Non
sono mai propenso a definire un film appena visto come un
"capolavoro". Sottoscrivo l'adagio che i capolavori, i film
epocali, sono quelli che si dimostrano tali nei tempi lunghi, e solo
successivamente manifestano la loro immortalità. Inoltre la parola
con la C mi suona troppo come un contemporaneo sinonimo di «Wow!
Figata!». E questo lascia il tempo che trova. Senza girarci
ulteriormente intorno, dirò che il film mi è piaciuto. Ancora non
so se molto o abbastanza, ci sono cose che hanno bisogno di essere
metabolizzate affinché le si possa comprendere a pieno. A visione
ultimata, direi che è un bel film. Che resta dentro e spinge a
ruminare quanto visto per decifrarlo meglio. La polemica cinecomics
sì o no, oltre a essere inutile è totalmente campata in aria. Il
film di Phillips non potrebbe esistere senza i twist che alludono
alla sua origine fumettistica e ne reinventano determinati elementi,
prospettandoli sotto una luce inedita. O almeno perderebbe buona
parte della sua ragion d'essere, cioè la rilettura in chiave critica
di un mito moderno. E' un film di forte impatto, non un film
perfetto. E' un film che farà discutere, soprattutto per i suoi
contenuti più audaci che si prestano a dibattiti anche discretamente
accesi. Altro non si può aggiungere, perché andremmo a toccare
snodi di trama che è meglio scoprire al cinema. Ma ci sarebbe tanto
da dire. In tutto questo, la performance di Joaquin Phoenix è
eccelsa. Da premiare con l'oscar? Non spetta a me dirlo. Bisognerebbe
aver visto e valutato con attenzione tutte le interpretazioni
candidabili di questa stagione. Diciamo solo che è un'ottima prova e
che alla fine del film, Phoenix è senz'altro il Joker. Un Joker più
complesso del solito, di cui abbiamo visto delle fragilità, ma non
per questo meno sinistro. Nel doppiaggio, Adriano Giannini si è
riscattato alla grande dai suoi recenti lavori meno ispirati. Nel
complesso, un film da vedere e di cui parlare. E su questo non ci
piove. Ne parleremo. Oh, se ne parleremo...
venerdì 4 ottobre 2019
giovedì 3 ottobre 2019
La Biblioteca SRA si rinnova e si rilancia
La Biblioteca Salvatore Rizzuto Adelfio si riorganizza e riparte con nuovi progetti inerenti sia il TMO - Teatro Mediterraneo Occupato che l'associazione Altroquando di Palermo. L'obiettivo è adesso quello di moltiplicare le iniziative e rendere il progetto biblioteca più variegato e interessante. A questo scopo, lo spazio presso il Teatro Mediterraneo Occupato andrà verso una fase di miglioramento strutturale, volto a ottimizzare i locali per ospitare sempre meglio libri e iniziative che possano integrarsi con le attività del teatro stesso. Contestualmente, il patrimonio fumettistico viene spostato presso la sede dell'associazione culturale Altroquando (in zona Notarbartolo), dove (dopo opportuni lavori di predisposizione) sarà di nuovo possibile visitare e fruire la Biblioteca del Fumetto.
L'iniziativa pertanto continua a crescere e la biblioteca, in un futuro prossimo, declinerà il suo nome al plurale “biblioteche”, con più specifiche culturali sempre intitolate alla memoria di Salvatore Rizzuto Adelfio, fondatore di Altroquando a Palermo e indimenticato operatore culturale.
Vi terremo puntualmente informati delle tempistiche. Grazie per la pazienza e per tutto il sostegno che state dimostrando, aiutando a crescere il nostro sogno di condivisione culturale.
Grazie
a tutti per il costante sostegno e le frequenti donazioni lbrarie.
Presto documenteremo i nuovi arrivi e vi terremo informati degli
sviluppi. E a fine settimana, sul canale Youtube arriva il secondo
capitolo della Storia dei Cinecomics. A presto.
Per
sostenere la biblioteca autogestita potete donare libri e fumetti
(contattateci alla mail altroquandopalermo@gmail.com) o fare una
piccola donazione monetaria sul nostro conto
Paypal: http://paypal.me/altroquandopalermo
Ma
potete anche scegliere di acquistare un titolo ancora assente dallo
scaffale e farlo pervenire alla nostra associazione. Grazie a tutti
per l'affetto e la solidarietà che dimostrate. Ci sarà sempre un
Altroquando.
WISHLIST
AMAZON: http://amzn.eu/5qHcH99
sabato 28 settembre 2019
Un fumetto... un mese... un anno
Per il giorno del mio compleanno ho voluto fare un gioco.
Cercare quale fumetto era uscito lo stesso mese e anno della mia nascita, nel mio caso, quindi Settembre del 1963. Il risultato è stato il numero #4 di Spider-Man (per me l'Uomo Ragno per tutta la vita): "Nothing can stop... the Sandman". Anche se da noi in Italia sarebbe arrivato solo nel 1970, questo è il fumetto della mia nascita. Per festeggiare a modo mio, ho voluto rileggerlo. E' curioso notare che uno dei personaggi che più mi hanno influenzato uscisse nelle edicole proprio il mese in cui nascevo presentando uno dei suoi villain più iconici. L'Uomo Sabbia. L'episodio presenta un Uomo Ragno in cui sono presenti tutti i tratti fondamentali che hanno reso il protagonista un eroe fuori dagli schemi fino a quel momento canonici. Un ragazzino che commette errori (interviene per fermare dei ladri prima che commettano l'effrazione, e questi lo denunciano), che non sa che pesci pigliare davanti a un nemico potente (che lo apostrofa "E tu saresti un supereroe?"). E che alla fine vince non grazie ai suoi poteri speciali, ma all'ingegno. Insomma, una storia in cui ancora oggi posso ritrovare tutto l'Uomo Ragno che ho conosciuto e amato da giovanissimo. Come ci trovo l'amore per il fumetto che avrebbe influenzato tutta la mia vita anche da adulto, tracciando la rotto in più occasioni.
Grazie per tutti gli auguri che mi state inviando. Grazie a tutti quelli che hanno donato e che donano per sostenere la Biblioteca del Fumetto dedicata alla memoria di Salvatore. Grazie per essere presenti. Ci sarà sempre un Altroquando.
lunedì 16 settembre 2019
Mistery of the Batman [by Big John Creation]
"Mistery
of the Bat-Man" è una serie amatoriale prodotta dal canale Big
John Creation come omaggio all'Uomo Pipistrello creato nel 1939 da
Bob Kane. La serie di corti, attualmente ancora in fase di
pubblicazione, ricalca il format del cinema seriale degli anni trenta
e quaranta, e si presenta come una perduta produzione girata negli
anni 30. La prima, in teoria, a portare il personaggio di Batman
sullo schermo, mai arrivata nelle sale e andata smarrita per decenni
fino a un recente, fortuito, ritrovamento. Su queste premesse
fittizie, si basa una serie di capitoli che riproducono atmosfere,
tecniche e dinamiche del cinema d'intrattenimento di quegli anni
andati. Un Batman grezzo, come poteva essere rappresentato negli anni
30. Un esperimento di fancinema bizzarro e un affettuoso atto d'amore
verso uno degli eroi a fumetti più popolari di sempre.
Sarebbe simpatico se qualcuno si incaricasse di produrre dei sottotitoli in italiano.
Sarebbe simpatico se qualcuno si incaricasse di produrre dei sottotitoli in italiano.
sabato 31 agosto 2019
A Field in England [di Ben Wheatley]
«Mentre viviamo temendo
l'inferno... ci siamo dentro.»
Mi vado innamorando sempre più del
regista britannico Ben Wheatley a mano a mano che scopro la sua
filmografia. Tutti film indipendenti e di difficile classificazione,
per quanto spesso li si ascriva al genere del perturbante se non
dell'horror. Meccanismi narrativi spiazzanti, e una visione
cinematografica abbastanza anarchica, che qualcuno definisce
velleitaria, bollando i suoi film come meri esercizi di stile senza
capo né coda. Se il noir “Killer List” era un crescendo spietato
di violenza ed esoterismo, fino a un finale criptico quanto
sconvolgente, “A Field in England” (in italiano “I disertori”)
uscito nel 2013, va possibilmente anche oltre, e ci regala un film a
suo modo piacevolmente destabilizzante. In parte sogno, in parte
incubo, che flirta con la cultura della psichedelia (in modo anche
dichiarato), scatenando negli occhi e nella percezione di chi guarda
una creatura cinematografica tra le più bizzarre. Non è un caso che
in tanti gli stiano alla larga, dal momento che di sicuro esiste poco
di altrettanto disorientante.
Lo scenario è quello della Guerra
Civile inglese, fotografato in un pulitissimo bianco e nero, recitato
in originale in inglese arcaico e interamente ambientato in un
apparentemente interminabile campagna inglese («Il nulla e
cardi...»). Quattro uomini fuggono dalla guerra. Quattro
personaggi molto diversi tra loro, le cui peculiarità emergono da
dialoghi tra il surreale e il picaresco, con una cadenza volutamente
teatrale. Se il precedente “Kill List” poteva rammentare sotto
alcuni aspetti il teatro di Harold Pinter, “A Field in England”
echeggia le atmosfere del drammaturgo belga Michel de Ghelderode, la
cui opera era influenzato dagli spettacoli di burattini e dal
concetto di “teatro della crudeltà” di Antonin Artaud. Sintomo
che Wheatley si sente molto legato all'aria che si respira sulle
tavole del palcoscenico, e continua a sperimentare curiose
ibridazioni con il linguaggio cinematografico attingendo alle
poetiche meno omologate della prosa. Attraverso una narrazione
scandita in quadri, i quattro disertori incontreranno in mezzo al
nulla un alchimista stregone (l'attore Michael Smiley, visto in
“Black Mirror” e attore ricorrente di Wheatley) che li
coinvolgerà nelle sue trame, e nella ricerca di un misterioso
tesoro.
In “A Field in England” ritroviamo
temi classici quali il viaggio sciamanico e la scoperta della propria
natura. Ma filtrati da un umorismo nerissimo e da una trama
spiazzante, che se nella prima parte sembra seguire una dinamica
tradizionale, nella seconda deraglia, violando ogni aspettativa
logica e presentando scenari sempre più surreali, fino a una totale
astrazione cui (non è una novità per Ben Wheatley) toccherà allo
spettatore dare un significato. Sarebbe relativamente semplice
riconoscere in “A Field in England” l'ennesima declinazione di un
meccanismo narrativo già ampiamente sfruttato al cinema, E chissà,
forse la risposta è davvero la più ovvia. Ma stiamo parlando di un
film di Ben Wheatley, e certezze non ce ne possono essere. “A
Field in England” è davvero una strana, stranissima creatura
cinematografica. Facile da odiare per la sua particolarità e da
ignorare per la sua scarsissima distribuzione. Eppure nella sua
natura, magari un po' snob, di opera indipendente, che se infischia
delle aspettative del vasto pubblico, risiede il suo fascino. Una
potenza visiva notevole nel suo impeccabile bianco e nero, una
caratterizzazione estrema dei personaggi, presi quasi di peso dalla
commedia dell'arte e catapultati in un contesto allucinato, e un
sottotesto magico, un viaggio psichedelico tutto da vivere, se non
interpretare.
Questo è “A Field in England”.
Un'esperienza cinematografica che non può in nessun caso lasciare
indifferenti. E in ogni caso, difficilmente, una volta visto, si
riuscirà a dimenticarlo presto.
domenica 4 agosto 2019
Ciao, Swamp Thing...
...e fine. Si conclude la prima e unica stagione di Swamp Thing, serie live action prodotta dalla piattaforma DC Universe Streaming e subito cancellata per motivi controversi. Per ragioni di budget non confermato, è stato detto, per qualcosa di meno definito è stato aggiunto in seguito. Quello che è certo è il senso di spreco per una serie dal potenziale molto interessante. Uno scorcio dell'universo dark del mondo narrativi DC che riesce a coniugare i dieci episodi le basi classiche del personaggio creato da Len Wein e Bernie Wrightson e la rivisitazione operata successivamente da Alan Moore. Uno show cupo, dai toni spiccatamente horror, ricco di promesse mantenute nel corso di questa run, e di un potenziale che purtroppo (così pare) non vedremo sfruttare in futuri episodi. Un vero peccato. Ma vale la pena di vedere questa serie, a suo modo compiuta, che dimostra quanto la DC stia riuscendo a realizzare in ambito televisivo, a dispetto dei recenti fallimenti cinematografici. E non perdetevi la scena post credits dell'ultimo episodio.
lunedì 15 luglio 2019
Gli altri cinecomics: "Hardware" di Richard Stanley
“Hardware”, in italiano
“Metallo Letale” è il primo film del regista sudafricano
Richard Stanley, uscito nel 1990, che si ispira (molto liberamente)
al racconto a fumetti britannico "Shock”, scritto da Steve
McManus (accreditato come Ian Rogan) e disegnato da Kevin O'Neill,
pubblicato per la prima volta su “Judge Dredd Annual” del
1981, e in seguito ristampato su “2000 AD”. Per quanto
riguarda il film di Stanley, pare che inizialmente nessun accredito
fosse stato riconosciuto agli autori del fumetto, e che soltanto dopo
una controversia legale le due parti siano giunte a un accordo.
Quindi “Hardware – Metallo
Letale” (oppure “Hardware – I robot non muoiono mai”,
titolo con cui il film fu distribuito in home video in terra italica)
sarebbe un cinecomic?
Beh, né più né meno delle tante
pellicole che, ispirate a piece teatrali, romanzi e racconti, non
sembrano avere necessità di un'etichetta così specifica. Se
vogliamo, potremmo collocare “Hardware” (che prende solo
lo spunto essenziale del fumetto di McManus e O'Neill) nella zona
d'ombra degli “altri cinecomics”, quelli che sentono (e fanno
sentire) meno il peso del loro retaggio cartaceo e vivono di vita
propria, dando origine a una creatura cinematografica indipendente e
dalla forte identità. Soprattutto se a firmare la regia è un
talento (qui esordiente) come quello di Richard Stanley, che
raccoglie l'ossatura di un racconto a fumetti breve e realizza,
facendo virtù di un budget ridottissimo, uno spettacolo emotivamente
coinvolgente, ricco di metafore esistenziali e politiche, che brucia
gli occhi dello spettatore con immagini di rara potenza.
In un futuro non meglio specificato,
una giovane scultrice abituata a servirsi di materiale meccanico in
disuso, riceve come dono dal suo amante i resti di un robot reperiti
da un losco rigattiere. L'artista realizza una delle sue
installazioni, e la colloca nel proprio appartamento. Ma l'automa è
in realtà un modello militare assassino programmato per
autoripararsi e uccidere ogni essere vivente sulla sua strada. Presto
il suo chip si riattiva, e nell'appartamento avveniristico della
ragazza sarà l'inizio di un sanguinosissimo incubo...
Questa la trama del fumetto “Shock”,
questo lo spunto traghettato su schermo in “Hardware”. Non
fosse che nel film di Richard Stanley, oltre alla semplice trama,
conta tantissimo l'ambientazione, con i suoi scenari fatti di distese
riarse o di dedali claustrofobici. Suoni ossessivi, ombre e persino
odori, suggeriti da una fotografia sporca e sublime nello stesso
tempo. Quel che nelle poche tavole di “Shock” appare tutto
sommato patinato, in “Hardware” è impolverato, lurido, e
puzza di olio e ruggine. Il duello tra essere umano e macchina
assassina si svolge in un'arena che è un mondo ormai morente, i cui
ultimi sussulti sono accompagnati da spettacoli televisivi violenti e
dalle battute di un cinico speaker radiofonico che nella versione
originale ha la voce di Iggy Pop. Un conflitto nucleare ha ferito il
pianeta al cuore, ormai popolato da un'umanità aberrata e da
creature mutanti con aspettative di vita cortissime che consumano
cupe esistenze stipati all'interno di tetri alveari tecnologici. Una
legge appena promulgata livellerà le nascite, e là fuori c'è
ancora una guerra, morte, rovine e rottami. Anche i resti di androidi
dimenticati, tra i quali potrebbe nascondersi qualcosa di terribile,
destinato in precedenza a ridurre drasticamente la vita organica sul
pianeta. Non è casuale che il modello del robot protagonista sia
identificato come M.A.R. K. - 13, dichiarato riferimento al passaggio
del Vangelo secondo Marco in cui si leggono parole come “Quando
vedrete l'abominio della desolazione” e “Nessun essere
umano si salverà”.
E' facile riconoscere in “Hardware”
tracce di molti classici del cinema di fantascienza, tra cui
soprattutto “Mad Max”, “Terminator” e persino
“Alien”. Il punto è che “Hardware” riesce però
a conservare una sua identità fortissima, e mentre la fantascienza
evolve nel vero e proprio horror, Richard Stanley ci colpisce al
cuore con una parabola nerissima e pessimista sul futuro dell'uomo e
il suo rapporto con il progresso. M.A.R. K. - 13, trasformato in una
scultura postmoderna che non appena tornata in vita si riassembla con
tutto ciò che trova pur di continuare a uccidere, è un mostro che
non si dimentica facilmente. E l'appartamento di Jill, la scultrice
protagonista interpretata da Stacey Travis, si dimostra una location
ossessiva (praticamente già una trappola di per sé) che fa da
perfetto palcoscenico al grand guignol tecnologico che non dà un
attimo di tregua fino alla deflagrante conclusione. Nel ruolo di
Moses, l'avventuriero riciclatore che dona a Jill i rottami
dell'androide, abbiamo un giovane Dylan McDermott alle sue prime
apparizioni, quando ancora non era odiato da tutti (a mio parere in
modo esagerato) per le sue partecipazioni a più serie televisive. E
il contrappunto tra i due amanti, più sognatore uno, più cinica e
cauta l'altra, è carburante per un atmosfera intrisa di un
romanticismo amaro, perfettamente calato nel clima apocalittico della
vicenda. Un racconto (horror e fantascientifico, ma anche qualcosa di
più) che dimostra un virtuosismo cinematografico prezioso.
Rivelandosi un film fichissimo in ogni sua parte a dispetto dei pochi
mezzi grazie a una fantasia e a un estro che hanno del miracoloso.
“Hardware” è un film che va
visto. Magari più di una volta, per apprezzarne meglio le mille
metafore, nascoste in trovate visive e in dialoghi martellanti. Un
gioiello cinematografico ispirato a un fumetto che gli appassionati
di comics dovrebbero scoprire.
Gli appassionati di cinema, invece,
dovrebbero conoscerlo già. O almeno rimediare quanto prima.
Se siete rimasti indietro, fatelo. E
ricordate: “Nessuna carne sarà risparmiata”.
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