La chiave di lettura surreale scelta da
Hawley è il vero punto di forza di LEGION. Una catena di elementi
citazionisti (la storia potrebbe benissimo svolgersi ai margini del
mondo narrativo degli X-Men cinematografici, e Charles Xavier
esistere fuori scena) e di atmosfere psichedeliche che (impossibile
non reiterare questo concetto) ricordano spesso lo stile di David
Lynch. Ma ricorda anche esperienze televisive storiche, come la serie
britannica “Il Prigioniero” della seconda metà degli anni
sessanta del secolo scorso. Serie enigmatica e ricca di sottotesti
simbolici, viaggio nella mente del protagonista che non forniva mai
risposte intelligibili, e che all'epoca, soprattutto con la sua
conclusione, anticipò gli shock di cult futuri come LOST.
Vedere LEGION come una qualsiasi altra
serie dedicata ai supereroi sarebbe un errore. Anzi, non è neppure
possibile, dal momento che scardina in fretta ogni aspettativa
convenzionale. Non si tratta solo di fotografia, colori, trovate
visive di notevole impatto, quanto della domanda su cui tutta la
narrazione si fonda. E cioè: quanto vediamo, i personaggi che
incontriamo, sono tutti reali? O sono parte del delirio di David
Haller, manifestazioni della sua schizofrenia? E i poteri mutanti, i
mutanti stessi, esistono? O sono anch'essi una rappresentazione
allegorica della tante personalità di David, compreso il suo
antagonista, il mefistofelico Re delle Ombre?
LEGION, quindi, si propone in apparenza
coma una storia supereroistica, ma può essere letto come un viaggio
sciamanico alla ricerca di sé e dei propri veri obiettivi. Uno
spettacolo che travalica il genere e coraggiosamente osa rompere gli
argini, aspirando a essere qualcosa d'altro, qualcosa di più. In che
misura ci riesca può essere oggetto di conversazione. Tutt'ora, a
seconda stagione conclusa e terza in preparazione, non ci sono
risposte definitive. Non ce n'è bisogno. L'ambiguità e la
simbologia di base sono il vero cuore dello show. Entrambe le realtà,
quella vera e quella sognata (sempre che sia così) vanno comunque
bene. Sono due modi diversi di narrare e intendere il medesimo
concetto. La ricerca della propria identità, il bisogno ancestrale
di trovare un avversario, anche costruendolo da una propria costola
se necessario, pur di avere un diavolo da incolpare per le nostre
disgrazie. LEGION riesce a essere una criptica metafora esistenziale,
e per questo merita attenzione. Un esperimento dissidente nella
contemporanea ubriacatura da supereroi in live action. Un cocktail
visivo e concettuale che non ci aspettavamo, ma che a due stagioni
dall'inizio continua a essere effervescente, spingendoci a volerne
ancora.
Perché sì, perché forse, se i
mutanti, se i supereroi esistessero, le cose andrebbero in modo molto
diverso da come appaiono nei fumetti. L'esistenza sarebbe tutt'altro
che semplice o schematica, i confini tra bene e male quanto mai
sfumati. Magari diventerebbe un labirinto etico e allucinatorio in
cui vaghiamo senza più un preciso punto di riferimento. O forse,
supereroi a parte, è già così. E la fantasia di potere cui i
fumetti ci hanno abituato non è più una fuga o una possibilità di
riscatto.
Se mai lo è stata. Forse è piuttosto
una prigione.