sabato 7 luglio 2018

Steve Ditko: In Memoriam


L'ennesimo coccodrillo. Stavolta, in questa Estate del 2018, è scomparso Steve Ditko. Disegnatore particolare, spigoloso, psichedelico, visionario. In realtà abbastanza distante dal canone estetico dei supereroi americani. E più vicino alle anatomie surreali della pittura di Egon Schiele. Creatore grafico (e molto di più) dell'Uomo Ragno. Eroe in tuta che mai, come nelle sue tavole, sarebbe stato reso come un aracnide umano, con la sua sagoma sottile e rapace. Autore sommerso, artefice di trame cui spesso Stan Lee si limitava ad aggiungere dialoghi, commettendo anche frequenti strafalcioni. Artefice del mondo mistico del Dottor Strange, e alla DC Comics delle avventure fantastico-noir del Creeper e successivamente del fantascientifico Shade. Ditko, ancora oggi, non è compreso da tutti. Le sue licenze grafiche, il suo stile peculiare che poteva permettersi di reinventare l'anatomia, è in alcuni casi liquidato dai lettori più giovani e spietati con la contestabile sentenza "non sapeva tenere in mano una matita" (Padre, perdona loro...). In verità, era un artista seminale e fondamentale. Sempre al di fuori dalle logiche del trend di mercato, e per questo più grande. Una figura gigantesca cui guardare solo con nostalgia e ammirazione.









mercoledì 4 luglio 2018

Giovedi 5 luglio: biblioteca chiusa per lavori


Avviso ai naviganti: domani, Giovedì 5 Luglio, la Biblioteca Salvatore Rizzuto Adelfio resterà chiusa per lavori. In arrivo nuovo materiale a fumetti interessante, che richiederà cura e attenzione per essere incamerato, archiviato e disposto. Ne daremo notizia e ringrazieremo chi dona a tempo debito. Nel frattempo, si prospettano anche nuovi appuntamenti per il prossimo autunno. Stay tuned, folks. Ci sarà sempre un Altroquando.

lunedì 2 luglio 2018

Shirtless Bear-Fighter


Sul filo del trash... e del trend mash-up. Orsi, porci e umani... senza troppe distinzioni. E un eroe in costume. Il più antico costume della storia.

venerdì 15 giugno 2018

LEGION: e due (in attesa del tre)



Si è conclusa anche la seconda stagione di LEGION, serie Tv ideata da Noah Hawley, di cui è già stata confermata la terza stagione. Una sorpresa, considerando quante serie cadono ogni giorno sotto la mannaia dell'audience ridotta, e pensando che LEGION tutto è tranne che uno spettacolo convenzionale che muove le masse. Certo, all'origine di tutto ci sono i fumetti, gli X-Men e i loro miti, e la Marvel. LEGION fa parte di quell'universo parallelo televisivo in cui si specchiano gli attualmente popolarissimi cinecomics (intendendo qui per “cinecomics” quanto prende spunto dal genere supereroistico, mai così trend nell'industria dello spettacolo in live action). Di LEGION sorprende questa sua resistenza alle logiche di mercato (non sempre sono gli ascolti a determinare la longevità di una serie TV) e il coraggio di una scelta estetica e narrativa sicuramente non abituale per il mondo degli eroi con poteri.


La chiave di lettura surreale scelta da Hawley è il vero punto di forza di LEGION. Una catena di elementi citazionisti (la storia potrebbe benissimo svolgersi ai margini del mondo narrativo degli X-Men cinematografici, e Charles Xavier esistere fuori scena) e di atmosfere psichedeliche che (impossibile non reiterare questo concetto) ricordano spesso lo stile di David Lynch. Ma ricorda anche esperienze televisive storiche, come la serie britannica “Il Prigioniero” della seconda metà degli anni sessanta del secolo scorso. Serie enigmatica e ricca di sottotesti simbolici, viaggio nella mente del protagonista che non forniva mai risposte intelligibili, e che all'epoca, soprattutto con la sua conclusione, anticipò gli shock di cult futuri come LOST.



Vedere LEGION come una qualsiasi altra serie dedicata ai supereroi sarebbe un errore. Anzi, non è neppure possibile, dal momento che scardina in fretta ogni aspettativa convenzionale. Non si tratta solo di fotografia, colori, trovate visive di notevole impatto, quanto della domanda su cui tutta la narrazione si fonda. E cioè: quanto vediamo, i personaggi che incontriamo, sono tutti reali? O sono parte del delirio di David Haller, manifestazioni della sua schizofrenia? E i poteri mutanti, i mutanti stessi, esistono? O sono anch'essi una rappresentazione allegorica della tante personalità di David, compreso il suo antagonista, il mefistofelico Re delle Ombre?



LEGION, quindi, si propone in apparenza coma una storia supereroistica, ma può essere letto come un viaggio sciamanico alla ricerca di sé e dei propri veri obiettivi. Uno spettacolo che travalica il genere e coraggiosamente osa rompere gli argini, aspirando a essere qualcosa d'altro, qualcosa di più. In che misura ci riesca può essere oggetto di conversazione. Tutt'ora, a seconda stagione conclusa e terza in preparazione, non ci sono risposte definitive. Non ce n'è bisogno. L'ambiguità e la simbologia di base sono il vero cuore dello show. Entrambe le realtà, quella vera e quella sognata (sempre che sia così) vanno comunque bene. Sono due modi diversi di narrare e intendere il medesimo concetto. La ricerca della propria identità, il bisogno ancestrale di trovare un avversario, anche costruendolo da una propria costola se necessario, pur di avere un diavolo da incolpare per le nostre disgrazie. LEGION riesce a essere una criptica metafora esistenziale, e per questo merita attenzione. Un esperimento dissidente nella contemporanea ubriacatura da supereroi in live action. Un cocktail visivo e concettuale che non ci aspettavamo, ma che a due stagioni dall'inizio continua a essere effervescente, spingendoci a volerne ancora.


Perché sì, perché forse, se i mutanti, se i supereroi esistessero, le cose andrebbero in modo molto diverso da come appaiono nei fumetti. L'esistenza sarebbe tutt'altro che semplice o schematica, i confini tra bene e male quanto mai sfumati. Magari diventerebbe un labirinto etico e allucinatorio in cui vaghiamo senza più un preciso punto di riferimento. O forse, supereroi a parte, è già così. E la fantasia di potere cui i fumetti ci hanno abituato non è più una fuga o una possibilità di riscatto.
Se mai lo è stata. Forse è piuttosto una prigione.



venerdì 8 giugno 2018

Vieni fuori... Immortal Hulk!



L'uomo, nel complesso, è meno buono di quanto immagina o vorrebbe essere.”

Con questa citazione di Carl G. Jung si apre il primo numero della nuova serie Marvel intitolata “Immortal Hulk”. L'immortale Hulk, che va ad aggiungersi a una collezione già numerosa di aggettivi che nel corso dei decenni hanno preceduto il nome del gigante verde: Incredibile, Selvaggio, Indistruttibile... Persino “Fichissimo” (in inglese, Totally Awsome). E sono solo aggettivi di testata, che a contare gli appellativi del Golia di smeraldo ci sarebbe da confondersi.

Il personaggio di Hulk è cambiato tante volte per continuare gattopardescamente a essere sempre se stesso. Gli Hulk più o meno lucidi o intelligenti, per quanto gradevoli da leggere (soprattutto quando al timone delle storie c'era qualcuno come Peter David), cedevano puntualmente la scena al ritorno dell'elemento più archetipico. Hulk è simbolo di ciò che lo crea all'inizio della sua avventura: un'arma devastante, una bomba, una potenza che non può essere contenuta, la collera irrazionale dell'essere umano, la sua tendenza a cedere sempre e comunque alla violenza e alla distruzione. In parte Frankestein (sia creatura che creatore), in parte Jekill-Hyde. Hulk ha sempre avuto delle parentele con la narrativa del terrore, e non a caso in principio, a causare la sua metamorfosi non erano gli sbalzi di umore, ma semplicemente il cadere della notte. Hulk si manifestava con le tenebre, e la sua fronte (un tempo) era alta quanto quella della maschera di Boris Karloff nel film che lo rese celebre.

Hulk, nella persona del suo alter ego Bruce Banner, è morto parecchie volte. E sempre rocambolescamente resuscitato, come da copione supereroistico dove il decesso è simile a una brutta influenza, fastidiosa, persistente, ma che prima o poi passerà. Non c'era dunque niente di scioccante nel vedere Banner morire durante il (evitabilissimo) evento Civil War II. Ucciso da una freccia scoccata dall'arciere Occhio di Falco, istruito da Banner stesso affinché mettesse fine alla minaccia del mostro verde qualora le cose si stessero mettendo male. La legge di Murphy si è puntualmente confermata, e Banner (e così il suo Hulk) è rimasto morto per qualche tempo, sostituito da un giovane Hulk più scanzonato, Amadeus Cho, il fichissimo giovanotto verde. Ma le ferie sono terminate, ed era ora che l'Hulk canonico tornasse in scena. Eccolo quindi rispuntare durante la saga degli Avengers intitolata “No Surrender”, dove ci viene spiegato che Hulk è sempre stato immortale. Tutte le volte, dal principio. Per questo torna sempre. Banner muore... ma Hulk la notte successiva tornerà ad emergere, e a rigenerare anche il corpo del suo debole alter ego.


Al Ewing e Joe Bennett firmano dunque l'inizio di un nuovo ciclo, Immortal Hulk, in cui (se il buon giorno si vede dal mattino) dovremo vedere la diade Banner-Hulk schiattare e risorgere più volte, seguendo un ritmo da storia dell'orrore. Perché questo sembra essere il progetto. Riscoprire nel personaggio di Hulk tutto il potenziale inquietante e buio, lasciando da parte i lampi colorati del superomismo per concentrarsi sulla paura e quanto di destabilizzante possa emergere dal rapporto simbiotico tra Banner e il mostro che non gli permette di morire definitivamente.

Il primo episodio ha una regia interessante, ma anche un po' spiazzante. Diciamo che la “novità”, quell'immortalità che c'è sempre stata (ma non era mai stata chiaramente diagnosticata), porta a galla ulteriori ombre sul personaggio e sotto certi aspetti, nel tentativo di rinnovarlo, rischia di annacquarlo. Va benissimo rivedere un Hulk quasi Frankensteinizzato (orribile parola!) e dal profilo molto più truce del solito. Va bene scorgere nel suo linguaggio e nella sua nuova mimica qualcosa che ricorda la crudeltà di Mr. Fixit, sua precedente, celebre incarnazione. A lasciare perplessi è l'alone da spirito della vendetta, più vicino a Ghost Rider che al Golia Verde. Le similitudini (che ci sono sempre state) con il Solomon Grundy della concorrente DC Comics. Persino qualche elemento comune al rapporto del demone Etrigan con il suo ospite umano Jason Blood, ma anche alcune dinamiche del bizzarro e poco noto Resurrection Man.

Rassegnandosi al fatto che nulla si crea e nulla si distrugge (come l'Immortale Hulk), ma che tutto si trasforma in qualcosa d'altro, o comunque qualcosa di diverso ma simile... possiamo dire che la partenza di Immortal Hulk sia un antipasto interessante e che tutto si giocherà sui numeri immediatamente successivi. Il dubbio che permane è la necessità di questa “nuova” caratteristica (jolly molto semplice da utilizzare per riportarlo in scena), in realtà suggerita da sempre, e in qualche modo tanto efficace in quanto lasciata vaga e tenuta sottotraccia. Se l'intento è quello di ammantare di ossessione il mostro che risiede in Banner, come nell'essere umano tipicizzato che rappresenta, tutto sta al tono delle storie a venire. La vera battaglia, il vero scontro tra titani, sarà con le consuetudini commerciali della narrazione supereroistica, che ha sempre attirato Hulk verso un centro di gravità più colorato e più pop. Più un rumoroso kaiju che un mostro realmente inquietante. Ma siamo qui per seguire l'esperimento. Ed eventualmente, divertirci. Anche se un giorno, forse inevitabilmente, l'ampolla fumigante potrebbe scoppiare in faccia sia ai lettori che agli autori. Tanto il risultato sarebbe comunque un faccione verde.

lunedì 4 giugno 2018

Hillbilly di Eric Powell


Streghe, lame e cafoni... dagli Appalachi con amore, dal creatore di The Goon.
E per inciso... il regista di Deadpool si chiama TIM (accidenti a me!). Un altro viaggio nel fantastico, ma stavolta la musica segue un ritmo diverso. Quello della ballata popolare, delle leggende soffiate dai venti sulla catena montuosa degli Appalachi, e dell'eco dei vasti campi americani. Un vagabondo attraversa le sue terre combattendo una guerra personale contro streghe, demoni e ogni forma di maleficio. Lo chiamano... lo Zotico.

venerdì 18 maggio 2018

Grazie, Fumettisti (In)contro Youtubers


Sono contentissimo. Uno stratosferico GRAZIE a tutti gli artisti del divertentissimo volume "Fumettisti contro Youtubers" edito da Blatta Productions, che hanno voluto dedicarmi il volume ognuno con un suo pensiero. E dedicarlo ad Altroquando (nome storico che porto umilmente avanti) come intento di divulgazione culturale. Sono commosso e vorrei poter documentare questo bel momento. Solo che il formato del libro è piccolo e io con lo smartphone sono una chiavica. Le intenzioni, però, ci sono tutte. GRAZIE. Un fumetto e uno Youtube migliori sono possibili quando si vuole.