaginario legato all'intrattenimento) riesce a suscitare, specialmente a chi ancora possiede il senso della storia.



Nel secondo ciclo qui presentato in cartaceo, “Prigioniero di Ares”, assistiamo al passaggio di testimone da Fortunato Latella a Marco Perforato. La cifra artistica resta omogenea, e il lavoro di Perforato non produce nessun trauma, restando perfettamente aderente allo spirito del racconto e alla scelta di stile che fa da base al progetto. Qui assistiamo a un nuovo scontro diretto dell'ormai rodata spia-non-più-tanto-per-caso e quella che si è già connotata come la sua nemesi, e cioè l'organizzazione criminale che si fa chiamare Ares. Se nel capitolo precedente, Coratelli e Latella si sono divertiti a giocare con gli archetipi dell'horror classico, qui abbiamo un'escursione nel territorio immarcescibile delle “escape adventures”, le storie di evasione. La ricetta non cambia. Un'iniezione di leggerezza (e un ritmo sostenuto) permettono di narrare anche episodi di violenza e risvolti drammatici senza che il lettore sia costretto a prenderli necessariamente sul serio. Riducendo il tutto all'osso della narrazione avventurosa, dove il sangue, le lacrime, la morte, non sono reali shock, ma semplici passi di una danza che per essere eseguita ed essere piacevole non possono essere esclusi. Quel che conta è l'intrattenimento e la confezione globale. L'origami completo alla fine di un certosino lavoro di piegatura.


C'è da chiedersi se, a prescindere dalle intenzioni di partenza, Frank Carter non abbia finito con lo sconfinare, e da iniziativa volta a recuperare atmosfere ed emozioni deliziosamente vintage, non si stia progressivamente trasformando in un esperimento di minimalismo fumettistico, che attinge e sintetizza in forma essenziale un po' tutti i topos dell'immaginario legato all'intrattenimento. Una chiave di lettura interessante, che ci fa chiedere come evolverà ulteriormente la serie.

Se il primo volume cartaceo, con il marchio Red Publishing, era il risultato di un crowdfunding riuscito, questo secondo avvento odoroso di tipografia ha avuto un parto più travagliato ed è reperibile direttamente su ebay. Cosa che fa porre qualche domanda. Nel frattempo, la spia-non-più-per-caso continua a correre e a rischiare la pelle sul web, ed è lecito chiedersi se la somministrazione periodica delle sue avventure in modiche quantità, concise e accattivanti come caramelle dal sapore proustiano, non rimanga il suo format per eccellenza. La professionalità è indubbia, la qualità della confezione anche. Ma il passaggio su carta e la lettura d'un fiato potrebbe (e il condizionale qui è d'obbligo) smorzare nel corso del tempo una parte del suo carisma gioviale e scattante, così legato al revival di un piacere che fu. A meno che qualcosa nella formula non cambi rotta, e Frank Carter (che ormai è un avventuriero a tutti gli effetti) non osi di più. Magari rischiando il collo sul serio (sul piano artistico e commerciale) con una progressiva maturazione che possa portarlo a un livello successivo, in grado da reggere la strada ancora da percorrere tanto sul web che sulla carta stampata. Ricordiamo che serie televisive diventate di culto, come Buffy del non ancora famosissimo Josh Whedon, hanno iniziato in termini di grande leggerezza per poi evolvere in saghe più complesse, dai dialoghi densi e dai colpi di scena devastanti. Pertanto, chi può dire cosa ne sarà di Frank e Jill Carter?

Non ci resta che fare gli auguri a Carlo Coratelli, Fortunato Latella, Marco Perforato e a Enrico Folli, salito a bordo del progetto web già dallo scorso 2015.


Guarda la videorecensione del volume 1

lunedì 26 settembre 2016

Altroquando vende i suoi cd musicali



Altroquando vende i suoi cd musicali. Questa è una prima infornata. Tutti i cd sono i condizioni perfette. Le condizioni delle singole confezioni sono tra il buono e l'ottimo. I prezzi tra i 5 e i 10 euro. Rivolgersi a Filippo Messina: altroquandopalermo@gmail.com

99 Posse - Curre Curre Guagliò (CD Doppio, Album) € 7 (+ Spedizione eventuale)
99 Posse - Cerco Tiempo (CD, Album) € 10 (+ Spedizione eventuale)
99 Posse ‎– La Vida Que Vendrà (CD, Album) € 8 (+ Spedizione eventuale)
99 Posse ‎– Corto Circuito (CD, Album) € 7 (+ Spedizione eventuale)
Bisca99Posse ‎– Guai A Chi Ci Tocca (CD, Album) € 8 (+ Spedizione eventuale)
Bisca99Posse ‎– Incredibile Opposizione Tour (CD, Album) € 10 (+ Spedizione eventuale)
Bisca ‎– Altrove (CD, Album) € 7 (+ Spedizione eventuale)
Almamegretta – Fattallà (CD, album) € 5 (+ Spedizione eventuale)
Almamegretta ‎– Indubb (CD, Album) € 7 (+ Spedizione eventuale)
Agricantus ‎– Tuareg (CD, Album) € 7 (+ Spedizione eventuale)
Agricantus ‎– Kaleidos (CD, Album) € 7 (+ Spedizione eventuale)
Agricantus ‎– Ethnosphere (CD doppio, Album) (+ Spedizione eventuale)
[VENDUTO] Avion Travel– Oppla' (CD, Album) € 7 (+ Spedizione eventuale)
[VENDUTO] Avion Travel – Selezione 1990/2000 (CD, Album) € 5 (+ Spedizione eventuale)
Laurie Anderson – Bright Red (CD, album) € 5 (+ Spedizione eventuale)
Kate Bush - The Sensual World (CD, Album) € 5 (+ Spedizione eventuale)
Kate Bush - Lionheart (CD, Album) € 5 (+ Spedizione eventuale)

giovedì 22 settembre 2016

Fumetti in soffitta: «Jesus! Koko... ma sei un Coyote!»


Correva il 1976, e chi era adolescente in quel periodo (come il sottoscritto) attraversava una trasformazione che andava oltre la pubertà. Stiamo parlando di una trasformazione “fumettistica”, che metteva in atto una metamorfosi del gusto dell'intrattenimento (anche se si rivelò essere una transizione solo temporanea), facendo “evolvere” i bambocci affascinati dai supereroi (erano i primi, floridissimi anni della Marvel in Italia grazie all'editoriale Corno) in appassionati di più tradizionali (si fa per dire) avventure western. Insomma, dalla Corno si passava alla Bonelli (che ancora si chiamava editoriale Cepim). Il personaggio di Zagor risultava un ottimo spartiacque. Offriva praticamente un effetto metadone, in quanto era un eroe che agiva nel west, interagendo con pellerrossa e pistoleri, ma era di fatto un supereroe. Un ibrido di Tarzan e Phantom (ma noi lo conoscevamo ancora come “L'Uomo Mascherato”) cui era stata shakerata altra roba. Aveva persino un costume, e come tutti gli eroi super girava così conciato per le strade senza che nessuno gli fischiasse dietro (anche perché se no erano cazzottoni alla Bud Spencer... che però suonavano in modo imbarazzante, con l'onomatopea SMACK). Poi arrivava l'immarcescibile Tex, più canonico (e troppo serio già allora). La Collana Rodeo, albo antologico che conteneva una vera cornucopia di serie: Storia del West, La Pattuglia dei Bufali, I Tre Bill. I recuperi d'annata per la stessa casa editrice, come Un ragazzo nel Far West (una delle prime opere del giovane Bonelli-Nolitta), e il Piccolo Ranger, il Comandante Mark... Mister No era arrivato da pochissimo, non era un western e l'ambientazione amazzonica faceva ancora strano. Non parliamo dei personaggi con l'allitterazione nel nome (Martin Mystere, Dylan Dog, Nathan Never) che erano ancora lontanissimi.

Be', noi ragazzetti di quel periodo eravamo affamati di west e di avventura tradizionale. Per qualche motivo (probabilmente legato agli ormoni) le calzamaglie dei supereroi ci apparivano troppo infantili, e il nostro immaginario si rifugiava in qualcosa di (apparentemente) serio e cazzuto come le storie di frontiera dove fumavano le canne delle colt. Ancora meglio, però, quando in queste sconfinavano elementi neogotici e fantastici (si veda la saga di Zagor contro il vampiro o le escursioni di Tex nella stregonerie con Mefisto e tutta la sua progenie).

A parte i Bonelli (che, ricordiamo, non si chiamavano così. Dal momento che la casa editrice cambiò nome più volte. Daim, Cepim... ma tanto eravamo piccoli e all'epoca nessuno ci faceva caso), iniziavano a sbucare nelle edicole tutta una serie di prodotti epigoni di quelli che ai tempi erano considerati pezzi da novanta. Titoli che oggi chiamiamo (pensa un po') “bonellidi”. Giusto per dire che il formato (più del contenuto) della casa editrice di Tex Willer aveva proprio fatto scuola nell'industria di quella che all'epoca, nel nostro paese, non era contata neppure nona tra le arti. Alcuni tra questi furono pubblicati dal gruppo editoriale Geis, dove aveva le mani in pasta Renzo Barbieri, il signore che ha legato il suo nome alla lunga stagione del fumetto erotico italiano (ops! Ai tempi, noi sbarbati li chiamavano “giornaletti di donne nude”), ma che ha dato molto anche alle avventure di frontiera. Tra questi, un ricordo molto forte lo ha sicuramente lasciato il Coyote, un oscuro personaggio western, disegnato da Pietro Gamba. Oscuro perché (per i tempi, eh!) le sue avventure erano toste assai e politicamente scorrettissime. Mettiamola così. Il protagonista, chiamato con il nome di battaglia (preso in prestito da un collega di oltreoceano) di Coyote e una maschera ricavata da una pelle di lupo (come il marvelliano Red Wolf prima di lui) era stato scotennato dagli indiani ed era sopravvissuto. 

Come? Non aveva importanza. La sua leggenda raccontava che durante un assalto di pellerrossa lui si era finto morto, e aveva continuato a farlo anche mentre gli strappavano il cuoio capelluto... come si diceva facesse il vero coyote (e io mi sono sempre chiesto chi si era preso la briga di scuoiare un canide selvatico per verificare se in quell'occasione si fingeva morto). Ad ogni modo... il signore ne esce vivo, ma calvo e affascinante come un giovane Yul Brinner nei Magnifici Sette (non deturpato come avrebbe dovuto essere, ma liscio e lucido come una palla di biliardo) e anche un tantino incazzato. Insomma, da quel momento i nativi americani (pardon, gli indiani, che ancora si chiamavano così) gli stanno sul culo (sai, gli hanno rovinato la pettinatura!) e quindi ha giurato che ne scotennerà almeno mille, perché tanto valeva il suo scalpo. Insomma, un folle maniaco. Tra l'altro pistolero imbattibile. Un serial killer di pellerrossa che casualmente si trova coinvolto anche in intrighi di fuorilegge che poco c'entrano con la sua maniacale vendetta. C'è anche una procace e tostissima donna bionda, imparentata con gente che lui ha fatto fuori, che lo odia e fa di tutto per ucciderlo. Insomma, dovrebbe essere la villain della storia, ma i due si sbaciucchiano e ne viene fuori un rapporto simile a quello tra Batman e Catwoman. Balordo, violento, e sotto molti aspetti (non sono il primo a dirlo) antesignano di antieroi psicopatici come The Punisher (ma il Punisher E' un personaggio western, in fondo! Vogliamo capirlo?!), la serie del Coyote durò una manciata di numeri (8 in tutto), ma rimasero impressi nella memoria dei bimbetti del tempo. Ragazzotti che cercavano di sfuggire alle spire dell'idea supereroistica, ma che ne erano in realtà completamente soggiogati.

Un'altra creatura della Geis che riprendeva il formato bonelliano e i temi di frontiera che fecero la fortuna della casa editrice milanese, fu il personaggio creato da Ennio e Vladimiro Missaglia (fratelli, sceneggiatore e disegnatore nell'ordine) chiamato Jesus. Sì, avete capito bene. In teoria, suppongo, che il nome andrebbe pronunciato alla spagnola e quindi Heeesùs... (che poi è un nome maschile di uso comune in Messico, solo che il personaggio era più biondo di Ursula Andress) o all'inglese Giiiiisus. Ma noi pischelli dei 70 lo chiamavamo semplicemente “Ièsus”. La caratteristica di questo avventuriero molto bravo con le pistole era un look che c'entrava con il vecchio west (Pirandello insegna) come Pilato nel Credo. Infatti portava una fluente capigliatura biondo oro sciolta sulle spalle, indossava un gilet a frange sul torso nudo, collane, bracciali e persino pantaloni a zampa di elefante (sic!). Insomma, era un freakettone che girava per il west, aveva un rapporto di vecchia amicizia con gli indiani Arrapaho (che ancora non avevano subito lo sputtanamento mediatica degli Squallor) e flirtava con una bella squaw chiamata Occhio d'Anitra (nome normalissimo per una donna nativa americana, ma che all'epoca a noi faceva un po' ridere). Questo Jesus (che in una successiva ristampa fu ribattezzato con un più laico Colt, forse per paura di un boicottaggio da parte dell'autorità cattolica non proprio incline a porgere l'altra guancia, o forse solo per una perdita della capacità di osare) iniziava la sua storia come una sorta di Conte di Montecristo di frontiera. Era stato condannato ingiustamente al carcere duro a seguito di un complotto, e una volta evaso inizia la sua regolare vendetta. Jesus era un western per certi versi canonico, per altri spiazzante dal punto di vista estetico, soprattutto per lo strampalato protagonista, che comunque aveva carisma da vendere. Anche la sua corsa durò poco. Oddio (e qui ci sta) volendo più di altri, visto che riuscì a superare la ventina di uscite. Un vero record per i suoi tempi. E il suo effimero ritorno negli anni 90 (un'apparizione molto più breve dell'edizione originale) fu sotto il più scontato dei nomi che un fumetto western potesse avere.

Che dire al riguardo? Un pistolero vestito come un hippy che si chiama Jesus? Be', erano gli anni settanta, in fondo, e si potevano fare cose oggi impensabili. Compreso vivere il kitsch come innovazione. Se nel film fotocopia (ma in realtà visivamente molto più trasgressivo) de L'Esorcista di William Friedkin, intitolato L'Anticristo (diretto da Alberto De Martino) veniva mostrata un'allucinazione della posseduta Carla Gravina che vede un santino raffigurante un Cristo che le mostra un'enorme erezione senza che la cosa scatenasse neanche la metà del finimondo innescato da L'ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese... i fumetti popolari godevano di una parallela, relativa libertà trash. Pellicole come Soldato Blu di Ralph Nelson erano vietate ai minori, e avevano per i più giovani la stessa aura maledetta di certi horror interdetti ai piccoli spettatori. Tempo per capire che i nativi americani erano un popolo vessato e violato dall'uomo bianco, ne sarebbe dovuto passare ancora parecchio. E il Coyote, con la sua zucca pelata ma fascinosa, poteva sventrare (e scotennare) i “musi rossi” come se fossero stati un mucchio di anonimi vaganti in The Walking Dead senza che la cosa suscitasse nel lettore nessun dubbio di natura etica, storica e politica. Eravamo ingenui, ma anche più disponibili al divertimento e alla meraviglia.

Nello stesso periodo, sempre dalle edizioni Geis, esce Koko (ebbene sì, faceva ridere anche allora. Provate oggi ad andare dall'edicolante e chiedere “E' uscito Koko?”). Stavolta non si trattava di un western, ma di un avventuroso esotico. Gli stilemi di casa Bonelli (che... uff... non si chiamava ancora così) la facevano anche qui da padroni. Stesso formato, stessa foliazione, stesso bianco e nero. La matrice, stavolta, era in parte zagoriana. Koko era ambientato nel continente nero, e il personaggio era una sorta di protettore del patrimonio ecologico (l'eroe era rigorosamente di razza bianca, eh!). Ai testi c'era Rubino Ventura (che si era fatto le ossa sui fumetti sporcaccioni accanto a Leone Frollo) e ai disegni nientemeno che Stelio Fenzo, vecchio leone del Vittorioso, collaboratore e continuatore di opere di Hugo Pratt e anche lui a bordo della corazzata di Renzo Barbieri come creatore assoluto di Jungla (e si parlava sempre di donnine e donnone nudine). Koko era un eroe ecologista con una patina alla Zagor, ma l'atteggiamento paternalistico nei confronti dei nativi del luogo era molto smorzato rispetto a quello del più celebre Spirito con la Scure. Inoltre non si fingeva una divinità. Era più buffo (anche fisicamente), più cialtrone, e aveva come compagna di avventure una buonissima leonessa di nome Ly, ovviamente ingelosita dalla fidanzatina esploratrice di turno. Un punto debole delle avventure, comunque godibili di Koko, era l'invereconda ripetitività di certi meccanismi narrativi. 

Per ben due episodi di seguito, il protagonista si sottrae a una trappola mortale che sotto alcuni aspetti anticipa quella di Indiana Jones ne I Predatori dell'Arca Perduta. La prima volta è una fossa piena di scolopendre velenose, la seconda è una caverna gremita proprio di aspidi. In entrambi i casi, l'espediente di fuga era lo stesso. Nel primo, si cosparge di una lozione contro le punture delle zanzare che puzza come cento diavoli (gliel'aveva donata la sua amorosa Vanessa... che evidentemente non ne aveva mai fatto uso) per allontanare le bestiacce. Nel secondo, scopre da solo una pozza di guano di pipistrello e ci si fa letteralmente il bagno (così noi pischelli imparammo che per non farsi mordere dai serpenti bisognava fare un bagno nella merda). Insomma, l'arma principale di Koko era la puzza (ditemi voi se un fumetto simile non è indimenticabile!). Koko durò circa una decina di albi (il decorso di queste influenze fumettistiche anni 70 era più o meno questo) e oggi è finito nel dimenticatoio come tutti gli altri, salvo che per il settore dei collezionisti.


Ricordare oggi questi piccoli passi editoriali, che hanno lasciato un'impronta nei ricordi di alcuni di noi, ci fa riflettere anche sul cinema di genere italiano, allora in auge e oggi completamente scomparso a beneficio di cinepanettoni e affini. Come al cinema, nel fumetto, esisteva una cultura bis, una tradizione dell'imitazione che in qualche modo poteva generare anche piccole gemme. Certo, erano altri tempi, e le esigenze erano diverse. E suonerà pure come una bestemmia per molti... Ma io ricordo con tanta nostalgia Jesus, tanto strampalato da essere ipnotico, molto più dell'inossidabile Tex.