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mercoledì 19 settembre 2012

Pontypool: Parla come Mangi!


Pontypool è una sonnolenta  cittadina dell'Ontario dove non succede mai niente di significativo. Lo sa bene Grant Mazzy, maturo conduttore radiofonico che per animare la sua trasmissione del mattino ricorre a un tono volutamente provocatorio e sopra le righe, causando spesso il malumore di Sidney, la produttrice di rete. Le giornate di lavoro in radio seguono scalette monocordi, ravvivate da piccoli trucchi del mestiere. Un livido mattino, però, a Pontypool inizia ad accadere qualcosa di strano. Le notizie che giungono alla radio sono confuse e parziali. Si parla di improvvise esplosioni di violenza, di morti incomprensibili, e di episodi di cannibalismo...


Pontypool è un film canadese del 2009 snobbato dalle sale italiane, e soltanto recentemente (alla fine del 2011) giunto nel nostro paese direttamente in dvd in un'edizione decisamente spartana (e con il prescindibile sottotitolo "Zitto o Muori" già presente come semplice tag nell'edizione originale). Le ragioni che hanno portato la distribuzione italiana a ignorare questo titolo non sono un mistero. Nessun nome di richiamo nel cast, nessuna cifra da capogiro nel budget e nessuna campagna virale volta a sdoganarlo come un evento presso il vasto pubblico. Parliamo di cinema minimale, fatto di pochi attori che con i loro corpi e le loro voci danno vita a un racconto claustrofobico e carico di tensione. Parliamo anche di zombi (o se preferiamo pseudozombi), di quelli più ambigui, che non hanno neppure bisogno di morire e risorgere per farsi venir voglia di addentare a sangue il proprio prossimo. Quella follia collettiva, insomma, cui il cinema degli ultimi decenni applica  un'unica etichetta horror, ma declinata con numerose e spesso confuse varianti. Virus creati in laboratorio, possessioni diaboliche, forme estreme di idrofobia. Denominatore comune resta l'incontrollabile ferocia antropofaga che si allarga rapidamente come un'epidemia.
A firmare la sceneggiatura del film (esordendo così nel cinema) è Tony Burgess, medesimo autore del romanzo Pontypool changes everything (1998), tuttora inedito nel nostro paese. 


Ma il vero protagonista, in questo bizzarro zombi-movie del nuovo millennio, è la sorprendente modalità di trasmissione del mostruoso virus: il linguaggio. William S. Burroughs diceva: «Il linguaggio è un virus». Parole e concetti passano da un individuo all'altro, mutando e radicandosi non appena scatta la comprensione tra individui.  Le culture nascono dai linguaggi e dalle loro evoluzioni in forme sempre più sottili e veloci da diffondere. Ricordiamo il concetto filosofico di meme, un'entità informativa riconoscibile da mente umana, quale potrebbe essere una parola, un simbolo, un'idea, che si comporta come un'unità in grado di autopropagarsi, germinando nella cultura e nella mente degli uomini. Non esiste, a pensarci bene, via di contagio più pericolosa e nello stesso tempo più emblematica. Non a caso, i protagonisti di Pontypool, essendo il personale di una stazione radio, lavorano essenzialmente con le loro voci, e quindi in prima linea sul fronte dell'epidemia. Una calamità che si diffonde sinistra e invisibile intorno a Grant, Sidney e i loro collaboratori.

Pare che Tony Burgess, mentre scriveva il suo romanzo, pensasse alla Guerra dei Mondi, e alla celebre beffa messa in atto alla radio dal giovane Orson Welles. In Pontypool i ruoli sono rovesciati. I protagonisti, intrappolati nella loro piccola stazione radio, non hanno modo di conoscere quanto avviene nel mondo esterno se non attraverso i loro canali convenzionali, potenzialmente infetti in quanto propagatori di parole. Cosa che li induce più volte a chiedersi se non sono vittime di un crudele scherzo, almeno finché la terribile epidemia non stringe le sue spire intorno all'edificio dell'emittente. Né basta tenere fuori i mostri affamati, perché la radio continua a trasmettere e bisogna pur parlare... parlare... parlare... parlare... finché qualcuno non inciampa in una parola qualsiasi, e una luce di sgomento nei suoi occhi tradisce la confusione dei suoi pensieri, l'incapacità a dire altro e l’inizio di un loop selvaggio. Un'incapacità a comunicare che prelude a una furia incontrollabile, a una disperata pulsione distruttiva che spinge a divorare l'individuo che hai di fronte, percepito come un essere ormai alieno, con cui non riesci più a identificarti. 


La seconda sfida di Pontypool consiste nel raccontare una storia di zombi (pseudozombi!) senza mostrarli praticamente mai. Le creature dislessiche e fameliche appaiono di sfuggita, nell'ombra e per poche veloci scene. Per lo più se ne avverte la presenza e... per una volta se ne sentono le voci. Voci spettrali, che cantilenano ossessivamente fonemi senza senso mentre mani rabbiose premono contro le mura della fragile stazione radio. Vederli (sentirli) avventarsi sulla preda facendo eco alle sue ultime parole come un macabro coro è uno dei momenti più inquietanti del film. L'unicità del set richiama suggestioni di tipo teatrale e ci ricorda quando lo spettacolo volto a spaventare il suo uditorio si svolgeva al teatro del Grand Guignol. E' impossibile non ricordare il dramma di André de Lorde intitolato “Al telefono”, dove l'ancora recente invenzione di Antonio Meucci permetteva al protagonista di ascoltare impotente gli ultimi momenti della sua famiglia trucidata da una banda di criminali mentre egli si trova in un'altra città. Stessa fissità della scena, stessa suspence mediata da un mezzo di comunicazione meccanico, stesso senso del crescendo drammatico affidato alla voce umana. Non è casuale che l'attore Stephen McHattie (visto in Fringe) regga gran parte della pellicola sulle proprie spalle, anzi sulle proprie corde vocali. Una voce metallica e sfrontata, insinuante e musicale che il pur volenteroso doppiaggio italiano dell'edizione home video non può soppiantare. Tra un sanguinoso attacco dei feroci dislessici, il tentativo di ricorrere a lingue straniere per aggirare il contagio che sembra infestare
alcuni vocaboli inglesi, e  il timoroso uso di messaggi scritti, il dj Grant Mazzy non getterà la spugna, e continuerà a trasmettere, combattendo la sua guerra personale con la lingua impazzita fino alla fine. Una fine che potrebbe mostrare come il senso delle cose, e quindi della vita, è la prima vittima del nuovo male incombente. Un male che sembra dimostrare che il sistema fondamentale scelto dall'essere umano per comunicare è la violenza. E che il senso stesso della realtà è estremamente fragile una volta che ci si è affidati alle sfuggenti e mutevoli convenzioni del linguaggio. Persa la capacità di comunicare, perdiamo anche la nostra umanità, e diventiamo belve rabbiose.

Purtroppo, Pontypool non è un film riuscito a pieno. E non certo per i suoi fisiologici limiti di budget. La formidabile idea alla base del racconto è sviluppata in modo piuttosto superficiale, e si arena presto sul consueto modello della casa sotto assedio. Il finale può risultare affrettato e per certi versi confuso nelle sue intenzioni allegoriche, ma nel complesso Pontypool rappresenta già una piccola pietra miliare, di cui i futuri zombi-movie faranno meglio a tenere conto. Pontypool dimostra una volta di più come il senso dell’orrore non risiede esclusivamente negli effetti visivi, e come la voce di un attore di classe possa rappresentare il cardine di un’opera di suspence e di un'inquietante metafora sulle insidie del linguaggio.
«Parla come mangi!» ci verrebbe da dire, e consigliando la visione di questa chicca a quanti amano le orde di creature cannibali affamate, suggeriamo anche di schivare il contagio verbale affidandosi alla parola scritta, selezionando la traccia audio originale e ricorrendo al sempre pratico uso dei sottotitolititolititolititolititoliiiiii... Emmm... sssssoporiferi-riferi-riferi? Cioè... ssssodomiticiiticimitici! No, ssssottotivoliolivolitoli! Ssssottraibililibilililbi... sott..tra.. sot... ol... 
ti... so...
 ti... so... ti... 
li... to...

lunedì 9 luglio 2012

The Walking Dead - Webisodes: Storia di uno zombi


E' frequente, ormai, che a serie televisive di successo si affianchino quelle che ci siamo abituati a chiamare webisodes o web series. Brevi episodi, visibili liberamente in rete, di norma sul sito ufficiale della produzione, che approfondiscono aspetti su cui la serie madre glissa o narrano retroscena più o meno sfiziosi.

Parliamo oggi della web series relativa a The Walking Dead, la serie televisiva di successo ispirata all'altrettanto popolare fumetto di Robert Kirkman. La webseries (presentata in America come antipasto al lancio della seconda stagione) si compone di sei episodi della durata di tre minuti l'uno, e raccontano la vicenda di Hanna, il personaggio noto ai fans come "bicycle girl", o meglio ancora lo zombi tagliato a metà che Rick incontra (e pietosamente uccide) nel primo episodio della serie. Chi era questa donna? Come si è trasformata in morto vivente e di cosa sono stati testimoni i suoi occhi prima che le accadesse l'irreparabile?

Ora disponibile con un doppiaggio italiano sul sito della Fox, Storia di uno zombi, come hanno intitolato la web series nel nostro paese, racconta qualche dettaglio dell'inizio dell'epidemia zombesca, lasciata ancora dietro le quinte dal telefilm principale. Si può dunque considerare un prologo alla serie vera e propria.
In attesa di ulteriori webisodes (è notizia recente che sarà prodotta un'altra web series prima dell'esordio della terza stagione), vi proponiamo la storia di Hanna. O meglio, i link per seguirla. Le istruzioni html elaborate dalla Fox, infatti, consentono di incorporare i filmati nei post, ma non permettono molto spazio di manovra, e i video hanno il brutto vizio di partire automaticamente, rendendo non solo caotico e inutile inserirli tutti insieme in un unico post, ma imponendosi come rumore di fondo qualunque cosa stiate leggendo. Quanto di meno adatto per chi vorrebbe gustarsi la suspance. Pertanto eccovi, spartanamente, i link dei sei episodi da vedere direttamente sul sito della Fox.
Buona visione.




mercoledì 20 giugno 2012

Cinema Free: La notte dei morti viventi


«I morti ti prenderanno, Barbara… I morti ti prenderanno!»

La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead), il primo, storico film di George Romero che inaugurò il mito horror degli zombi antropofaghi nel 1968, è indiscutibilmente un gioiello del cinema povero in grado di incidere fortemente sull’immaginario collettivo e dare vita a un franchise cinematografico di particolare longevità (con tutta l’ironia che quest’ultima parola gronda, visto il tema in questione). Una pellicola a budget ridottissimo, girato su 35 mm in uno sgranato bianco e nero da un pugno di attori sconosciuti. Effetti speciali contenuti (ma raccapriccianti) e soprattutto un’idea di base che faceva della metafora sociale un incubo senza fine, realizzando una parabola nerissima da cui sarebbe scaturita una vera e propria icona cinematografica (ma anche videoludica, fumettistica e televisiva, con il passare degli anni).


Ben cinque sequel diretti dallo stesso regista del capostipite, due remake e una quantità infinita di cloni e imitazioni (molti dei quali di produzione italiana). La notte dei morti viventi, secondo le informazioni riportate da Wikipedia, è divenuto di pubblico dominio (cioè fruibile gratuitamente) per un errore burocratico della casa di distribuzione che, nel 1968, omise l’avviso di copyright sulla pellicola. Il film di Romero è tuttora in commercio in molte versioni e su molti supporti, ma è scaricabile e visionabile legalmente.
Oggi, mentre gli zombi continuano a conquistare il mondo delle nuvole parlanti e la televisione (il titolo The Walking Dead vi dice niente?), ci sembra interessante proporre alle nuove generazioni il capolavoro da cui tutto ha avuto inizio, qui presentato in una delle successive versioni colorizzate e in italiano.


La notte dei morti viventi di George Romero è ancora oggi la dimostrazione pratica che un’idea efficace e un buon senso del ritmo può produrre delle vere perle nell’ambito dello spettacolo anche senza budget faraonici. Buona visione.

mercoledì 11 aprile 2012

iZombie: Morta per il mondo


Gwen è morta. Già da tempo, non sappiamo come. Eppure, Gwen cammina ancora tra noi. Parla, ride, le piacciono i bei ragazzi, e lavora come inumatrice nel cimitero della cittadina di Eugene.

Gwen è affabile, piacevole, corteggiata. Le differenze con una normale ragazza viva e vegeta non sembrano essere molte. Quello che rende Gwen davvero particolare è che una volta al mese è costretta a cibarsi del cervello di un cadavere. Abitudine spiacevole, ma necessaria se vuole evitare di smarrire la sua personalità e trasformarsi in un ottuso cadavere ambulante. Inoltre, ogni volta che si nutre di materia cerebrale, Gwen è alla mercé delle memorie del defunto. Un’ondata di emozioni, di ricordi, vivida e incontrollabile. Stasera Gwen ha cenato, e una voce nella sua testa ha iniziato a chiedere insistentemente vendetta...


La RW-Lion porta in Italia iZombie (Io, lo Zombie), serie DC-Vertigo firmata da Chris Roberson (Jack of Fables) e Mike Allred (Madman). Una saga horror-comedy virata di quel pop style in cui Allred è maestro indiscusso. Un mondo popolato da tutte le creature dell’immaginario soprannaturale, cacciatori di mostri compresi, osservato attraverso gli occhi di una di loro. Una morta vivente in grado di dissimularsi tra gli umani. Vicini alle visioni gotiche del cinema di Tim Burton, Roberson e Allred inventano un caleidoscopio coloratissimo, grottesco e vivace, che per alcuni aspetti potrebbe ricordare le atmosfere di The Goon di Eric Powell, ma che utilizza toni molto più dark e si affida a una narrazione progressiva, dove i molti interrogativi troveranno risposta poco per volta.

 

Gwen è dunque una non morta, condannata per tirare avanti a vivere stralci delle vite altrui, attraverso il rito cannibalesco che deve svolgere per non perdere quel che resta della sua umanità. La accompagnano Ellie, il fantasma di una sventata ragazzina del secolo scorso, e Spot, giovane licantropo innamorato di Gwen. Il tono del racconto è leggero, ma lascia intravedere dietro ogni dialogo, dietro ogni pittoresco personaggio, qualcosa di nerissimo, pronto a ingoiare trama e lettore non appena si abbassa la guardia. Il linguaggio è fresco e venato di ironia, ma introduce scenari e accadimenti cupissimi, riuscendo a sorprenderci con repentine fughe dai cliché e una dose, non eccessiva, ma disturbante, di crudeltà. L’ingrediente supereroistico, che consiste proprio nella possibilità di Gwen di intervenire per saldare i conti lasciati aperti dai trapassati, s’infrange e muta a favore di un’alchimia fumettistica più complessa. iZombie non è esattamente un fumetto di spavento, perché non si propone di fare paura. E’ tuttavia un fumetto horror, giacché presenta situazioni e quesiti realmente inquietanti. Tanto più disturbanti quanto ammantati di umorismo e colori accesi.


Mike Allred è un artista dalla personalità molto forte, abbastanza da influenzare e fondersi con la cifra stilistica della sceneggiatura che è chiamato a illustrare. Per questo opere come X-Statix, Madman e lo stesso iZombie, presentano un’impronta coerente, dove lo stile di Allred, acceso e fracassone, riesce a rendere non scontati spunti apparentemente frusti.  Ed è per questo che iZombie risulta una divertente sorpresa, come una festa di Halloween (se vogliamo, come una di quelle che Gwen detesta) particolarmente frizzante e pazza. Dove i morti parlano in uno Spoon River impazzito, psichedelico e pop come soltanto il pennello estroso di Mike Allred poteva riuscire a proporcelo.

 Questa recensione è stata pubblicata anche su Fantasymagazine.


[Articolo di Filippo Messina]

sabato 24 marzo 2012

SaldaPress & Halifax: THE WALKING DEAD POSTCARD


Il seguente video riguarda la recente iniziativa lanciata da Saldapress e Halifax...
In occasione dell'uscita di The Walking Dead vol. 11 e del nuovo episodio videoludico di Resident Evil (Operation Raccoon City), i primi trenta clienti che entrando in fumetteria acquisteranno l'undicesimo volume di The Walking Dead, facendo precedere la richiesta con la frase «Saluti da Raccoon City!» (la città dov'è ambientato il gioco Resident Evil) riceveranno una cartolina gratuita di The Walking Dead (la vedete nell'immagine all'inizio del post). Noi non commentiamo, ma in un'altra fumetteria, questa, qualcuno ha pensato di girare un divertente (ed esaustivo) video sull'argomento. Che altro aggiungere?
Beh... SALUTI DA RACCOON CITY!


mercoledì 15 febbraio 2012

[REC]: Arriva anche il fumetto


Mentre i demozombi (cioè zombi demoniaci, come abbiamo imparato a conoscerli) ispanici stanno per tornare sul grande schermo con il terzo capitolo della saga, intitolato [REC] 3 - Genesis, le terribili e mordaci creature filmate dalla reporter Angela Vidal in un tenebroso condominio di Madrid si preparano a debuttare anche nel mondo della nona arte. Il fumetto, pubblicato in Spagna dalla Glénat Editions si intitolerà [REC] 0 - El còmic, e presenterà cinque episodi autoconclusivi che andranno ad arricchire la già sinistra mitologia cinematografica. Per realizzare il fumetto sono stati coinvolti cinque disegnatori esordienti, mentre le sceneggiature saranno curate da Hermàn Migoya in collaborazione con i registi Paco Plaza e Jaume Balaguerò, già padri della serie vista al cinema. Non mancano coinvolgimenti illustri che parteciperanno al progetto con delle personali pin-up, tra cui i notissimi Miguel Angel Martin e Pablo Marcos. I racconti, congegnati sullo stile delle storie horror brevi e scioccanti delle classiche Tales from the Crypt e Creepy, avranno un narratore d'eccezione: quel paziente zero (la figura spettrale vista tra le ombre nei primi due film) che oggi i fans conoscono come la Niña Medeiros. Non è ancora dato sapere se e quando vedremo questo fumetto in Italia, ma con il lancio del terzo film, la sua apparizione da queste parti sembra abbastanza probabile.


lunedì 31 gennaio 2011

Spesso ritornano: zombi di ieri, zombi di oggi...


L’invasione è iniziata decenni fa, in quella lontana, livida notte del 1969, di cui fu artefice George A. Romero, regista da allora tornato numerose volte sul luogo del delitto. L’attacco era incominciato, ma la conquista effettiva dei morti viventi avviene oggi. Gli zombi hanno marciato sugli schermi di tutto il mondo, viaggiando dagli Stati Uniti all’Europa, mutando linguaggio, umore e attitudini, ma rimanendo sempre riconoscibili come icone horror internazionale. Presto, i non morti hanno colonizzato l’industria videoludica, e hanno quindi preso ad attraversare anche le pagine di fumetti sempre più popolari, dapprima come comprimari, poi come protagonisti di vere e proprie saghe. Robert Kirkman con la sua serie The Walking Dead ha sdoganato definitivamente i non morti come elemento portante di spettacoli rivolti a un pubblico generalista, e la sua recente riduzione televisiva, dove conta parecchio l’apporto del regista-sceneggiatore Frank Darabont (The Mist, Il Miglio Verde), ha spopolato dimostrando che gli zombi antropofaghi creati da Romero nel 1969 godono (per quanto risulti grottesco a dirsi) di ottima salute. Una sortita televisiva precedente, ma in Europa, s’era avuta con la miniserie brittanica Dead Set, dove l’epidemia zombesca si diffondeva negli studi in cui si realizzava Il Grande Fratello anglosassone, e vedeva come principale carne da macello gli insopportabili concorrenti dei reality. Zombi dalle attitudini più o meno atletiche o catatoniche hanno ormai strappato ai vampiri lo scettro di mostro più saccheggiato dalla fiction. Questo ammesso che nel cinema e altri media attuali, la parola “zombi” significhi ancora qualcosa.


Gli sviluppi recenti (ma neanche più tanto) del genere horror ci ha abituato alla presenza di due soggetti mostruosi legati da una vaga parentela. Gli "zombi" propriamente detti (cioè i morti risorti dalla tomba per stregoneria o per ragioni sconosciute e più o meno propensi ad addentare la gente viva) e gli "pseudozombi" (vale a dire persone vive e vegete, ma infettate da qualcosa che le rende bestiali e feroci, spesso antropofaghe e contagiose). Il cinema di George A. Romero e le sue creature predilette hanno quindi figliato nei decenni nuove generazioni di personaggi più vicini concettualmente a terribili appestati fuori controllo che a creature tornate dalla morte. 28 Giorni dopo di Danny Boyle, lo spagnolo [Rec] e  il canadese Pontypool sono solo tre dei film che hanno promosso il concetto di cinezombi da classico non morto a una generica minaccia collettiva dalle connotazioni in parte differenti, ma accomunate dal sempre efficace orrore della furia cannibale.


Ulteriori mutazioni e ibridazioni possiamo riscontrarle nei fumetti. La Marvel Comics ha sempre avuto la tendenza ad attingere dal proprio passato editoriale per riciclarle in forme aggiornate, spesso secondo le attuali sensibilità del pubblico. Che appaiano sotto l'etichetta Ultimate o seguano altre forme di riscrittura, l'intento è di solito quello di svecchiare modelli oggi ritenuti superati e gettarli in pasto a un fandom cresciuto con MTV, Inernet e i tanti miti del nuovo millennio.  Per restare in tema di non morti (o di spunti riesumati dalla tomba in base ai già espressi meccanismi commerciali), parliamo del volume uscito qualche tempo fa per la collana “100% Marvel: Zombie – Simon Garth”, che raccoglie le miniserie The Zombie e il suo seguito The Zombie: Simon Garth. Il prodotto in questione non è un fumetto disprezzabile, ma ugualmente non riesce a scrollarsi di dosso una patina di inutilità, ed è sopratutto un'occasione sprecata per i lettori più maturi, quelli in grado di ricordare l'incarnazione originale del personaggio, del quale – precisiamo – qui non c'è neanche l'ombra.


Nelle due miniserie in questione (scritte da Mike Raicht e disegnate da Kyle Hotz ed Eric Powell), ci viene descritta per l'ennesima volta il sorgere di una genia di morti mangiavivi, originati come al solito da un virus militare fuori controllo. Tutto si svolge in modo abbastanza aderente alle regole stabilite da George Romero nella sua celebre saga zombesca. L'inevitabile assedio da parte di un'orda di morti famelici, la presentazione di personaggi archetipici (l'impavido, il malvagio, la bella), con prevedibili episodi splatter e la genesi di quello che dovremmo riconoscere come l'eroe chiave del racconto: Simon Garth. Un impiegato di banca coinvolto in una sanguinosa rapina proprio mentre il fatale morbo inizia a infuriare. Dopo un'estenuante resistenza, Simon resta contagiato. Ma qualcosa in lui reagisce diversamente. Non si nutre dei vivi, sembra conservare un barlume di intelligenza e sopratutto l'attitudine alle azioni eroiche.
Quella del volume è una lettura che svaga, giacché non manca di tensione. Ma il senso di già visto, nonché una serie di spunti narrativi ormai sfruttati fino allo sfinimento, inducono a dimenticarlo non appena lo si ripone nello scaffale. La vera domanda è... perché Simon Garth? Perché questo nome?
Viene da pensare che la Marvel sentisse il bisogno di rispondere con una nuova uscita al successo emergente dei Walking Dead di Kirkman, pagando tributo al cinema di Romero, vero ideatore degli zombi come oggi li conosciamo. Esseri bestiali e cannibali che agiscono in gruppo, sbranando e contagiando gli sfortunati viventi che incontrano sulla loro strada.


Qualche decennio fa non era così. Ma Simon Garth c'era già.
George Romero aveva già consegnato alla storia il suo personale incubo horror, ma gli zombi a fumetti seguivano ancora regole differenti. Sorvolando sulla sua primissima incarnazione (un racconto breve firmato da Stan Lee e Bill Everett che risale addirittura al 1952), lo Zombie Marvel è ricordato sopratutto per la serie uscita tra il 1973 e il 1975, scritta inizialmente da Roy Thomas e Steve Gerber, e disegnata – tra gli altri – da illustratori del calibro di John Buscema e Pablo Marcos. La serie si intitolava Tales of the Zombie (in Italia l'abbiamo vista sul Corriere della Paura dell'editoriale Corno). Ed era tutta un'altra storia.

Simon Garth era un potente industriale del Caffè residente a New Orleans. Ricco e dispotico, aveva una bellissima figlia, Donna, che un giorno protegge dalle indesiderate avanches del laido giardiniere Gyps, picchiandolo e licenziandolo. Gyps uccide Simon per vendetta e costringe Layla, una sacerdotessa Voo Doo - che nella vita di tutti i giorni lavora come segretaria di Garth e ne era innamorata - a riportare in vita il suo principale sotto forma di zombie, affinché diventi per sempre suo schiavo. Vediamo quindi come lo Zombie Garth storico fosse collegato alla mitologia haitiana e al culto Voo Doo, e si muovesse in un contesto magico-etnico molto diverso dai racconti horror ispirati al modello romeriano. Un ruolo importante nella vicenda è svolto dall'amuleto di Damballah, il dio serpente. Un talismano di cui esistono due copie gemelle, una al collo del morto che cammina, l'altra in possesso di chi dovrà controllarlo come un automa. Quasi subito, Gyps perde l'amuleto. Garth, che ha recuperato una scintilla di memoria, lo uccide e inizia a vagare senza meta. Il seguito della saga vede lo zombie sfiorare più volte la strada di sua figlia, che lo sta cercando, e incontrare numerosi personaggi dai destini spesso tragici. L'amuleto gemello passa di mano in mano con conseguenze non sempre piacevoli. Il cammino di Simon s'incrocia spesso con quello di un malvagio gangster di New Orleans che si serve della magia Voo Doo per i suoi scopi criminali. Alla fine, Layla darà la sua vita affinché Simon possa resuscitare per un giorno, risolvere tutti i conti lasciati in sospeso, riconciliarsi con la figlia e l'ex moglie Miranda (ma anche chiudere la partita con il suo avversario criminale, che adesso vede come un riflesso distorto della sua vita precedente) e poter quindi morire definitivamente in pace. In un ciclo conclusivo epico e commovente, scritto da un ancora sconosciuto Chris Claremont, ogni filo della vicenda è recuperato. Simon si dimostra la metafora di un uomo “morto” molto prima che il suo giardiniere lo uccidesse. Le esperienze maturate dal suo alter ego cadaverico hanno cambiato il cinico e glaciale uomo d'affari, e il suo ultimo giorno (che coincide con il matrimonio della figlia Donna) sarà veramente il più intenso della sua vita.


Tales of the Zombie è un piccolo gioiello degli anni settanta, recuperato solo in parte, qualche anno fa, dalla collana da edicola Dark Side della Gazzetta dello Sport. Era scritto in modo bizzarro e per molti versi inusuale. Il protagonista, essendo un morto vivente, era praticamente muto (anche se in un'unica storia bofonchiava qualche parola). La narrazione in terza persona era affidata alle didascalie, ma il cantastorie si rivolgeva direttamente al protagonista e lo chiamava per nome. A volte incitandolo, altre rimproverandolo, sempre commentando le sue azioni. Insomma, un espediente letterario molto particolare per infondere a un morto che cammina una personalità struggente. Indimenticabile la sequenza in cui lo zombie si trascina fino alla fabbrica di caffè dove lavorava in vita, scala un cancello elettrificato senza riceverne danno e va a sedersi sulla poltrona imbottita del suo vecchio ufficio. Circondato dal lusso, ma irrimediabilmente solo, nella morte come lo era in vita.


Questo era... è Simon Garth. Questo era un fumetto di qualità.
Zombie: Simon Garth è invece una miniserie senza infamia e senza lode, che segue in modo pedissequo i cliché ormai radicati nell'immaginario giovanile dal cinema e dai videogames. Unica traccia, il nome di Simon Garth. E si potrebbe aggiungere: peccato.
Se adesso pensate che alcuni fumetti degli anni settanta avessero qualche marcia in più rispetto alle spacconate del nuovo millennio... chissà, forse non siete ancora diventati degli zombie.

 [Articolo di Filippo Messina]

lunedì 6 dicembre 2010

Gli zombie che divorarono il mondo vol. 1: Un odore insopportabile


In un futuro non troppo lontano, in una Los Angeles fumosa dove i cieli sono solcati da macchine volanti dalle sagome vagamente retrò, i morti iniziano a uscire dalle tombe e a tornare a casa, nei luoghi dove hanno sempre vissuto. I ritornanti, per quanto orribili a vedersi, sembrano più fastidiosi che pericolosi. Si limitano a ripetere automaticamente azioni di quello che era stato il loro vivere quotidiano. Davanti a questa sconcertante emergenza, il governo non ha trovato di meglio che obbligare per legge le famiglie a ospitare i loro defunti e a custodirli sotto la propria responsabilità. Le conseguenze non possono che andare dallo scomodo al catastrofico, modificando drasticamente la vita dell’intera popolazione. Il fenomeno delle resurrezioni, inoltre, sta trasformando il tessuto stesso della società. I repubblicani pensano di candidare alle prossime elezioni un ex leader illustre appena tornato dall’oltretomba. Un ambiguo scienziato sperimenta tecniche innovative per restituire agli zombie una scintilla di intelligenza, e in Palestina c’è subbuglio nell’attesa del ritorno di Gesù Cristo. E’ sorto un nuovo mercato nero, fatto di necrofilia, smaltimento clandestino dei non morti e altre turpitudini...



L’idea di un mondo dove i vivi si trovano costretti a convivere con i propri morti tornati dalla tomba non è esattamente nuova. John Ajvide Lindqvist, scrittore svedese cui si deve il bellissimo Lasciami entrare, nel suo secondo libro, intitolato L’Estate dei morti viventi (pubblicato in Italia da Marsilio), aveva già descritto uno scenario piuttosto simile a quello presentato dalla serie a fumetti di Jerry Frissen e Guy Davis. I ritornanti visti non come minaccia immediata per gli esseri umani, ma come problema sociale, che rode lentamente dall’interno i delicati equilibri del mondo dei vivi e ne scardina i presupposti esistenziali. Gli Zombie che divorarono il mondo, che la Saldapress pubblica nella collana Z, espressamente dedicato al sottogenere dei morti che camminano, ha però un tono ben diverso da quello della cupa parabola sociologica proposta di Lindqvist. Qui siamo in presenza di una commedia nera, dove gli spunti allegorici sono scanditi da un sardonico umorismo. Inevitabile è il confronto con il film Shaun of the Dead, che comunque portava in scena gli ormai classici zombie romeriani divoratori dei viventi. A dispetto del titolo, invece, gli zombie di Frissen e Davis non divorano proprio niente. Non in senso letterale, almeno. 


Questi zombie, in genere abbastanza inoffensivi come indifesi sonnambuli, consumano la vita degli umani in un modo più subdolo. Testimoniando in silenzio l’insensatezza del quotidiano e l’inevitabile caducità di ogni cosa. Ci sfiora il sospetto che tra morti e vivi non ci sia poi tanta differenza. Gli zombie sono morti quanto sono morti dentro coloro che li circondano. Sono lo specchio deformante della miseria umana e del marciume di una società ipocrita. I vivi sono sciocchi, profittatori, necrofili, pazzi. Se il riposo della morte è negato, la vita non può che cagliare in modo insopportabile. L’umanità è così chiamata a reagire. E lo fa con i soli strumenti che possiede, tirando fuori il peggio di sé alla ricerca di un nuovo significato da dare all’esistenza. 


Orrido, beffardo e mostruosamente divertente, Gli zombie che divorarono il mondo è una lettura leggera e intensa che non manca di profondi spunti sociali. Per una volta, come nel romanzo di Lindqvist, incontriamo degli zombie diversi dal solito. Più imprevedibili, più “psicologici”. Impressiona anche la ciurma di picari protagonisti della saga: Karl Neard, foruncoloso cacciatore di morti che si è inventato un lavoro tra i più sporchi. Sua sorella Maggie, tanto maschiaccio frustrato quanto donna affamata di vita. L’esilarante Belga, ottuso bruto amante delle baruffe e delle barzellette idiote. Tra smembramenti e atti di necrofilia, il lettore è condotto in un luna park degli orrori dove niente è scontato e dove spesso ci si vergogna di ridere.


La struttura a episodi della serie procede con ritmo regolare mentre in sottofondo si sviluppa la sottotrama principale, che sfocerà  nel secondo volume, intitolato La Guerra dei Papi.
Gli zombie che divorarono il mondo ha tutte le carte in regola per emergere in mezzo all’orda di morti viventi che negli ultimi anni hanno invaso scaffali e sale cinematografiche con esiti non sempre all’altezza delle aspettative. La storia di zombie di Frissen e Davis è abbastanza atipica sia per forma che per sostanza, e merita attenzione in attesa del secondo volume, in cui la trama dovrebbe deflagrare. I disegni graffianti e scanzonati di Guy Davis (Sandman Mistery Theatre, B.P.R.D.) funzionano a dovere in un racconto intriso di splatter contribuendo spesso a rendere farsesche scene e situazioni che altrove sarebbero risultate raccapriccianti. In definitiva, un allegro grand guignol capace di strappare applausi a scena aperta.
Gli zombie sono tornati. Ancora. E stavolta vogliono farci ridere. Fino alla morte.






Questa recensione è stata pubblicata anche su Fumettidicarta.




[Articolo di Filippo Messina]