venerdì 10 luglio 2015

CITTACOTTE - Estate 2015: PIETAS


«Hanno ammazzato Santa Rosalia! Santa Rosalia è viva!»

Altro che «Viva Palermo e...»

C'è l'imbarazzo della scelta. La frase a effetto per aprire questo ennesimo commento alla vetrina inaugurata ieri da Vincenzo Vizzari, mastro terracottaio della bottega Cittacotte in via Vittorio Emanuele, come ogni anno alla vigilia del Festino, potrebbe essere anche «Santa Rosalia è morta! Viva Santa Rosalia!»


Eppure, citare la popolare canzone di Francesco De Gregori (Pablo) ci sembra più pertinente. Dopo tre anni di letture artistiche sempre più iconoclaste e dense di significati metaforici, mastro Vizzari ha chiuso un cerchio. La sua Santuzza era sempre stata un'icona da rivisitare, non per gratuita irriverenza, ma per contrasto critico a un'iconografia solitamente piatta, avvezza alla più stucchevole agiografia. Nell'ultimo periodo, l'arte di Vincenzo Vizzari, o meglio il suo rapporto con la figura della Santuzza, si è fatto sempre più problematico. Sofferto, addirittura. E proprio per questo prodigo di bellezza e spirito creativo. Non si può dimenticare, dagli anni trascorsi, la vetrina intitolata La caduta degli dei, con Rosalia agonizzante in un cassonetto, soffocata dai rifiuti, di qualche tempo fa (uno dei picchi più alti della collezione di vetrine di Cittacotte dedicate alla santa patrona di Palermo). Seguì la versione chiamata Interiors, dove vedevamo una Rosalia squarciata nel corpo e nella mente, simbolo ella stessa di una città contradditoria e autolesionista. Poi venne Mission, la lettura che trasfigurava Rosalia in una versione disperata del mito di Cola Pesce, piccola titana chiamata a reggere come Atlante una Palermo fatta di caos e dubbio progresso, da cui mille mani imploranti si sporgevano in cerca di salvezza... e il grido muto sul volto della Santuzza non lasciava dormire tranquilli.


Era quindi un appuntamento inevitabile. Ispirandosi all'Isola dei Morti, dipinto del pittore simbolista Arnold Bocklin, mastro Vizzari porta in scena una città tetra, grigia, fuligginosa, dove i profili delle antiche architetture arabe della Palermo storica sono controfigure inquietanti dei pini che troneggiano nel quadro originale. Tutto è gotico in questo Pietas, titolo di questa vetrina dell'estate 2015. Ma a dispetto del titolo, con la versione della “Pietà” classica non ha nulla a che vedere. Più che pietà dimostrata, formula una richiesta di compassione... se non altro un moto di commozione davanti all'irreparabile, e un attento esame di coscienza alla ricerca delle proprie omissioni. Nessuno solleva pietosamente la Santuzza, ormai defunta, marmorea e avvolta nel suo sudario (stavolta non vediamo neppure il suo volto). Resta solo il suo corpo inerte, bianco e giacente sulla lastra di porfido, santa patrona ormai caduta sotto il peso del suo fallimento. Protettrice che niente ha potuto contro le tenebre che hanno avvolto la sua città. Stavolta non scorgiamo alcuna presenza umana. La città sulfurea sullo sfondo sembra disabitata, neppure ci trovassimo di fronte a uno scenario post apocalittico. Una visione pessimista che sembra annunciare che Dio è morto, e anche noi faremmo meglio a non sentirci tanto bene. Il fondale, anch'esso cupo ma illuminato da un plenilunio bluastro contribuisce al quadro dark, ma con una strizzata d'occhio a una percezione tutto sommato più autoironica del primo livello di lettura dell'opera. Ricorda un fondale classico degli horror inglesi della Hammer, quelli in cui eravamo abituati a vedere stagliarsi la figura dell'attore Christopher Lee, da poco scomparso, nel ruolo della sua vita, il vampiro più classico di tutti. Quindi Pietas ci comunica la disfatta, la morte, anzi l'assassinio della santa patrona della città... da parte della città stessa, divenuta a sua volta una città fantasma, e insinua che tra quelle ombre, in mezzo a quella fuliggine, si stiano annidando creature invisibili che poco hanno a che fare con l'umanità che vorremmo conservare. E che ci prenderanno, nel sonno, se non vigiliamo. Perché Santa Rosalia è stata ormai colpita al cuore, e dobbiamo difenderci da soli.


Grottesco. Gotico. Metaforico come sempre. Con una spruzzata di humor nerissimo a speziare un quadro plastico che illustra una visione palermitana di certo non idilliaca, ma che contribuisce a denunciare le contraddizioni, la retorica e l'ormai frusta, insopportabile demagogia che ogni anno permea sempre più la nostra partecipatissima festa patronale.




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