Letteralmente.
A stendere le braccia tra la terra e il
mare è stata la Santuzza, ieri, inaugurando la nuova vetrina creata
per questo 2017 da mastro Vincenzo Vizzari nella sua bottega
“Cittacotte” in via Vittorio Emanuele 120 a Palermo. E potremmo
dire: ce n'era bisogno. Oggi più che mai.
Santa Rosalia, patrona del capoluogo
siciliano celebrata nella ricorrenza estiva del Festino e condotta in
effige, come nella leggenda che la vede protagonista, per le strade
della città, su un carro che di anno in anno ha perso ogni fascino
in un progressivo decadere del gusto.
Eppure, ogni anno, basta l'estro di
Vizzari a confezionare riletture della Santuzza in chiavi non
scontate. A volte provocatorie, ma sempre animate da un messaggio che
arriva forte e chiaro. Sociale più che mistico. Poetico più che
agiografico. Talmente personale e intelligente da diventare iconico a
sua volta, producendo un ramo del Festino vissuto sottotraccia da
molti palermitani come un appuntamento imperdibile. Perché non c'è
solo perizia artigianale nelle opere di Vizzari. Ma una forza
interiore dirompente. E chi se non la Santuzza, celebrata in questi
giorni estivi da una città intenta a gozzovigliare, sarebbe potuta
essere portavoce di un grido a favore dell'accoglienza?
Ogni disvelamento di una nuova
composizione esposta presso Cittacotte ha sempre luogo con piccoli,
agili accorgimenti teatrali. E ad accompagnare l'alzata della tela,
stavolta, è stato il rumore ipnotico e minaccioso del mare,
accompagnato dal campionamento di suoni provenienti realmente da
barconi di migranti. Voci disperate. Rumoreggiare di una massa di
esseri umani in agoscia, invocazioni, sono l'atroce e vera colonna
sonora di quelle mani che chiedono grazia, emergendo sia dall'acqua
che sta per inghiottire i corpi sia dal barcone, che non mostra
direttamente i profughi, ma anche qui solo le loro mani protese verso
l'alto, prigionieri sottocoperta di qualcosa che suggerisce la bolgia
di un inferno dantesco. Le figure intere non sono meno potenti. Una
tragedia in tre atti riassunta in un'unica composizione plastica.
Sulla sinistra, un uomo piange con il volto nascosto tra le mani. I
piedi ancora sulla terra, un istante prima di imbarcarsi verso una
flebile speranza di sopravvivenza. L'unica figura umana visibile per
intero sul barcone sventola un fazzoletto, aggrappata a un brandello
di imbarcazione che ricorda la sagoma di una zattera che lo regge a
malapena. Poi ci sono i profughi in mare, che affondano a poca
distanza dalla riva, sforzandosi di tenere un bambino fuori
dall'acqua. Almeno affinché respiri per qualche istante ancora. A
terra, un pugno di uomini seminudi si sforzano di tirare in secco
l'imbarcazione con delle corde. Non ci sono tratti marcatamente
distintivi tra migranti e soccorritori. Nessuna etnia definita, come
a sottolineare l'insensatezza di etichette davanti alla tragedia
umana.
E su tutto, Santa Rosalia. Una Rosalia che forse si lancia nel vuoto dal suo antico rifugio su monte Pellegrino. Forse volerà, sorretta dai gabbiani che la attorniano. Forse precipiterà, decretando la caduta di Palermo e la morte della sua anima morale, giù in mare, in compagnie di quelle vittime che non è riuscita a salvare. Ma il gesto della mano e l'espressione angosciata dicono tutto. Un'esortazione ancestrale a restare umani. L'urlo di un'empatia che si rifiuta di lasciarsi soffocare da ignoranza e fascismi. Una Palermo che sprofonderebbe nel Mediterraneo piuttosto che continuare a esistere senza la pietà umana.
E su tutto, Santa Rosalia. Una Rosalia che forse si lancia nel vuoto dal suo antico rifugio su monte Pellegrino. Forse volerà, sorretta dai gabbiani che la attorniano. Forse precipiterà, decretando la caduta di Palermo e la morte della sua anima morale, giù in mare, in compagnie di quelle vittime che non è riuscita a salvare. Ma il gesto della mano e l'espressione angosciata dicono tutto. Un'esortazione ancestrale a restare umani. L'urlo di un'empatia che si rifiuta di lasciarsi soffocare da ignoranza e fascismi. Una Palermo che sprofonderebbe nel Mediterraneo piuttosto che continuare a esistere senza la pietà umana.
PERTERRAEPERMARE è il titolo di questa
composizione di Vincenzo Vizzari per il Festino 2017. Forse la più
esplicitamente politica. Per coloro che per “politica” intendono
la vita della gente, da qualunque parte essa provenga, e la mettono
al primo posto. L'iscrizione nel cielo che fa da sfondo alla scultura
leggiamo le parole: “L'umanità è la migliore delle religioni”.
Frase pronunciata nella realtà da un migrante giunto in un centro
accoglienza siciliano, e che Vizzari ha deciso di far sua,
scolpendola e accostandola coraggiosamente alla figura della santa
patrona di Palermo.
Contro i facili populismi e gli slogan
ignoranti, contro gli “aiutiamoli a casa loro” (si sarebbe potuta
dire la stessa cosa degli ebrei che tentavano di fuggire dalla
Germania nazista, ma la giornata della memoria è diventata solo
un'altra data sul calendario).
Nello stesso tempo, quella di
quest'anno è comunque una Rosalia anche metafisica. Forse più degli
altri anni, in quanto riconducibile al senso di carità sommerso da
ciarpame ormai riconducibile più alla superstizione che al senso
religioso. Una Santuzza che ha compreso il senso di appartenenza
all'umanità, e che ricusa il suo ruolo di vessillo in una città che
chiude le sue mura ai bisognosi. Una Rosalia che lancia un appello
accorato. Un grido umano e artistico che vibra nella vetrina di
Cittacotte, e che meriterebbe (come ogni anno) molta visibilità in
più.
Viva Palermo e Santa Rosalia.
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