domenica 1 ottobre 2017
venerdì 29 settembre 2017
A proposito di supereroi, di messia e di stregoni...
Warlock (all'epoca chiamato genericamente “Lui”) nasce sulle pagine dei Fantastici Quattro a opera di Stan Lee e Jack Kirby, ed è un essere creato artificialmente da un'enclave di scienziati che mirano a produrre una versione perfezionata della vita senziente. La situazione, però, sfugge loro di mano, e il risultato è per l'appunto... Lui. Definito misteriosamente per un po' “La creatura della chiusa 41”. Un giovanotto biondo dalla pelle dorata e dai poteri enormi quanto indecifrabili. Compare per la prima volta in forma prenatale, chiuso in un bozzolo che in seguito diventerà il suo caratteristico rifugio ogni qual volta ha bisogno di rigenerarsi. Poi in forma umanoide per poche vignette alla fine del racconto, quando neutralizza (in modo veterotestamentario e anche un po' sprezzante) gli scienziati che hanno avuto l'arroganza di crearlo per scopi non all'altezza del suo potenziale, e abbandona il pianeta giudicandolo troppo immaturo per ospitare un essere evoluto come... Lui.
Ma siccome nelle storie Marvel niente è
mai come sembra (gli scienziati dell'enclave, per esempio, non sono
davvero morti e continueranno a fare pasticci), Lui ricompare in un
episodio di Thor. La terra non era pronta a riceverlo, ma si sa che
cos'è che tira più di una fune di bastimento. E in questo caso si
identifica con la dea Sif, della quale Lui si invaghisce, rapendola
alla maniera di King Kong (anche lo scimmione gigante era venerato
come un dio) per farne la sua compagna (in modo innocente, ma anche
un po' troglodita). Thor, che in quel periodo era affetto da una
sindrome asgardiana che lo mandava in berserk oltre misura, gliele
suona di santa ragione (rivelando che gli immensi poteri della
creatura sono estremamente variabili, e si riducono o si espandono a
seconda delle esigenze della trama), inducendolo a rinchiudersi nel
suo bozzolo protettivo e a fuggire di nuovo nello spazio.
Qui inizia il casino mistico vero e proprio.
Qui inizia il casino mistico vero e proprio.
Pare, si dice, si mormora, che lo
sceneggiatore Roy Thomas fosse rimasto affascinato da “Jesus
Christ Superstar”, il musical di Andrew Lloyd Webber reso
celebre in tutto il mondo dal film di Norman Jewison del 1973.
L'opera rock di Webber era però popolarissima negli Stati Uniti già
nel 1972, e Thomas si mise in testa di portare sulle pagine dei
fumetti il supereroe messianico definitivo. La scelta cadde su Lui,
personaggio già esistente, ma ancora bisognoso di una vera
caratterizzazione (fino a quel momento era stato poco più di un
espediente narrativo per innescare le avventure di altri eroi) che fu
recuperato e trasformato in... Warlock.
Lo scenario scelto fu la Contro-Terra,
un mondo parallelo creato dall'Alto Evoluzionario (detto anche
“Grande Evoluzionista” viste le traduzioni ballerine
dell'Editoriale Corno). Personaggio già canonizzato nell'universo
Marvel, apparso su più testate (Thor, Hulk) e presentato come
genetista supremo, dedito alla sperimentazione e creazione di varie
forme di vita. La Contro-Terra era sostanzialmente un mondo parallelo
identico alla terra se non per alcune differenze storiche (pieno
quindi di doppelganger di personaggi iconici, ciascuno con una sua
variante). Qualcosa che oggi, per comodità espositiva, potremmo
paragonare all'universo gemello della serie televisiva “Fringe”.
Prima ancora, nell'episodio di Thor intitolato “I generatori di
vita”, avevamo incontrato un'altra creazione dell'Alto
Evoluzionario. Una genia di animali antropomorfi (esattamente come ne
“L'isola del dottor Moreau” di Wells, ma più evoluti) e
il loro crudele leader, un lupo (e sì!) chiamato genericamente Uomo
Bestia (Uomo Lupo era già preso).
La sintesi evangelica ideata da Roy
Thomas e realizzata graficamente dal grande Gil Kane fu praticamente
questa. L'Alto Evoluzionario ha creato sia gli animaluomini (New-Men)
che la Contro-Terra. L'intento dell'Alto Evoluzionario era
risparmiare al pianeta fotocopia le tribolazioni della terra
originale, ma tutto è mandato in vacca (praticamente per dispetto)
dall'Uomo Bestia e dalla sua stirpe di animali antromorfi, che subito
dopo si rifugiano sulla Contro-Terra per impadronirsene secondo i
canoni più consueti della narrazione supereroistica. Davanti a
questa deriva, il genetista vorrebbe disfare il proprio lavoro, ma
qui subentra Lui, che in seguito assumerà il nome di Adam Warlock.
Warlock (che nel frattempo ha rubato la divisa di Capitan
Marvel-Shazam, tagliando via maniche e gambali per stare più fresco)
ferma la mano del Creatore e si offre come protettore del pianeta
(comodamente separato dalla vera terra e quindi dalla continuity
ufficiale di casa Marvel), per salvare capra e cavoli dalle mire del
lupacchiotto. L'Alto Evoluzionario-Dio padre (putativo, in questo
caso, quanto San Giuseppe) accetta di partecipare a questa
performance in cosplay basata sul Vangelo, e invia Warlock sul
pianeta, donandogli il nome con cui sarà conosciuto e una delle
gemme dell'infinito (incastonata sulla fronte di Lui come su quelle
del dio Vishnu nell'iconografia induista) che in futuro si rivelerà
molto importante (soprattutto quando il personaggio sarà preso in
mano da Jim Starlin).
Inizia così l'avventura messianica di
Adam Warlock, con un ciclo di storie supereroistiche ambientate fuori
dal cosmo Marvel canonico, in lotta con la Bestia che si annida tra
gli uomini. Una lieta novella fatta di super-risse che poco hanno a
che vedere con gli insegnamenti etici cristiani, mostrando la corda
di un parallelismo religioso eccessivamente dichiarato. Ma la serie
intitolata “The Power of Warlock” ha vita breve e chiude
per la scarsità delle vendite.
La saga della Contro-Terra terminerà
sulle pagine dell'Incredibile Hulk (in trasferta per l'occasione sul
mondo parallelo), e lo farà nel modo più stucchevole possibile.
Sempre Roy Thomas, in questo caso in collaborazione con Gerry Conway,
conclude la saga metafisica di Adam Warlock con una narrazione ai
limiti del parodistico, ripercorrendo quasi pedissequamente le ultime
pagine dei Vangeli. In un certo senso, Hulk rivestirà un ruolo
simile a quello di Giuda, sia pure sotto il controllo del malvagio
diavolo-Uomo Bestia. Partecipiamo a una rappresentazione
supereroistica dell'ultima cena, ascoltiamo l'invito a ripetere il
rituale in memoria del supermessia, e assistiamo soprattutto alla
cattura e all'esecuzione di Warlock su un macchinario simile a una
croce egizia. Nemmeno l'urlo «Alto Evoluzionario, perché mi hai
abbandonato?!» ci viene risparmiato. E Warlock, come ogni Gesù
Cristo che si rispetti, muore, ma solo per tre giorni. Risorge
infatti dal suo bozzolo più potente che mai e dotato di una nuova
forma di consapevolezza astrale. Fa involvere l'Uomo Bestia
riportandolo alla sua natura lupesca, ne debella definitivamente la
minaccia e vola via nello spazio (come aveva già fatto anni prima
sulle pagine dei Fantastici Quattro) verso un nuovo, enigmatico
destino.
Qualche tempo dopo, Jim Starlin avrebbe
recuperato il personaggio di Warlock mettendo “tra parentesi” la
sua parabola messianica sulla Crontro-Terra, facendo evolvere le sue
avventure in una direzione cosmica e trasformandolo in un personaggio
schizofrenico, in lotta con la sua futura evoluzione malvagia: il
Magus, fondatore di un culto spaziale totalitario. Una metaformosi
concettuale che conserva le implicazioni mistiche, ma spostandole su
un piano più filosofico, e mettendo in scena un conflitto allegorico
sulla destinazione finale cui un grande potere può condurre. Il bene
e il male rappresentati come il conflitto interiore (e non solo) di
un unico personaggio, impegnato a salvare l'universo non da un demone
giunto dall'esterno, ma da se stesso.
La precedente visione messianica di Roy
Thomas aveva finito con l'impantanarsi in una serie di parallelismi
biblici fin troppo evidenti per essere realmente intriganti,
sconfinando alla fine nella citazione più banale. Paradossalmente,
toccando forse il punto più basso nell'interpretazione metafisica
dell'icona supereroistica. A quel punto Warlock doveva veramente
morire e risorgere a nuova vita. Editorialmente parlando. Il
personaggio ha conservato da allora il suo ruolo misticheggiante, ma
secondo una sensibilità più sfumata, potremmo dire più “new
age”, più fantasy e di conseguenza funzionale. Uno dei casi
supereroistici più bizzarri e mutevoli che l'evoluzione marvelliana
ci ha donato nel corso della sua lunga storia editoriale.
giovedì 28 settembre 2017
Il ritorno di Shaka Zulu (Grazie, Netflix)
Tra i valori aggiunti della piattaforma
on demand Netflix ce n'è uno che forse non sarà riconosciuto dal
vasto pubblico, ma che ha un suo peso, e di sicuro – oggi – ha
reso felice me.
Parlo del recupero di serie televisive d'epoca. Non preistoriche, ma che difficilmente oggi potremmo rivedere sui canali convenzionali. Titoli di nicchia, ma di grande impatto che meritano di essere recuperati, e dei quali fino a ieri non esistevano versioni sottotitolate.
Parlo del recupero di serie televisive d'epoca. Non preistoriche, ma che difficilmente oggi potremmo rivedere sui canali convenzionali. Titoli di nicchia, ma di grande impatto che meritano di essere recuperati, e dei quali fino a ieri non esistevano versioni sottotitolate.
Oggi, su Netflix, torna finalmente
“Shaka Zulu”, serie sudafricana prodotta nell'ormai lontano 1986,
trasmessa da Rai Due in seconda serata e (almeno così mi risulta)
successivamente replicata solo su reti locali.
La miniserie, che presenta un cast di tutto rispetto, integrando attori britannici allora in auge come Robert Powell, Edward Fox, Christopher Lee e Trevor Howard con esordienti neri di grande talento, narra la saga di re Shaka, noto anche come il Napoleone Nero. Condottiero che nella prima metà dell'ottocento unificò la popolazione Zulu rendendola un esercito dalla potenza temibile, riuscendo a tenere in scacco per decenni le forze colonizzatrici inglesi. Un racconto epico che attinge a una pagina di storia poco conosciuta, basandosi su un romanzo di Joshua Sinclair, ma senza dimenticare gli echi del poema che alla figura di Shaka dedicò il poeta surrealista (e presidente del Senegal) Leopold Sedar Senghor.
La miniserie, che presenta un cast di tutto rispetto, integrando attori britannici allora in auge come Robert Powell, Edward Fox, Christopher Lee e Trevor Howard con esordienti neri di grande talento, narra la saga di re Shaka, noto anche come il Napoleone Nero. Condottiero che nella prima metà dell'ottocento unificò la popolazione Zulu rendendola un esercito dalla potenza temibile, riuscendo a tenere in scacco per decenni le forze colonizzatrici inglesi. Un racconto epico che attinge a una pagina di storia poco conosciuta, basandosi su un romanzo di Joshua Sinclair, ma senza dimenticare gli echi del poema che alla figura di Shaka dedicò il poeta surrealista (e presidente del Senegal) Leopold Sedar Senghor.
La serie TV si apre con quello che oggi
definiremmo un flashforward, identificato sin da subito dalla
didascalia “Epilogo” e ambientato circa sessant'anni dopo la
conclusione dell'avventura militare di Shaka. Davanti alla regina
Vittoria, gli eredi dell'impero Zulu assistono al crepuscolo del loro
regno, ma per lo spettatore è solo l'inizio di una saga
appassionante.
Nel 1986 stavo svolgendo il servizio
sostitutivo alla leva (allora funzionava così, almeno se questa era
la tua scelta) ed ero impegnato a far da supporto al corpo forestale
per spegnere incendi sulle montagne calabresi (le circolari
ministeriali del tempo prevedevano l'allontanamento degli obiettori
dal comune di residenza tanto quanto i militari di naja).
Contemporaneamente, in televisione andava in onda “Shaka Zulu”.
Ebbi così occasione di vedere alcuni episodi a spizzico,
recuperandoli qualche tempo più tardi in replica su un'emittente
locale, trasmessi a orari impossibili.
Da allora, di Shaka avevo perso le tracce. Almeno della sua versione integrale e fruibile. L'avevo a lungo cercato in rete, trovando qualche frammento su Youtube, ma senza il supporto di alcun sottotitolo. Avevo accarezzato l'idea di crearli io stesso, ma la mancanza di fonti e di una base in lingua originale affidabile aveva finito con lo scoraggiarmi. Oggi “Shaka Zulu” torna grazie a Netflix anche in italiano. Non saprei dire con certezza se il doppiaggio sia lo stesso del 1986, ma sembrerebbe di sì. E' possibile che molti storcano il naso davanti a una produzione sudafricana degli anni 80, e sarebbe un vero peccato, data la qualità del prodotto e l'interesse della vicenda storica.
Ricordo e amo la narrazione del cammino
iniziale del giovane Shaka, la sua trasformazione da soggetto
diseredato a leader crudele e geniale stratega. Il rapporto con la
madre Nandi, vera protagonista femminile della vicenda. E la colonna
sonora di Margaret Singana, popolare folk singer sudafricana. La canzone che fa da intro a ogni episodio “We Are
Growing” (Noi cresciamo), così etnica e potente con le sue
sonorità tribali mi era rimasta impressa nella memoria. Ricordo la
scena dal sapore quasi fantasy in cui Shaka progetta e fa forgiare
quella che diventerà l'arma tradizionale degli Zulu, la lancia dalla
lunga lama appuntita e dal manico cortissimo. Il discorso al suo
esercito sulla vanità delle guerre tra le diverse tribù, quasi “un
balletto” più che un vero scontro militare, in cui le fazioni, ben
distanti tra loro, si scagliavano l'un l'altro lance lunghissime
senza ferirsi, e restando di conseguenza sempre in una situazione di
stallo.
«Noi,» dice Shaka «gettiamo via le nostre armi,
nella speranza che il nemico sia abbastanza gentile da
restituircele.»
La sua nuova arma diventa invece sinonimo di morte. Il destino per i prigionieri di guerra è l'impalamento, e la ferocia di Shaka è pari soltanto al suo carisma e alla sua genialità bellica. Sotto il suo comando gli Zulu diventarono un impero che l'Inghilterra imparò a temere, e la figura di Shaka un simbolo pericoloso anche dopo la sua scomparsa.
Una storia e una messa in scena anni 80 che a mio parere non è invecchiata di un giorno, e che consiglio di scoprire a chi non era nato o era troppo giovane per apprezzarla.
Oggi si può. E per questo sono grato all'esistenza di Netflix.
La sua nuova arma diventa invece sinonimo di morte. Il destino per i prigionieri di guerra è l'impalamento, e la ferocia di Shaka è pari soltanto al suo carisma e alla sua genialità bellica. Sotto il suo comando gli Zulu diventarono un impero che l'Inghilterra imparò a temere, e la figura di Shaka un simbolo pericoloso anche dopo la sua scomparsa.
Una storia e una messa in scena anni 80 che a mio parere non è invecchiata di un giorno, e che consiglio di scoprire a chi non era nato o era troppo giovane per apprezzarla.
Oggi si può. E per questo sono grato all'esistenza di Netflix.
lunedì 25 settembre 2017
Quando non c'entri un tubo (Conferenza al Palermo Comic Convention 2017)
[Quella che segue è la versione adattata in forma di articolo della conferenza da me tenuta al Palermo Comic Convention 2017. Manca ovviamente il dialogo con il pubblico e l'articolo presenta qualche interpolazione per rendere più fruibile la lettura.]
Quando
non c'entri un tubo!
Sono
le prime parole mi sono venute in mente quando mi è stato chiesto di
tenere una breve conferenza al Palermo Comic Convention. Dovevo
fornire un titolo in tempi molto stretti, e “quando non c'entri
un tubo” mi si è formato sulle labbra in modo del tutto
istintivo. Riflettendo, mi sono reso conto che il meccanismo era lo
stesso di molti giochi psicologici. Quando ti dicono di dire un
numero, o il primo colore che ti passa per la testa, e spari:
“Rosso”. Oppure il titolo di un film, e su due piedi dici:
“La grande abbuffata”. Soltanto dopo ti rendi conto che le
parole, i nomi, i titoli che hai tirato fuori non sono casuali, ma
parlano di te. In qualche modo ti descrivono (nella fattispecie, se
hai l'abitudine di indossare bretelle rosse e non riesci a guardarti
le dita dei piedi stando dritto).
“Quando
non c'entri un tubo”, dunque,
è il titolo che ho scelto per questa conversazione. Un titolo che
parla per prima cosa della mia insicurezza, nonostante mi trovi qui
in quanto youtuber e sia abituato a mettere in mostra il mio brutto
muso su Internet, prendendomi anche in giro e a volte apparendo poco
vestito, scherzando sulla mia fisicità esuberante. Nonostante tutto
questo, il titolo dice molto sulla mia fondamentale timidezza, sui
miei dubbi, e su quanto mi senta intimorito quando appaio in eventi
dal vivo. Un titolo che ci riporta però anche ad argomenti presenti
ormai a ogni convention del fumetto, e ci fa pensare al nostro ruolo
nel contesto che ci siamo scelti. Un ruolo che va cercato, scoperto.
Quando
non c'entri un tubo, che cosa fai?
Provo
a rispondere. Cerchi di adattarti. O inventarti.
Per
chi non mi conosce (non c'entro un tubo, quindi non lo do per
scontato) io mi chiamo Filippo. Su Youtube sono: Altroquando,
e mi occupo prevalentemente di fumetti e di altre cose che riguardano
il mondo nerd e dell'immaginario in generale. Ma
volevo iniziare questa conversazione parlando proprio di Youtube e
del suo ruolo all'interno di eventi come questa manifestazione.
E' una polemica ormai vecchia, che ha fatto la muffa. Che cosa
c'entrano Youtube e gli youtubers in una fiera del fumetto? Per molta
gente non dovrebbero esserci. Sono il sintomo di una deriva
culturale. O nella migliore delle ipotesi, sono semplicemente fuori
tema. Insomma... non c'entrano un tubo.
E'
diventato un luogo comune, anche abbastanza noioso. E io mi sono
chiesto: perché si è arrivati a
ragionare così? Perché in occasione di una fiera come
questa, giunta quest'anno alla terza edizione, e che presenta nel suo
programma parecchi ospiti di rilievo perfettamente in tema con
l'ambito fumettistico, sui social si continua puntualmente a
contestare la presenza degli youtubers. Youtubers che a confronto
degli ospiti inerenti al fumetto, sono oltretutto in netta minoranza.
Al di là della viscerale voglia di flame, perché?
Quando
le fiere del fumetto si sono
allargate
al tema dei videogiochi e ad altri argomenti ludici, non mi
sembra che la cosa abbia creato problemi a qualcuno. L'immaginario
popolare si andava sviluppando, intrecciando diversi media tra loro,
e le fiere aggiungevano aree tematiche fino a poco prima assenti.
Tutto bene, tutto normale. Allora
perché Youtube in
una fiera del fumetto (ma ormai potremmo definire questi eventi delle
convention dell'intrattenimento variegato)
fa tanto
scandalo? Quasi fosse una macchia di ragù sul vestito
buono per le grandi occasioni.
Innanzitutto
ricordiamo una cosa, senza voler minimizzare niente e nessuno. Le
fiere non sono un evento di beneficienza. Sono manifestazioni
di tipo commerciale, pensate per promuovere merci di vario tipo e
generare guadagni. Sto parlando, adesso, delle fiere nell'accezione
più ampia. Come la
fiera del vino, la
sagra de cous cous, la
fiera della porchetta. Bene.
Spesso in queste fiere, del vino e del cous cous, si
esibiscono comici, troviamo
cantanti in concerto, personaggi
che poco o nulla hanno a che fare con i cibi che si stanno
promuovendo. Questo perché le fiere sono eventi
commerciali che si presentano con una connotazione di festa. E
quando si fa festa, anche quando il tema principale - come in questo
caso - sono i fumetti, c'è musica,
c'è spettacolo. E Youtube, tra le sue varie forme, si può
ormai considerare come un settore dello show business. Ignorarlo non
avrebbe senso. E' uno dei media
contemporanei che attirano
una grossa
fetta di pubblico.
Quindi è più che naturale che le fiere abbiano fatto spazio
a Youtube, e polemizzare su questo è inutile e pretestuoso. Se si
vogliono scovare cose da criticare, queste vanno cercate altrove.
Fare di Youtube il capro espiatorio per lamentare la diserzione di
una parte di pubblico da eventi volti all'approfondimento dei temi
presentati come principali, è un'ingenuità. E una semplificazione
eccessiva.
Ma
che cos'è Youtube? E' bizzaro chiederlo nell'area di una
fiera, in presenza di persone su Youtube ci lavorano, e tante altre
che lo fruiscono con regolarità. Però vale la pena di porsi questa
domanda. Che cos'è Youtube per la massa? Secondo me, presso il
pubblico generalista si è diffusa una percezione un po' distorta e
parziale di questo media, tanto chiacchierato, tanto trendy, ma da
molti conosciuto solo a un livello superficiale. Non troppo tempo fa,
mi sono sentito dire da un
amico che non mi considerava
uno youtuber, ma piuttosto un recensore a cui si era rotta la
tastiera del computer, e quindi adesso faceva video. Un
modo – che voleva essere
gentile -
per dirmi...
che non c'entravo un
tubo. E che per
come la vedeva lui, Youtube
è una fogna dalla quale scappare con il naso turato.
Oggi
io mi chiedo (e vi chiedo): chi è
(o che cos'è) uno youtuber? In teoria, essendo Youtube uno
strumento dovrebbe valere lo stesso discorso di chi si mette al
volante di una macchina. Se uno guida l'automobile è un
automobilista. Poi può guidare più
o meno bene, rispettare o meno il codice della strada, fermati
davanti alle strisce pedonali o mettere sotto i pedoni. Ma questo è
un altro discorso. Per quanto riguarda lo youtuber, invece, ho
trovato sui social questa definizione:
Youtuber:
un tipo imbarazzante, che scimmiotta altri tipi imbarazzanti per
fomentare un pubblico imbarazzante.
Insomma,
nell'immaginario dominante lo youtuber è Vickipif, il personaggio
della soap opera “Un posto al sole”. Personaggio
estremizzato (volendo neanche tanto) che sintetizza lo stereotipo in
voga: un ragazzetto arrogante, che non ha molto da dire, ma che urla
il suo niente con piglio da arruffapopolo. In altre parole: youtuber
per molti è una parolaccia. Un insulto. Un sinonimo
di decadenza intellettuale.
Poco
tempo fa, Shy (Alessandro Masala) di Breaking Italy diceva
questo in un suo video: «In Italia per essere preso sul serio
devi prima o apparire in televisione o pubblicare con un editore
importante. Altrimenti non vali niente, il tuo talento non conta. E'
un fatto culturale tutto italiano. In America gli yuotubers sono
considerati alla stregua di altri lavoratori
indipendenti. In Italia se fai lo youtuber, sei automaticamente un
coglione. Questo perché si parte dal presupposto che chiunque può
mettersi a parlare davanti a una videocamera. Nessuno mi batte le
mani se mi vede al discount mentre metto un pacco di biscotti nel
carrello della spesa.»
Dunque
lo stereotipo largamente condiviso è questo.
L'idea che a registrare video è bravo chiunque, chi perde il suo
tempo su Youtube è un cretino, e lo youtuber è un personaggio
ignorante e volgare. Qui voglio
citare un'altra youtuber. Irene
Facheris, del canale CMDRP (che poi sarebbe “cima di rapa”
senza le vocali), e che si occupa di pari opportunità, femminismo,
lotta all'omofobia. Irene Facheris spiega che il famoso “feedback”
concetto che sentiamo nominare tanto spesso, quello
con cui lasciamo recensioni sulle pagine di attività che
vogliamo elogiare o criticare, e gli stessi commenti sui canali
Youtube, non parla di quello che
stiamo valutando. Il feedback, parla di noi che lo
diamo. Comunica il nostro punto di vista personale, l'identikit delle
nostre preferenze, e svela i filtri attraverso i quali percepiamo le
cose.
Perché
sto parlando di feedback e di questa interpretazione
del
feedback? Perché mi chiedo: chi liquida Youtube come
un'enorme pattumiera, non mi sta comunicando che magari non
conosce realmente lo strumento Youtube, e
parla senza essersi prima documentato come si deve?
Se
per molti lo stereotipo di
youtuber è un
ragazzino imbarazzante che si rivolge a un pubblico
imbarazzante, a me viene spontaneo chiedermi: la stessa Irene
Facheris, con la sua divulgazione a sostegno delle diversità,
le sue campagne informative, il suo impegno sociale, dovrebbe
rientrare in questa definizione? Ci rientra Alessandro
Masala di Breaking Italy, che sostanzialmente fa dei veri e
propri editoriali giornalistici?
Ci rientra Federico Frusciante,
una delle voci più autorevoli che conosca sul cinema, che peraltro
analizza in con un efficace mix di tecnica e umanità, con
una forte impronta politica?
Ci rientrano Giorgio Taverniti
e le sue puntualissime
informazioni sul funzionamento di Youtube e di Internet
in generale? Lorenzo di Sinema
Exit e i ragazzi di Shiva
Produzioni, che si occupano (ognuno a suo modo) di cinema
underground, di storia del cinema e di cinema estremo, con
grande cura culturale e
senso dello spettacolo? Ci
rientra Lara di Arsnoctis che
parla di libri? O Barbascura X,
che fa comicità a un livello, secondo me, molto più alto di
tanta televisione? E che dire dell'iniziativa Edutube, oggi
rappresentata qui da Alfredo - Freddy Finkwell e Tommaso di
Geopolitically Scorrect, volta a fare network tra i canali che si
dedicano alla divulgazione di scienze e cultura in modo trasversale?
Se il feedback, dunque, ci parla
di chi lo fornisce, e qualcuno affernma che Youtube è esclusivamente
un circo dei mostri... Beh, forse non si è preso il tempo di
conoscerlo a fondo. Nuotare in superficie può fornirti
l'informazione che l'acqua è più o meno fredda, farti sbattere
contro qualche rifiuto galleggiante, ma è necessario immergersi e
andare a fondo per vedere pesci forse pregiati o studiare il corallo.
Magari ti manca la voglia, non hai curiosità a studiare davvero
l'argomento, e ignori quanto su Youtube può esserci di valido e
promettente. Ma se è così, è un tuo problema. Un problema di
disattenzione, di disinteresse. Una mancanza di interesse del tutto
legittima, ma che non ti dà il diritto di liquidare come spazzatura
un media sfaccettato che non ti sei premurato di conoscere nella sua
complessità. I canali che ho nominato, assieme a tantissimi altri,
io li definisco la “nicchia di Youtube”. Una nicchia che
non è necessariamente fatta di numeri bassi. Ed è anche una nicchia
molto larga per essere una nicchia. Certo, non si può negare che le
cose più visibili, le cose che vanno in tendenza (come le gare di
rutti) possano inviare gli zebedei in missione alla ricerca di
petrolio. Del resto, Youtube è uno strumento diffuso prevalentemente
tra i giovanissimi. Soggetti che hanno tutto il diritto ad avere e
vivere la loro età, e di cercare i contenuti per loro più leggeri.
Ma se hai qualche anno in più, e rifiuti a priori un canale di
comunicazione, sfuggendolo e schifandolo, non fornisci esattamente un
buon esempio. Per criticare il media dovresti prima starci dentro.
Non dico prenderci parte, ma fruirlo, scoprirlo e cercare di
conoscere quel Dio dai Molti Volti che è Youtube.
Qualcosa, comunque, sta pure
cambiando. E non mi riferisco solo all'argomento, pure quello ormai
chiacchierato fino alla nausea che risponde al nome in codice di
Adpocalypse. E' tutto scontato. Youtube è un'azienda, fa
quello che vuole e ci saranno sempre cambiamenti fuori controllo per
utenti e creativi. Viti che si stringono o si allentano a seconda
delle circostane. Tutto quello che funziona in base alle inserzioni
pubblicitarie è così. Le dinamiche di mercato e del sentire comune
è in costante cambiamento. Quello di cui ci si deve fare una ragione
è che Youtube non potrà mai essere un'unica fonte di reddito e
superare il miraggio che ha ubriacato tanta gente. Ma stanno
cambiando anche altre cose. Il tempo passa, e le prime (in verità
anche le seconde) web celebrity nate su Youtube, ormai non sono più
ragazzini. Vanno per la trentina, qualcuno l'ha già superata. E
questa non è assolutamente una cattiva notizia. Anzi, è
un'opportunità. Potrebbe essere una nuova giovinezza per Youtube.
Dipende tutto da noi e da quel che faremo. Io penso che stiamo
iniziando ad andare verso uno Youtube più variegato, dove
incontreremo e ci confronteremo con persone di tutte le età. In
realtà è già così. Ma le persone più mature rientrano nella
Grande Nicchia. Io non faccio testo (anzi, non c'entro un
tubo) non solo perché non sono famoso come altri, ma perché sono
uno dei pochi (almeno per quanto riguarda Youtube Italia) a occuparsi
di argomenti (come i fumetti) che interessano principalmente un
pubblico giovane. Principalmente, ma non esclusivamente. C'è
tanta gente della mia generazione, che ha iniziato leggendo i fumetti
Marvel della Corno, che ha conservato questi interessi. E sono
convinto (sempre che Youtube continui a esistere in questa forma
ancora per molto tempo... questo non lo sappiamo) che la piattaforma,
col passare degli anni, si differenzierà. Avremo personaggi
provenienti da più generazioni, anche nell'ambito nerd e
dell'intrattenimento. Si spezzerà la pretesa insulsa (che ha
accompagnato il sorgere di molte nuove tecnologie) di strumento che
appartiene solo ai giovanissimi e la cosa potrà avere sviluppi
interessanti. O almeno avrà l'opportunità di trasformarsi. Del
resto, credo di essere la prova vivente che si può invecchiare
restando fondamentalmente ragazzini. Anche se qualcuno può prenderlo
come un insulto, per me non lo è. Per questo tendo a incoraggiare le
persone con qualche anno in più a mettersi in discussione, a non
vergognarsi e se hanno cose da dire, provare a ritagliarsi il proprio
spazio.
Non dimentichiamo, inoltre, che
il pubblico è influenzato anche da noi. Noi youtubers, noi creativi,
o come ci vogliamo chiamare. E' il nostro linguaggio e gli argomenti
che trattiamo che formano il pubblico. Lo formano nel senso che per
prima cosa lo selezionano.
Circa un anno fa, mi è capitato
brevemente di avere un hater sul canale che mi trollava dandomi del
vecchio, e scrivendo sempre la stessa frase: “Lo youtuber a 60
anni? Che pena!”
A parte il fatto che mi
invecchiava di un casino anni... scelsi di ignorarlo del
tutto. Ma fu molto interessante vedere le reazioni dei miei
followers. E non perché presero le mie difese. Ma per IL MODO in cui
lo fecero. Non si misero a urlare insulti come accade su alcuni
canali: «Cancro! Cancro! To matri sbatte l'ova chi
minni! Buttana i to ma!» e cose del genere. No.
Argomentavano. Ci perdevano tempo. Ragionavano... per fargli capire
che era lui che si era infilato nella stanza sbagliata. E fui
felicissimo di vedere questo. Quando riesci a instaurare una sintonia
del genere con chi ti segue, è una vera soddisfazione. E Youtube è
anche questo. Il feedback funziona in due direzioni. I tuoi followers
si selezionano anche in base a come ti mostri tu. Diventano un tuo
riflesso.
E
allora... forse non è del
tutto vero
che non c'entro un tubo. O che qualcuno o qualcosa non c'entra
un tubo. La
vera questione è
cosa
si sta
cercando,
riuscire
a trovare
affinità e
lo spazio che ci risulta più confortevole.
Il mondo non è bello, ma è sicuramente vario, e
questo non è uno
dei
suoi
aspetti
peggiori.
In
questi giorni mi sono imbattuto, in rete, in una frase di Edgar
Wright, regista cinematografico, autore di
film degni di nota come
“Shawn
of the Dead”,
“Scott
Pilgrim vs the World”
e ultimamente “Baby
Driver”.
Una frase che parla della ricerca del proprio stile, che dice più o
meno così:
«Io
credo che lo stile sia un'amalgama di tutte le cose che ti piacciono
e tutte quelle che ti riescono bene. E quel mix di entrambe, più il
tuo bagaglio di esperienza personale, diventa il tuo stile».
Mi sono un po' riconosciuto in
questa frase. In un certo senso, forse, è quello che cerco di fare
su Youtube. Io mi sono trovato ad approdare sul grande tubo un po'
per caso, quattro anni fa. Un po', potremmo dire per sopravvivenza.
Io nasco (una delle tante nascite, perché ho già avuto diverse
rigenerazioni) come operatore di fumetteria, come libraio. Lavoravo
da Altroquando, che è stata la prima fumetteria ad aprire a
Palermo nel lontano 1991. Io allora non c'ero. Fu fondata da
Salvatore Rizzuto Adelfio (un personaggio di spessore che ancora oggi
la città ricorda) e a un certo punto arrivai io, diventando compagno
di Salvatore nella vita e nel lavoro. Altroquando era una fumetteria
sui generis, perché con la personalità di Salvatore (che era
vulcanico) si allargò a tanti altri interessi. Alle culture
alternative, alla piccola editoria, all'attivismo politico, alla
cultura LGBT, alla promozione delle arti spontanee. Io portai la mia
esperienza di lettore di fumetti e le mie iniziative personali, e
lavorai con lui per parecchi anni. Finché... aimè, Salvatore si
ammalò, l'attività già era in crisi di suo e con la scomparsa del
fondatore il negozio dovette chiudere e lasciare lo spazio (che era
in affitto) a un'altra azienda che non aveva niente a che vedere con
la nostra storia.
Nell'ultimo periodo, mentre mi
trovavo solo in negozio, che la sera chiudevo per poi correre in
ospedale da Salvatore, per distrarmi guardavo Youtube. Guardavo
“Skypocalypse”, una delle prime webserie, con
Victorlaszlo88, Matioski e altri youtubers. Fu così che conobbi
Victor e company. Da questo punto di svolta iniziai a seguire loro,
per poi allargare i miei orizzonti, scoprendo Frusciante e tanti
altri. E nel frattempo, mentre guardavo questi video, pensavo: non
voglio che Altroquando svanisca con la libreria. Potrà chiudere il
negozio, ma noi ci occupiamo anche di iniziative culturali. Potrei
fondare un'associazione che continua a seguire questi temi in modo
“no profit”. E magari... chissà! Il modo più veloce per tenere
una finestra aperta e continuare a comunicare idee, potrebbe essere
proprio Youtube. In un certo senso, se io oggi sono qui e su Youtube
è anche colpa di Victor e soci. Diciamo che mi tennero compagnia in
un periodo molto brutto, e nello stesso tempo mi ispirarono per la
vita successiva.
Poco fa parlavo della ricerca
del proprio stile. Quello che Edgar Wright definisce un'amalgama
delle proprie passioni. Io sono stato un libraio e prima ancora ero
un lettore appassionato di fumetti. Ma non sono stato solo questo. Ho
avuto una vita abbastanza strana e movimentata. Prima, per un bel po'
di anni ho fatto il giornalista. Ho lavorato in un'emittente
televisiva oggi non più esistente. Ho scritto su riviste. Qualcosa
che sapevo fare discretamente, ma che non percepivo come la mia vera
strada. Così finii a fare il libraio. Ma prima ancora, soprattutto
da ragazzo, avevo fatto teatro. Amatoriale per lo più. In
ogni caso l'interesse per il teatro in me è rimasto sempre vivo,
anche se non l'ho mai studiato in termini professionali. Infatti
parlo col naso, ho una parlata che più palermitana non si può e
così via. Ad ogni modo, senza programmarlo, mi sono andato rendendo
conto che nei video che producevo per tenere viva la fiamma di
Altroquando a Palermo, stavo usando tanti pezzettini di me. C'erano i
fumetti, c'era l'approccio giornalistico, e anche i miei studi di
sociologia. Inoltre, c'era il teatro. C'era la volontà di non
limitarmi a parlare di fumetti, ma di “far parlare i fumetti”.
Realizzando queste specie di piccoli trailer di ogni fumetto che
tratto, recitando (con le mie povere forze) delle scene cardine delle
opere che presento. Oggi, io stesso faccio fatica a definire i miei
video, che sicuramente non sono del tipo che finisce in tendenza. In
primo luogo perché sono lunghi. Io me ne strafotto delle tempistiche
per fare views. Io faccio quello che mi piace e mi prendo il tempo
che mi serve per dire quello che ho da dire. Qualcuno suggerisce che
i miei video assomigliano più a un format televisivo che da Youtube.
Io non so se è vero, ma lo trovo un complimento. Perché davvero mi
rifaccio a certe trasmissioni culturali che oggi in televisione non
vedo più, come quelle curate da Alessandro Baricco e da Corrado
Augias. Parlo di fumetti, ma cerco anche di guardare oltre il fumetto
e leggere tra le righe (o tra i balloon) per discutere di altre
tematiche. Cerco di spaziare trattando di fumetti un po'
particolari. E ultimamente sto mettendo in atto una sorta di karakiri
mediatico, nel senso che mi dedico sempre più spesso a fumetti
underground, non troppo noti o addirittura, in qualche caso, pure
difficili da reperire. L'ultimo video che ho pubblicato in ordine di
tempo parla di “Three Fingers” di Rich Koslowski (in
Italia diventa “Quattro dita”). Pubblicato da noi da
Prospettiva Globale un po' di anni fa, e ancora in attesa di
ristampa. Un fumetto stranissimo, perché ha la struttura di un
documentario (anzi, di un mockumentary) ed è una critica molto dura
all'industria del cinema e dell'intrattenimento in generale, che
usa la figura (trasfigurata) di Walt Disney per una metafora
anticapitalista. Un fumetto che da noi hanno letto in pochi, e
da quello che ho visto in rete... anche in America sembra essere
diventato un pezzo raro. Forse ha poco senso parlare di opere che non
sono facili da vendere e da acquistare, ma a me dà molta più
soddisfazione parlare di qualcosa di sommerso e bizzarro che delle
ultime uscite. Argomento che comunque non abbandonerò, non smetterò
di parlare anche di fumetto popolare. Ma mi sono reso conto che mi
diverte di più occuparmi di curiosità, di opere di cui si parla
poco.
Questo, possibilmente, non mi
aiuterà a diventare una celebrità. Ma va bene così. Esistono anche
soddisfazioni di altro genere. Altroquando, come fumetteria, avrà
pure chiuso i battenti (e per favore, non confondete la nostra storia
con l'attività che per qualche tempo ha occupato lo stesso spazio
fisico per acquisirne la clientela), ma continua a esistere come
associazione culturale, che si esprime attraverso Youtube e piccoli
eventi. Abbiamo dato vita a una biblioteca (dove teniamo sia
letteratura che fumetti) che porta il nome di Salvatore Rizzuto
Adelfio, il fondatore di Altroquando. Biblioteca che abbiamo
inaugurato l'anno scorso con il supporto di Zerocalcare, che ha
gentilmente donato un disegno da cui si è ricavata una targa che
accoglie quanti visitano la biblioteca. Si trova in via Martin Luther
King 6, praticamente dietro la fiera, nello spazio autogestito presso
il Teatro Mediterraneo Occupato. Per il momento è in fase di
riorganizzazione, ma sarà accessibile all'inizio di Ottobre e presto
renderemo pubblico il calendario delle aperture sui vari social.
Speriamo di riuscire a renderlo anche un punto di aggregazione e sede
di eventi culturali. Quindi se vorrete venirmi a trovare, parlare con
me, magari leggere qualcosa (l'ingresso alla biblioteca e l'accesso a
libri e fumetti è totalmente gratuito), saprete dove trovarmi. E' un
modo per andare avanti. Per mettere insieme, come dice Edgar Wright,
le cose che ci piacciono, le cose che vogliamo fare. E
aggiungerei... anche per condividerle. Che male non fa.
Ci sarà sempre un Altroquando.
Grazie.
Supporta con una piccola
donazione la biblioteca Salvatore Rizzuto Adelfio:
La Nicchia di Youtube Italia:
domenica 24 settembre 2017
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