venerdì 29 settembre 2017

A proposito di supereroi, di messia e di stregoni...


L'idea di supereroe inteso come versione laica e commerciale della concezione di messia, è antica quanto il fumetto supereroistico stesso. Superman per primo è la rappresentazione più classica di una creatura superiore venuta dal cielo e cresciuta da una famiglia umile per “salvare” l'umanità. Gli autori Jerry Siegel e Joe Shuster, entrambi ebrei, scelsero per il loro personaggio kryptoniano il nome di Kal-El, che in ebraico sarebbe traducibile come “Voce di Dio” (insomma, il riferimento al Verbo è praticamente dichiarato). Un messia più vicino alle aspettative del popolo ebreo del tempo di Cristo, che attendeva un condottiero che li guidasse a un riscatto terreno più che un maestro morale. La storia del fumetto supereroistico è zeppa di letture mistiche simili, tralasciando le versioni più satiriche, come il “Son of God” di Neil Adams, che riprendeva proprio la figura di Gesù ammantandola di rimandi al Capitan Marvel-Shazam della Fawcett (e in seguito della DC Comics). Tuttavia, negli anni settanta la Marvel sbaragliò tutti con il personaggio di Adam Warlock. Mentre attendiamo di scoprire quale trasfigurazione ci verrà mostrata dal Marvel Cinematic Universe (abbiamo visto il suo bozzolo in una delle scene post credits del secondo film dedicato ai Guardiani della Galassia), ripercorriamone brevemente gli esordi cartacei.




Warlock (all'epoca chiamato genericamente “Lui”) nasce sulle pagine dei Fantastici Quattro a opera di Stan Lee e Jack Kirby, ed è un essere creato artificialmente da un'enclave di scienziati che mirano a produrre una versione perfezionata della vita senziente. La situazione, però, sfugge loro di mano, e il risultato è per l'appunto... Lui. Definito misteriosamente per un po' “La creatura della chiusa 41”. Un giovanotto biondo dalla pelle dorata e dai poteri enormi quanto indecifrabili. Compare per la prima volta in forma prenatale, chiuso in un bozzolo che in seguito diventerà il suo caratteristico rifugio ogni qual volta ha bisogno di rigenerarsi. Poi in forma umanoide per poche vignette alla fine del racconto, quando neutralizza (in modo veterotestamentario e anche un po' sprezzante) gli scienziati che hanno avuto l'arroganza di crearlo per scopi non all'altezza del suo potenziale, e abbandona il pianeta giudicandolo troppo immaturo per ospitare un essere evoluto come... Lui.


Ma siccome nelle storie Marvel niente è mai come sembra (gli scienziati dell'enclave, per esempio, non sono davvero morti e continueranno a fare pasticci), Lui ricompare in un episodio di Thor. La terra non era pronta a riceverlo, ma si sa che cos'è che tira più di una fune di bastimento. E in questo caso si identifica con la dea Sif, della quale Lui si invaghisce, rapendola alla maniera di King Kong (anche lo scimmione gigante era venerato come un dio) per farne la sua compagna (in modo innocente, ma anche un po' troglodita). Thor, che in quel periodo era affetto da una sindrome asgardiana che lo mandava in berserk oltre misura, gliele suona di santa ragione (rivelando che gli immensi poteri della creatura sono estremamente variabili, e si riducono o si espandono a seconda delle esigenze della trama), inducendolo a rinchiudersi nel suo bozzolo protettivo e a fuggire di nuovo nello spazio.

Qui inizia il casino mistico vero e proprio.

Pare, si dice, si mormora, che lo sceneggiatore Roy Thomas fosse rimasto affascinato da “Jesus Christ Superstar”, il musical di Andrew Lloyd Webber reso celebre in tutto il mondo dal film di Norman Jewison del 1973. L'opera rock di Webber era però popolarissima negli Stati Uniti già nel 1972, e Thomas si mise in testa di portare sulle pagine dei fumetti il supereroe messianico definitivo. La scelta cadde su Lui, personaggio già esistente, ma ancora bisognoso di una vera caratterizzazione (fino a quel momento era stato poco più di un espediente narrativo per innescare le avventure di altri eroi) che fu recuperato e trasformato in... Warlock.

Lo scenario scelto fu la Contro-Terra, un mondo parallelo creato dall'Alto Evoluzionario (detto anche “Grande Evoluzionista” viste le traduzioni ballerine dell'Editoriale Corno). Personaggio già canonizzato nell'universo Marvel, apparso su più testate (Thor, Hulk) e presentato come genetista supremo, dedito alla sperimentazione e creazione di varie forme di vita. La Contro-Terra era sostanzialmente un mondo parallelo identico alla terra se non per alcune differenze storiche (pieno quindi di doppelganger di personaggi iconici, ciascuno con una sua variante). Qualcosa che oggi, per comodità espositiva, potremmo paragonare all'universo gemello della serie televisiva “Fringe”. Prima ancora, nell'episodio di Thor intitolato “I generatori di vita”, avevamo incontrato un'altra creazione dell'Alto Evoluzionario. Una genia di animali antropomorfi (esattamente come ne “L'isola del dottor Moreau” di Wells, ma più evoluti) e il loro crudele leader, un lupo (e sì!) chiamato genericamente Uomo Bestia (Uomo Lupo era già preso).

La sintesi evangelica ideata da Roy Thomas e realizzata graficamente dal grande Gil Kane fu praticamente questa. L'Alto Evoluzionario ha creato sia gli animaluomini (New-Men) che la Contro-Terra. L'intento dell'Alto Evoluzionario era risparmiare al pianeta fotocopia le tribolazioni della terra originale, ma tutto è mandato in vacca (praticamente per dispetto) dall'Uomo Bestia e dalla sua stirpe di animali antromorfi, che subito dopo si rifugiano sulla Contro-Terra per impadronirsene secondo i canoni più consueti della narrazione supereroistica. Davanti a questa deriva, il genetista vorrebbe disfare il proprio lavoro, ma qui subentra Lui, che in seguito assumerà il nome di Adam Warlock. Warlock (che nel frattempo ha rubato la divisa di Capitan Marvel-Shazam, tagliando via maniche e gambali per stare più fresco) ferma la mano del Creatore e si offre come protettore del pianeta (comodamente separato dalla vera terra e quindi dalla continuity ufficiale di casa Marvel), per salvare capra e cavoli dalle mire del lupacchiotto. L'Alto Evoluzionario-Dio padre (putativo, in questo caso, quanto San Giuseppe) accetta di partecipare a questa performance in cosplay basata sul Vangelo, e invia Warlock sul pianeta, donandogli il nome con cui sarà conosciuto e una delle gemme dell'infinito (incastonata sulla fronte di Lui come su quelle del dio Vishnu nell'iconografia induista) che in futuro si rivelerà molto importante (soprattutto quando il personaggio sarà preso in mano da Jim Starlin).

Inizia così l'avventura messianica di Adam Warlock, con un ciclo di storie supereroistiche ambientate fuori dal cosmo Marvel canonico, in lotta con la Bestia che si annida tra gli uomini. Una lieta novella fatta di super-risse che poco hanno a che vedere con gli insegnamenti etici cristiani, mostrando la corda di un parallelismo religioso eccessivamente dichiarato. Ma la serie intitolata “The Power of Warlock” ha vita breve e chiude per la scarsità delle vendite.


La saga della Contro-Terra terminerà sulle pagine dell'Incredibile Hulk (in trasferta per l'occasione sul mondo parallelo), e lo farà nel modo più stucchevole possibile. Sempre Roy Thomas, in questo caso in collaborazione con Gerry Conway, conclude la saga metafisica di Adam Warlock con una narrazione ai limiti del parodistico, ripercorrendo quasi pedissequamente le ultime pagine dei Vangeli. In un certo senso, Hulk rivestirà un ruolo simile a quello di Giuda, sia pure sotto il controllo del malvagio diavolo-Uomo Bestia. Partecipiamo a una rappresentazione supereroistica dell'ultima cena, ascoltiamo l'invito a ripetere il rituale in memoria del supermessia, e assistiamo soprattutto alla cattura e all'esecuzione di Warlock su un macchinario simile a una croce egizia. Nemmeno l'urlo «Alto Evoluzionario, perché mi hai abbandonato?!» ci viene risparmiato. E Warlock, come ogni Gesù Cristo che si rispetti, muore, ma solo per tre giorni. Risorge infatti dal suo bozzolo più potente che mai e dotato di una nuova forma di consapevolezza astrale. Fa involvere l'Uomo Bestia riportandolo alla sua natura lupesca, ne debella definitivamente la minaccia e vola via nello spazio (come aveva già fatto anni prima sulle pagine dei Fantastici Quattro) verso un nuovo, enigmatico destino.

Qualche tempo dopo, Jim Starlin avrebbe recuperato il personaggio di Warlock mettendo “tra parentesi” la sua parabola messianica sulla Crontro-Terra, facendo evolvere le sue avventure in una direzione cosmica e trasformandolo in un personaggio schizofrenico, in lotta con la sua futura evoluzione malvagia: il Magus, fondatore di un culto spaziale totalitario. Una metaformosi concettuale che conserva le implicazioni mistiche, ma spostandole su un piano più filosofico, e mettendo in scena un conflitto allegorico sulla destinazione finale cui un grande potere può condurre. Il bene e il male rappresentati come il conflitto interiore (e non solo) di un unico personaggio, impegnato a salvare l'universo non da un demone giunto dall'esterno, ma da se stesso.
La precedente visione messianica di Roy Thomas aveva finito con l'impantanarsi in una serie di parallelismi biblici fin troppo evidenti per essere realmente intriganti, sconfinando alla fine nella citazione più banale. Paradossalmente, toccando forse il punto più basso nell'interpretazione metafisica dell'icona supereroistica. A quel punto Warlock doveva veramente morire e risorgere a nuova vita. Editorialmente parlando. Il personaggio ha conservato da allora il suo ruolo misticheggiante, ma secondo una sensibilità più sfumata, potremmo dire più “new age”, più fantasy e di conseguenza funzionale. Uno dei casi supereroistici più bizzarri e mutevoli che l'evoluzione marvelliana ci ha donato nel corso della sua lunga storia editoriale.




giovedì 28 settembre 2017

Il ritorno di Shaka Zulu (Grazie, Netflix)


Tra i valori aggiunti della piattaforma on demand Netflix ce n'è uno che forse non sarà riconosciuto dal vasto pubblico, ma che ha un suo peso, e di sicuro – oggi – ha reso felice me.
Parlo del recupero di serie televisive d'epoca. Non preistoriche, ma che difficilmente oggi potremmo rivedere sui canali convenzionali. Titoli di nicchia, ma di grande impatto che meritano di essere recuperati, e dei quali fino a ieri non esistevano versioni sottotitolate.

Oggi, su Netflix, torna finalmente “Shaka Zulu”, serie sudafricana prodotta nell'ormai lontano 1986, trasmessa da Rai Due in seconda serata e (almeno così mi risulta) successivamente replicata solo su reti locali.
La miniserie, che presenta un cast di tutto rispetto, integrando attori britannici allora in auge come Robert Powell, Edward Fox, Christopher Lee e Trevor Howard con esordienti neri di grande talento, narra la saga di re Shaka, noto anche come il Napoleone Nero. Condottiero che nella prima metà dell'ottocento unificò la popolazione Zulu rendendola un esercito dalla potenza temibile, riuscendo a tenere in scacco per decenni le forze colonizzatrici inglesi. Un racconto epico che attinge a una pagina di storia poco conosciuta, basandosi su un romanzo di Joshua Sinclair, ma senza dimenticare gli echi del poema che alla figura di Shaka dedicò il poeta surrealista (e presidente del Senegal) Leopold Sedar Senghor.

La serie TV si apre con quello che oggi definiremmo un flashforward, identificato sin da subito dalla didascalia “Epilogo” e ambientato circa sessant'anni dopo la conclusione dell'avventura militare di Shaka. Davanti alla regina Vittoria, gli eredi dell'impero Zulu assistono al crepuscolo del loro regno, ma per lo spettatore è solo l'inizio di una saga appassionante.

Nel 1986 stavo svolgendo il servizio sostitutivo alla leva (allora funzionava così, almeno se questa era la tua scelta) ed ero impegnato a far da supporto al corpo forestale per spegnere incendi sulle montagne calabresi (le circolari ministeriali del tempo prevedevano l'allontanamento degli obiettori dal comune di residenza tanto quanto i militari di naja). Contemporaneamente, in televisione andava in onda “Shaka Zulu”. Ebbi così occasione di vedere alcuni episodi a spizzico, recuperandoli qualche tempo più tardi in replica su un'emittente locale, trasmessi a orari impossibili.

Da allora, di Shaka avevo perso le tracce. Almeno della sua versione integrale e fruibile. L'avevo a lungo cercato in rete, trovando qualche frammento su Youtube, ma senza il supporto di alcun sottotitolo. Avevo accarezzato l'idea di crearli io stesso, ma la mancanza di fonti e di una base in lingua originale affidabile aveva finito con lo scoraggiarmi. Oggi “Shaka Zulu” torna grazie a Netflix anche in italiano. Non saprei dire con certezza se il doppiaggio sia lo stesso del 1986, ma sembrerebbe di sì. E' possibile che molti storcano il naso davanti a una produzione sudafricana degli anni 80, e sarebbe un vero peccato, data la qualità del prodotto e l'interesse della vicenda storica.

Ricordo e amo la narrazione del cammino iniziale del giovane Shaka, la sua trasformazione da soggetto diseredato a leader crudele e geniale stratega. Il rapporto con la madre Nandi, vera protagonista femminile della vicenda. E la colonna sonora di Margaret Singana, popolare folk singer sudafricana. La canzone che fa da intro a ogni episodio “We Are Growing” (Noi cresciamo), così etnica e potente con le sue sonorità tribali mi era rimasta impressa nella memoria. Ricordo la scena dal sapore quasi fantasy in cui Shaka progetta e fa forgiare quella che diventerà l'arma tradizionale degli Zulu, la lancia dalla lunga lama appuntita e dal manico cortissimo. Il discorso al suo esercito sulla vanità delle guerre tra le diverse tribù, quasi “un balletto” più che un vero scontro militare, in cui le fazioni, ben distanti tra loro, si scagliavano l'un l'altro lance lunghissime senza ferirsi, e restando di conseguenza sempre in una situazione di stallo.



«Noi,» dice Shaka «gettiamo via le nostre armi, nella speranza che il nemico sia abbastanza gentile da restituircele.»

La sua nuova arma diventa invece sinonimo di morte. Il destino per i prigionieri di guerra è l'impalamento, e la ferocia di Shaka è pari soltanto al suo carisma e alla sua genialità bellica. Sotto il suo comando gli Zulu diventarono un impero che l'Inghilterra imparò a temere, e la figura di Shaka un simbolo pericoloso anche dopo la sua scomparsa.

Una storia e una messa in scena anni 80 che a mio parere non è invecchiata di un giorno, e che consiglio di scoprire a chi non era nato o era troppo giovane per apprezzarla.
Oggi si può. E per questo sono grato all'esistenza di Netflix.

lunedì 25 settembre 2017

Quando non c'entri un tubo (Conferenza al Palermo Comic Convention 2017)


[Quella che segue è la versione adattata in forma di articolo della conferenza da me tenuta al Palermo Comic Convention 2017. Manca ovviamente il dialogo con il pubblico e l'articolo presenta qualche interpolazione per rendere più fruibile la lettura.]

Quando non c'entri un tubo!

Sono le prime parole mi sono venute in mente quando mi è stato chiesto di tenere una breve conferenza al Palermo Comic Convention. Dovevo fornire un titolo in tempi molto stretti, e “quando non c'entri un tubo” mi si è formato sulle labbra in modo del tutto istintivo. Riflettendo, mi sono reso conto che il meccanismo era lo stesso di molti giochi psicologici. Quando ti dicono di dire un numero, o il primo colore che ti passa per la testa, e spari: “Rosso”. Oppure il titolo di un film, e su due piedi dici: “La grande abbuffata”. Soltanto dopo ti rendi conto che le parole, i nomi, i titoli che hai tirato fuori non sono casuali, ma parlano di te. In qualche modo ti descrivono (nella fattispecie, se hai l'abitudine di indossare bretelle rosse e non riesci a guardarti le dita dei piedi stando dritto).

Quando non c'entri un tubo”, dunque, è il titolo che ho scelto per questa conversazione. Un titolo che parla per prima cosa della mia insicurezza, nonostante mi trovi qui in quanto youtuber e sia abituato a mettere in mostra il mio brutto muso su Internet, prendendomi anche in giro e a volte apparendo poco vestito, scherzando sulla mia fisicità esuberante. Nonostante tutto questo, il titolo dice molto sulla mia fondamentale timidezza, sui miei dubbi, e su quanto mi senta intimorito quando appaio in eventi dal vivo. Un titolo che ci riporta però anche ad argomenti presenti ormai a ogni convention del fumetto, e ci fa pensare al nostro ruolo nel contesto che ci siamo scelti. Un ruolo che va cercato, scoperto.

Quando non c'entri un tubo, che cosa fai?

Provo a rispondere. Cerchi di adattarti. O inventarti.

Per chi non mi conosce (non c'entro un tubo, quindi non lo do per scontato) io mi chiamo Filippo. Su Youtube sono: Altroquando, e mi occupo prevalentemente di fumetti e di altre cose che riguardano il mondo nerd e dell'immaginario in generale. Ma volevo iniziare questa conversazione parlando proprio di Youtube e del suo ruolo all'interno di eventi come questa manifestazione. E' una polemica ormai vecchia, che ha fatto la muffa. Che cosa c'entrano Youtube e gli youtubers in una fiera del fumetto? Per molta gente non dovrebbero esserci. Sono il sintomo di una deriva culturale. O nella migliore delle ipotesi, sono semplicemente fuori tema. Insomma... non c'entrano un tubo.

E' diventato un luogo comune, anche abbastanza noioso. E io mi sono chiesto: perché si è arrivati a ragionare così? Perché in occasione di una fiera come questa, giunta quest'anno alla terza edizione, e che presenta nel suo programma parecchi ospiti di rilievo perfettamente in tema con l'ambito fumettistico, sui social si continua puntualmente a contestare la presenza degli youtubers. Youtubers che a confronto degli ospiti inerenti al fumetto, sono oltretutto in netta minoranza. Al di là della viscerale voglia di flame, perché?

Quando le fiere del fumetto si sono allargate al tema dei videogiochi e ad altri argomenti ludici, non mi sembra che la cosa abbia creato problemi a qualcuno. L'immaginario popolare si andava sviluppando, intrecciando diversi media tra loro, e le fiere aggiungevano aree tematiche fino a poco prima assenti. Tutto bene, tutto normale. Allora perché Youtube in una fiera del fumetto (ma ormai potremmo definire questi eventi delle convention dell'intrattenimento variegato) fa tanto scandalo? Quasi fosse una macchia di ragù sul vestito buono per le grandi occasioni.

Innanzitutto ricordiamo una cosa, senza voler minimizzare niente e nessuno. Le fiere non sono un evento di beneficienza. Sono manifestazioni di tipo commerciale, pensate per promuovere merci di vario tipo e generare guadagni. Sto parlando, adesso, delle fiere nell'accezione più ampia. Come la fiera del vino, la sagra de cous cous, la fiera della porchetta. Bene. Spesso in queste fiere, del vino e del cous cous, si esibiscono comici, troviamo cantanti in concerto, personaggi che poco o nulla hanno a che fare con i cibi che si stanno promuovendo. Questo perché le fiere sono eventi commerciali che si presentano con una connotazione di festa. E quando si fa festa, anche quando il tema principale - come in questo caso - sono i fumetti, c'è musica, c'è spettacolo. E Youtube, tra le sue varie forme, si può ormai considerare come un settore dello show business. Ignorarlo non avrebbe senso. E' uno dei media contemporanei che attirano una grossa fetta di pubblico. Quindi è più che naturale che le fiere abbiano fatto spazio a Youtube, e polemizzare su questo è inutile e pretestuoso. Se si vogliono scovare cose da criticare, queste vanno cercate altrove. Fare di Youtube il capro espiatorio per lamentare la diserzione di una parte di pubblico da eventi volti all'approfondimento dei temi presentati come principali, è un'ingenuità. E una semplificazione eccessiva.

Ma che cos'è Youtube? E' bizzaro chiederlo nell'area di una fiera, in presenza di persone su Youtube ci lavorano, e tante altre che lo fruiscono con regolarità. Però vale la pena di porsi questa domanda. Che cos'è Youtube per la massa? Secondo me, presso il pubblico generalista si è diffusa una percezione un po' distorta e parziale di questo media, tanto chiacchierato, tanto trendy, ma da molti conosciuto solo a un livello superficiale. Non troppo tempo fa, mi sono sentito dire da un amico che non mi considerava uno youtuber, ma piuttosto un recensore a cui si era rotta la tastiera del computer, e quindi adesso faceva video. Un modo – che voleva essere gentile - per dirmi... che non c'entravo un tubo. E che per come la vedeva lui, Youtube è una fogna dalla quale scappare con il naso turato.

Oggi io mi chiedo (e vi chiedo): chi è (o che cos'è) uno youtuber? In teoria, essendo Youtube uno strumento dovrebbe valere lo stesso discorso di chi si mette al volante di una macchina. Se uno guida l'automobile è un automobilista. Poi può guidare più o meno bene, rispettare o meno il codice della strada, fermati davanti alle strisce pedonali o mettere sotto i pedoni. Ma questo è un altro discorso. Per quanto riguarda lo youtuber, invece, ho trovato sui social questa definizione:

Youtuber: un tipo imbarazzante, che scimmiotta altri tipi imbarazzanti per fomentare un pubblico imbarazzante.

Insomma, nell'immaginario dominante lo youtuber è Vickipif, il personaggio della soap opera “Un posto al sole”. Personaggio estremizzato (volendo neanche tanto) che sintetizza lo stereotipo in voga: un ragazzetto arrogante, che non ha molto da dire, ma che urla il suo niente con piglio da arruffapopolo. In altre parole: youtuber per molti è una parolaccia. Un insulto. Un sinonimo di decadenza intellettuale.

Poco tempo fa, Shy (Alessandro Masala) di Breaking Italy diceva questo in un suo video: «In Italia per essere preso sul serio devi prima o apparire in televisione o pubblicare con un editore importante. Altrimenti non vali niente, il tuo talento non conta. E' un fatto culturale tutto italiano. In America gli yuotubers sono considerati alla stregua di altri lavoratori indipendenti. In Italia se fai lo youtuber, sei automaticamente un coglione. Questo perché si parte dal presupposto che chiunque può mettersi a parlare davanti a una videocamera. Nessuno mi batte le mani se mi vede al discount mentre metto un pacco di biscotti nel carrello della spesa.»

Dunque lo stereotipo largamente condiviso è questo. L'idea che a registrare video è bravo chiunque, chi perde il suo tempo su Youtube è un cretino, e lo youtuber è un personaggio ignorante e volgare. Qui voglio citare un'altra youtuber. Irene Facheris, del canale CMDRP (che poi sarebbe “cima di rapa” senza le vocali), e che si occupa di pari opportunità, femminismo, lotta all'omofobia. Irene Facheris spiega che il famoso “feedback” concetto che sentiamo nominare tanto spesso, quello con cui lasciamo recensioni sulle pagine di attività che vogliamo elogiare o criticare, e gli stessi commenti sui canali Youtube, non parla di quello che stiamo valutando. Il feedback, parla di noi che lo diamo. Comunica il nostro punto di vista personale, l'identikit delle nostre preferenze, e svela i filtri attraverso i quali percepiamo le cose.

Perché sto parlando di feedback e di questa interpretazione del feedback? Perché mi chiedo: chi liquida Youtube come un'enorme pattumiera, non mi sta comunicando che magari non conosce realmente lo strumento Youtube, e parla senza essersi prima documentato come si deve?

Se per molti lo stereotipo di youtuber è un ragazzino imbarazzante che si rivolge a un pubblico imbarazzante, a me viene spontaneo chiedermi: la stessa Irene Facheris, con la sua divulgazione a sostegno delle diversità, le sue campagne informative, il suo impegno sociale, dovrebbe rientrare in questa definizione? Ci rientra Alessandro Masala di Breaking Italy, che sostanzialmente fa dei veri e propri editoriali giornalistici? Ci rientra Federico Frusciante, una delle voci più autorevoli che conosca sul cinema, che peraltro analizza in con un efficace mix di tecnica e umanità, con una forte impronta politica? Ci rientrano Giorgio Taverniti e le sue puntualissime informazioni sul funzionamento di Youtube e di Internet in generale? Lorenzo di Sinema Exit e i ragazzi di Shiva Produzioni, che si occupano (ognuno a suo modo) di cinema underground, di storia del cinema e di cinema estremo, con grande cura culturale e senso dello spettacolo? Ci rientra Lara di Arsnoctis che parla di libri? O Barbascura X, che fa comicità a un livello, secondo me, molto più alto di tanta televisione? E che dire dell'iniziativa Edutube, oggi rappresentata qui da Alfredo - Freddy Finkwell e Tommaso di Geopolitically Scorrect, volta a fare network tra i canali che si dedicano alla divulgazione di scienze e cultura in modo trasversale?

Se il feedback, dunque, ci parla di chi lo fornisce, e qualcuno affernma che Youtube è esclusivamente un circo dei mostri... Beh, forse non si è preso il tempo di conoscerlo a fondo. Nuotare in superficie può fornirti l'informazione che l'acqua è più o meno fredda, farti sbattere contro qualche rifiuto galleggiante, ma è necessario immergersi e andare a fondo per vedere pesci forse pregiati o studiare il corallo. Magari ti manca la voglia, non hai curiosità a studiare davvero l'argomento, e ignori quanto su Youtube può esserci di valido e promettente. Ma se è così, è un tuo problema. Un problema di disattenzione, di disinteresse. Una mancanza di interesse del tutto legittima, ma che non ti dà il diritto di liquidare come spazzatura un media sfaccettato che non ti sei premurato di conoscere nella sua complessità. I canali che ho nominato, assieme a tantissimi altri, io li definisco la “nicchia di Youtube”. Una nicchia che non è necessariamente fatta di numeri bassi. Ed è anche una nicchia molto larga per essere una nicchia. Certo, non si può negare che le cose più visibili, le cose che vanno in tendenza (come le gare di rutti) possano inviare gli zebedei in missione alla ricerca di petrolio. Del resto, Youtube è uno strumento diffuso prevalentemente tra i giovanissimi. Soggetti che hanno tutto il diritto ad avere e vivere la loro età, e di cercare i contenuti per loro più leggeri. Ma se hai qualche anno in più, e rifiuti a priori un canale di comunicazione, sfuggendolo e schifandolo, non fornisci esattamente un buon esempio. Per criticare il media dovresti prima starci dentro. Non dico prenderci parte, ma fruirlo, scoprirlo e cercare di conoscere quel Dio dai Molti Volti che è Youtube.

Qualcosa, comunque, sta pure cambiando. E non mi riferisco solo all'argomento, pure quello ormai chiacchierato fino alla nausea che risponde al nome in codice di Adpocalypse. E' tutto scontato. Youtube è un'azienda, fa quello che vuole e ci saranno sempre cambiamenti fuori controllo per utenti e creativi. Viti che si stringono o si allentano a seconda delle circostane. Tutto quello che funziona in base alle inserzioni pubblicitarie è così. Le dinamiche di mercato e del sentire comune è in costante cambiamento. Quello di cui ci si deve fare una ragione è che Youtube non potrà mai essere un'unica fonte di reddito e superare il miraggio che ha ubriacato tanta gente. Ma stanno cambiando anche altre cose. Il tempo passa, e le prime (in verità anche le seconde) web celebrity nate su Youtube, ormai non sono più ragazzini. Vanno per la trentina, qualcuno l'ha già superata. E questa non è assolutamente una cattiva notizia. Anzi, è un'opportunità. Potrebbe essere una nuova giovinezza per Youtube. Dipende tutto da noi e da quel che faremo. Io penso che stiamo iniziando ad andare verso uno Youtube più variegato, dove incontreremo e ci confronteremo con persone di tutte le età. In realtà è già così. Ma le persone più mature rientrano nella Grande Nicchia. Io non faccio testo (anzi, non c'entro un tubo) non solo perché non sono famoso come altri, ma perché sono uno dei pochi (almeno per quanto riguarda Youtube Italia) a occuparsi di argomenti (come i fumetti) che interessano principalmente un pubblico giovane. Principalmente, ma non esclusivamente. C'è tanta gente della mia generazione, che ha iniziato leggendo i fumetti Marvel della Corno, che ha conservato questi interessi. E sono convinto (sempre che Youtube continui a esistere in questa forma ancora per molto tempo... questo non lo sappiamo) che la piattaforma, col passare degli anni, si differenzierà. Avremo personaggi provenienti da più generazioni, anche nell'ambito nerd e dell'intrattenimento. Si spezzerà la pretesa insulsa (che ha accompagnato il sorgere di molte nuove tecnologie) di strumento che appartiene solo ai giovanissimi e la cosa potrà avere sviluppi interessanti. O almeno avrà l'opportunità di trasformarsi. Del resto, credo di essere la prova vivente che si può invecchiare restando fondamentalmente ragazzini. Anche se qualcuno può prenderlo come un insulto, per me non lo è. Per questo tendo a incoraggiare le persone con qualche anno in più a mettersi in discussione, a non vergognarsi e se hanno cose da dire, provare a ritagliarsi il proprio spazio.

Non dimentichiamo, inoltre, che il pubblico è influenzato anche da noi. Noi youtubers, noi creativi, o come ci vogliamo chiamare. E' il nostro linguaggio e gli argomenti che trattiamo che formano il pubblico. Lo formano nel senso che per prima cosa lo selezionano.

Circa un anno fa, mi è capitato brevemente di avere un hater sul canale che mi trollava dandomi del vecchio, e scrivendo sempre la stessa frase: “Lo youtuber a 60 anni? Che pena!”
A parte il fatto che mi invecchiava di un casino anni... scelsi di ignorarlo del tutto. Ma fu molto interessante vedere le reazioni dei miei followers. E non perché presero le mie difese. Ma per IL MODO in cui lo fecero. Non si misero a urlare insulti come accade su alcuni canali: «Cancro! Cancro! To matri sbatte l'ova chi minni! Buttana i to ma e cose del genere. No. Argomentavano. Ci perdevano tempo. Ragionavano... per fargli capire che era lui che si era infilato nella stanza sbagliata. E fui felicissimo di vedere questo. Quando riesci a instaurare una sintonia del genere con chi ti segue, è una vera soddisfazione. E Youtube è anche questo. Il feedback funziona in due direzioni. I tuoi followers si selezionano anche in base a come ti mostri tu. Diventano un tuo riflesso.

E allora... forse non è del tutto vero che non c'entro un tubo. O che qualcuno o qualcosa non c'entra un tubo. La vera questione è cosa si sta cercando, riuscire a trovare affinità e lo spazio che ci risulta più confortevole. Il mondo non è bello, ma è sicuramente vario, e questo non è uno dei suoi aspetti peggiori. In questi giorni mi sono imbattuto, in rete, in una frase di Edgar Wright, regista cinematografico, autore di film degni di nota come “Shawn of the Dead”, “Scott Pilgrim vs the World” e ultimamente “Baby Driver”. Una frase che parla della ricerca del proprio stile, che dice più o meno così:

«Io credo che lo stile sia un'amalgama di tutte le cose che ti piacciono e tutte quelle che ti riescono bene. E quel mix di entrambe, più il tuo bagaglio di esperienza personale, diventa il tuo stile».

Mi sono un po' riconosciuto in questa frase. In un certo senso, forse, è quello che cerco di fare su Youtube. Io mi sono trovato ad approdare sul grande tubo un po' per caso, quattro anni fa. Un po', potremmo dire per sopravvivenza. Io nasco (una delle tante nascite, perché ho già avuto diverse rigenerazioni) come operatore di fumetteria, come libraio. Lavoravo da Altroquando, che è stata la prima fumetteria ad aprire a Palermo nel lontano 1991. Io allora non c'ero. Fu fondata da Salvatore Rizzuto Adelfio (un personaggio di spessore che ancora oggi la città ricorda) e a un certo punto arrivai io, diventando compagno di Salvatore nella vita e nel lavoro. Altroquando era una fumetteria sui generis, perché con la personalità di Salvatore (che era vulcanico) si allargò a tanti altri interessi. Alle culture alternative, alla piccola editoria, all'attivismo politico, alla cultura LGBT, alla promozione delle arti spontanee. Io portai la mia esperienza di lettore di fumetti e le mie iniziative personali, e lavorai con lui per parecchi anni. Finché... aimè, Salvatore si ammalò, l'attività già era in crisi di suo e con la scomparsa del fondatore il negozio dovette chiudere e lasciare lo spazio (che era in affitto) a un'altra azienda che non aveva niente a che vedere con la nostra storia.

Nell'ultimo periodo, mentre mi trovavo solo in negozio, che la sera chiudevo per poi correre in ospedale da Salvatore, per distrarmi guardavo Youtube. Guardavo “Skypocalypse”, una delle prime webserie, con Victorlaszlo88, Matioski e altri youtubers. Fu così che conobbi Victor e company. Da questo punto di svolta iniziai a seguire loro, per poi allargare i miei orizzonti, scoprendo Frusciante e tanti altri. E nel frattempo, mentre guardavo questi video, pensavo: non voglio che Altroquando svanisca con la libreria. Potrà chiudere il negozio, ma noi ci occupiamo anche di iniziative culturali. Potrei fondare un'associazione che continua a seguire questi temi in modo “no profit”. E magari... chissà! Il modo più veloce per tenere una finestra aperta e continuare a comunicare idee, potrebbe essere proprio Youtube. In un certo senso, se io oggi sono qui e su Youtube è anche colpa di Victor e soci. Diciamo che mi tennero compagnia in un periodo molto brutto, e nello stesso tempo mi ispirarono per la vita successiva.

Poco fa parlavo della ricerca del proprio stile. Quello che Edgar Wright definisce un'amalgama delle proprie passioni. Io sono stato un libraio e prima ancora ero un lettore appassionato di fumetti. Ma non sono stato solo questo. Ho avuto una vita abbastanza strana e movimentata. Prima, per un bel po' di anni ho fatto il giornalista. Ho lavorato in un'emittente televisiva oggi non più esistente. Ho scritto su riviste. Qualcosa che sapevo fare discretamente, ma che non percepivo come la mia vera strada. Così finii a fare il libraio. Ma prima ancora, soprattutto da ragazzo, avevo fatto teatro. Amatoriale per lo più. In ogni caso l'interesse per il teatro in me è rimasto sempre vivo, anche se non l'ho mai studiato in termini professionali. Infatti parlo col naso, ho una parlata che più palermitana non si può e così via. Ad ogni modo, senza programmarlo, mi sono andato rendendo conto che nei video che producevo per tenere viva la fiamma di Altroquando a Palermo, stavo usando tanti pezzettini di me. C'erano i fumetti, c'era l'approccio giornalistico, e anche i miei studi di sociologia. Inoltre, c'era il teatro. C'era la volontà di non limitarmi a parlare di fumetti, ma di “far parlare i fumetti”. Realizzando queste specie di piccoli trailer di ogni fumetto che tratto, recitando (con le mie povere forze) delle scene cardine delle opere che presento. Oggi, io stesso faccio fatica a definire i miei video, che sicuramente non sono del tipo che finisce in tendenza. In primo luogo perché sono lunghi. Io me ne strafotto delle tempistiche per fare views. Io faccio quello che mi piace e mi prendo il tempo che mi serve per dire quello che ho da dire. Qualcuno suggerisce che i miei video assomigliano più a un format televisivo che da Youtube. Io non so se è vero, ma lo trovo un complimento. Perché davvero mi rifaccio a certe trasmissioni culturali che oggi in televisione non vedo più, come quelle curate da Alessandro Baricco e da Corrado Augias. Parlo di fumetti, ma cerco anche di guardare oltre il fumetto e leggere tra le righe (o tra i balloon) per discutere di altre tematiche. Cerco di spaziare trattando di fumetti un po' particolari. E ultimamente sto mettendo in atto una sorta di karakiri mediatico, nel senso che mi dedico sempre più spesso a fumetti underground, non troppo noti o addirittura, in qualche caso, pure difficili da reperire. L'ultimo video che ho pubblicato in ordine di tempo parla di “Three Fingers” di Rich Koslowski (in Italia diventa “Quattro dita”). Pubblicato da noi da Prospettiva Globale un po' di anni fa, e ancora in attesa di ristampa. Un fumetto stranissimo, perché ha la struttura di un documentario (anzi, di un mockumentary) ed è una critica molto dura all'industria del cinema e dell'intrattenimento in generale, che usa la figura (trasfigurata) di Walt Disney per una metafora anticapitalista. Un fumetto che da noi hanno letto in pochi, e da quello che ho visto in rete... anche in America sembra essere diventato un pezzo raro. Forse ha poco senso parlare di opere che non sono facili da vendere e da acquistare, ma a me dà molta più soddisfazione parlare di qualcosa di sommerso e bizzarro che delle ultime uscite. Argomento che comunque non abbandonerò, non smetterò di parlare anche di fumetto popolare. Ma mi sono reso conto che mi diverte di più occuparmi di curiosità, di opere di cui si parla poco.

Questo, possibilmente, non mi aiuterà a diventare una celebrità. Ma va bene così. Esistono anche soddisfazioni di altro genere. Altroquando, come fumetteria, avrà pure chiuso i battenti (e per favore, non confondete la nostra storia con l'attività che per qualche tempo ha occupato lo stesso spazio fisico per acquisirne la clientela), ma continua a esistere come associazione culturale, che si esprime attraverso Youtube e piccoli eventi. Abbiamo dato vita a una biblioteca (dove teniamo sia letteratura che fumetti) che porta il nome di Salvatore Rizzuto Adelfio, il fondatore di Altroquando. Biblioteca che abbiamo inaugurato l'anno scorso con il supporto di Zerocalcare, che ha gentilmente donato un disegno da cui si è ricavata una targa che accoglie quanti visitano la biblioteca. Si trova in via Martin Luther King 6, praticamente dietro la fiera, nello spazio autogestito presso il Teatro Mediterraneo Occupato. Per il momento è in fase di riorganizzazione, ma sarà accessibile all'inizio di Ottobre e presto renderemo pubblico il calendario delle aperture sui vari social. Speriamo di riuscire a renderlo anche un punto di aggregazione e sede di eventi culturali. Quindi se vorrete venirmi a trovare, parlare con me, magari leggere qualcosa (l'ingresso alla biblioteca e l'accesso a libri e fumetti è totalmente gratuito), saprete dove trovarmi. E' un modo per andare avanti. Per mettere insieme, come dice Edgar Wright, le cose che ci piacciono, le cose che vogliamo fare. E aggiungerei... anche per condividerle. Che male non fa.

Ci sarà sempre un Altroquando. Grazie.



Supporta con una piccola donazione la biblioteca Salvatore Rizzuto Adelfio:

La Nicchia di Youtube Italia: