sabato 7 luglio 2018
Steve Ditko: In Memoriam
mercoledì 4 luglio 2018
Giovedi 5 luglio: biblioteca chiusa per lavori
Avviso ai naviganti: domani, Giovedì 5 Luglio, la Biblioteca Salvatore Rizzuto Adelfio resterà chiusa per lavori. In arrivo nuovo materiale a fumetti interessante, che richiederà cura e attenzione per essere incamerato, archiviato e disposto. Ne daremo notizia e ringrazieremo chi dona a tempo debito. Nel frattempo, si prospettano anche nuovi appuntamenti per il prossimo autunno. Stay tuned, folks. Ci sarà sempre un Altroquando.
lunedì 2 luglio 2018
Shirtless Bear-Fighter
Sul filo del trash... e del trend mash-up. Orsi, porci e umani... senza troppe distinzioni. E un eroe in costume. Il più antico costume della storia.
venerdì 15 giugno 2018
LEGION: e due (in attesa del tre)
La chiave di lettura surreale scelta da
Hawley è il vero punto di forza di LEGION. Una catena di elementi
citazionisti (la storia potrebbe benissimo svolgersi ai margini del
mondo narrativo degli X-Men cinematografici, e Charles Xavier
esistere fuori scena) e di atmosfere psichedeliche che (impossibile
non reiterare questo concetto) ricordano spesso lo stile di David
Lynch. Ma ricorda anche esperienze televisive storiche, come la serie
britannica “Il Prigioniero” della seconda metà degli anni
sessanta del secolo scorso. Serie enigmatica e ricca di sottotesti
simbolici, viaggio nella mente del protagonista che non forniva mai
risposte intelligibili, e che all'epoca, soprattutto con la sua
conclusione, anticipò gli shock di cult futuri come LOST.
Vedere LEGION come una qualsiasi altra
serie dedicata ai supereroi sarebbe un errore. Anzi, non è neppure
possibile, dal momento che scardina in fretta ogni aspettativa
convenzionale. Non si tratta solo di fotografia, colori, trovate
visive di notevole impatto, quanto della domanda su cui tutta la
narrazione si fonda. E cioè: quanto vediamo, i personaggi che
incontriamo, sono tutti reali? O sono parte del delirio di David
Haller, manifestazioni della sua schizofrenia? E i poteri mutanti, i
mutanti stessi, esistono? O sono anch'essi una rappresentazione
allegorica della tante personalità di David, compreso il suo
antagonista, il mefistofelico Re delle Ombre?
LEGION, quindi, si propone in apparenza
coma una storia supereroistica, ma può essere letto come un viaggio
sciamanico alla ricerca di sé e dei propri veri obiettivi. Uno
spettacolo che travalica il genere e coraggiosamente osa rompere gli
argini, aspirando a essere qualcosa d'altro, qualcosa di più. In che
misura ci riesca può essere oggetto di conversazione. Tutt'ora, a
seconda stagione conclusa e terza in preparazione, non ci sono
risposte definitive. Non ce n'è bisogno. L'ambiguità e la
simbologia di base sono il vero cuore dello show. Entrambe le realtà,
quella vera e quella sognata (sempre che sia così) vanno comunque
bene. Sono due modi diversi di narrare e intendere il medesimo
concetto. La ricerca della propria identità, il bisogno ancestrale
di trovare un avversario, anche costruendolo da una propria costola
se necessario, pur di avere un diavolo da incolpare per le nostre
disgrazie. LEGION riesce a essere una criptica metafora esistenziale,
e per questo merita attenzione. Un esperimento dissidente nella
contemporanea ubriacatura da supereroi in live action. Un cocktail
visivo e concettuale che non ci aspettavamo, ma che a due stagioni
dall'inizio continua a essere effervescente, spingendoci a volerne
ancora.
Perché sì, perché forse, se i
mutanti, se i supereroi esistessero, le cose andrebbero in modo molto
diverso da come appaiono nei fumetti. L'esistenza sarebbe tutt'altro
che semplice o schematica, i confini tra bene e male quanto mai
sfumati. Magari diventerebbe un labirinto etico e allucinatorio in
cui vaghiamo senza più un preciso punto di riferimento. O forse,
supereroi a parte, è già così. E la fantasia di potere cui i
fumetti ci hanno abituato non è più una fuga o una possibilità di
riscatto.
Se mai lo è stata. Forse è piuttosto
una prigione.
venerdì 8 giugno 2018
Vieni fuori... Immortal Hulk!
“L'uomo, nel complesso, è meno
buono di quanto immagina o vorrebbe essere.”
Con questa citazione di Carl G. Jung si apre il primo numero della nuova serie Marvel intitolata “Immortal Hulk”. L'immortale Hulk, che va ad aggiungersi a una collezione già numerosa di aggettivi che nel corso dei decenni hanno preceduto il nome del gigante verde: Incredibile, Selvaggio, Indistruttibile... Persino “Fichissimo” (in inglese, Totally Awsome). E sono solo aggettivi di testata, che a contare gli appellativi del Golia di smeraldo ci sarebbe da confondersi.
Il personaggio di Hulk è cambiato
tante volte per continuare gattopardescamente a essere sempre se
stesso. Gli Hulk più o meno lucidi o intelligenti, per quanto
gradevoli da leggere (soprattutto quando al timone delle storie c'era
qualcuno come Peter David), cedevano puntualmente la scena al ritorno
dell'elemento più archetipico. Hulk è simbolo di ciò che lo crea
all'inizio della sua avventura: un'arma devastante, una bomba, una
potenza che non può essere contenuta, la collera irrazionale
dell'essere umano, la sua tendenza a cedere sempre e comunque alla
violenza e alla distruzione. In parte Frankestein (sia creatura che
creatore), in parte Jekill-Hyde. Hulk ha sempre avuto delle parentele
con la narrativa del terrore, e non a caso in principio, a causare la
sua metamorfosi non erano gli sbalzi di umore, ma semplicemente il
cadere della notte. Hulk si manifestava con le tenebre, e la sua
fronte (un tempo) era alta quanto quella della maschera di Boris
Karloff nel film che lo rese celebre.
Hulk, nella persona del suo alter ego
Bruce Banner, è morto parecchie volte. E sempre rocambolescamente
resuscitato, come da copione supereroistico dove il decesso è simile
a una brutta influenza, fastidiosa, persistente, ma che prima o poi
passerà. Non c'era dunque niente di scioccante nel vedere Banner
morire durante il (evitabilissimo) evento Civil War II. Ucciso
da una freccia scoccata dall'arciere Occhio di Falco, istruito da
Banner stesso affinché mettesse fine alla minaccia del mostro verde
qualora le cose si stessero mettendo male. La legge di Murphy si è
puntualmente confermata, e Banner (e così il suo Hulk) è rimasto
morto per qualche tempo, sostituito da un giovane Hulk più
scanzonato, Amadeus Cho, il fichissimo giovanotto verde. Ma le ferie
sono terminate, ed era ora che l'Hulk canonico tornasse in scena.
Eccolo quindi rispuntare durante la saga degli Avengers intitolata
“No Surrender”, dove ci viene spiegato che Hulk è sempre
stato immortale. Tutte le volte, dal principio. Per questo torna
sempre. Banner muore... ma Hulk la notte successiva tornerà ad
emergere, e a rigenerare anche il corpo del suo debole alter ego.
Al Ewing e Joe Bennett firmano dunque
l'inizio di un nuovo ciclo, Immortal Hulk, in cui (se il buon
giorno si vede dal mattino) dovremo vedere la diade Banner-Hulk
schiattare e risorgere più volte, seguendo un ritmo da storia
dell'orrore. Perché questo sembra essere il progetto. Riscoprire nel
personaggio di Hulk tutto il potenziale inquietante e buio, lasciando
da parte i lampi colorati del superomismo per concentrarsi sulla
paura e quanto di destabilizzante possa emergere dal rapporto
simbiotico tra Banner e il mostro che non gli permette di morire
definitivamente.
Il primo episodio ha una regia
interessante, ma anche un po' spiazzante. Diciamo che la “novità”,
quell'immortalità che c'è sempre stata (ma non era mai stata
chiaramente diagnosticata), porta a galla ulteriori ombre sul
personaggio e sotto certi aspetti, nel tentativo di rinnovarlo,
rischia di annacquarlo. Va benissimo rivedere un Hulk quasi
Frankensteinizzato (orribile parola!) e dal profilo molto più truce
del solito. Va bene scorgere nel suo linguaggio e nella sua nuova
mimica qualcosa che ricorda la crudeltà di Mr. Fixit, sua
precedente, celebre incarnazione. A lasciare perplessi è l'alone da
spirito della vendetta, più vicino a Ghost Rider che al Golia Verde.
Le similitudini (che ci sono sempre state) con il Solomon Grundy
della concorrente DC Comics. Persino qualche elemento comune al
rapporto del demone Etrigan con il suo ospite umano Jason Blood, ma
anche alcune dinamiche del bizzarro e poco noto Resurrection Man.
Rassegnandosi al fatto che nulla si
crea e nulla si distrugge (come l'Immortale Hulk), ma che tutto si
trasforma in qualcosa d'altro, o comunque qualcosa di diverso ma
simile... possiamo dire che la partenza di Immortal Hulk sia
un antipasto interessante e che tutto si giocherà sui numeri
immediatamente successivi. Il dubbio che permane è la necessità di
questa “nuova” caratteristica (jolly molto semplice da utilizzare
per riportarlo in scena), in realtà suggerita da sempre, e in
qualche modo tanto efficace in quanto lasciata vaga e tenuta
sottotraccia. Se l'intento è quello di ammantare di ossessione il
mostro che risiede in Banner, come nell'essere umano tipicizzato che
rappresenta, tutto sta al tono delle storie a venire. La vera
battaglia, il vero scontro tra titani, sarà con le consuetudini
commerciali della narrazione supereroistica, che ha sempre attirato
Hulk verso un centro di gravità più colorato e più pop. Più un rumoroso kaiju che un mostro realmente inquietante. Ma siamo qui per seguire
l'esperimento. Ed eventualmente, divertirci. Anche se un giorno,
forse inevitabilmente, l'ampolla fumigante potrebbe scoppiare in
faccia sia ai lettori che agli autori. Tanto il risultato sarebbe
comunque un faccione verde.
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lunedì 4 giugno 2018
Hillbilly di Eric Powell
Streghe, lame e cafoni... dagli Appalachi con amore, dal creatore di The Goon.
E per inciso... il regista di Deadpool si chiama TIM (accidenti a me!). Un altro viaggio nel fantastico, ma stavolta la musica segue un ritmo diverso. Quello della ballata popolare, delle leggende soffiate dai venti sulla catena montuosa degli Appalachi, e dell'eco dei vasti campi americani. Un vagabondo attraversa le sue terre combattendo una guerra personale contro streghe, demoni e ogni forma di maleficio. Lo chiamano... lo Zotico.
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venerdì 18 maggio 2018
Grazie, Fumettisti (In)contro Youtubers
Sono contentissimo. Uno stratosferico GRAZIE a tutti gli artisti del divertentissimo volume "Fumettisti contro Youtubers" edito da Blatta Productions, che hanno voluto dedicarmi il volume ognuno con un suo pensiero. E dedicarlo ad Altroquando (nome storico che porto umilmente avanti) come intento di divulgazione culturale. Sono commosso e vorrei poter documentare questo bel momento. Solo che il formato del libro è piccolo e io con lo smartphone sono una chiavica. Le intenzioni, però, ci sono tutte. GRAZIE. Un fumetto e uno Youtube migliori sono possibili quando si vuole.
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