venerdì 4 ottobre 2019

JOKER di Todd Phillips




Non sono mai propenso a definire un film appena visto come un "capolavoro". Sottoscrivo l'adagio che i capolavori, i film epocali, sono quelli che si dimostrano tali nei tempi lunghi, e solo successivamente manifestano la loro immortalità. Inoltre la parola con la C mi suona troppo come un contemporaneo sinonimo di «Wow! Figata!». E questo lascia il tempo che trova. Senza girarci ulteriormente intorno, dirò che il film mi è piaciuto. Ancora non so se molto o abbastanza, ci sono cose che hanno bisogno di essere metabolizzate affinché le si possa comprendere a pieno. A visione ultimata, direi che è un bel film. Che resta dentro e spinge a ruminare quanto visto per decifrarlo meglio. La polemica cinecomics sì o no, oltre a essere inutile è totalmente campata in aria. Il film di Phillips non potrebbe esistere senza i twist che alludono alla sua origine fumettistica e ne reinventano determinati elementi, prospettandoli sotto una luce inedita. O almeno perderebbe buona parte della sua ragion d'essere, cioè la rilettura in chiave critica di un mito moderno. E' un film di forte impatto, non un film perfetto. E' un film che farà discutere, soprattutto per i suoi contenuti più audaci che si prestano a dibattiti anche discretamente accesi. Altro non si può aggiungere, perché andremmo a toccare snodi di trama che è meglio scoprire al cinema. Ma ci sarebbe tanto da dire. In tutto questo, la performance di Joaquin Phoenix è eccelsa. Da premiare con l'oscar? Non spetta a me dirlo. Bisognerebbe aver visto e valutato con attenzione tutte le interpretazioni candidabili di questa stagione. Diciamo solo che è un'ottima prova e che alla fine del film, Phoenix è senz'altro il Joker. Un Joker più complesso del solito, di cui abbiamo visto delle fragilità, ma non per questo meno sinistro. Nel doppiaggio, Adriano Giannini si è riscattato alla grande dai suoi recenti lavori meno ispirati. Nel complesso, un film da vedere e di cui parlare. E su questo non ci piove. Ne parleremo. Oh, se ne parleremo...

giovedì 3 ottobre 2019

La Biblioteca SRA si rinnova e si rilancia




La Biblioteca Salvatore Rizzuto Adelfio si riorganizza e riparte con nuovi progetti inerenti sia il TMO - Teatro Mediterraneo Occupato che l'associazione Altroquando di Palermo. L'obiettivo è adesso quello di moltiplicare le iniziative e rendere il progetto biblioteca più variegato e interessante. A questo scopo, lo spazio presso il Teatro Mediterraneo Occupato andrà verso una fase di miglioramento strutturale, volto a ottimizzare i locali per ospitare sempre meglio libri e iniziative che possano integrarsi con le attività del teatro stesso. Contestualmente, il patrimonio fumettistico viene spostato presso la sede dell'associazione culturale Altroquando (in zona Notarbartolo), dove (dopo opportuni lavori di predisposizione) sarà di nuovo possibile visitare e fruire la Biblioteca del Fumetto.
L'iniziativa pertanto continua a crescere e la biblioteca, in un futuro prossimo, declinerà il suo nome al plurale “biblioteche”, con più specifiche culturali sempre intitolate alla memoria di Salvatore Rizzuto Adelfio, fondatore di Altroquando a Palermo e indimenticato operatore culturale.
Vi terremo puntualmente informati delle tempistiche. Grazie per la pazienza e per tutto il sostegno che state dimostrando, aiutando a crescere il nostro sogno di condivisione culturale.

Grazie a tutti per il costante sostegno e le frequenti donazioni lbrarie. Presto documenteremo i nuovi arrivi e vi terremo informati degli sviluppi. E a fine settimana, sul canale Youtube arriva il secondo capitolo della Storia dei Cinecomics. A presto.

Per sostenere la biblioteca autogestita potete donare libri e fumetti (contattateci alla mail altroquandopalermo@gmail.com) o fare una piccola donazione monetaria sul nostro conto Paypal: http://paypal.me/altroquandopalermo
Ma potete anche scegliere di acquistare un titolo ancora assente dallo scaffale e farlo pervenire alla nostra associazione. Grazie a tutti per l'affetto e la solidarietà che dimostrate. Ci sarà sempre un Altroquando.
WISHLIST AMAZON: http://amzn.eu/5qHcH99



sabato 28 settembre 2019

Un fumetto... un mese... un anno



Per il giorno del mio compleanno ho voluto fare un gioco.

Cercare quale fumetto era uscito lo stesso mese e anno della mia nascita, nel mio caso, quindi Settembre del 1963. Il risultato è stato il numero #4 di Spider-Man (per me l'Uomo Ragno per tutta la vita): "Nothing can stop... the Sandman". Anche se da noi in Italia sarebbe arrivato solo nel 1970, questo è il fumetto della mia nascita. Per festeggiare a modo mio, ho voluto rileggerlo. E' curioso notare che uno dei personaggi che più mi hanno influenzato uscisse nelle edicole proprio il mese in cui nascevo presentando uno dei suoi villain più iconici. L'Uomo Sabbia. L'episodio presenta un Uomo Ragno in cui sono presenti tutti i tratti fondamentali che hanno reso il protagonista un eroe fuori dagli schemi fino a quel momento canonici. Un ragazzino che commette errori (interviene per fermare dei ladri prima che commettano l'effrazione, e questi lo denunciano), che non sa che pesci pigliare davanti a un nemico potente (che lo apostrofa "E tu saresti un supereroe?"). E che alla fine vince non grazie ai suoi poteri speciali, ma all'ingegno. Insomma, una storia in cui ancora oggi posso ritrovare tutto l'Uomo Ragno che ho conosciuto e amato da giovanissimo. Come ci trovo l'amore per il fumetto che avrebbe influenzato tutta la mia vita anche da adulto, tracciando la rotto in più occasioni.
Grazie per tutti gli auguri che mi state inviando. Grazie a tutti quelli che hanno donato e che donano per sostenere la Biblioteca del Fumetto dedicata alla memoria di Salvatore. Grazie per essere presenti. Ci sarà sempre un Altroquando.

lunedì 16 settembre 2019

Mistery of the Batman [by Big John Creation]


"Mistery of the Bat-Man" è una serie amatoriale prodotta dal canale Big John Creation come omaggio all'Uomo Pipistrello creato nel 1939 da Bob Kane. La serie di corti, attualmente ancora in fase di pubblicazione, ricalca il format del cinema seriale degli anni trenta e quaranta, e si presenta come una perduta produzione girata negli anni 30. La prima, in teoria, a portare il personaggio di Batman sullo schermo, mai arrivata nelle sale e andata smarrita per decenni fino a un recente, fortuito, ritrovamento. Su queste premesse fittizie, si basa una serie di capitoli che riproducono atmosfere, tecniche e dinamiche del cinema d'intrattenimento di quegli anni andati. Un Batman grezzo, come poteva essere rappresentato negli anni 30. Un esperimento di fancinema bizzarro e un affettuoso atto d'amore verso uno degli eroi a fumetti più popolari di sempre.
Sarebbe simpatico se qualcuno si incaricasse di produrre dei sottotitoli in italiano.

sabato 31 agosto 2019

A Field in England [di Ben Wheatley]




«Mentre viviamo temendo l'inferno... ci siamo dentro.»

Mi vado innamorando sempre più del regista britannico Ben Wheatley a mano a mano che scopro la sua filmografia. Tutti film indipendenti e di difficile classificazione, per quanto spesso li si ascriva al genere del perturbante se non dell'horror. Meccanismi narrativi spiazzanti, e una visione cinematografica abbastanza anarchica, che qualcuno definisce velleitaria, bollando i suoi film come meri esercizi di stile senza capo né coda. Se il noir “Killer List” era un crescendo spietato di violenza ed esoterismo, fino a un finale criptico quanto sconvolgente, “A Field in England” (in italiano “I disertori”) uscito nel 2013, va possibilmente anche oltre, e ci regala un film a suo modo piacevolmente destabilizzante. In parte sogno, in parte incubo, che flirta con la cultura della psichedelia (in modo anche dichiarato), scatenando negli occhi e nella percezione di chi guarda una creatura cinematografica tra le più bizzarre. Non è un caso che in tanti gli stiano alla larga, dal momento che di sicuro esiste poco di altrettanto disorientante.



Lo scenario è quello della Guerra Civile inglese, fotografato in un pulitissimo bianco e nero, recitato in originale in inglese arcaico e interamente ambientato in un apparentemente interminabile campagna inglese («Il nulla e cardi...»). Quattro uomini fuggono dalla guerra. Quattro personaggi molto diversi tra loro, le cui peculiarità emergono da dialoghi tra il surreale e il picaresco, con una cadenza volutamente teatrale. Se il precedente “Kill List” poteva rammentare sotto alcuni aspetti il teatro di Harold Pinter, “A Field in England” echeggia le atmosfere del drammaturgo belga Michel de Ghelderode, la cui opera era influenzato dagli spettacoli di burattini e dal concetto di “teatro della crudeltà” di Antonin Artaud. Sintomo che Wheatley si sente molto legato all'aria che si respira sulle tavole del palcoscenico, e continua a sperimentare curiose ibridazioni con il linguaggio cinematografico attingendo alle poetiche meno omologate della prosa. Attraverso una narrazione scandita in quadri, i quattro disertori incontreranno in mezzo al nulla un alchimista stregone (l'attore Michael Smiley, visto in “Black Mirror” e attore ricorrente di Wheatley) che li coinvolgerà nelle sue trame, e nella ricerca di un misterioso tesoro.

In “A Field in England” ritroviamo temi classici quali il viaggio sciamanico e la scoperta della propria natura. Ma filtrati da un umorismo nerissimo e da una trama spiazzante, che se nella prima parte sembra seguire una dinamica tradizionale, nella seconda deraglia, violando ogni aspettativa logica e presentando scenari sempre più surreali, fino a una totale astrazione cui (non è una novità per Ben Wheatley) toccherà allo spettatore dare un significato. Sarebbe relativamente semplice riconoscere in “A Field in England” l'ennesima declinazione di un meccanismo narrativo già ampiamente sfruttato al cinema, E chissà, forse la risposta è davvero la più ovvia. Ma stiamo parlando di un film di Ben Wheatley, e certezze non ce ne possono essere. “A Field in England” è davvero una strana, stranissima creatura cinematografica. Facile da odiare per la sua particolarità e da ignorare per la sua scarsissima distribuzione. Eppure nella sua natura, magari un po' snob, di opera indipendente, che se infischia delle aspettative del vasto pubblico, risiede il suo fascino. Una potenza visiva notevole nel suo impeccabile bianco e nero, una caratterizzazione estrema dei personaggi, presi quasi di peso dalla commedia dell'arte e catapultati in un contesto allucinato, e un sottotesto magico, un viaggio psichedelico tutto da vivere, se non interpretare.
Questo è “A Field in England”. Un'esperienza cinematografica che non può in nessun caso lasciare indifferenti. E in ogni caso, difficilmente, una volta visto, si riuscirà a dimenticarlo presto.

domenica 4 agosto 2019

Ciao, Swamp Thing...


...e fine. Si conclude la prima e unica stagione di Swamp Thing, serie live action prodotta dalla piattaforma DC Universe Streaming e subito cancellata per motivi controversi. Per ragioni di budget non confermato, è stato detto, per qualcosa di meno definito è stato aggiunto in seguito. Quello che è certo è il senso di spreco per una serie dal potenziale molto interessante. Uno scorcio dell'universo dark del mondo narrativi DC che riesce a coniugare i dieci episodi le basi classiche del personaggio creato da Len Wein e Bernie Wrightson e la rivisitazione operata successivamente da Alan Moore. Uno show cupo, dai toni spiccatamente horror, ricco di promesse mantenute nel corso di questa run, e di un potenziale che purtroppo (così pare) non vedremo sfruttare in futuri episodi. Un vero peccato. Ma vale la pena di vedere questa serie, a suo modo compiuta, che dimostra quanto la DC stia riuscendo a realizzare in ambito televisivo, a dispetto dei recenti fallimenti cinematografici. E non perdetevi la scena post credits dell'ultimo episodio.

lunedì 15 luglio 2019

Gli altri cinecomics: "Hardware" di Richard Stanley



Hardware”, in italiano “Metallo Letale” è il primo film del regista sudafricano Richard Stanley, uscito nel 1990, che si ispira (molto liberamente) al racconto a fumetti britannico "Shock”, scritto da Steve McManus (accreditato come Ian Rogan) e disegnato da Kevin O'Neill, pubblicato per la prima volta su “Judge Dredd Annual” del 1981, e in seguito ristampato su “2000 AD”. Per quanto riguarda il film di Stanley, pare che inizialmente nessun accredito fosse stato riconosciuto agli autori del fumetto, e che soltanto dopo una controversia legale le due parti siano giunte a un accordo.

Quindi “Hardware – Metallo Letale” (oppure “Hardware – I robot non muoiono mai”, titolo con cui il film fu distribuito in home video in terra italica) sarebbe un cinecomic?


Beh, né più né meno delle tante pellicole che, ispirate a piece teatrali, romanzi e racconti, non sembrano avere necessità di un'etichetta così specifica. Se vogliamo, potremmo collocare “Hardware” (che prende solo lo spunto essenziale del fumetto di McManus e O'Neill) nella zona d'ombra degli “altri cinecomics”, quelli che sentono (e fanno sentire) meno il peso del loro retaggio cartaceo e vivono di vita propria, dando origine a una creatura cinematografica indipendente e dalla forte identità. Soprattutto se a firmare la regia è un talento (qui esordiente) come quello di Richard Stanley, che raccoglie l'ossatura di un racconto a fumetti breve e realizza, facendo virtù di un budget ridottissimo, uno spettacolo emotivamente coinvolgente, ricco di metafore esistenziali e politiche, che brucia gli occhi dello spettatore con immagini di rara potenza.


In un futuro non meglio specificato, una giovane scultrice abituata a servirsi di materiale meccanico in disuso, riceve come dono dal suo amante i resti di un robot reperiti da un losco rigattiere. L'artista realizza una delle sue installazioni, e la colloca nel proprio appartamento. Ma l'automa è in realtà un modello militare assassino programmato per autoripararsi e uccidere ogni essere vivente sulla sua strada. Presto il suo chip si riattiva, e nell'appartamento avveniristico della ragazza sarà l'inizio di un sanguinosissimo incubo...

Questa la trama del fumetto “Shock”, questo lo spunto traghettato su schermo in “Hardware”. Non fosse che nel film di Richard Stanley, oltre alla semplice trama, conta tantissimo l'ambientazione, con i suoi scenari fatti di distese riarse o di dedali claustrofobici. Suoni ossessivi, ombre e persino odori, suggeriti da una fotografia sporca e sublime nello stesso tempo. Quel che nelle poche tavole di “Shock” appare tutto sommato patinato, in “Hardware” è impolverato, lurido, e puzza di olio e ruggine. Il duello tra essere umano e macchina assassina si svolge in un'arena che è un mondo ormai morente, i cui ultimi sussulti sono accompagnati da spettacoli televisivi violenti e dalle battute di un cinico speaker radiofonico che nella versione originale ha la voce di Iggy Pop. Un conflitto nucleare ha ferito il pianeta al cuore, ormai popolato da un'umanità aberrata e da creature mutanti con aspettative di vita cortissime che consumano cupe esistenze stipati all'interno di tetri alveari tecnologici. Una legge appena promulgata livellerà le nascite, e là fuori c'è ancora una guerra, morte, rovine e rottami. Anche i resti di androidi dimenticati, tra i quali potrebbe nascondersi qualcosa di terribile, destinato in precedenza a ridurre drasticamente la vita organica sul pianeta. Non è casuale che il modello del robot protagonista sia identificato come M.A.R. K. - 13, dichiarato riferimento al passaggio del Vangelo secondo Marco in cui si leggono parole come “Quando vedrete l'abominio della desolazione” e “Nessun essere umano si salverà”.


E' facile riconoscere in “Hardware” tracce di molti classici del cinema di fantascienza, tra cui soprattutto “Mad Max”, “Terminator” e persino “Alien”. Il punto è che “Hardware” riesce però a conservare una sua identità fortissima, e mentre la fantascienza evolve nel vero e proprio horror, Richard Stanley ci colpisce al cuore con una parabola nerissima e pessimista sul futuro dell'uomo e il suo rapporto con il progresso. M.A.R. K. - 13, trasformato in una scultura postmoderna che non appena tornata in vita si riassembla con tutto ciò che trova pur di continuare a uccidere, è un mostro che non si dimentica facilmente. E l'appartamento di Jill, la scultrice protagonista interpretata da Stacey Travis, si dimostra una location ossessiva (praticamente già una trappola di per sé) che fa da perfetto palcoscenico al grand guignol tecnologico che non dà un attimo di tregua fino alla deflagrante conclusione. Nel ruolo di Moses, l'avventuriero riciclatore che dona a Jill i rottami dell'androide, abbiamo un giovane Dylan McDermott alle sue prime apparizioni, quando ancora non era odiato da tutti (a mio parere in modo esagerato) per le sue partecipazioni a più serie televisive. E il contrappunto tra i due amanti, più sognatore uno, più cinica e cauta l'altra, è carburante per un atmosfera intrisa di un romanticismo amaro, perfettamente calato nel clima apocalittico della vicenda. Un racconto (horror e fantascientifico, ma anche qualcosa di più) che dimostra un virtuosismo cinematografico prezioso. Rivelandosi un film fichissimo in ogni sua parte a dispetto dei pochi mezzi grazie a una fantasia e a un estro che hanno del miracoloso.
Hardware” è un film che va visto. Magari più di una volta, per apprezzarne meglio le mille metafore, nascoste in trovate visive e in dialoghi martellanti. Un gioiello cinematografico ispirato a un fumetto che gli appassionati di comics dovrebbero scoprire.
Gli appassionati di cinema, invece, dovrebbero conoscerlo già. O almeno rimediare quanto prima.

Se siete rimasti indietro, fatelo. E ricordate: “Nessuna carne sarà risparmiata”.